Analisi conversazionale costruttiva
Per un'applicazione psicoterapeuticaSeminar paper
Document Nr. V181035 http://www.grin.com/ ISBN 978-3-656-04265-5
Analisi conversazionale costruttiva
CC
! !BY: !$\ != ! Copyright Federico Gobbo. Alcuni diritti riser-C
vati. Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Creative Commons Italia.
Legenda
Abbreviazioni
adtree albero adposizionale adp adposizione generica assert assertivo generico commit commissivo generico Declare Dichiarazione generica dep dipendente generico direct direttivo generico express espressivo generico
extra extralinguistico (atto non-linguistico) gc carattere grammaticale generico
gov reggente (governor) ! adposizione zero
?frase frase grammaticalmente dubbia
??frase frase grammaticalmente molto dubbia *frase frase agrammaticale
!!che espressione cancellata da una trasformazione LUOGO semema
A tipo di attante generico
A carattere grammaticale aggiuntivo ↓ A carattere pragmatico assertivo C cliente (tipo di attante)
C contesto sociale di attivazione della Dichiarazione ↑ C carattere pragmatico commissivo
↓ D carattere pragmatico direttivo # D Dichiarazione
E carattere grammaticale circostanziale = E carattere pragmatico espressivo
I carattere grammaticale verbante generico (anche interfrasale) Ivx carattere grammaticale verbante (v valenza, x saturazione) ←−I verbante inaccusativo (sempre monovalente)
−
→I verbante inergativo (sempre monovalente) I1 carattere grammaticale monovalente indefinito I2 carattere grammaticale bivalente
I3 carattere grammaticale trivalente
L linguista CoCAL, analista della conversazione (tipo di attante) O carattere grammaticale stativo generico
O1 primo attante (valenza uno; anche X)
O2 secondo attante (valenza due; anche Y)
O3 terzo attante (valenza tre; anche Z)
P parlante (tipo di attante) R ricevente (tipo di attante)
S Status Dichiarato (a seguito di una Dichiarazione) T terapeuta (tipo di attante)
→ indicatore di dipendenza
← indicatore di reggenza (governement)
↔ indicazione di relazione generica reggente-dipendente ! trasformazione (da costruzione a costruzione)
> traslazione del carattere grammaticale
" traslazione supplettiva del carattere grammaticale ↑ direzione di adattamento mondo-a-mente
↓ direzione di adattamento mente-a-mondo
# direzione di adattamento mondo-a-mente & mente-a-mondo = direzione di adattamento nulla (presupposizione)
( albero adposizionale implicito ⊗ traslazione proibita
# morfo zero
Ø attante vuoto perch´e inesistente (utile nelle tabelle) () confine di gruppo morfemico
[] semema
Premessa
Nel corso del 2010 le mie ricerche in campo linguistico computazionale hanno destato interesse in un ambito inatteso: la relazione d’aiuto, in par-ticolare tra gli psicologi che stanno portando in Italia – sia come ricerca che come diffusione – l’Assessment Terapeutico di Finn (2007). Questo interesse mi ha stimolato ad applicare i miei risultati, ottenuti a partire dalla dissertazione di dottorato (Gobbo 2009), in una direzione nuova, che ho chiamato analisi conversazionale costruttiva – d’ora in avanti CoCAL, dall’acronimo inglese Constructive Conversation Analysis. In particolare, la CoCAL viene applicata ai trascritti dei colloqui che avvengono durante le sedute terapeutiche, perch´e si ritiene che sia possibile dare una risposta affermativa alla seguente domanda: possiamo, come analisti costruttivi-sti della conversazione, dare delle indicazioni utili al terapeuta, basate sull’analisi del trascritto delle sedute?
L’interesse rispetto a queste indicazioni si `e concretizzato in due in-contri con il gruppo di ricerca attorno al Centro Europeo per l’Assess-ment Terapeutico (CEAT) presso l’Alta Scuola Agostino Gemelli (ASAG) dell’Universit`a Cattolica di Milano.1 Essi hanno avuto l’obiettivo di met-tere i partecipanti in condizione di effettuare un’analisi conversaziona-le costruttiva di un trascritto di seduta. Questo libro rappresenta questa esperienza in forma scritta, mantenendo la struttura in due lezioni. Il con-tenuto e la modalit`a di presentazione si basa sugli appunti del docente e del pubblico.2
Una guida per la lettura. L’introduzione e l’inizio del primo capitolo sono indispensabili per seguire il discorso. La sezione 1.1.2, dedicata alla traslazione, `e pi ´u tecnica: pu`o essere utile ma non `e fondamentale per le esigenze dell’analisi del discorso. La sezione 1.2, l’ultima del primo ca-pitolo, pu`o essere saltata a pi´e pari. Il secondo capitolo `e meno tecnico e pi ´u applicativo, e va letto tutto. Le note a pi´e (numerate con le lettere
araba) permettono di inserire riferimenti bibliografici puntuali e altre pre-cisazioni per chi volesse approfondire. In fondo al volume si trovano, ol-tre alla bibliografia e alle note, gli elenchi delle figure e delle tabelle usate nel testo, gli alberi adposizionali del caso studio, nonch´e l’indice analitico con i termini tecnici utilizzati.
Ho alcune persone da ringraziare. In primo luogo Patrizia Bevilac-qua, che per prima al CEAT si `e interessata alla CoCAL. In secondo luogo Filippo Aschieri, e infine Riccardo Preziosi, che ha deciso di investire la propria tesi magistrale su un metodo ancora germinale, per usare la sua felice espressione. Le conversazioni che abbiamo avuto hanno dato di-versi spunti che hanno migliorato questo testo. Inoltre, tutti i partecipanti (oltre ai gi`a citati): Francesca Fantini, Erica Dell’Acqua, Elisa Castiglioni, Christian Mosco, Virginia Greco Scrivani e Monica Amisano, che gentil-mente mi ha dato i suoi appunti. Francesca Gualandri ha letto le bozze e ha dato utili indicazioni per rendere tutto il testo pi ´u scorrevole. In ultimo ma nient’affatto ultimo per importanza, ringrazio Emanuele Gualandri, un grande vecchio della psicoanalisi in Italia, che per primo ha creduto che questa idea di analizzare linguisticamente le conversazioni terapeu-tiche mediante le mie strutture avesse un senso, e mi ha incoraggiato a esplorare questa direzione.
L’ultima precisazione `e d’obbligo. Se `e vero che molte persone hanno contribuito alla realizzazione di questo testo, `e altrettanto vero che sono io il solo responsabile di quanto `e scritto qui. Eventuali errata corrige o altre informazioni specifiche su questo testo possono essere recuperate al mio indirizzo web permanente: http://federicogobbo.name.
Introduzione
Quante volte ci siamo chiesti dove abbiamo sbagliato in una conversazio-ne? Quando abbiamo detto qualcosa che `e stato frainteso, interpretato in maniera inattesa, il che ha dato una svolta non voluta alla conversazione? L’analisi della conversazione (in inglese conversation analysis) prende co-me oggetto di analisi le registrazioni audio o video delle conversazioni e cerca delle strutture ricorrenti che concorrono a costruire il senso condivi-so tra i due (o pi ´u) partecipanti alla conversazioni. L’analisi conversazio-nale costruttiva (CoCAL) `e un metodo particolare che individua in quello che viene detto – opportunamente trascritto a partire dalle registrazioni – i punti precisi (il dove e il quando) in cui avvengono fenomeni rile-vanti in questa costruzione di senso. Per ottenere questo risultato la Co-CAL considera il linguaggio sotto diversi aspetti diversi e complementari: morfologia, sintassi, semantica e pragmatica.3
Nessuna conoscenza pregressa in linguistica generale o in filosofia del linguaggio `e stata richiesta per seguire gli incontri, e dunque anche per leggere questo libro.4 `E importante chiarire fin dall’inizio che molti aspetti
teorici non verranno spiegati estesamente: le due lezioni intendono essere di carattere operativo, specificamente per terapeuti – uso il termine in senso generico volutamente: possono essere psicoanalisti, psicoterapeuti, psicologi, assessor, counsellor, o altro.
Nella prima lezione, verr`a aperta la cassetta degli utensili della Co-CAL, e li esamineremo uno ad uno: come sono fatti e a che cosa servono. In particolare, vedremo le basi del paradigma adposizionale, che ci per-mette di capire come smontare le frasi dei nostri trascritti di seduta a livel-lo morfolivel-logico e sintattico, e quali informazioni – in particolare a livellivel-lo pragmatico – possiamo ottenere. La prima lezione avr`a necessariamente un carattere tecnico: non possiamo costruire un edificio senza partire dal-le fondamenta, anche se queste fondamenta sembrano a prima vista
mol-Nella seconda lezione vedremo in dettaglio gli strumenti della prag-matica costruttiva che ci interessano, in particolare come la teoria classica degli atti linguistici di Austin (1987) e Searle (1978) venga interpretata co-struttivamente nell’approccio che seguir`o.5 Gli atti linguistici sono il ma-teriale con il quale ci troviamo davanti quando leggiamo un trascritto di seduta: l’analista conversazionale dovr`a dunque estrarre le informazio-ni rilevanti (sotto forma di implicature conversazionali) dagli atti stessi, non presi come un tutto indivisibile, ma come manifestazioni dell’edifi-cio che avremo gi`a costruito nella prima lezione. Daremo diversi esempi di costruzioni linguistiche canoniche, rilevanti per il contesto terapeutico. Vedremo allora di applicare l’armamentario in nostro possesso, vale a di-re la scomposizione morfologica e sintattica e la classificazione degli atti linguistici a un caso concreto di trascritto di seduta.
Lo scopo di tutto questo `e mostrare ai terapeuti come la CoCAL sia concretamente utile per mettere in risalto i pattern conversazionali che si instaurano durante la stipula di un’alleanza terapeutica, tra il terapeuta (abbreviato in T nella riscrittura formale) e il cliente (abbreviato in C).6
Consideriamo un setting standard per la relazione terapeutica, in cui so-no presenti un solo terapeuta e un solo cliente, e la seduta viene regi-strata in maniera palese – entrambi gli attori sono consapevoli della re-gistrazione.7 L’analista della conversazione – o linguista CoCAL – viene abbreviato in L e non `e presente, interviene in differita.A
Sono tanti i setting possibili per una conversazione terapeutica; la Co-CAL `e teoricamente valida anche in setting pi ´u complessi, con pi ´u di due persone coinvolte, per esempio nel caso di una terapia familiare: `e possibile che qualche dettaglio sia differente, ma provarlo `e al momen-to al di fuori delle nostre possibilit`a.8 Riprenderemo questo punto nelle Conclusioni.
Il punto di partenza della CoCAL sono le trascrizioni delle sedute te-rapeutiche. In un primo tempo, prendevo in analisi molti fenomeni pro-sodici e paralinguistici. Tuttavia, dopo le prime applicazioni, mi sono reso conto che la trascrizione standard `e pi ´u che sufficiente per fornire i dati utili ai terapeuti, senza bisogno di segnare fenomeni prosodici cari ai
lin-A Per comodit`a, le abbreviazioni e i simboli utilizzati sono stati elencati ad inizio
ta da chiunque abbia le competenze per farla correttamente: assumiamo qui che la trascrizione sia fedele a quanto realmente detto in seduta.
L’ultima osservazione preliminare importante prima di cominciare con-siste nel sottolineare che l’analisi delle conversazione terapeutica viene effettuata in differita rispetto alla seduta. Pu`o essere fatta dal terapeuta, se opportunamente addestrato, o dal linguista indifferentemente. Quello che intendo dire `e che l’analisi `e puramente linguistica, vale a dire pre-scinde dall’approccio terapeutico – o dalla scuola, se preferite – seguita dal terapeuta durante la seduta. In generale, `e preferibile che l’analista conversazionale sia una persona diversa rispetto al terapeuta attore della conversazione terapeutica con il cliente, per evitare di essere influenza-to. Dall’altra parte, `e vero che `e proprio il terapeuta la persona che mag-giormente pu`o ricavare un vantaggio dall’analisi – da cui l’interesse in sperimentare la CoCAL in setting collaborativi. A partire da adesso, as-sumiamo che chiunque sia l’analista conversazionale, sia neutro rispetto ai dati.10
Capitolo 1
Prima lezione
Come ci rapportiamo al linguaggio? Il primo punto da definire con chia-rezza `e che cos’`e il linguaggio da un punto di vista costruttivo. Per ‘lin-guaggio’ intendo ‘linguaggio verbale umano’ o lingua, nell’accezione co-mune del termine: italiano, inglese, tedesco, cinese sono lingue (natu-ralmente, questa `e una semplificazione drastica, ma ai fini dell’analisi possiamo assumerla come vera).A
Il trascritto di una seduta terapeutica `e per l’appunto la trascrizione di un parlato tra due conversanti che avviene in una data lingua, per esem-pio l’italiano (tralasciamo casi speciali quali una conversazione terapeu-tica mediante due “parlanti” in una lingua dei segni o altri casi speciali). Questo significa innanzitutto che perdiamo probabilmente qualcosa co-me l’80% delle informazioni che avvengono in tale comunicazione, che i linguisti chiamano paralinguistiche, quali il tono di voce, la postura, i ge-sti, il modo di vestire, del terapeuta e del cliente e gli effetti dell’ambiente sulla seduta (fa freddo? `e silenzioso o si sente il traffico dalla strada?). Quindi la CoCAL si basa su circa il 20% dell’informazione della seduta, che consiste in quanto viene detto dai due attori. Ci`o che viene detto lette-ralmente viene chiamato dai filosofi del linguaggio e anche da noi aspetto
locutorio, abbreviato in loc. In altri termini, il locutorio `e il dato grezzo
da cui partiamo per fare l’analisi.
Dal nostro punto di vista il linguaggio esiste esclusivamente per iscrit-to, vale a dire noi lavoriamo sulla trascrizione del locutorio.11 In ultima
ATutti i termini tecnici sono scritti in neretto quando presentati e definiti per la prima
menti del locutorio sono in relazione gli uni con gli altri; la componente
semantica, che determina i significati veicolati da tali elementi; la
compo-nente pragmatica, che non `e vincolata alla specifica lingua ma all’uso del linguaggio nel contesto di riferimento, in questo caso quello che abbiamo chiamato in precedenza setting standard.12 Prenderemo in considerazio-ne solo usi del linguaggio ordinari.13 In particolare, assumiamo che gli attori coinvolti siano capaci di intenzionalit`a e riferimento (Searle 2010). Vedremo pi ´u nel dettaglio questi aspetti all’inizio della seconda lezione.
1.1 Morfosintassi
Ogni lingua possiede tre propriet`a fondamentali di carattere generale: discretezza, linearit`a, produttivit`a.14
Primo, il linguaggio verbale umano `e discreto. Posso cio`e formare una frase di una, cinque o sedici parole ma non di quattro parole e mez-zo15: le parole mantengono la loro identit`a rispetto alla loro combinazione (Searle 2010, 82).
La seconda propriet`a del linguaggio `e la linearit`a: se dico Mario ama Paola `e un conto, se dico Paola ama Mario intendo dire qualcosa di diver-so, anche se le tre parole ‘ama’, ‘Paola’, ‘Mario’ sono le stesse in entrambi i casi: la disposizione nell’ordine lineare (nella convenzione italiana, da sinistra a destra, dall’alto verso il basso) `e rilevante nel comporre gli ele-menti per formare le frasi. In particolare consideriamo che i trascritti siano fedeli alla linearit`a, anche riguardo al problema della punteggiatu-ra e in special modo alle virgolette. `E evidente che la sequenza di parole lo studente dice il professore `e scemo non ha senso finch´e non la punteggiamo in un modo (Lo studente – dice il professore – `e scemo.) o nell’altro (Lo studente dice: “il professore `e scemo”.). Questo genere di ambiguit`a le consideriamo risolte a priori.
La terza e ultima propriet`a `e la produttivit`a: dato l’insieme delle pa-role dell’italiano, diciamo per comodit`a quelle presenti in un dizionario monolingue, che `e un insieme finito, le frasi possibili che un parlante pu`o produrre sono infinite.16 Ma allora, cosa fa della sequenza oggi `e una
bel-la giornata una frase valida dell’italiano e invece giornata una oggi belbel-la `e una stringa di parole italiane e -a giornat- `e -a oggi una bell- una stringa di morfemi italiani, in entrambi i casi non valide come frasi italiane? La ri-sposta `e: la sintassi (regole di combinazione delle parole) e la morfologia (regole di combinazione dei morfemi) dell’italiano – i linguisti chiamano scherzosamente le stringhe non valide di cui sopra “insalate di parole”. Il
morfema `e il mattone con cui costruiamo una lingua: per esempio,
nor-malmente diciamo che giornat- `e un sostantivo, mentre -a indica che il sostantivo `e femminile e singolare. giornat- e -a sono due morfemi.17
La morfologia e la sintassi sono due facce della stessa medaglia ed `e opportuno trattarle come due strategie diverse – adottate da tutte le lingue ognuna secondo declinazioni proprie – di un unico fenomeno, la morfosintassi. La morfosintassi `e dunque l’insieme di regole, valide per
una data lingua, in cui le tre propriet`a fondamentali appena esaminate si estrinsecano. Essendo la morfosintassi un fenomeno unico da un punto di vista strutturale, esso va descritto con un solo modello di regole, magari variamente declinato, ma uno solo. Questo `e un punto importante della linguistica costruttiva: il modello descrittivo della struttura `e unico, poi nell’istanziarsi pu`o declinarsi in maniere diverse.
Un altro punto importante, questa volta del paradigma adposiziona-le, `e la centralit`a data ai morfemi. Difatti, sono i morfemi i veri matto-ni del linguaggio, non le parole, che sono gruppi morfemici (o gruppi di morfemi). Noi siamo stati abituati a pensare alla parola come la base della lingua, anzich´e al morfema, questo essenzialmente per motivi cul-turali derivati dalla tradizione giudeo-cristiana, che d`a rilevanza molto alta al concetto di parola. Perch´e allora non adottare la parola anzich´e il morfema come elemento di base del linguaggio verbale umano?
In realt`a, per i nostri scopi il concetto di parola `e terribilmente ambi-guo e a volte fuorviante. La definizione intuitiva di parola per un parlan-te di una lingua occidentale come l’italiano o l’inglese suona pi ´u o meno cos´ı:
una parola `e una catena direzionata da sinistra a destra di caratteri alfabetici compresi tra due spazi.
Si tratta del concetto adottato dalla maggior parte dei linguisti computa-zionali di words-as-strings. La verit`a, ahinoi, `e che non tutti gli spazi tra le parole sono uguali. Se io parlo del Presidente della Repubblica, del tu-bo di scappamento o di una perdita di tempo quello a cui mi sto riferendo `e un concetto unitario, e non ho bisogno di appellarmi alla semantica per mostrarlo: i rispettivi plurali sono Presidenti della Repubblica, tubi di scap-pamento, perdite di tempo, e non Presidenti delle Repubbliche (che vuol dire un’altra cosa), non *tubi di scappamenti, che `e un’espressione inaccettabi-le in italiano, n´e tantomeno ??perdite di tempi, che `e veramente al limite dell’accettabilit`a.B Ci`o che intendo dire `e che Presidente della Repubblica `e un concetto unitario quanto una parola (le espressioni separate Presidente e della Repubblica vogliono dire cose diverse) ma, per una convenzione di
B Gli esempi linguistici vengono scritti per convenzione in corsivo; se
inaccettabi-li o agrammaticainaccettabi-li verranno indicati anteponendo un asterisco (*), se sono al inaccettabi-limite dell’accettabilit`a verranno indicati anteponendo uno o due punti di domanda (? e ??).
scrittura, tale concetto unitario non viene considerato tale per via degli spazi.
Mi sembra evidente che i due spazi tra ‘Presidente’, ‘della’ e ‘Repub-blica’ sono completamente diversi da quelli tra le parole dell’espressione una bella giornata, cos´ı come in oggi `e una bella giornata gli spazi tra ‘oggi’, ‘`e’ e una bella giornata sono ancora diversi. Il compito della morfosintassi `e proprio quello di dare conto di questa diversit`a del ruolo degli spazi. Potrebbe sembrare una questione del tutto teorica, ma – lo vedremo – `e invece cruciale per le nostre analisi dei trascritti delle sedute terapeutiche. Consideriamo dunque le parole come casi particolari del concetto ge-nerale gruppo di morfemi (o ‘gruppo morfemico’, il che `e lo stesso): avremo cos´ı i gruppi di morfemi una, giornat-a,18 tub-o+di+scappamento, dove ‘-’ indica un legame morfologico esplicito, vale a dire senza spazio, mentre ‘+’ indica un legame morfologico implicito, vale a dire con spazio, dove lo spazio `e interno al gruppo morfemico, non indica cio`e un confi-ne di gruppo.19 Infine, il normale carattere spazio indicher`a un legame sintattico, cio`e un legame tra gruppi di morfemi diversi. Per esempio, la frase ho visto il Presidente della Repubblica alla televisione verrebbe scritta in questo modo: ho vist-o il President-e+della+Repubblica all-a television-e.20
Abbiamo bisogno di avere un criterio per individuare i gruppi di mor-femi e i loro confini: questo criterio sono i caratteri grammaticali fonda-mentali.
1.1.1 I caratteri grammaticali fondamentali
Assumiamo che l’analista conversazionale, il terapeuta e il cliente siano tutti parlanti nativi dell’italiano.21 Tutte le lingue hanno un qualche mo-do per distinguere i referenti dalle predicazioni, che pertengono alle nostre facolt`a percettive di animali superiori. Quando guardo il tavolo non vedo un’accozzaglia di superfici colorate, ma vedo un oggetto, un referente. Se sotto al tavolo c’`e un gatto che scappa via perch´e ho guardato il tavolo, vedr`o il gatto (un altro referente) che si muove: il suo movimento `e una
predicazione.22
Secondo Hag`ege (1989), e io concordo con lui, tutte le lingue hanno due caratteri grammaticali che rispecchiano questa distinzione percettiva fondamentale nel linguaggio, i quali formano due poli opposti e comple-mentari. Adotter`o qui la seguente terminologia, chiamando rispettiva-mente stativi i corrispettivi dei referenti (indicati con il segno O) e
ver-banti i corrispettivi delle predicazioni (indicati con il segno I). Stativi
e verbanti da soli sostengono tutta l’impalcatura morfosintattica, metafo-ricamente ne sono i pilastri. Diremo quindi che stativi e verbanti sono
reggenti. 23
Nel presentarli nel dettaglio, limiteremo il campo d’indagine all’ita-liano. Ogni lingua infatti ha classificazioni sue proprie delle parti del di-scorso, che istanziano i caratteri grammaticali fondamentali, dipendenti dalle diverse tradizioni culturali: la linguistica costruttiva rispetta questa diversit`a, dando nel contempo dei concetti che possono fungere da ponte tra tali tradizioni.
In italiano, infatti, i verbanti corrispondono alla classe dei verbi che ab-biamo studiato a scuola ma anche alle cosiddette ‘parole-frase’ tipo Dav-vero! D’accordo! Ma va’!. Poich´e i verbanti pi ´u interessanti nelle nostre lingue sono i verbi, per comodit`a parler`o di ‘verbi’ o ‘verbali’ in manie-ra intercambiabile rispetto a ‘verbanti’. Si tmanie-ratta solo di un artificio per comodit`a espositiva.
Gli stativi raccolgono tutte i sostantivi (propri e comuni), nonch´e i pro-nomi tipo io, me, loro ma anche i dimostrativi come questo, quelle se usati come segnaposto dei nomi.24
In realt`a – come sostenuto a suo tempo da Whorf (1945) e Tesni`ere (1959) – il linguaggio verbale umano, pur funzionando alla perfezione con stativi e verbanti, sarebbe assai poco maneggevole senza due catego-rie in pi ´u, che rappresentano i modificatori dei due pilastri reggenti del
Tabella 1.1: I quattro caratteri grammaticali fondamentali carattere grammaticale posizione simbolo
stativo reggente O
verbante reggente I
aggiuntivo modificatore di O A circostanziale modificatore di I E
linguaggio. Dobbiamo perci`o aggiungere due caratteri grammaticali per poter descrivere come `e fatta internamente una frase.25
Chiamiamo aggiuntivi i modificatori degli stativi e li indichiamo con il simbolo A, seguendo Tesni`ere (1959). In italiano, corrispondono agli aggettivi (sia i cosiddetti epitetici che i predicativi, nei termini della gram-matica tradizionale26), ma anche tutti gli articoli, i numerali e i partitivi (esempi: il, un, dei, alcuni, entrambi) perch´e aggiungono funzioni di identi-ficazione rispetto al numero e alle quantit`a degli stativi a cui sono aggan-ciati) e i dimostrativi se agganciati a degli stativi (se ne prendono il posto, vengono “promossi” a stativi: vedi sezione 1.1.2 per i dettagli su questo punto).
Chiamiamo invece circostanziali i modificatori dei verbanti e li indi-chiamo con il simbolo E – questi simboli sono presi di peso da Tesni`ere (1959). I circostanziali in italiano comprendono sia gli avverbi propria-mente detti, come l´ı, sempre, forse, sia gli avverbi ottenuti mediante il mor-fema traslatore -mente, come veloce-mente, debol-mente, sia infine le cosid-dette locuzioni avverbiali, come alla maniera di, in tal modo, e simili. Bi-sogna tuttavia prestare attenzione, perch´e a volte in italiano gli avverbi, specie ottenuti per traslazione, vengono usati come modificatori degli ag-gettivi, come per esempio nel gruppo morfemico lo spettacolo meravigliosa-mente bello, dove meravigliosameravigliosa-mente `e un modificatore dell’aggettivo bello, quindi con carattere grammaticale aggiuntivo, come molto o troppo.27
La tabella 1.1 riassume quanto detto finora. `E possibile cambiare ca-rattere grammaticale a un gruppo morfemico? La risposta ovviamente `e s´ı, e intuitivamente lo facciamo sempre, quando diciamo di “girare una frase”. Searle ha di recente offerto – per scopi diversi dai nostri – un bel-l’esempio di questo fenomeno, che mi piace qui riportare (Searle 2010,
102).
(1a.) Un uomo si sta dirigendo verso di me ora. (1b.) Sta uomeggiando verso di me incombente. (2.) Sta piovendo su di me pesantemente.
La scena percettiva DIRIGERSI-VERSO-DI-ME-COSA-ORA viene resa con
due dinamiche differenti in (1a) e (1b). Con una metafora, possiamo con-siderare la scena la descrizione presente in una sceneggiatura di un film di quanto deve essere ripreso; fuor di metafora, si tratta di un concetto pre-linguistico. Nel momento di girare il film, l’inquadratura, il punto di vista, le luci, i suoni ci obbligano a scegliere un particolare modo di rendere la scena sullo schermo; fuor di metafora, si tratta della scelta di costruzio-ni morfosintattiche e di tutte le informaziocostruzio-ni paralinguistiche, come l’in-tonazione o l’enfasi.28 In particolare, da un punto di vista morfosintattico (2) equivale a (1b), che rappresenta la stessa scena di (1a) ma in modo altro perch´e vengono usate costruzioni grammaticali diverse. Quello che “giriamo” `e precisamente il carattere grammaticale dei gruppi morfemi-ci coinvolti. Possiamo esplimorfemi-citare i caratteri grammaticali dei prinmorfemi-cipali gruppi morfemici coinvolti. 29
Partiamo dai gruppi verbali (lo faremo sempre): in (1a), sta dirigendo (I) vuole due gruppi stativi (O), rappresentati da un uomo e dal si rifles-sivo; invece, in (1b) il gruppo verbale sta uomeggiando fa le cose da s´e, analogamente a sta piovendo, e dunque tutti gli altri gruppi di morfemi – incombente e verso di me – saranno circostanziali. Questa coppia di esem-pi, volutamente estrema, mostra come nel linguaggio verbale umano sia sempre possibile “girare la frase”, tenendo ferma la scena percettiva di riferimento. Capire come `e stata “girata la frase” permette all’analista con-versazionale di cogliere tantissime informazioni utili sulla rappresenta-zione del mondo del cliente e del terapeuta. Il paradigma adposizionale ci d`a un modello rigoroso, formale, per rendere conto di tale fenomeno, che chiameremo da adesso, adoperando un termine specifico, traslazione.
1.1.2 La traslazione
Con il termine traslazione intendo il passaggio da un carattere gramma-ticale ad un altro effettuato per costruzione, vale a dire mediante appositi morfemi posizionati opportunamente.30 Una catena di traslazioni forma
una costruzione canonica. Prendiamo ad esempio la parola passeggiata. La catena di traslazioni che la forma `e la seguente:31
• pass- `e uno stativo (O);
• -eggi- `e un traslatore da stativo a verbante (O > I);
• -at- `e un traslatore da verbante ad aggiuntivo (O > I > A); • -a `e un traslato da aggiuntivo ad aggiuntivo (O > I > A > A);
La costruzione -eggi-at-a `e canonica: si pensi a mareggiata o carreggiata, che seguono la stessa catena di traslazioni.32
Chiamiamo con il termine lessema un morfema da cui partono le ca-tene di traslazione. I lessemi si dividono in due classi, a seconda di come si determina il carattere grammaticale di partenza: per selezione e per collocazione.
Per capire come funziona la traslazione, si prenda ad esempio il lesse-ma uom-. Molti lessemi hanno “dentro” un carattere gramlesse-maticale prede-finito (stativo, nel caso di uom-); Whorf (1945) li chiamava lessemi per
se-lezione, by selection. Lui dava come esempi police (O), elephant (O), honest (A).
In altri casi il carattere grammaticale da cui parte la catena di trasla-zione viene definito dalla positrasla-zione nell’ordine lineare: Whorf (1945) chia-mava questi lessemi per collocazione, by collocation. L’inglese `e pieno di lessemi per collocazione. Per esempio, la parola walk `e chiaramente un lessema ma il suo carattere grammaticale `e definito solo per collocazione. (3a.) I walk in the park (‘cammino nel parco’).
(3b.) let’s have a walk (‘facciamoci una passeggiata’). (3c.) walking distance (‘a distanza di camminata’).
In (3a), walk ha carattere verbante (I), mentre in (3b) ha carattere stativo (O), e ancora in (3c) ha carattere aggiuntivo (A).33
Tabella 1.2: Traslazioni possibili del lessema acqu-carattere grammaticale lessema traslatore traslato
O > O acqu- ! -a
O > ⊗I ⊗ ⊗ ⊗
O" A > A idric- ! -o/a O > A acqu- -atic- -o/a
O > A acqu- -os- -o/a
O > ⊗E ⊗ ⊗ ⊗
Torniamo all’esempio di Searle (2010) riportato sopra. Notiamo co-me in (1b) il morfema stativo uom- sia stato traslato in verbante co-mediante il morfema -eggi- (in simboli: I > O); dal nostro punto di vista, i morfe-mi la cui funzione `e di traslare il carattere grammaticale del morfema a cui vengono agganciati vengono detti traslatori – translateurs in france-se, transferers in inglefrance-se, seguendo le indicazioni contenuto nell’opera di Tesni`ere (1959).
Poich´e tutte le lingue attuano strategie di ridondanza dell’informa-zione, esistono dei morfemi che confermano il carattere grammaticale del lessema.34 Possiamo considerarli come un caso speciale dei traslatori,
va-le a dire come traslatori identit`a (in simboli: I > I; O > O; A > A; E > E). er nostra comodit`a, daremo ai traslatori identit`a il nome di traslati (fran-cese: transf´er´e; inglese: transferee). Trovare esempi in italiano `e facile. Per esempio, in (1a) il morfema -o della parola uom-o `e un traslato stativo (in simboli O > O).35
Vediamo ora come raggruppare i morfemi in una data frase e attaccar-gli l’etichetta del carattere grammaticale. Coattaccar-gliamo capire come mettere le parentesi per identificare i gruppi morfemici principali. Questa abilit`a `e fondamentale quando effettueremo la CoCAL sui trascritti delle sedute terapeutiche, come vedremo nella terza lezione. Facciamo dunque qual-che esempio semplice, per capire meglio come funziona la traslazione.36
Nella tabella 1.2 abbiamo le traslazioni possibili dello stativo per sele-zione acqu-. I cerchi barrati con la ics (simbolo: ⊗) indicano le traslazioni ‘proibite’, non ammesse, mentre le epsilon (!) indicano gli elementi man-canti perch´e non necessari. Ricordo che i traslatori modificano il carattere
Tabella 1.3: Traslazioni possibili del lessema calm-carattere grammaticale lessema traslatore traslato
A > A calm- ! -o/a
A > I calm- -are !
A > E con calma ! !
A > O la calma ! !
grammaticale del morfema a cui vengono agganciati, mentre i traslati con-fermano lo stesso carattere grammaticale (fenomeno universale linguistico detto ‘ridondanza’).
Non esiste, nell’italiano corrente, la parola ?acquare, n´e a livello mor-fologico, n´e a livello semantico, perci`o la traslazione da stativo a verbante `e proibita (in simboli: O > ⊗I).37 Ho appena detto ‘morfologica’ o ‘se-mantica’ perch´e si tratta di due strategie possibili che ogni lingua pu`o adottare per la traslazione. Si guardi nella tabella 1.2 la traslazione da stativo ad aggiuntivo (O > A): l’italiano la realizza con diverse strategie nel caso del lessema acqu-: nel caso di acqu-os-o e acqu-atic-o sceglie una strategia morfologica derivazionale, mentre nel caso di idric-o il lessema di base viene cambiato con un lessema supplementare (idric-). Quando biso-gna riempire una necessit`a semantica ma la morfologia non corre in aiuto in quanto troppo rigida, la lingua prende a prestito un lessema supple-mentare: tale strategia viene detta dai linguisti strategia supplettiva (se non c’`e necessit`a semantica, come in ?acquare, semplicemente non viene adottata alcuna strategia). Per marcare la differenza della strategia sup-plettiva dalle strategie morfologiche, la traslazione viene indicata con il simbolo ". Si tratta solo di un fatto notazionale: da un punto di vista strutturale il simbolo " ha valore di >.
Nella tabella 1.3 vediamo un altro esempio, a partire da un lessema aggiuntivo (A) per collocazione, calm-. Lo si nota per esempio dalla tra-slazione in stativo (A > O), che ha bisogno dell’articolo determinativo.38
Notiamo inoltre come il morfema -are sia un traslatore verbale (in simbo-li: ... > I) applicabile (anche) a lessemi aggiuntivi direttamente. Questo esempio cimostra due traslazioni morfologiche (calm-o/a e calm-are) e due traslazioni per collocazione – con calma e la calma.39 Le traslazioni per
Tabella 1.4: Traslazioni possibili del lessema ved-carattere grammaticale lessema traslatore traslato
I > I ved- ! -ere
I" A > A > O la vista ! ! I" A vis- -ibil- -e
I" A > E vis- -ibil- -mente
Tabella 1.5: Traslazioni possibili del lessema inglese long carattere grammaticale lessema traslatore traslato A > A longO(lex) ! !
A > E I(lex) long ! !
A > O lenght ! !
A > O > I lenght- -en !
collocazione sono una strategia non morfologica bens´ı sintattica.
Nella tabella 1.4 abbiamo le traslazioni del lessema ved-. Questo `e un caso interessante, perch´e, a parte la traslazione identit`a (I > I), le altre traslazioni adottano pi ´u strategie insieme, che possiamo scomporre passo per passo. La traslazione da verbale a stativo, infatti, dapprima prende supplettivamente il morfema vist-, che `e aggiuntivo (I " A), lo conferma tale morfologicamente per ridondanza mediante una traslazione identit`a (vist-a, I " A > A), infine per collocazione sintattica lo rende stativo (la vist-a, I " A > A > O).
Facciamo ora il punto di dove siamo arrivati. Abbiamo visto tre del-le quattro strategie possibili per la traslazione: derivazionadel-le (a livello morfologico); supplettiva (a livello semantico); per collocazione (a livello sintattico); per Ablaut (quella mancante: ancora a livello morfologico).
Per completezza, facciamo un esempio di traslazione per Ablaut, ter-mine tedesco a volte reso in italiano come ‘apofonia’. Si tratta di una strategia tipica delle lingue germaniche come appunto il tedesco, oppure l’inglese o l’olandese.40
Nella tabella 1.5 vediamo le traslazioni del lessema aggiuntivo inglese long. La traslazione identit`a (A > A) avviene per collocazione: per sapere che long ha valore aggiuntivo doppiamo anteporlo a un lessema stativo (O(lex); ‘lex’ sta per ‘lessema’), come in she has long hair, ‘ella ha capelli
lunghi’. Similmente per la traslazione in circostanziale (A > E), come in I worked all day long, ‘ho lavorato tutto il giorno’, dove viene posposto a un lessema verbale (I(lex)). Quello che per`o ci interessa maggiormente
adesso sono le altre due traslazioni, che utilizzano la strategia per Ablaut: la vocale {o} e il gruppo consonantico {ng} vengono “ruotati” rispetti-vamente in {e} e {ngth} perci`o long si trasla nello stativo length (tralascio tutti gli aspetti fonetici, che non ci interessano qui; tra parentesi graffe vengono indicati per convenzione i grafemi). Per chi conosce il tedesco, la stessa traslazione da aggiuntivo a stativo (A > O) `e resa dalla coppia
A(lang)>O(L¨ange) dove l’umlaut (¨a) rende forse ancora pi ´u evidente la
“rotazione” vocalica.
Abbiamo visto quindi le quattro strategie possibili per effettuare tra-slazioni:
1. derivazionale, 2. supplettiva, 3. per collocazione, 4. per Ablaut.
Le strategie derivazionali e per Ablaut sono morfologiche, quella supplet-tiva `e semantica, mentre quella per collocazione `e sintattica. Non esisto-no altre strategie possibili, indipendentemente dalla lingua usata: questo rende il modello estremamente potente ed espressivo.
Naturalmente, ai fini di analisti delle conversazioni terapeutiche `e ne-cessario imparare a distinguere il carattere grammaticale dei gruppi di morfemi per ciascuna frase. In altri termini, dovremo saper mettere le pa-rentesi corrette almeno ai reggenti, vale a dire i gruppi verbali (I) e i grup-pi stativi (O), i grup-pi ´u importanti a livello pragmatico, e in seconda battuta, solo se serve, evidenziare i modificatori, vale a dire i gruppi aggiuntivi (A) e circostanziali (E).
`E chiaro che esiste un modo standard per “montare” i gruppi di mor-femi l’uno con l’altro per formare delle frasi compiute, in modo tale cio`e
che siano distinte da una insalata di parole messe l´ı a caso. Nel paradigma adposizionale, questo modo standard `e chiamato ‘albero adposizionale’, in inglese adpositional tree, da cui l’abbreviazione adtree.
1.1.3 Gli alberi adposizionali semplici
Nella prospettiva della linguistica costruttiva, gli elementi del linguaggio vengono presi a due a due e si osserva qual `e la loro relazione. Tipicamen-te, per ‘elementi del linguaggio’ intendo un gruppo di morfemi, che pu`o essere costituito anche da un solo morfema (per esempio ora in 1a) o al li-mite da un marcatore vuoto (morfema zero, come il plurale del sostantivo nel gruppo stativo le citt`a). All’altro estremo, un gruppo di morfemi pu`o essere un intero testo, come la Divina Commedia, o un dialogo, quale un trascritto di seduta.
Una volta individuati i due elementi, la loro relazione viene espres-sa tramite un gruppo morfemico speciale che chiameremo adposizione. Un’adposizione pu`o essere un singolo morfema, come per, un gruppo morfemico come alla maniera di o un morfema zero se si tratta di collo-cazione sintattica pura, come in Paolo ! corre, dove la epsilon (simbolo: !) indica la relazione tra lo stativo Paolo (simbolo: O) e il gruppo verbale corr-e (simbolo: I).
Il termine `e appropriato perch´e, come vedremo, molto spesso le adpo-sizioni – cos´ı definite – coincidono con le prepoadpo-sizioni come le conosciamo dalla scuola, o le posposizioni, per lingue come il turco o il giapponese, o ancora con circumposizioni, in-posizioni, ecc.; non c’`e differenza, a questo livello di analisi.41
(
dep gc ! ! ! ! ! ↔ adp gc " " " "(
gov gcFigura 1.1: Lo scheletro di un albero adposizionale
Un albero adposizionale `e dunque costituito da tre elementi fonda-mentali: i due elementi e la adposizione, come si vede in figura 1.1. Il triangolino (() posto sopra dep e gov indica iconicamente il fatto che gli alberi adposizionali sono ricorsivi: le due foglie destra e sinistra possono a loro volta essere degli alberi (come si esplica tale ricorsione lo vedremo nella sezione 1.1.5 dedicata alla valenza). `E evidente che l’adposizione
pu`o essere di zero, uno, qualche morfema, ma non pu`o essere un albero a sua volta (per questo motivo non c’`e il triangolo ().
I due elementi posti nelle foglie giocano due ruoli opposti e comple-mentari: quello a destra (per convenzione) governa o regge la relazione, e viene chiamato perci`o reggente (abbreviato in gov, dall’inglese governor), l’altro, posto per convenzione a sinistra, ne dipende, e viene chiamato
dipendente (abbreviato in dep, dall’inglese dependent).
Per capire qual `e il reggente e quale il dipendente il test intuitivo `e il seguente: prendo un elemento, provo a toglierlo dalla frase, e vedo se la frase risultante “sta in piedi”. Se la risposta `e affermativa, l’elemento tol-to `e un dipendente; viceversa, si tratter`a di un reggente. Permettetemi di fare un esempio. Prendiamo una frase sufficientemente ricca di elementi, come questa:
(4a.) Lo spettacolo meravigliosamente bello degli Squerez sbarca a Milano. Adesso proviamo a cancellare i pezzi in maniera ragionevole, vale a dire in modo tale che tutte le frasi risultanti “stiano in piedi”:
(4b.) Lo spettacolo """""meravigliosamente bello degli Squerez sbarca a Milano"""" (4c.) Lo spettacolo """""meravigliosamente ##""""bello degli Squerez sbarca a Milano# (4d.) Lo spettacolo """""meravigliosamente ##""""bello """""#degli Squerez sbarca a Milano"" (4e.) Lo spettacolo """""meravigliosamente ##""""bello """""#degli Squerez sbarca """"" a Milano"" (4f.) """""Lo spettacolo """""""meravigliosamente ##""""bello """""#degli Squerez sbarca """"" a Milano""
(4b) `e perfettamente grammaticale, e cos´ı le altre (4cdef). Invece, se avessi tolto come primo gruppo morfemico lo stativo Lo spettacolo avrei ottenuto un’insalata di parole:
(4g.) *meravigliosamente bello degli Squerez sbarca a Milano.
A questo punto risulta evidente da (4f) che il gruppo reggente della frase `e il gruppo verbale (I), e quindi, ragionando in senso inverso, se vogliamo costruire un albero adposizionale dobbiamo partire dal gruppo verbale.42 La coppia reggente-dipendente pu`o essere messa in relazione in tre modalit`a differenti, come vedremo tra poco. Questo punto `e molto im-portante, perch´e ci d`a molte informazioni su come viene strutturato il
linguaggio, e questo `e vero sia a livello di morfema (magari poco rilevan-te per il rilevan-terapeuta) sia a livello di significato inrilevan-teso dal parlanrilevan-te/clienrilevan-te (sicuramente molto rilevante per il terapeuta).
L’adposizione sta in mezzo a reggente e dipendente, a mo’ di “gan-cio”, e viene abbreviata in adp, dall’inglese adposition. Riassumendo: per convenzione grafica, il reggente `e sempre collocato al ramo destro, mentre il dipendente `e sempre collocato al ramo sinistro dell’albero. Sto voluta-mente ignorando, per il momento, la freccia collocata sopra l’adposizione (↔): il suo ruolo infatti non `e strutturale, non serve cio`e alla costruzione dell’albero. La vediamo pi ´u avanti.
adp↔gc((dep)gc, (gov)gc)
Questa `e la linearizzazione dell’albero adposizionale astratto come mostrato in figura 1.1. Come si vede, la adposizione viene messa in evi-denza all’estrema sinistra, mentre i rami sinistro e destro dell’albero stan-no rispettivamente a sinistra e destra della parentesi.43
Adesso vediamo come l’albero ci permetta di esplicitare la traslazione. Ciascun nodo dell’albero possiede un proprio carattere grammaticale (ab-breviato in gc, dall’inglese grammar character). `E importante notare che il carattere grammaticale dell’intero albero adposizionale `e quello dell’adposizione. In altri termini, il carattere grammaticale dell’adposizione coincide con il risultato della catena di traslazione: il reggente porta il carattere gram-maticale di partenza, il dipendente lo conferma (nel caso di un traslato) o lo modifica (nel caso di un traslatore). Pi ´u avanti riprenderemo questo concetto nel dettaglio. Una catena di traslazioni, infatti, non `e altro che un modo implicito di scrivere un albero adposizionale (il simbolo > infat-ti, altro non `e che la rotazione di novanta gradi della vu rovesciata che costituisce la struttura dell’albero, come in figura 1.1). Il vantaggio della notazione del tipo:
gc > gc > gc
`e la sua compattezza e semplicit`a, lo svantaggio `e la sua opacit`a, perch´e evidentemente non tutte le informazioni sono esplicite. Per capire co-sa viene nascosto dobbiamo ora vedere tutta l’informazione in maniera completamente esplicita.
1.1.4 Come `e fatto l’albero adposizionale di una frase
Analizziamo ora i componenti di un albero adposizionale, partendo dal livello intrafrasale. In altri termini, consideriamo come unit`a di riferi-mento la frase e i suoi componenti interni. Per frase intendo quello che in inglese `e phrase, cio`e il gruppo verbale e tutto ci`o che gli sta intorno. Nel paradigma adposizionale ad ogni gruppo verbale corrisponde una frase: il primo passo della CoCAL `e quello di individuare il gruppo verbale, e identificare dunque una catena di traslazioni dove la traslazione finale sia per l’appunto quella verbale (in simboli: ... > ... > ... > I).
Possiamo ora rivedere il fenomeno della traslazione con maggior pre-cisione rispetto alla sezione 1.1.2 precedente. Abbiamo visto gi`a che tra-slatori e ancor di pi ´u traslati sono sempre dipendenti (dep) o adposizioni, vale a dire stanno nella foglia sinistra dell’albero o nel gancio sotto la ra-dice. Chiamiamo il carattere grammaticale generico del dipendente D, mentre quello del reggente (gov) lo chiamiamo G.
(
dep D ! ! ! ! ! ↔ adp G " " " "(
gov G(
dep D ! ! ! ! ! ↔ adp F " " " "(
gov GFigura 1.2: Alberi astratti di risalita (a sinistra) e imposizione (a destra) Osserviamo la figura 1.2 con attenzione. Nell’albero di sinistra, nell’al-bero, avviene la risalita del carattere grammaticale (character raising) del reggente (gov): il carattere grammaticale finale dell’albero sar`a identi-co a quello del reggente. Nei termini Tesneriani, ci`o che avviene `e una traslazione identit`a: l’adposizione `e un traslato.
Viceversa, nell’albero di destra, l’adposizione impone il proprio carat-tere grammaticale – spesso le funzioni principali delle adposizioni sono proprio di imporre il proprio carattere grammaticale. Infatti, il carattere finale F `e diverso sia da quello del dipendente che da quello del reggente (si noti che, essendo i caratteri grammaticali quattro, non sono molti i casi possibili). L’adposizione sar`a dunque un traslatore: la traslazione `e avve-nuta in modo pieno, completo (figura 1.2, destra). Facciamo un esempio per tipo.
so E ! ! ! !! ! ← ! A " " " "" nice A -amo I ! ! ! !! ! → -eggi-I " " " "" pass-O
Figura 1.3: Esempi di risalita (a sinistra) e di imposizione (a destra) In figura 1.3 vediamo a sinistra l’albero del gruppo so nice (in ingle-se, ‘cos´ı bello/a/i/e’). Qui lo stativo reggente nice viene modificato dal dipendente circostanziale so: il carattere grammaticale finale dell’albero `e ancora aggiuntivo, e quindi abbiamo un caso di risalita del carattere reg-gente. Nella parte destra invece vediamo esplicitato l’albero della cate-na di traslazione del gruppo verbale passamo: `e l’adposizione -eggi-che impone il proprio carattere grammaticale all’albero, -eggi-che infatti pas-sa da stativo a verbale; il dipendente -amo non fa che confermare questa traslazione.44
Possiamo a questo punto vedere la notazione compatta della traslazio-ne in maniera esplicita. Questo `e l’albero litraslazio-neare dell’esempio di risalita di cui sopra, so nice:
!←A (soE,niceA)
La notazione compatta sar`a la seguente: E > A > A
dove per brevit`a si pu`o omettere la traslazione identit`a, se non c’`e bisogno di precisione formale, ottenendo E > A. L’albero lineare dell’esempio di imposizione pass-eggi-amo `e il seguente:
-eggi-→I (-amoI, pass-O)
La notazione compatta avr`a la forma O > I > I simile all’esempio di pri-ma – qui si vede lo svantaggio della notazione compatta, che oscura se si sta applicando una risalita o un’imposizione. In generale, possiamo
ap-plicare la seguente formula di riscrittura: D > G > F
dove D rappresenta il carattere del dipendente, G quello del reggente e F quello dell’adposizione.45 Nel caso di un’imposizione, F `e diverso da G;
nel caso di una risalita, i due caratteri grammaticali sono uguali. La ri-dondanza `e un caso particolare di risalita, in cui il carattere grammaticale del dipendente `e identico a quello del reggente (vale D = G = F).
-a O ! ! ! !! ! ← -ett-O " " " "" scarp-O -ero I ! ! ! !! ! ← -ett-I " " " "" cred-I
Figura 1.4: Esempi di ridondanza stativa (a sinistra) e verbale (a destra) Le parole italiane scarp-ett-a (gruppo morfemico stativo) e cred-ett-ero (gruppo morfemico verbale) sono due esempi di ridondanza (figura 1.4).46 Chiarito il funzionamento degli alberi adposizionali, ci occupiamo ora della freccia che sta sopra l’adposizione, che prima avevamo visto gene-ricamente come una freccia a due punte (↔). Chiamiamo tale freccia
in-dicatore. Un indicatore pu`o essere generico (↔), oppure specifico. Se `e
specifico, l’indicatore pu`o prendere allora due valori, a seconda se la frec-cia punta a sinistra (←) o punta a destra (→). La frecfrec-cia indica la salienza
informativa (in inglese information prominence, vale a dire da che parte sta l’informazione pi ´u saliente, pi ´u rilevante: se non `e possibile determina-re tale parte, l’indicatodetermina-re sar`a generico. Per convenzione, la fdetermina-reccia parte dall’informazione saliente (lato della coda) per arrivare all’informazione meno saliente.47
Se il lato saliente `e il reggente, la relazione verr`a chiamata reggenza o government e la freccia punter`a a sinistra. Se il lato saliente `e il dipendente, la relazione verr`a chiamata dipendenza o dependency e la freccia punter`a a destra. Non c’`e corrispondenza speciale tra reggenza, dipendenza, inde-finitezza, e risalita o imposizione. In altri termini, un’imposizione o una risalita possono avere un indicatore di qualsiasi tipo.
Tabella 1.6: Indicatori di reggenza, dipendenza e relazione indefinita tipo di relazione direzione indicatore reggenza (government) gov-to-dep ←
dipendenza (dependency) dep-to-gov → relazione indefinita gov-to-dep & dep-to-gov ↔
La tabella 1.6 mostra i tre tipi di relazione possibili. Perch´e questa indicazione `e importante? Se non avessimo questa distinzione, potrem-mo s´ı costruire gli alberi, ma perderempotrem-mo un insieme importantissipotrem-mo di distinzioni pragmatiche – molto utili quindi, quando faremo l’analisi dei trascritti di seduta. Si noti che la relazione indefinita (in inglese: underspe-cified relation) non significa ‘nessuna relazione’: ci sono casi in cui senza un “intervento esterno” – per esempio nell’enfasi del parlato, del conte-sto, la struttura non pu`o essere disambiguata e rimane dunque indefinita. In questi casi cio`e l’indefinitezza `e strutturale (vedremo un esempio pi ´u sotto).
Per capire l’indefinitezza, facciamo un esempio contrastivo di relazio-ne stativo-verbale.48 Prendiamo la coppia di frasi seguente (l’esempio `e di Marco Benini, che ringrazio):
(5a.) Roma cade.
(5b.) Lo stuntman cade.
In (5a) la caduta di Roma non `e un atto volontario bens´ı qualcosa che accade a Roma, invasa dai barbari (in inglese: it happens). Al contrario, in (5b) `e lo stuntman che decide di cadere; anzi, lo fa (in inglese: he does it) di professione. Mentre in (5a) la salienza informativa `e nella caduta, quindi nel gruppo verbale, al contrario in (5b) la salienza informativa `e nello stuntman. La figura 1.5 mostra gli alberi corrispondenti a (5a) e (5b), rispettivamente a sinistra e a destra.49
Non si tratta di una distinzione di poco conto, perch´e possiamo trarre delle inferenze molto precise e importanti50:
Roma O1 ! ! ! ! ! ! ← ! I11 " " " ""
(
cade I1 > I1(
Lo stuntman O1 ! ! ! ! ! ! → ! I11 " " " ""(
cade I1 > I1Figura 1.5: Coppia minima strutturale sul gruppo verbale cade (5d.) Lo stuntman `e un cascatore (qualcuno che cade).
In inglese addirittura le due strutture ci danno due nominalizzazioni di-verse. Mentre in italiano la nominalizzazione di (5a) e (5b) sono opache, la caduta di Roma/dello stuntman, in inglese avremo:
(5e.) The falling of Rome. (5f.) Stuntman’s falling.
Questo `e un altro aspetto metodologico importante della linguistica co-struttiva: ogni elemento strutturale `e giustificato dalle trasformazioni degli al-beri adposizionali ammissibili. Queste trasformazioni possono essere per esempio le nominalizzazioni, o altre forme di grammaticalizzazione.51
Facciamo un solo esempio. La costruzione italiana fino ad ora si `e gramma-ticalizzata in finora. La nominalizzazione `e una delle forme di grammati-calizzazione pi ´u importanti: per esempio Roma cade! la caduta di Roma (il segno ! indica la trasformazione tra alberi).52 Capire da che parte sta la
salienza informativa significa capire come il parlante (per esempio il clien-te) sta rappresentando la scena che gli si pone davanti, e conseguente-mente come `e possibile ristrutturarla altrimenti, per potergli aprire nuovi orizzonti. Credo che questo aspetto sia cruciale nel ruolo terapeutico. In figura 1.6 vediamo i due alberi corrispondenti alla relazione stativo-ag-giuntiva (in simboli: adp↔
O(A, O)) tra lo stativo ventos (‘i venti’) e
l’agget-tivo (sottoclasse degli aggiuntivi) fortes (‘forti’): (6a.) fortes ventos (‘da tutti i venti, quelli forti’) (6b.) ventos fortes (‘solo quelli forti’)
(
fortes A ! ! ! !! ! ← ! O " " " ""(
ventos O(
fortes A ! ! ! !! ! → ! O " " " ""(
ventos OFigura 1.6: Coppia minima strutturale fortes ventos e ventos fortes
(6a-b.) !←O ((fortes)A, (ventos)O) !→O((fortes)A, (ventos)O)
L’esempio `e in portoghese perch´e questa distinzione, resa con una diversa collocazione dei due gruppi stativo e aggiuntivo, in italiano si sta perden-do, mentre in portoghese si conserva bene. In (6a) il gruppo aggettivale fortes `e un mero attributo, non `e saliente, mentre viceversa in (6b) sotto la superficie c’`e un’intera predicazione: ‘i venti, quelli che sono forti’.53
Un discorso analogo possiamo farlo per il genitivo soggettivo vs. og-gettivo perch´e il diverso valore pragmatico nell’ordine dei costituenti del portoghese tra aggettivo e sostantivo in (6a) e (6b) in realt`a deriva dal la-tino.54 Si osservi la frase italiana il ricordo di noi: essa pu`o avere due sensi molto diversi, che in latino corrispondono a due forme morfosintattiche precise:55
(7a.) nostra memoria (il ricordo che abbiamo di qualcuno). (7b.) memoria nostri (il ricordo che qualcuno ha di noi).
Come si pu`o vedere, la collocazione degli aggiuntivi `e invertita: in (7a) l’aggettivo nostra precede il sostantivo, mentre in (7b) il genitivo nostri segue il sostantivo. Analogamente in portoghese.
L’italiano, invece, in questo caso `e strutturalmente ambiguo: come rendere questa ambiguit`a in termini di alberi? Per rispondere analizzia-mo un altro esempio della stessa ambiguit`a, esempio che trovo particolar-mente chiaro. Il latino amor patris (l’amore del padre) viene descritto nel-le grammatiche tradizionali come un caso di genitivo soggettivo oppure oggettivo. Che cosa significa? Nel primo caso, amor patris pu`o indicare l’amore che il padre esprime ai figli:56
(8a.) Pater donat filiis amorem (il padre d`a amore ai figli).
Nei termini della linguistica costruttiva, diremo che la salienza informa-tiva `e sul genitivo patris, dunque su A, e conseguentemente abbiamo una relazione di dipendenza (indicatore: →).
Viceversa, il cosiddetto ‘genitivo oggettivo’ indica l’amore che il padre riceve dai figli, perch´e i figli sarebbero l’oggetto d’amore dei figli – e qui la terminologia `e confusa, perch´e i figli sono al caso ablativo, non accusa-tivo! – come nella frase soggiacente:
(8b.) Pater accipet amorem ex filiis (il padre riceve amore dai figli).
Nella terminologia nostra, non ambigua, la salienza informativa `e sul reg-gente (gov), vale a dire sullo stativo (O) amor. In fondo questi figli non vengono menzionati esplicitamente, e di conseguenza la relazione `e di reggenza o government (indicatore: ←).
patr-A ! ! ! ! ! ← -is O " " " " amor O patr-A ! ! ! ! ! → -is O " " " " amor O
Figura 1.7: Le due interpretazioni possibili di amor patris
In figura 1.7 abbiamo le due interpretazioni possibili di amor patris (reg-genza a sinistra, dipendenza a destra), che rendiamo, quando implicite, con l’indicatore destra-sinistra (↔):57
(8a-b.) -is↔O (patr-A, amorO)
Espressioni come il ricordo di noi o amor patris hanno due interpretazio-ni possibili (detto altrimenti: il loro siginterpretazio-nificato ha due sensi possibili) e necessitiamo di un intervento esterno per poter disambiguare, come il tono di voce, il contesto di riferimento, le conoscenze enciclopediche. Ogniqualvolta saremo impossibilitati a disambiguare, useremo
l’indica-tore destra-sinistra (simbolo: ↔): i dati non vanno mai forzati, bisogna rispettarli.
A questo punto abbiamo visto le relazioni indefinite (underspecified) che coinvolgono i gruppi morfemici verbale, stativo e aggiuntivo:
• stativo-verbale (in simboli: adp↔
I(O, I));
• aggiuntivo-stativa (in simboli: adp↔
O(A, O)).
Per completare il quadro, ci mancano la relazioni circostanziali.
(
dep E ! ! ! ! ! ↔ adp I " " " "(
gov I(
dep E ! ! ! ! ! ↔ adp A " " " "(
gov AFigura 1.8: Alberi circostanziali astratti
La figura 1.8 mostra gli alberi circostanziali astratti, che sono simme-trici agli alberi stativo-aggiuntivi (si riveda le figure 1.6 e 1.7 a questo pro-posito). Facciamo prima due esempi di relazione circostanziale-verbale, uno per tipo: una reggenza circostanziale e una dipendenza circostanzia-le.58
(9a.) Quando vieni? (9b.) Domani.
La figura 1.9 mostra gli alberi adposizionali di (9a) e (9b).59 Quando faccio una domanda (9a), `e evidente che – in condizioni normali – mi aspetto una risposta: parole correlative quali quando, dove, come sono tutte circostanziali che prendono la salienza informativa della frase a cui sono attaccate, e quindi sostengono una relazione circostanziale di dipendenza (→). Viceversa, in frasi piane come (9b), la relazione circostanziale sar`a di reggenza.
Manca solo la relazione circostanziale-aggiuntiva. Qui, occorre una precisazione importante. Nelle nostre lingue, gli avverbi (sottoclasse dei
-ando E ! ! ! ! ! → qu-E > I11 " " " " (tu) O1 ! ! ! ! ! → ! I11 " " " " vieni I10 domani E ! ! ! ! ! ← ! E > I11 " " " " (io) O1 ! ! ! ! ! → ! I11 " " " " (vengo) I10
Figura 1.9: Alberi separati di Quando vieni? / Domani
circostanziali) vengono applicati non solo ai verbanti ma anche agli ag-gettivi. Ecco un paio di esempi per chiarire:
(10a.) spettacolo meravigliosamente bello.
(10b.) highly sensitive topic (un tema molto caldo).
In (10a-b.) i gruppi morfemici meravigliosamente bello e highly sensitive so-no inequivocabilmente aggettivali (A). In altri termini, la morfologia di meravigliosamente e highly li fa sembrare dei circostanziali quando in realt`a si tratta di modificatori degli aggettivi – bello e sensitive rispettivamente – a un livello di profondit`a dell’albero differente. Di conseguenza, gli av-verbi delle nostre lingue sono circostanziali se applicati ai av-verbi, altrimenti possono fungere da aggiuntivi, come in (10a-b).
La figura 1.10 mostra quanto appena detto. L’albero di destra `e una forma compatta, l’informazione non cambia. La forma compatta viene usata per esigenze di leggibilit`a.60
Le figure 1.9 e 1.10 sono i primo esempio che vediamo di alberi com-plessi. Come costruire un albero adposizionale complesso `e il prossimo argomento che affronteremo; tuttavia, prima di passare a tale argomento, `e utile riepilogare dove siamo arrivati. A questo punto infatti abbiamo tutti i mattoni di costruzione dell’albero, con tutte le relazioni ammesse tra ogni coppia di morfemi, qualsiasi sia il loro carattere grammaticale (sempre nelle nostre lingue di riferimento, cio`e l’italiano e l’inglese). Ec-cole nel dettaglio. Per convenzione, nel nome il primo termine indica il dipendente, il secondo il reggente:
# E ! ! ! ! ! → -amente E " " " " -os-A ! ! ! ! ! → ! E " " " " meravigli-O ! ! ! ! ! ← ! A " " " "
(
bello A > A ! -os-A ! ! ! ! ! ! ! → -amente A > E " " " " "" meravigli-O ! ! ! ! ! ! ! ← ! A " " " " ""(
bello A > AFigura 1.10: Albero di meravigliosamente bello normale e compatto 2. (reggenza stativo-verbale) adp←I ((dep)O, (gov)I)
3. (dipendenza stativo-verbale) adp→I ((dep)O, (gov)I) 4. (relazione aggiuntivo-stativa) adp↔O ((dep)A, (gov)O) 5. (reggenza aggiuntivo-stativa) adp←O((dep)A, (gov)O) 6. (dipendenza aggiuntivo-stativa) adp→O((dep)A, (gov)O) 7. (relazione circostanziale-verbale) adp↔E ((dep)E, (gov)I) 8. (reggenza circostanziale-verbale) adp←E ((dep)E, (gov)I) 9. (dipendenza circostanziale-verbale) adp→E ((dep)E, (gov)I) 10. (relazione circostanziale-aggiuntiva) adp↔A ((dep)E, (gov)A) 11. (reggenza circostanziale-aggiuntiva) adp←A ((dep)E, (gov)A) 12. (dipendenza circostanziale-aggiuntiva) adp→A ((dep)E, (gov)A) Ora sappiamo com’`e fatto un albero semplice. Ci`o di cui abbiamo bisogno ancora sono le regole per montarli, i nostri mattoni per costruire la frase: tali regole derivano dal concetto di valenza.
1.1.5 La valenza
La relazione indefinita stativo-verbale non `e stata ancora trattata comple-tamente, perch´e abbiamo bisogno del concetto di ‘valenza zero’ o avalenza. Il concetto di valenza Tesni`ere (1959) lo mutua dalla chimica: l’idroge-no ha valenza ul’idroge-no, l’ossigel’idroge-no ha valenza due, insieme formal’idroge-no l’acqua (H2O). Analogamente alla tavola degli elementi, i verbanti possono
esse-re classificati a seconda della loro valenza: non si applicano per`o gli uni con gli altri, bens´ı con gli stativi. Completiamo dunque il panorama delle relazioni stativo-verbali e introduciamo il concetto di valenza in generale. Riprendiamo l’esempio di Searle (2010) gi`a utilizzato in precedenza: (2.) Sta piovendo su di me pesantemente.
Per costruire l’albero adposizionale, partiamo sempre dal gruppo ver-bante e vediamo che valenza ha: in (2), il gruppo sta piovendo ha la valenza del verbo piovere.61 In italiano, il lessema piove non ammette argomenti stativi: per esempio, *la nuvola piove non `e accettabile.62 Come sar`a
l’albe-ro corrispondente di piove? # O ! ! ! ! ! ← ! I00 " " " " piove I00
Figura 1.11: Albero di piove
Si noti che, essendo piove una forma idiomatica a s´e, non `e ulteriormente analizzabile: si tratta di un caso estremo di grammaticalizzazione (figura 1.11).
Da un punto di vista formale, la valenza zero `e un caso speciale della valenza uno o monovalenza, che abbiamo gi`a visto in precedenza. Un albero monovalente, infatti, `e un albero adposizionale semplice costruito su una reggenza o una dipendenza verbale.
(5a.) !←
I11 (RomaO1, (cade)I1 > I1)
(5b.) !→
I11 ((Lo stuntman)O1, (cade)I1 > I1)
Gli alberi (5a-b), di cui vediamo la versione linearizzata, sono due esem-pi.63
Completiamo il panorama delle valenze. Vediamo i verbi a valenza tre, detti trivalenti: i verbi bivalenti (valenza due), possono infatti essere ricondotti al discorso che facciamo adesso a proposito dei verbi trivalenti. Prendiamo in particolare la frase inglese seguente, il cui verbante `e will open (aprir`a), la cui costruzione `e simile a sta piovendo, nel senso che la valenza del verbante `e data da open. In inglese, open `e trivalente, vale a dire pu`o attaccarsi a un massimo di tre stativi:
(11a.) The janitor will open the door with the key (for the Lady). (11b.) The janitor will open the door (for the Lady).
(11c.) The key will open the door (?for the Lady).
(11d.) The door will open with the key (?for the Lady). (12b.) The door will be opened by the janitor (for the Lady). (12c.) The door will be opened with the key (?for the Lady).
Si tratta di un esempio famoso.64 Abbiamo una scena, con il portiere
(ja-nitor) e la signora (Lady), la porta door e la chiave (key). L’inglese open pu`o attivare fino a tre ruoli semantici nella scena, e possiamo rappresentarli tutti con lo stesso albero e opportune trasformazioni (!). Quello che in-tendo mostrare `e che il portiere, la porta e la chiave sono stativi interni a open, mentre la signora non lo `e. Per fare questo disegniamo gli alberi corrispondenti.
In figura 1.12 vediamo come la trasformazione (11a) ! (11b) venga effettuata per omissione (omission): il terzo attante (indico con questo ter-mine gli stativi interni alla valenza di un verbante) semplicemente non viene espresso, viene omesso dalla scena.
In figura 1.13 vediamo altri due casi interessanti. (11c) infatti mostra non solo l’omissione del portiere (janitor), ma anche l’avanzamento (ad-vancement) del terzo attante, vale a dire la chiave (key) a primo attante – perdendo significativamente l’adposizione with. (11d) `e anche interessan-te, perch´e l’omissione del portiere (janitor) fa avanzare ordinatamente sia la porta (door), sia la chiave (key).
(
(the Lady) (O4) ! ! ! ! ! ! ← (for) (E > I33) " " " " "(
the key O3 ! ! ! ! ! ! → with I33 " " " " "(
the door O2 ! ! ! ! ! ! ← ! I32 " " " " "(
the janitor O1 ! ! ! ! ! ! → ! I31 " " " " "(
will open I3(
(the Lady) (O4) ! ! ! ! ! ! ← (for) (E > I33) " " " " "(
###the key# $$O3 ! ! ! ! ! ! → !!with %% I33 " " " " "(
the door O2 ! ! ! ! ! ! ← ! I32 " " " " "(
the janitor O1 ! ! ! ! ! ! → ! I31 " " " " "(
will open I3 Figura 1.12: L’adtree di (11a), a sinistra, e (11b), a destraA questo punto possiamo capire perch´e la signora (Lady) non `e un at-tante: in altri termini si tratt di un argomento extra-valente, una mera cir-costanza del verbo e nulla pi ´u. Questo avviene perch´e qualsiasi trasforma-zione canonica noi facciamo sulle costruzioni possibili dell’albero attorno a open, quello stativo non pu`o mai avanzare. In termini meno tecnici: comunque noi “giriamo” la frase, la signora rimane sempre l´ı, una beneficiaria dell’azio-ne combinata di portiere, porta e chiave, ma comunque sullo sfondo.65
Notiamo tra l’altro come la frase suoni molto pi ´u naturale con la signo-ra se il portiere `e espresso esplicitamente, altrimenti suona un po’ stsigno-rana. Lascio al lettore di scrivere gli alberi delle costruzioni canoniche passive corrispondenti a questi due ultimi esempi, vale a dire (12c) e (12d). Do-vrebbe dunque essere un gioco da ragazzi scrivere l’albero della frase the door will open. Con questo concludiamo il trattamento della valenza.66
Tutto ci`o `e rilevante in un contesto terapeutico perch´e sapere chi o co-sa viene omesso o avanzato in un resoconto da parte del cliente pu`o dare al terapeuta molti indizi su come ristrutturare la narrazione per esempio sbloccare un automatismo o per far vedere l’inaudito. Quando “giriamo”
(
(?the Lady) (O) ! ! ! ! ! ! ← (?for) (E > I33) " " " " "(
the door O3!2 ! ! ! ! ! ! ← ! I32 " " " " "(
the key O3!1 ! ! ! ! ! ! → !!with I33 " " " " "(
###the janitor### $$O1 ! ! ! ! ! ! → ! %% I13 " " " " "(
will open I3(
(?the Lady) (O) ! ! ! ! ! ! ← (?for) (E > I33) " " " " "(
the key O3 ! ! ! ! ! ! → with I33 " " " " "(
the door O2!1 ! ! ! ! ! ! ← ! I32!1 " " " " "(
###the janitor### $$O1 ! ! ! ! ! ! → ! %% I13 " " " " "(
will open I3le frasi, inevitabilmente “giriamo” anche gli attanti a livello di conversa-zione o narraconversa-zione: li omettiamo, li avanziamo, li mettiamo sullo sfon-do come circostanziali, oppure ancora invertiamo la freccia della salienza informativa.
1.1.6 Frasi con frasi
Con il trattamento dei gruppi circostanziali, per definizione extra valenza, abbiamo concluso la parte dedicata alla morfosintassi intrafrasale, vale a dire quella interna alla frase. Accenniamo, per complezza, come vengono montati gli alberi frasali gli uni con gli altri, vale a dire la morfosintassi in-terfrasale, senza entrare troppo nel dettaglio, perch´e ci porterebbe troppo lontano dai nostri obiettivi del seminario. Riprendiamo gli esempi (9a-b): (9a.) Quando vieni?
(9b.) Domani.
`E evidente che tali frasi sono correlate, e che (9b) dipende da (9a): la salienza informativa `e nella risposta, altrimenti perch´e dovremmo porre una domanda)? Mi limito al caso pi ´u semplice.67
(
domani I11 ! ! ! ! ! ! ! → ! I " " " " ""(
quando vieni? I11Figura 1.14: Albero del dialogo Quando vieni? Domani.
In figura 1.14 vediamo come unire diverse frasi, caratterizzate gramma-ticalmente come (I). Indichiamo con I (senza indicazioni di valenza) le adposizioni tra frasi (figura 1.15).68