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LO SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE

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Introduzione 5

CAPITOLO I: NASCITA ED EVOLUZIONE DELL’ISTITUTO 1.1. Origine e ratio della disciplina sullo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose 8

1.2. Primi strumenti legislativi di contrasto alle organizzazioni criminali 13

1.3. Evoluzione normativa dell’istituto 15

1.3.1. La svolta conseguente alla faida di Taurianova 17

1.3.2. Introduzione dell’art.143 del Tuel 22

1.3.3. Modifiche dell’istituto apportate dal “Pacchetto sicurezza” 24

1.3.4. Ultimi interventi sull’istituto: modifiche della legge 132/2018 26

1.4. Da strumento sanzionatorio a strumento preventivo e ripristinatorio 31

1.5. Il sistema dei controlli 33

1.6. Interventi della giurisprudenza 36

1.6.1. Sentenza Corte Costituzionale 103/1993 36

1.6.2. Interventi del Consiglio di Stato 43

CAPITOLO II: LE CONDIZIONI E LA PROCEDURA DELLO SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 2.1. I presupposti normativi per lo scioglimento 48

2.2. Il ruolo del Prefetto 50

2.3. L’attività della Commissione d’Accesso 53

2.4. La fase dell’istruttoria 58

2.5. Il potere cautelare 61

2.6. La relazione del prefetto 63

2.7. Il ruolo del Consiglio dei Ministri ed il decreto del Presidente della Repubblica 65

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2.9. Le conseguenze sui singoli amministratori e le responsabilità dei dirigenti comunali 69 2.10. Il sindacato giurisdizionale amministrativo sui provvedimenti di scioglimento 73 2.10.1. Sindacato di legittimità e legittimazione a ricorrere 73 2.10.2. I termini del ricorso 78

CAPITOLO III: I DIVERSI CASI DI VITTORIA E DI ROMA

3.1. I dati sui consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose dal 1991 ad oggi 81

3.2. Il caso emblematico di Vittoria 83

3.2.1. Cronistoria della presenza mafiosa nel comune 83

3.2.2. La Relazione del Prefetto di Ragusa e gli accertamenti della Commissione d’accesso 87

3.2.3. L’attività investigativa e l’indagine <<Exit Poll>> 91

3.2.4. Irregolarità nell’apparato amministrativo 94 3.2.5. Proposta di scioglimento del Prefetto 96 3.2.6. La relazione del Ministro degli Interni ed il decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica 98 3.2.7. Ricorso presentato dal sindaco della giunta sciolta e decisione del T.A.R. 100

3.3.1. Il mancato scioglimento di Roma Capitale 102 3.3.2. La costante difficoltà a riconoscere il sistema mafioso a Roma 102 3.3.3. Mafia Capitale 104

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3.3.5. La Commissione d’Accesso e la posizione del Prefetto

anche sulla situazione di Ostia 112

3.3.6. I condivisibili dubbi della Commissione Parlamentare Antimafia 117

CAPITOLO IV: ASPETTI SOCIOLOGICI, CRITICHE E PROPOSTE DI RINNOVAMENTO 4.1.Il bisogno delle mafie di condizionare l’attività dei comuni 123 4.2. Un istituto funzionale alla tutela della collettività 126

4.3. Una tutela anticipatoria limitata fondata su meri elementi indiziari 128

4.4. Lo sconfinato potere attribuito al Prefetto 131

4.5. Il mancato adeguamento dell’art.143 all’evoluzione delle mafie 135

4.6. L’antico connubio tra mafia e politica 140

4.7. Le reazioni della cittadinanza 143

4.8. Prospettive di riforma 145

4.8.1. Proposta di legge del Partito Radicale 147

4.9. La “terza via” 149 Conclusione 151 Sezione intervista 153 Bibliografia 154 Relazioni 159

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Introduzione

L’obiettivo che con questa tesi si intende raggiungere è quello di analizzare il fenomeno della criminalità organizzata in una minuscola e specifica frazione del suo assetto, che ne rivela la capacità di avvicinarsi al potere e di controllarlo. Infatti lo Stato si avvale della disciplina dello scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose al fine di impedire che venga deviato l’interesse pubblico verso forme di convenienze criminali che mettono in discussione il principio democratico, depauperato dalla presenza delle mafie nelle Istituzioni. Se da una parte risulta particolarmente agevole comprendere la necessità per le associazioni malavitose di essere presenti sul territorio - tant’è vero che, anche laddove costoro dislochino, tendono a mantenere rapporti stabili con la terra d’origine - nonché l’attrazione verso gli appetibili flussi di denaro che scorrono tramite gli enti locali, d’altra parte diventa complesso seguire il ragionamento di tutti quei consigli comunali – 532 quelli colpiti da un provvedimento di scioglimento di cui 12 nei soli primi nove mesi del 2019- che volontariamente si sottopongono a condizionamenti che alterano l’attività amministrativa e che minano la credibilità dello Stato agli occhi del cittadino. Proprio la collettività, infatti, risente maggiormente, seppur indirettamente, delle influenze mafiose, vedendosi peggiorati i propri servizi, assistendo al degrado urbano ed essendo costretta ad oneri finanziari maggiormente gravosi.

Naturalmente non bisogna incorrere nel preoccupante errore di credere che, ovunque ci siano disservizi, complicazioni burocratiche e condizioni di scarso sviluppo sociale, le mafie abbiano ottenuto egemonia e dominio della vita pubblica, altrimenti cadremmo nell’imprecisa valutazione già contestata dall’intellettuale siciliano Leonardo Sciascia che ebbe a dire che “Se tutto è mafia, niente è mafia”, arginando ogni forma di generalizzazione. Nondimeno ci si può esimere dal constatare come le zone in cui vi è un’alta percezione del fenomeno mafioso ed in cui si adottano le misure di scioglimento dei consigli comunali siano quelle parti d’Italia da cui lo Stato in

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molteplici occasioni si è reso distante e in cui è intervenuto per lo perlopiù in funzione repressiva. Quest’attitudine ha sortito la logica conseguenza di avere delle fasce del Paese in preda ad un’emergenza sociale della quale le associazioni malavitose hanno approfittato per presentarsi a quelle popolazioni come i risolventi dei loro bisogni. Tali presupposti hanno procurato un’intensa frattura tra la cittadinanza coinvolta e lo Stato che ha visto nella disciplina che ci apprestiamo ad analizzare un’opportunità per rimediare e per ristabilire la legalità.

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“Questo Paese non ha bisogno di eroi, ma di cittadini che facciano il loro dovere. La legalità non è un concetto astratto legato alla giustizia o alla morale, è un percorso fatto di costante impegno” Paolo Borrometi

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CAPITOLO

I:

NASCITA

ED

EVOLUZIONE DELL’ISTITUTO

1.1. Origine e ratio della disciplina sullo

scioglimento dei consigli comunali per

infiltrazioni mafiose

A cavallo tra la fine degli anni’80 e gli inizi degli anni ’90, il popolo italiano, da nord a sud, cominciò ad assumere consapevolezza della pericolosa presenza della criminalità organizzata nei territori del Meridione. Ciò avvenne grazie al pool antimafia nato a Palermo e composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, i quali, il 10 febbraio del 1986, diedero inizio all’istruzione del maxiprocesso a Cosa Nostra. Questa fu senz’altro una risposta alla serie di “omicidi eccellenti” che si era verificata negli anni precedenti. Come dimenticare, infatti, le morti di figure del calibro di Carlo Alberto Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Giuseppe Fiera e tanti altri che volevano combattere quell’apparato criminale che aveva un assetto prettamente verticistico-piramidale: la “famiglia” alla base, con forte connotazione territoriale, costituita e gestita dagli “uomini d’onore”, o “soldati”, i “capidecima” e il “capofamiglia” che aveva potere su tutti, con la collaborazione di consiglieri. Al vertice c’era la “cupola”, con i “capimandamento” che rappresentavano più famiglie e un “capo commissione”. Quel sistema mirava ad un controllo totale del territorio con la tendenza a svolgere su un determinato territorio funzioni di regolamentazioni tipiche dello Stato1, pertanto possiamo riconoscere una presenza sul territorio antitetica ed in competizione con quella dello Stato, offrendo protezione su ogni tipo di transazione economica, estendendo attività criminali lucrative in più ambiti e dotandosi di mezzi di controllo sulle comunità locali. Ciò che destava maggiore preoccupazione era senz’altro la rete di relazioni che le mafie riuscivano ad instaurare con le istituzioni,

1 SCIARRONE R. “La mafia opera in regime di monopolio, così come agirebbe lo Stato: non si tratta infatti di monopoli naturali, ma di monopoli di autorità, legati alla capacità di reprimere con la forza chiunque tenti di inserirsi senza autorizzazione” in Quaderni di Sociologia n. 18, 1998.

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condizionando la vita delle varie amministrazioni e compromettendone il regolare funzionamento. Esse, infatti, avevano compiuto in quelli anni un impressionante salto di qualità che le portò a raggiungere livelli di criminalità a potenza finanziaria sempre più alti attraverso l’inquinamento di settori della politica.

I mafiosi mostrarono la capacità di procurarsi all’esterno la cooperazione, attiva o passiva, di altri attori sociali e, in

particolare, di instaurare rapporti di scambio

reciprocamente vantaggiosi con il mondo della politica e dell’imprenditoria, comprendendo quali fossero le vie del danaro. Ciò portò ad un vortice in cui i capitali legali si mischiavano a quelli illegali fino a diventare indistinguibili. Tra mafiosi e soggetti esterni si stabiliva un equilibrio che, per quanto fosse temporaneo e contingente, godeva di una forte stabilità che si basava su regole e convenzioni interne prodotte dall’interazione e dai comportamenti tra i partecipanti. Tramite la corruzione, ossia lo strumento privilegiato dei gruppi mafiosi, costoro, come affermato dal Tribunale di Palermo nel 1995, curavano <<la propria politica di relazioni esterne con gli esponenti di tutte le categorie professionali, con i quadri intermedi e con gli esponenti di vertice del circuito politico-istituzionale>> i quali, pur non facendo parte dell’organizzazione mafiosa in senso stretto, costituivano <<punti di riferimento per l’individuazione, l’organizzazione, la conduzione e la massima redditività dell’attività criminale>>.

Emblematica in questa panoramica è la figura di Michele Sindona, banchiere, faccendiere e criminale siciliano, che rappresentava un sistema di collusione a livello istituzionale che coinvolgeva anche la loggia massonica P2. Oppure Salvo Lima, già sindaco di Palermo, parlamentare e storico referente politico della mafia siciliana (in particolare quella di Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti), che, dopo il maxi processo e le condanne diventate definitive, fece scatenare la furia di Totò Riina, il quale si rivolse contro coloro che non erano intervenuti, tra cui Lima stesso, tramite le dovute leggi, per risolvere i problemi che tanto li angustiavano,

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decretandone l’assassinio. In particolar modo, il problema si venne a porre in merito ai casi di infiltrazione delle mafie nelle amministrazioni comunali, in quanto quest’ultime sono da sempre ritenute detentrici del monopolio degli obiettivi dell’ente, agendo sì dall’esterno ma esercitando forme di pressione. Non dimentichiamo, infatti, che l’ente comunale rappresenta l’istituzione pubblica più vicina al cittadino e, di conseguenza, quella più facilmente raggiungibile.

In quelli anni bui, divenne, così, impellente l’azione dello Stato, in quanto era chiara l’esigenza di interventi mirati nei confronti delle amministrazioni comunali. Si ebbe dapprima la legge n.55 del 1990 che introdusse per la prima volta restrizioni al diritto di elettorato passivo ed alla possibilità di assumere cariche nelle amministrazioni regionali e locali per i rinviati a giudizio per delitti di associazione di tipo mafioso ovvero sottoposti ad una misura di prevenzione per appartenenza alla criminalità organizzata. Ciò stava a significare che veniva meno la possibilità di presentare la propria candidatura e di concorrere alla formazione dell’indirizzo politico-amministrativo in modo attivo e diretto in condizioni di eguaglianza e di pari opportunità, dunque mancava la capacità giuridica di presentare la propria candidatura elettorale. L’obiettivo era quello di evitare che si potessero candidare coloro che, pur non essendo ancora stati condannati, erano stati raggiunti da un rinvio a giudizio per delitti di associazione di tipo mafioso in un’ottica sanzionatoria dal momento che non si poteva permettere che la res publica potesse essere gestita da chi avesse raggiunto accuse di una tale gravità. Infatti ricordiamo che l’art. 416 bis del codice penale pone l’accento sulla convergenza di tre elementi:

1. Un elevato gradi di violenza;

2. Una spiccata imprenditorialità, con conseguenti “relazioni funzionali”;

3. La forza di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.

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Individuando questi fattori, la norma avrebbe formulato una nozione giuridica, generale ed astratta, di “associazione di tipo mafioso in senso lato”, tale da comprendere al suo interno qualsiasi fenomeno gangsteristico-imprenditoriale “comunque localmente denominato”.

Allo stesso modo con la legge 55/1990 si intendeva escludere dalle liste elettorali anche chi era stato sottoposto ad una misura di prevenzione per appartenenza alla criminalità organizzata e da qui ricaviamo come l’ulteriore obiettivo fosse, in un’ottica preventiva, quello di allontanare dall’amministrazione degli enti comunali anche coloro sui quali pendeva un giudizio di pericolosità fondato su una qualche concreta manifestazione dell’attività mafiosa e su un’oggettiva valutazione dei fatti. Quindi, per limitare il diritto di elettorato passivo, non si doveva attendere un rinvio a giudizio, ai sensi dell’art.416 bis, bensì bastava dimostrare gli indizi di appartenenza e far apparire come sufficiente o altamente probabile l’appartenenza al sodalizio criminale, senza che si raggiungesse il livello della certezza. Da ciò emerge come la logica a cui risponde tale normativa fosse quella di un controllo uniforme a livello nazionale sulla gestione degli enti locali e di riconduzione a normale funzionamento in caso di scostamenti significativi dal regolare andamento dell’amministrazione locale.

A differenza di altri tipi di provvedimenti nei confronti dei consigli comunali (si pensi al commissariamento per dissesto finanziario2), la disciplina in questione si caratterizza per il fatto che attraverso lo scioglimento degli organi elettivi si vuole interrompere un rapporto di connivenza, ovvero di soggezione, dell’amministrazione locale nei confronti dei clan mafiosi, in grado di

2 L’art. 244 del Testo Unico 267 del 2000 afferma che si ha dissesto finanziario quando il Comune non è più in grado di assolvere alle funzioni ed ai servizi indispensabili oppure quando nei confronti dell’ente esistono crediti di terzi ai quali non si riesce a far fronte con il mezzo ordinario del ripristino del riequilibrio di bilancio né con lo strumento del debito fuori bilancio.

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condizionarne le scelte attraverso il ricorso al metodo corruttivo o per il mezzo di pressioni e atti intimidatori.

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1.2. Primi strumenti legislativi di contrasto alle

organizzazioni criminali

È nel quadro sinora delineato che negli anni ’80 lo Stato iniziò a dotarsi di una serie di strumenti che potessero incidere sulla lotta alle mafie, dopo che nei decenni precedenti era stato assunto, quanto meno a livello legislativo, un atteggiamento piuttosto neutrale nei confronti del fenomeno mafioso, visto come un qualcosa di delimitato territorialmente o addirittura di inesistente, il che portava a discutere della sussistenza o meno della mafia, senza provare ad osteggiarla. La prima novella fu la legge n. 646 del 13 settembre 1982, ribattezzata legge Rognoni-La Torre che, infatti, si proponeva di creare “una prima concreta espressione di volontà politica per una lotta seria e rigorosa nei confronti della criminalità associata”. Il testo normativo traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980, che aveva come primo firmatario l'on. Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica collaborarono anche due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il parlamentare siciliano, tuttavia non

ebbe modo di vedere trasferita in legge la propria proposta, dal momento che fu assassinato, insieme all’autista Rosario di Salvo, il 30 aprile 1982 e fu proprio questo nefasto accadimento a dare un’accelerata all’approvazione della legge. Essa, inserendo l’art. 416bis all’interno del Codice Penale, ha introdotto il reato di “Associazione a delinquere di stampo mafioso”, disponendo che si tratti di associazione di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva. Un’altra disposizione antimafia, anche questa prevista dalla legge Rognoni-La Torre, riguardava il sequestro e la confisca dei beni dei mafiosi, infatti La Torre aveva intuito che le mafie andavano colpite nelle ricchezze e nei patrimoni che esse possedevano3,

3 Cosa più brutta della confisca dei beni non c’è […]. Quindi la cosa migliore è quella di andarsene”. dichiarò Francesco Inzerillo, membro degli scappati

della Seconda Guerra di Mafia, sintetizzando il pensiero di Cosa Nostra circa la confisca dei beni.

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pertanto venne prevista la confisca delle cose impiegate o strumentali per la commissione del reato o anche delle cose destinate alla commissione dello stesso, in aggiunta a tutte le cose che ne erano il prezzo, il prodotto ed il profitto.

Nello stesso anno, con il decreto legge 6 settembre 1982, n.245, si affermò in capo al Presidente della Repubblica la possibilità di nominare un Prefetto come Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa e a costui venne affidato il potere di coordinamento tra gli organi amministrativi e di polizia e di svolgere indagini presso pubbliche amministrazioni, enti pubblici anche economici, banche ed istituti di credito pubblici e privati.

A distanza di quattro anni, con l’art. 10 della legge n. 663 del 1986 “Modifiche alla legge sull’ordinamento

penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà“ venne introdotto per la prima volta

nel codice penale l’art. 41-bis: nella prima formulazione le deroghe al trattamento penitenziario sono limitate alle sole “situazioni di emergenza” e prevedeva che il Ministro di Grazia e Giustizia potesse, in casi eccezionali di rivolta o in gravi situazioni di emergenza dovute alla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza, sospendere nell’istituto carcerario l’applicazione delle ordinarie regole di trattamento dei detenuti e degli internati.

Questi strumenti, che nel corso degli anni sono stati aggiornati, costituirono un primo tentativo da parte dello Stato di contrastare le organizzazioni mafiose, in un periodo nel quale le coscienze collettive erano state risvegliate da eventi sconvolgenti che avevano rivelato il volto sanguinario delle mafie.

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1.3. Evoluzione normativa dell’istituto

Nonostante i cambiamenti che hanno condizionato l’istituto di cui trattiamo, dovuti anche agli interventi della Corte Costituzionale, possiamo affermare con certezza che il suo perno è sempre stato quello di mantenere integra la pubblica amministrazione.

Nell’ottica di un’articolata riforma sull’ordinamento delle autonomie locali, il legislatore con la legge 8 giugno 1990, n, 142, effettuò un intervento mirato a sanzionare una serie di comportamenti che, qualora fossero stati praticati dai consigli comunali, ne avrebbero implicato lo scioglimento. Infatti, l’art.39 di tale legge prevedeva una tale conseguenza in caso di: 1) atti contrari alla Costituzione; 2) gravi e persistenti violazioni di leggi; 3) gravi motivi di ordine pubblico.

Si cominciò a percepire una maggiore consapevolezza del problema, invece, con il decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, concernente provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e convertito il 12/07/1991 con la legge 203/91. Essa prevedeva due caratteristiche innovative: l’introduzione del collegio degli ispettori e quella del potere del prefetto di sottoporre a controllo le delibere delle giunte in materia di contratti. Ciò è meglio precisato al comma 3-ter dell’art.14 della disciplina in esame, secondo cui, qualora “sulla base di elementi comunque

acquisiti emergano inefficienze, ritardi anche

nell’espletamento della gara d’appalto, disservizi, anomalie o pericoli di condizionamenti mafiosi o criminali, il commissario del Governo ed il prefetto […], d’intesa con il Presidente della Giunta Regionale, provvedono senza indugio a nominare un apposito collegio di ispettori, con il compito di verificare la correttezza delle procedure di appalto e di acquisire ogni utile notizia sull’impresa o imprese partecipanti alla gara di appalto o aggiudicatarie o comunque partecipanti all’esecuzione dell’appalto stesso”. Inoltre al collegio degli ispettori, formato da un magistrato della giurisdizione ordinaria o amministrativa e da due funzionari dello Stato o della Regione, era indicato un termine entro cui riferire sul risultato delle indagini, con

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annessa la possibilità di proporre, anche prima del termine di conclusione delle indagini, all’ente interessato la sospensione della gara d’appalto o dell’esecuzione del contratto d’appalto.

La dicitura “pericoli di condizionamenti mafiosi o criminali” rendeva chiara l’intenzione di rispondere in maniera efficace contro il crimine organizzato e ciò veniva maggiormente valorizzato dall’art.7 del d.l. 152/1991, il quale recita: “Per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previse dall’art. 416 bis del Codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà”. Secondo una parte della dottrina di chiara impostazione ermeneutica, tale previsione incriminatrice si dividerebbe in due sotto-fattispecie: la prima, di carattere oggettivo, farebbe riferimento al metodo, ossia alle condizioni previste dall’art.416 bis del Codice penale, i cui elementi caratterizzanti abbiamo già auto modo di analizzare a proposito della legge 55/1990; la seconda, di carattere soggettivo, si incentrerebbe sullo scopo dell’agevolazione dell’associazione criminale perseguito nella commissione del reato.

L’obiettivo di tale aggravante è senza dubbio quello di inserirsi in quella zona grigia, ormai sempre più ampia, che intercorre tra fatti che sono dotati di rilevanza mafiosa e fatti che ne sono privi. È proprio questo elemento ad aver destato preoccupazione, ovverosia il fatto che tale aggravante possa applicarsi anche a casi nei quali della mafia nulla sussista, tant’è vero che, stando a questa legge, sarebbe sufficiente millantare l’appartenenza ad un sodalizio criminale per far scattare l’applicazione delle conseguenze previste. Pertanto il dubbio che ci si pone è come in questa situazione di incertezza possano essere identificate le caratteristiche del metodo mafioso, dato l’alto tasso di vaghezza e di indeterminatezza riscontrabile nell’art.7.

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1.3.1. La svolta conseguente alla faida di

Taurianova

Un’impressionante dimostrazione della ferocia delle mafie si ebbe il 3 maggio 1991, quando scoppiò il caso

“Taurianova” che raggiunse delle dimensioni

internazionali. Accadde, infatti, che tra il 1990 ed il 1991 in questo paese in provincia di Reggio Calabria si verificarono trentatré delitti, quindici tentati omicidi e decine di danneggiamenti a scopo intimidatorio a causa di una guerra tra cosche che si contendevano il controllo economico della zona, le attività di estorsione e la supremazia nel settore degli appalti. Il culmine di tale barbarie si registrò nel cosiddetto “venerdì nero”4, quando Giuseppe Zagari, consigliere comunale e capobastone dell’omonimo clan, venne decapitato all’interno di un salone da barbiere5. Un’azione di questo tipo non poteva passare inosservata agli occhi dello Stato che prima blindò il paese grazie al lavoro delle forze dell’ordine e dei magistrati che in meno di un anno furono in grado di avere un quadro chiaro degli eventi, poi intervenne sull’aspetto legislativo. Ricordiamo, infatti, che la legge allora in vigore, ossia la l. 203/91, era di difficile applicazione nel caso specifico, soprattutto dovendo considerare un probabile ricorso amministrativo.

Di conseguenza, tale problematica fu affrontata dall’allora Ministro dell’Interno Vincenzo Scotti e dal Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli e fu proprio quest’ultimo a proporre al primo lo scioglimento del consiglio comunale di Taurianova, trovando l’opposizione del primo cittadino

4 PANTALEONE S., “C' è il far west della piana di Gioia Tauro, terra felice e

ricca di zolle grasse, abitata però da gente infelice. Taurianova è il cuore di questo far west senza legge e senza stelle di latta. Poche decine di carabinieri e di poliziotti dovrebbero vedersela con l'esercito delle cosche ben equipaggiato e ben organizzato che solo a Taurianova conta almeno quattrocento regolari. A Giuseppe uno dei sicari ha tolto di mano un coltellaccio, gli ha mozzato la testa che ha lanciato in aria affinché il suo complice potesse esercitarsi in un terribile tiro al volo. E in molti hanno assistito impotenti”. ‘Ndrangheta è legge e la strage non è ancora finita, in La Repubblica, 5 maggio 1991.

5 PANTALEONE S., Con la testa mozzata fecero tiro al bersaglio, in La

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del comune calabrese che inaugurò la teoria “complottista”, secondo cui dietro allo scioglimento ci sono sempre motivazioni inconfessabili. Il Ministro Martelli, però, non fece a meno di notare la situazione desolante che affliggeva il piccolo comune, che portava, a suo dire, ad una frantumazione del principio democratico e ad un’allarmante sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. In questo clima si svolse una riunione al Viminale, che vide la partecipazione di incaricati del Ministro Martelli, dalla quale emerse la necessità di irrigidire la disciplina sullo scioglimento degli enti nei quali si erano sviluppati fenomeni di infiltrazione o condizionamento da parte della criminalità organizzata. L’intenzione era anche quella di assicurare l’amministrazione straordinaria di tali enti per mezzo di una commissione che potesse portare al ripristino delle condizioni di legalità, anche per un periodo piuttosto lungo. Fu proprio in questa prospettiva che venne emanato il decreto legge 31 maggio 1991, n. 164, recante: “Misure Urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, di tipo mafioso”. Tale decreto introduceva l’art.15 bis alla legge antimafia n.55 del 1990 ed affermava che i consigli comunali e provinciali potevano essere sciolti quando, in seguito all’esercizio dei poteri conoscitivi e ispettivi del prefetto, fossero emersi elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori tali da compromettere l’imparzialità e il buon andamento degli organi elettivi, il regolare funzionamento dei servizi, o fossero tali da arrecare pregiudizio per la sicurezza pubblica. In considerazione della specificità delle cause poste alla base del provvedimento di scioglimento, esso doveva essere deliberato dal Consiglio dei Ministri prima di essere sottoposto alla firma del Capo dello Stato. La durata del periodo di scioglimento fu stabilita in un periodo compreso tra dodici e diciotto mesi, quindi un periodo più ampio rispetto a quanto previsto dalla legge 142/90. Inoltre la norma, contestualmente al decreto di scioglimento, stabiliva la nomina di una commissione straordinaria incaricata della gestione dell’ente e constava di tre membri

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scelti fra funzionari dello Stato e fra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale scelta, in base alla quale veniva preferito un organo collegiale a discapito di un organo monocratico, si basava sulla preoccupazione di configurare un organismo il cui fine era quello di garantire le condizioni migliori per il ripristino dello stato di legalità, considerando anche il delicato contesto sociale nel quale la commissione straordinaria si trovava ad operare. Una norma nodale era la norma “anti-elusione”, sempre prevista dal decreto legge 164/1991, che consentiva lo scioglimento per le cause previste dalla legge in questione anche in presenza di circostanze che avrebbero potuto determinare lo scioglimento per altre cause: basti pensare all’ipotesi di dimissioni di almeno la metà dei consiglieri, che avrebbe consentito lo svolgimento delle elezioni dopo pochi mesi, impedendo la possibilità di scioglimento per un periodo più lungo.

In attesa del decreto presidenziale di scioglimento, veniva conferito al Prefetto, in presenza di motivi di urgente necessità, il potere di sospendere gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente. In base a queste qualità necessarie, il prefetto di Reggio Calabria dispose la sospensione del consiglio comunale di Taurianova, così come il Prefetto di Napoli dispose la sospensione del consiglio comunale di Casandrino, nel quale, a seguito dei doverosi accertamenti, erano emersi fenomeni di condizionamento tali da compromettere la vita democratica dell’ente. Entrambi i consigli comunali vennero sciolti con due decreti del Presidente della Repubblica, entrambi in data 2 agosto 1991.

Dopo i primi due anni di applicazione della legge 221/91, si ritenne necessario che l’impianto normativo dovesse essere integrato e modificato, dal momento che bisognava essere in grado di fronteggiare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Tali esigenze trovarono risposta nell’emanazione da parte del Governo del decreto legge 19 ottobre 1993, n. 420, reiterato nel decreto legge 20 dicembre n. 529, che fu infine convertito in legge l’11 febbraio 1994, n. 108. La legge 108 introdusse

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la possibilità di prorogare la durata dello scioglimento, stabilita in un periodo compreso fra i dodici e i diciotto mesi, fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali. In merito all’esigenza di assicurare il regolare funzionamento dei servizi pubblici, fu introdotta la possibilità per il Prefetto di disporre, su richiesta della commissione straordinaria, l’assegnazione in via temporanea o il distacco di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici, anche in posizione di sovraordinazione. Presso il Ministero dell’Interno fu, inoltre, istituito il comitato di sostegno e monitoraggio dell’azione delle commissioni straordinarie e dei comuni riportati a gestione ordinaria. Infine, la legge 108 istituì un circuito preferenziale per l’accesso ai finanziamenti statali e regionali per la realizzazione di opere pubbliche e per far fronte alle disfunzioni dei servizi di competenza degli enti commissariati. Allo scopo di garantire nel tempo il ripristino delle condizioni di funzionalità ditali enti, la legge 108 precisò che il circuito preferenziale per l’accesso ai finanziamenti permanesse anche per la durata del primo mandato elettivo conseguente alla cessazione del commissariamento straordinario. Tale legge, inoltre, prevedeva un piano per far fronte a situazioni di gravi disservizi secondo cui la commissione straordinaria, entro sessanta giorni dall’insediamento, doveva adottare un piano di priorità degli interventi per avviare la sollecita realizzazione di opere pubbliche indifferibili, anche con riferimento a progetti già approvati e non eseguiti. Qualora lo scioglimento fosse stato disposto anche con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso, connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture, ovvero l’affidamento in concessione di servizi pubblici locali, la

commissione straordinaria, a conclusione degli

accertamenti, era nelle condizioni di adottare tutti i provvedimenti ritenuti necessari, potendo disporre d’autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso. Un elemento innovativo della legge 108/94 fu la possibilità di avvalersi

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dell’apporto di determinati enti a cui rivolgersi per acquisire ogni utile elemento di conoscenza e valutazione di questioni di interesse generale e tra questi l’art.6-sexies faceva riferimento all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), all’Unione delle province d’Italia (UPI), alle associazioni imprenditoriali e degli ordini professionali, alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, alle organizzazioni di volontariato e agli altri organismi locali particolarmente interessati alle questioni da trattare. Da qui si intuisce come lo scopo fosse non solo quello di fornire strumenti più incisivi agli organi di gestione straordinaria ma anche quello di ricostruire il tessuto sociale delle comunità interessate per tornare ad una corretta dialettica democratica.

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1.3.2. Introduzione dell’art.143 del Tuel

Tali modifiche sono state trasfuse nel decreto legislativo del 18 agosto del 2000 n. 267, che contiene i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali, rinominato, infatti, “Testo Unico degli Enti Locali” (T.U.E.L.). esso ha recepito all’art.143 l’istituto dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Al comma 1 del suddetto articolo si afferma che “Fuori dai casi previsti dall’art.141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’art.59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti indiretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’art.77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi, ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Risulta evidente come la portata applicativa di tale disciplina fosse preclusa ai casi previsti dall’art.141, ovverosia ai casi ordinari di scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali. Per giunta, l’art.143 era diretto alla categoria degli amministratori locali che non considerava solo i sindaci dei comuni, ma anche i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni e delle province, i componenti delle giunte comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento. Costoro, secondo quanto sostenuto dal T.U.E.L., se responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento, non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali,

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che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo.

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1.3.3. Modifiche dell’istituto apportate dal

“Pacchetto sicurezza”

Dopo nove anni di stasi sull’istituto dello scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, nei quali, più specificatamente nel corso della quindicesima legislatura, sono state avanzate proposte di legge per le quali non si è mai pervenuti alla conclusione dell’iter previsto, si arrivò ad una riforma con l’art.2, comma 30, della legge n. 94 del 2009, ossia il cosiddetto “Pacchetto sicurezza”. Ciò che si intende sottolineare sin dall’inizio è che le modifiche apportate sono state realizzate non con un provvedimento normativo mirato, bensì con un provvedimento generico in materia di sicurezza pubblica. Esso ha previsto che gli elementi a sostegno della sintomaticità delle infiltrazioni mafiose devono essere concreti, univoci e rilevanti, tali quindi da far presumere che vi siano collegamenti diretti o indiretti da parte della criminalità organizzata o forme di condizionamento sugli amministratori in grado di compromettere il procedimento di formazione degli organi elettivi e amministrativi, il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati ovvero che risultino tali da arrecare un grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. La normativa in questione, inoltre, specifica e chiarisce i parametri cui deve farsi riferimento per procedere allo scioglimento, confinandoli in un ambito ben specifico e puntuale, introducendo "una più rigida perimetrazione degli ambiti del giudizio di apprezzamento, stando all’osservanza di canoni oggettivi di rilevanza degli elementi indiziari raccolti e ritenuti valutabili"6 in modo da soddisfare l'esigenza di "ispessire l'onere probatorio"7. La disciplina contenuta nell'articolo 143, per il modo in cui viene riformulata con la legge 94/2009, si poneva in continuità con il passato limitatamente al carattere eccezionale, speciale e specifico rispetto a ciò che è contenuto nell'articolo 141, poiché il decreto di scioglimento per infiltrazioni della

6 Tar Campania, Napoli, sentenza n. 13720/2010.

7 MILAZZO, P., voce Articolo 143, in Napoli, C., Pignatelli, N., (a cura di), Codice degli enti locali, Roma, Nel diritto editore, 2012, p. 1350.

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criminalità organizzata, come sottolineato da Ferdinando Pinto, "ha un effetto demolitorio di portata ampia in quanto comporta lo scioglimento del consiglio e la decadenza dalla carica di sindaco e dei componenti la giunta [...]. Inoltre, diversamente dalle altre ipotesi di scioglimento, in cui gli incarichi esterni attribuiti ai consiglieri restavano fermi sino alla nomina dei successori, comporta anche la decadenza da tali incarichi, come da ogni altro incarico, comunque connesso al mandato elettorale".

La riforma del 2009 doveva tener conto anche delle modifiche che erano state prodotte nel 2001 dalla riforma costituzionale che, infatti, aveva notevolmente inciso sul Titolo V, avendo accentuato l’impianto autonomista della Carta Costituzionale. Ricordiamo che la riforma costituzionale poc’anzi citata venne approvata tramite referendum costituzionale che ebbe esito positivo, diversamente dalle ultime due proposte presentate agli elettori, rispettivamente nel 2006 e nel 2016, e quella del 2001 prevede all’art.117 materie di legislazione esclusiva dello Stato, materie di legislazione concorrente tra Stato e regione e potestà legislativa in capo alle regioni, quindi competenza residuale, per le materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato. Dalle lettere h) e p) del secondo comma dell’art.117 della Carta Costituzionale risulta chiaro come “l’ordine pubblico e la sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale” e “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” siano di competenza legislativa esclusiva dello Stato, diversamente dagli enti strumentali sulla cui competenza l’art.117 non si esprime ma che presumibilmente è di competenza concorrente o residuale delle Regioni, in ogni caso si intende garantire l’intervento statale al fine di assicurare l’ordine pubblico è la sicurezza. Tale ragionamento ci porta a sostenere che la legge 94/2009, nella parte in cui tratta dello scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, è conforme all’art.117 della Costituzione.

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1.3.4. Ultimi interventi sull’istituto: modifiche

della legge 132/2018

Il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante

‘Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il

funzionamento dell’Agenzia nazionale per

l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata’(c.d. “decreto

sicurezza”), convertito, con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132, ha apportato importanti modifiche all’art.143 del Tuel, introducendo un nuovo comma 7-bis ed innovando il comma 11.

Per comprendere dove precisamente venga ad incidere la legge 132/2018, teniamo a mente che secondo la disciplina lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico e nella suddetta proposta sono indicati gli amministratori che sono ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio dell’ente locale. Ed è proprio in questo punto che il comma 11 dell’art.143 del Tuel viene modificato, tant’è vero che ora esso afferma che “non

possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonché alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo”. Pertanto, diversamente da quanto previsto

precedentemente, laddove l’incandidabilità era limitata solo ad un turno ed all’interno del perimetro regionale di riferimento dell’ente disciolto, adesso essa è estesa per

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due turni elettorali successivi allo scioglimento, ricomprendendo anche le competizioni elettorali nazionali ed europee. Ciò rappresenta indubbiamente un forte tentativo di evitare che coloro sui quali ricadono le responsabilità dello scioglimento, poi, possano ambire a ricoprire cariche di primaria importanza all’interno della vita amministrativa locale.

Il secondo aspetto toccato dalla riforma è l’introduzione del comma 7bis ma anche in questo caso occorre partire da un elemento presupposto, ossia il comma 7 dell’art.143. Esso, per l’appunto, afferma che “Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell'interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell'attività di accertamento. Le modalità di pubblicazione dei provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono disciplinate dal Ministro dell'interno con proprio decreto” ed

è stato integrato dal comma 7bis in base al quale “qualora

dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o più settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità delle amministrazioni comunali o provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalità l'attività amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse

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disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci”. Come

sottolineato da parte della dottrina8, dal combinato disposto di questi due commi emerge una problema di concretezza, dovuto al fatto che appare insolito come, modificando l’istituto dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, non si faccia nessun tipo di richiamo al pericolo di ingerenza criminale, bensì si faccia riferimento esclusivamente a generiche condotte illecite gravi e reiterate. Non siamo più, dunque, nell'ambito di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare, bensì in un campo più largo e magmatico, di difficile decrittazione e delimitazione, all'interno del quale il Prefetto ha la discrezione di giudicare condotte di ogni tipo e per qualsiasi "settore amministrativo" che, a suo insindacabile giudizio, possano alterare le procedure e/o compromettere il buon andamento, l'imparzialità e il funzionamento dei servizi. In base a quanto sostenuto da una parte dei commentatori della materia, il demandare al Prefetto, che è già dotato di poteri notevoli, l’individuazione dei prioritari interventi di risanamento dell’ente locale e degli atti da assumere per far cessare le situazioni riscontrate dalla commissione d’indagine prefettizia al fine di ricondurre alla normalità l’attività amministrativa sia censurabile sotto l’aspetto dell’eccesso/sviamento di potere9 in relazione a quanto affermato dall’art.114 della Costituzione che al secondo

8 CHIRICO F., Consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa: le modifiche

del Decreto Salvini, in Altalex, 17/12/18.

9 La differenza tra eccesso di potere e sviamento di potere è che il primo

rappresenta un vizio di legittimità dell’atto amministrativo che si manifesta nel cattivo uso del potere da parte della Pubblica amministrazione o nella deviazione del potere da quei principi generali stabiliti dal legislatore, come la correttezza, la buona fede o la diligenza, mentre il secondo ricorre quando l’atto non persegue un interesse pubblico ma un interesse diverso o quando l’amministrazione ha agito per perseguire un fine pubblico ma diverso rispetto a quello stabilito dalla legge.

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comma10 contiene il principio di pari dignità istituzionale, stabilendo che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni costituiscono enti territoriali autonomi dotati di propri statuti, poteri e funzioni. Non bisogna dimenticare, inoltre, che lo scioglimento dei consigli comunali rappresenta pur sempre una misura straordinaria a cui far ricorso in occasioni peculiari, mentre tale riforma concede al Prefetto un effetto pervasivo, al punto tale che c’è chi ha parlato di un “super-commissario” che da un lato assicura un predominio sull’amministrazione locale e dall’altro introduce il commissariamento nei confronti degli amministratori locali, finora legittimato solo nei casi di scioglimento proclamato o in corso.

L'altro profilo problematico è l'assoluta arbitrarietà del Prefetto nel fissare il termine per l'adozione degli interventi di risanamento. Un potere, questo, di significativa estensione che contrasta con l'impianto dello stesso art.143 nelle parti in cui appronta procedure e scadenze molto precise a garanzia degli amministratori locali, posto che lo scioglimento è misura radicale che travolge il principio della rappresentanza e deve per questo essere utilizzato con molta accortezza.

La suddetta norma dovrà poi necessariamente rapportarsi con l’art. 60-ter, del disegno di legge recante Interventi per

la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo ( c.d. “ddl concretezza” ), secondo il quale il Prefetto può, senza sostituirsi, segnalare al Nucleo della Concretezza di cui all’articolo 60-bis, comma 1, eventuali irregolarità dell’azione amministrativa degli enti locali e chiederne l’intervento. In tal caso, può partecipare ai sopralluoghi e alle visite anche personale della Prefettura richiedente. Tutto ciò è stato affermato con l’intenzione di scongiurare il pericolo che possa essere sradicata la natura del provvedimento di scioglimento, il quale, in quanto tale, rappresenta un atto di alta amministrazione, costituisce un

10 I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.

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modello di valutazione prognostica con riguardo ad un evento di pericolo per l’ordine pubblico dovuto a collegamenti o a forme di condizionamento a causa dei quali si verifica l’effettiva sussistenza degli elementi che sono sufficienti ad indicare l’esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata di stampo mafioso o anche il condizionamento da parte di quest’ultima.

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1.4. Da strumento sanzionatorio a strumento

preventivo e ripristinatorio

L’evoluzione normativa rappresentata sino a questo momento ci fa riflettere su come l’istituto dello scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose nel tempo si sia caricato di significati diversi rispetto a quelli che lo

caratterizzavano inizialmente, elemento dovuto

principalmente all’attenzione sempre maggiore che suscita il fenomeno della corruzione. Basti pensare, infatti, alla legge 190/2012, denominata “Pacchetto anticorruzione”, che è intervenuta al fine di realizzare misure di organizzazione che si crede che possano limitare i fenomeni corruttivi, adottando misure in via preventiva e in via amministrativa di natura penale, creando un sistema pubblico di prevenzione della corruzione e revisionando le regole sull’organizzazione amministrativa interna. Non sono secondarie le pressioni comunitarie provenienti dalla Commissione Ue che, all’interno di un report sulla corruzione, ha segnalato quanto il fenomeno corruttivo sia piuttosto preoccupante, avendo un valore di circa 60 miliardi all’anno, ossia il 4% del PIL.

Come abbiamo constatato, la legislazione in materia parte con la legge 55/1990, facente leva su un giudizio di pericolosità, che rappresentava una vera e propria misura sanzionatoria che si incentrava non sulla responsabilità personale dei singoli consiglieri bensì sull’organo collegiale considerato nel suo complesso, in quanto inidoneo ad amministrare.

Il cambiamento è rinvenibile nel decreto legislativo 267/2000 che, introducendo l’art.143 del T.u.e.l., è stato inserito nel Titolo VI, Capo II, ossia la parte relativa al “Controllo sugli organi”: da qui è agevole rinvenirne la funzione di garanzia di libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento della pubblica amministrazione e di trasparenza amministrativa. Ciò ci porta a riconoscere che trattasi di una misura di carattere preventivo e non di carattere sanzionatorio, il che implica dei presupposti certamente meno stringenti sul piano procedimentale e soprattutto sta a significare che si tratta di un atto di alta

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amministrazione, cioè un atto di “suprema direzione della pubblica amministrazione”, funzionalizzato al raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa che attengono alle scelte di fondo dell’attività amministrativa e costituiscono manifestazioni di impulso all’adozione di atti amministrativi strumentali all’attuazione dei fini della legge.

Infatti oramai l’orientamento legislativo di contrasto alla mafia mediante poteri amministrativi, a differenza del trattamento riservato ad altre forme organizzate di minaccia per l’ordine democratico, non si risolve mai in decisioni ad effetto esclusivamente inibitorio dell’attività dell’associazione in parola, ma si estende ad un secondo segmento: quello della valutazione delle modalità di ripristino della normale vita dell’ente interdetto, affidata ad una fase posteriore dell’intervento statale. Ciò permette che i punti di contatto con le regole e principi di diritto pubblico non si fermino al momento della soppressione dell’ordinamento illecito da parte di quello statale, ma investano una potestà pubblica duplice o ambivalente, che va oltre il momento repressivo: riguarda e protegge la società nella sua interezza, tocca la fruizione dei servizi offerti dalla amministrazione pubblica in quel senso oggettivo presente all’art. 97 della Costituzione11.

11 MAGRI M., Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per

infiltrazioni della criminalità di tipo mafioso: tra vecchi e nuovi dubbi di costituzionalità, in Iusexplorer, par.I.

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1.5. Il sistema dei controlli

Dal momento che l’istituto in questione è stato inserito nel regime dei controlli, questi si dividono sia tra controlli interni e controlli esterni sia tra controlli sugli organi e controlli sugli atti degli organi. Il controllo sugli organi è un controllo politico che consiste in una supervisione dell’ordinamento generale, ossia lo Stato, sugli ordinamenti particolari, ossia gli enti locali, per garantire che i secondi svolgano la propria attività in maniera coerente rispetto alla normativa e questo tipo di controllo rappresenta uno strumento dello Stato per assicurare il funzionamento del proprio ordinamento.

Diversamente, il controllo sugli atti può essere preventivo o successivo ed è un controllo amministrativo in quanto riguarda i provvedimenti emanati dagli enti locali per verificare se questi siano conformi o meno alle norme previste dall’ordinamento giuridico, dunque esso riguarda gli atti amministrativi presi singolarmente. A questo proposito, l’art.135 del T.u.e.l. prevede che il Prefetto, nell’esercizio dei suoi poteri o di quelli a lui delegati dal Ministro dell’Interno, possa fare richiesta ai competenti organi statali e regionali di interventi di controllo e di interventi sostitutivi nel caso in cui vi sia fondato motivo di ritenere che esistano tentativi di infiltrazioni di tipo mafioso nella realizzazione di opere e lavori pubblici oppure nel caso in cui sia necessario assicurare il regolare svolgimento di attività delle pubbliche amministrazioni. L’obiettivo di tale disposizione, avendo essa carattere emergenziale, è quello di tutelare e di salvaguardare gli interessi fondamentali relativi all’ordine e alla pubblica sicurezza12. Quello del Prefetto non è un controllo di

12 Consiglio di Stato, Adunanza della Sezione Prima, Parere 26 novembre 2003 n. 1006/03: “In presenza, pertanto, di deliberati sugli oggetti di cui al comma secondo dell’art.135 del d.lgs. n.267/2000, che sulla base di fondati elementi acquisiti possano essere espressione di condizionamento di associazioni della criminalità organizzata, il Prefetto potrà sollecitare il controllo interno di cui all’art.147, comma primo, lett. a), del d.lgs. citato. In assenza nell’assetto organizzativo dell’ente locale di siffatto sistema di controllo interno potrà essere richiesto il motivato riesame di legittimità dell’atto in via di autotutela da parte dello stesso organo che lo ha emesso”.

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legittimità, di conseguenza gli enti locali non sono obbligati a trasmettere gli atti.

Sicuramente la Costituzione ha inciso in maniera profonda sul sistema delle autonomie locali, soprattutto con la legge n.3 del 18 ottobre 2001, ossia la riforma del Titolo V, che ha sancito un maggiore riconoscimento nei confronti delle autonomie locali e che ha previsto un “più ampio decentramento amministrativo” per i servizi di competenza statale, come affermato al secondo comma dell’art.5 del Testo Costituzionale. Anche la giurisprudenza ha contribuito al cambiamento di visione del sistema dei controlli, avendo messo in atto una sorta di mitigazione del delle disposizioni normative che regolano la legislazione comunale e regionale. Allo stesso modo il legislatore già agli inizi degli anni ’90, con la legge 142/90, abrogò i controlli di merito e intervenne sul CO.RE.CO, cioè il comitato regionale di controllo, che era stato introdotto con la legge 62/1953, nota come Legge Scelba, per fungere da organo deputato ad esercitare il controllo di legittimità sugli atti della Provincia, del Comune e degli altri enti locali e che si è visto depauperato delle proprie funzioni con l’abrogazione dell’art.130 della Costituzione, sempre nel 2001 con la riforma del Titolo V, quando la trasmissione degli atti a tali organi è stata interrotta in tutte le regioni. Questa legge, insieme al d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 e n. 77 del 25 febbraio 1995 e insieme alla legge del 15 maggio 1997 n.127, che avevano ad oggetto, rispettivamente, la razionalizzazione dell’organizzazione delle Amministrazioni pubbliche, l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali e lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo, furono trasferite nel decreto legislativo 267/2000. Questo passaggio ha costituito un nuovo sistema di riparto delle competenze e responsabilità tra Stato, Regioni ed Enti Locali, con pari dignità per ciascuno di essi e con un ordine di equiordinazione e di leale collaborazione. Ciò nonostante, la riforma del Titolo V ha comunque individuato la possibilità di un controllo sugli organi da parte

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dello Stato13, la previsione di poteri sostitutivi sul piano amministrativo14 e la funzione di supervisione sui bilanci di entrata e di uscita di Comuni, Province e Regioni, coordinando la finanza pubblica15.

Il Titolo V della Costituzione, quindi, prevede controlli esterni sugli atti di legittimità, e in questo caso possono essere necessari, eventuali o facoltativi, controlli a richiesta del Prefetto ai fini di prevenzione nei confronti della criminalità organizzata, e controlli straordinari del governo; diversamente, i controlli esterni sugli organi vengono effettuati per motivi di legittimità o per gravi motivi di ordine pubblico, per carenza di funzionalità, per motivi finanziari attinenti al bilancio e al dissesto, sui singoli membri degli organi degli Enti Locali e degli altri enti sottoposti al controllo e per fenomeni d’infiltrazione e di condizionamento criminale o mafioso; i controlli interni vengono effettuati per motivi di regolarità amministrativa e contabile, di gestione, di valutazione dei dirigenti e per motivi di carattere strategico; un ultimo tipo di controllo è quello della Corte dei Conti che, trattandosi di un organo ausiliario del Parlamento, può essere preventivo, successivo alla gestione, ai fini del referto e di riscontro finanziario.

13 Art.117 comma 2: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

14 Art.120 comma 2: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

15 Art.119 comma 2: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.

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1.6. Interventi della giurisprudenza

1.6.1. Sentenza Corte Costituzionale 103/1993

La disciplina dello scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose sin dagli anni ’90 è stata oggetto di una serie di perplessità, in quanto non è mancato chi ha

sostenuto, tra cui Pietro Virga, questioni di

incostituzionalità in merito a tale istituto. Con l’ordinanza n. 681/1992, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992, emessa in data 8 luglio 1992, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sottopose alla Corte Costituzionale alcune motivate censure di legittimità costituzionale dell'art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55.

Il Tribunale amministrativo regionale ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale della norma in questione per tre ordini di ragione: a) consente di attribuire rilevanza a "collegamenti indiretti" di taluni amministratori con la criminalità organizzata; b) prevede lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti riguardanti soltanto alcuni amministratori; c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi16. Quanto al primo profilo, il TAR Lazio rinveniva un’eccessiva generalità dei presupposti che portavano all’adozione del provvedimento, rendendo difficoltosa la verifica dell’esistenza di essi. Infatti, si sosteneva che la norma impugnata fosse dotata di uno spessore probatorio più lieve rispetto a quanto previso per l’esercizio dell’azione penale e per l’adozione della misura preventiva, tant’è vero che l’art.15bis contiene la vaga dizione di “collegamenti indiretti” con la criminalità organizzata, d’altra parte basta volgere lo sguardo all’art. 40 della legge 142/90, relativamente alla sospensione e alla rimozione degli amministratori degli enti locali, il cui presupposto era l’imputazione di un reato previsto dalla L.

16 MAGRI M., Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per

infiltrazioni della criminalità di tipo mafioso: tra vecchi e nuovi dubbi di costituzionalità, in Iusexplorer, par.IV.

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646/82, che istituiva il reato di associazione di tipo mafioso o la sottoposizione a misura di prevenzione o a misura di sicurezza; allo stesso modo si pensi alla sospensione obbligatoria degli amministratori degli enti locali, a norma dell’art. 15 L. 55/90, il cui presupposto era la sottoposizione a procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso. La mancanza di un criterio obiettivo, a detta del TAR del Lazio, si presterebbe non con molta difficoltà ad assurdi abusi, potendo provocare l’applicazione della norma qualora non sia necessario o non adottandola se, invece, ve ne sono le condizioni. Il TAR Lazio, dunque, dubitava della conformità della richiamata norma all’art.3 della Costituzione, infrangendo il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, non consentendo un adeguato controllo in sede giurisdizionale, all’art.9717, che contiene il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, data l’incoerenza tra mezzo e fine perseguito, e agli artt. 2418 e 113 in termini di effettività del controllo giurisdizionale della legittimità dell’operato della pubblica amministrazione. Quanto al secondo punto, che riguarda lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti riguardanti soltanto alcuni amministratori, secondo il punto di vista del TAR Lazio, la misura sanzionatoria colpiva financo i componenti dell'organo che non erano ricompresi nel collegamento con il crimine organizzato, in pieno contrasto il principio di personalità della responsabilità. Tale misura, che per questi motivi è stata denominata “misura demolitoria”, implicherebbe a questo punto la sospensione del diritto di elettorato attivo e passivo19 e la limitazione del principio di autonomia degli Enti Locali20; di conseguenza l’incompatibilità dell’istituto

17 Art.97, secondo comma: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”

18 Art.24, secondo comma: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”

19 Art.48, quarto comma: “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”

20 Art.5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”; art.128: “Le

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