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Livelli sierici dei fattori pro angiogenetici e angiostatici nell'artrite psoriasica.

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Academic year: 2021

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1 INDICE:

RIASSUNTO... 3

1. INTRODUZIONE... 5

1.1 ARTRITE PSORIASICA………...…...…5

1.1.1ARTRITE PSORIASICA: QUADRI CLINICI E CLASSIFICAZIONE……...6

1.1.2 ESAMI DI LABORATORIO NELL’ARTRITE PSORIASICA………….…10

1.2 LA PSORIASI………….…..…..………...11

1.3 ANGIOGENESI..……….15

1.4 FATTORI PROANGIOGENICI………..16

1.4.1 VEGF: VASCULAR ENDOTHELIAL GROWTH FACTOR……….17

1.4.2 FIBROBLAST GROWTH FACTORS: (FGFs)………..19

1.4.3 CITOCHINE CHEMOCHINE PRO-ANGIOGENICHE…………...…...20

1.5 FATTORI ANGIOSTATICI………...…………21

1.5.1 ENDOSTATINA ………..………...…...22

1.5.2 TROMBOSPONDINA-1 (TSP-1)………....…...22

1.6 ANGIOGENESI NELL' ARTRITE PSORIASICA E PSORIASI………..………...25

1.6.1 ANGIOGENESI NELL’ARTRITE PSORIASICA………..………25

1.6.2 ANGIOGENESI NELLA PSORIASI……….27

1.7 TERAPIA DELL’ARTRITE PSORIASICA………...………...28

1.8 TERAPIA DELLA PSORIASI ………..……….………...29

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3. PAZIENTI E METODI……….……...32

3.1 PAZIENTI………...………...32

3.2 METODICA...………....………...33

33.3 DOSAGGIO DEI FATTORI ANGIOGENICI E ANGIOSTATICI……….34

3.4 ANALISI STATISTCA………..…...35

4. RISULTATI………...……..36

4.1 LIVELLI DI VEGF NELL'ARTRITE PSORIASICA E PSORIASI………...……36

4.2 LIVELLI SIERICI DEI FATTORI ANGIOSTATICI ENDOSTATINA E TSP-1 NELL'ARTRITE PSORIASICA E PSORIASI... 38

5.DISCUSSIONE………...………..…41

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3 RIASSUNTO

L’artrite psoriasica (AP) e’ un’artropatia infiammatoria cronica associata a psoriasi caratterizzata da proliferazione del tessuto sinoviale talvolta con degenerazione delle cartilagini articolari e dell’ osso sub-condrale. L’angiogenesi, formazione di nuovi vasi da vasi pre-esistenti, sembra svolgere un ruolo fondamentale nella AP. Fattori pro-angiogenici (VEGF e l’ FGF-2) ed angiostatici (Endostatina e TSP-1) regolano tale processo. Un aumento dei livelli sierici ed articolari di VEGF e di FGF-2 e’ stato dimostrato nell’ AP. Non vi sono invece dati sui fattori angiostatici.

Scopo dello studio è quello di valutare i livelli di VEGF, FGF-2, Endostatina e TSP-1 nel siero di pazienti con AP durante il loro follow-up. Abbiamo misurato tali mediatori in 26 pazienti con AP in trattamento con cortisonici e DMARDs e ne abbiamo confrontato i livelli con quelli misurati in 26 pazienti con psoriasi e in 41 soggetti sani.

I livelli di VEGF ed FGF-2 dei soggetti con AP sono risultati sovrapponibili a quelli con psoriasi e ai controlli sani, mentre i livelli di Endostatina e TSP-1 sono significativamente aumentati sia nell’AP che nella psoriasi.

Nei pazienti con AP in cui la malattia e’ ben controllata dalla terapia farmacologica, vi e’ una disregolazione dei mediatori circolanti che regolano i processi di angiogenesi con normalità dei fattori pro-angiogenici ed un aumento di quelli angiostatici.

INTRODUZIONE

Le spondiloartriti (SpA) – o entesoartriti – comprendono un gruppo di artropatie infiammatorie caratterizzate da comuni aspetti clinici: la presenza di un’artrite

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infiammatoria asimmetrica, di un frequente interessamento delle articolazioni sacroiliache, di manifestazioni extra-articolari (cutanee, oculari, mucose) o di una familiarità per psoriasi. Si sviluppano principalmente in soggetti geneticamente predisposti (associazione con HLA B27) e, dal punto di vista anatomo–patologico, sono caratterizzate da flogosi a carico delle entesi e della siniovia.

Attualmente si riconoscono 5 forme di spondiloartrite che si differenziano per numerosi aspetti: spondilite anchilosante primitiva, artrite reattiva, artrite psoriasica (AP), artrite associata alle malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e malattia di Crohn), spondiloartriti indifferenziate.

Sono definite artriti infiammatorie sieronegative in quanto negative alla ricerca del fattore reumatoide. L’AP è una delle più comuni spondiloartriti e la sua eziopatogenesi e’ ancora oggi oggetto di studio. (1)

1.1 L’ARTRITE PSORIASICA

L’AP, definita come “artrite sieronegativa associata a psoriasi”, è stata, per molti anni, un’entità fortemente dibattuta. Le ragioni delle numerose incertezze e discussioni su tale patologia sono dovute alla mancanza, per molto tempo, di una definizione clinica univoca. Nel 1964 l’American Rheumatism Association (ARA) ha riconosciuto per la prima volta l’AP come una patologia articolare infiammatoria distinta (1). Più recentemente, il lavoro del Group for Research and Assessment of Psoriasis and Psoriatic Arthritis (GRAPPA) e l’introduzione dei Classification criteria for Psoriatic ARthritis (CASPAR) hanno portato sicuramente ad una migliore definizione dell’AP aiutandoci nella comprensione e nell’inquadramento di questa complessa patologia (2).

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Dal punto di vista epidemiologico, secondo le stime attuali, la prevalenza dell’AP nella popolazione generale oscillerebbe intorno allo 0,2% e non sembrano esistere differenze di prevalenza tra i sessi. L’incidenza è tra il 3-6/100000 abitanti l’anno con un picco d’incidenza tra la quarta e la sesta decade nella donna e la seconda e la quarta nell’uomo. Infine la stima della prevalenza dell’AP tra i pazienti psoriasici oscillerebbe, in Italia, tra il 7,7% e il 35% circa (3).

L’AP sembra essere caratterizzata da una forte predisposizione genetica. In particolare sembrano essere coinvolti i geni HLA, MICA e CARD. Questa predisposizione genetica evidenzia una potenziale associazione tra l’immunità innata e specifica nell’AP, come suggerito dall’evidenza che i fattori ambientali (traumi e fattori patogeni) sono implicati nella eziopatogenesi dell’AP. E’ possibile che questa predisposizione multigenica possa influenzare il tipo di evoluzione e la risposta terapeutica (4).

Da un punto di vista istologico, a livello articolare, l’AP è caratterizzata da iperplasia dell’intima sinoviale (strato cellulare di rivestimento articolare), infiltrazione di cellule infiammatorie e una spiccata vascolarizzazione. L’infiltrato cellulare è costituito prevalentemente da linfociti T suppressor (CD8+) e da monociti con distribuzione perivascolare e potenziale interessamento della membrana sinoviale e/o dell’epidermide. Tali cellule, in seguito ad attivazione, rilasciano una serie di citochine pro-infiammatorie quali IL-1β, IL-2, IL-10, IFN-γ e TNF-α che promuovono il processo infiammatorio a carico delle articolazioni e della cute. Il TNF-α, in particolare, oltre a svolgere un ruolo chiave nei processi infiammatori, sembra responsabile del processo di neovascolarizzazione che interessa sia la sinovia che la cute (1).

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L’AP colpisce in eguale misura entrambi i sessi in età adulta mentre e’ relativamente rara nei bambini. L’età di esordio più frequente è intorno ai 35-45 anni. Nella maggioranza dei casi (75%) la psoriasi precede la comparsa dell’artrite, nel 15% dei casi l’esordio delle due patologie può essere contemporaneo. In una minoranza (10-15%) di casi la comparsa di lesioni cutanee segue, anche di qualche anno, l’interessamento delle articolazioni.

Sulla base della classificazione proposta da Moll e Wright nel 1973 (di vecchia data ma tuttora in uso) possiamo distinguere cinque varietà cliniche:

1) Artrite delle articolazioni interfalangee distali delle mani e dei piedi; 2) Artrite mutilante;

3) Poliartrite simmetrica (simil-reumatoide); 4) Oligoartrite asimmetrica con dattilite;

5) Spondilite anchilosante con o senza interessamento delle articolazioni periferiche.

Da notare che diverse forme cliniche si possono associare nello stesso soggetto.

1) ARTRITE DELLE ARTICOLAZIONI INTERFALANGEE DISTALI DELLE MANI E DEI PIEDI (Figura 1): ha una frequenza del 5-10%. Viene definita classica perché l’interessamento delle articolazioni interfalangee distali è tipico dell’AP ed è assente in altre forme di artriti, ad esempio nell’artrite reumatoide. Si associa quasi invariabilmente all’onicopatia e, sebbene possa rappresentare la sola manifestazione dell’AP, spesso fa parte di un quadro di artrite generalizzato.

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2) ARTRITE MUTILANTE (Figura 2): e’ una forma rara (1-2%), caratterizzata da una artrite gravemente destruente con marcata osteolisi soprattutto a carico delle falangi distali (si può arrivare al quadro delle cosiddette dita a “cannocchiale”).

Figura 2

3) POLIARTRIRE SIMIL-REUMATOIDE (Figura 3, 4): Si riscontra nel 15% dei pazienti. Ha molti elementi in comune con l’ artrite reumatoide, ma si differenzia da questa per un minor numero di articolazioni colpite, per la siero negatività del fattore reumatoide, per il coinvolgimento delle articolazioni interfalangee distali e dello scheletro assiale e per la minore evolutività.

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8 Figura 4

4) OLIGOARTRITE ASIMMETRICA CON DATTILITE (FIGURA 5): e’ la varietà più

frequente (60-70%) ed è caratterizzata dall’interessamento di un numero pari od inferiore a 5 articolazioni. Sono colpite frequentemente le articolazioni degli arti inferiori, soprattutto ginocchia e caviglie, ma possono essere colpite anche le metacarpofalangee (MCF) ed interfalangee (IF) di mani e piedi. La distribuzione delle sedi interessate è tipicamente asimmetrica. Caratteristica è la dattilite , il cosiddetto dito a “salsicciotto”, che e’ legato,

oltre che all’artrite delle articolazioni interfalangee, alla tenosinovite dei tendini flessori.

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6) SPONDILITE ANCHILOSANTE CON O SENZA INTERESSAMENTO DELLE ARTICOLAZIONI PERIFERICHE (FIGURA 6): questa forma, che si riscontra nel 10% dei casi, è caratterizzata dall’interessamento assiale (articolazioni sacroiliache e rachide). Si distingue dalla spondilite anchilosante non associata a psoriasi per la frequente monolateralità od asimmetricità della sacroileite, per la irregolare distribuzione dei sindesmofiti lungo la colonna vertebrale. Si associa frequentemente alla positività per l’HLA B-27 (7).

Figura 6

Recentemente è stata proposta una nuova e più semplice classificazione dell’AP in 3 subsets:

1) Articolare periferico

poliarticolare≥ 4 articolazioni (simmetrico od asimmetrico) oligoarticolare≤ 4 articolazioni (piccole o grandi)

2) Prevalentemente assiale 3) Prevalentemente entesitico

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ARTRITE PSORIASICA: MANIFESTAZIONI EXTRARTICOLARI

Nell’AP l’impegno extrarticolare è raro: l’affezione più frequente è a livello oculare con congiuntivite (nel 20% dei pazienti), mentre nella varieta’ spondilitica può aversi iridociclite.

1.1.2 ESAMI DI LABORATORIO NELL’ARTRITE PSORIASICA

Attualmente non sono disponibili indagini di laboratorio specifiche per AP. Di solito è presente l’aumento dagli indici di flogosi (VES e PCR) ma in circa il 20% dei casi la VES e/o la PCR possono essere nella norma, soprattutto all’esordio. Frequente è l’iperuricemia che si ritiene essere legata ad un aumento del ricambio purinico per l’accresciuto turnover cellulare nella cute colpita da psoriasi. Altre alterazioni immunologiche sono rappresentate in genere da un modico aumento delle gammaglobuline. Sebbene l’assenza del fattore reumatoide sia stata per lungo tempo considerata condizione indispensabile per la diagnosi di artrite psoriasica, attualmente si ritiene che in alcuni casi di AP il fattore reumatoide possa essere presente. L’esame del liquido sinoviale evidenzia un quadro di tipo infiammatorio con netto aumento dei globuli bianchi e questo dato ci permette di differenziare l’AP, soprattutto quando monoarticolare, dalle artropatie degenerative o meccaniche, tipicamente non flogistiche. Inoltre l’assenza di cristalli di monourato di sodio ci consente di escludere l’artrite gottosa .

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11 1.2 LA PSORIASI

DEFINIZIONE E PATOGENESI

La Psoriasi è un’affezione cutanea cronica infiammatoria, associata ad abnorme espansione vascolare. Le lesioni psoriasiche sono caratterizzate da placche e papule rotondeggianti, nettamente delimitate, ricoperte da squame argentee micacee.

La Psoriasi è certamente una delle patologie dermatologiche più comuni e diffuse. La prevalenza stimata della patologia nella popolazione mondiale è del 2%, ma molte sono le differenze geografiche ed etniche tanto che essa può ampiamente oscillare tra lo 0,5 e il 4%. In particolare la Psoriasi è più frequente nelle popolazioni caucasiche e meno tra gli asiatici ed afro-americani. In Europa colpisce maggiormente le popolazioni nordiche rispetto alle mediterranee. In Italia la prevalenza è stimata tra il 3,1% (studio Naldi) (6) e il 2,8% (studio PraKtis) (7). Si può quindi ritenere che gli italiani affetti dalla malattia siano 1,5 - 2,5 milioni. L’incidenza sembra essere uguale nei due sessi, ma alcuni autori individuano una prevalenza nel sesso maschile. La Psoriasi può fare il suo esordio in qualsiasi età della vita, potendo presentarsi sia nel neonato che nell’anziano, con picchi di incidenza tra i 20-30 anni e tra i 50–60 anni. Il 10% circa dei pazienti è affetto da forme particolarmente gravi (eritrodermiche o pustolose generalizzate). Nel 20–30% dei casi può associarsi l’AP (anche detta “artropatia psoriasica”).

La Psoriasi è da considerarsi come una patologia ad eziologia cosiddetta “multifattoriale”, nella quale intervengono sia fattori esogeni, che agiscono da innesco o trigger, inclusi fra questi le infezioni (batteriche o vitali, ad esempio HIV), lo stress e i farmaci (litio, β-bloccanti e antimalarici), sia fattori genetici. E’ stato infatti osservato che i parenti di primo grado di soggetti affetti da Psoriasi hanno un rischio 10 volte superiore rispetto alla restante popolazione di sviluppare la malattia. Le basi genetiche della psoriasi destano

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notevole interesse e sono stati identificati almeno 9 loci di suscettibilità (8). L'associazione genetica più significativa si trova nella regione dello Human Leukocyte Antigen (HLA) di classe I del cromosoma 6p21.3 e corrisponde all'HLA-CW6; tale locus è detto PSORS1 ed è coinvolto nel 30-50% dei casi. L'HLA-C è coinvolto nella presentazione dell’antigene verso le cellule CD8+ e Natural Killer-T (NK-T) (Figura 7).

Figura 7

Un ruolo importante nella patogenesi della malattia sembra essere svolto dal Tumor Necrosis Factor-α (TNF-α) e dal Vascular endothelial growth factor (VEGF), in quanto sia terapie con anticorpi monoclonali anti-TNF-α risultano efficaci nel ridurre le manifestazioni cliniche della Psoriasi sia anticorpi monoclonali anti-VEGF in modelli animali di psoriasi riducono l’infiammazione cutanea (9, 10).

Il meccanismo patogenetico alla base della psoriasi non è completamente chiarito: sembra tuttavia che un eccessivo turnover dei cheratinociti, dovuto ad inappropriati segnali a livello del sistema immunitario, determini la formazione di placche desquamanti, ispessite,

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infiammate ed eritematose. L’evento determinante di tale alterazione sarebbe un processo autoimmune guidato dai linfociti T (12, 13). L attivazione di tali cellule sarebbe responsabile della cronicizzazione ed amplificazione dell’ infiammazione con aumento della produzione da parte dei linfociti, delle cellule dendritiche, dei monociti e dei cheratinociti di citochine pro-infiammatorie, quali IL-2, TNF-α, IFN-gamma, transforming growth factor (TGF)-alpha/-beta e IL-8 (10).

In particolare sembra che il TNF-α induca i cheratinociti ad un’accelerata divisione cellulare ed un precoce differenziamento, tipico delle placche psoriasiche.

Nella patogenesi della psoriasi un ruolo chiave sembra essere svolto dal VEGF (14) prodotto in risposta alle citochine pro-infiammatorie. L’eccessiva produzione di VEGF sembrerebbe essere responsabile dell’aberrante angiogenesi che si sviluppa nella psoriasi, che è un evento precoce nell’evoluzione della placca psoriasica. Nelle placche psoriasiche infatti è stata osservata un’ aumentata permeabilità e proliferazione delle cellule endoteliali a livello dei plessi dei capillari venosi del derma papillare.

La formazione di nuovi vasi contribuisce all’approvvigionamento di sangue alla placca psoriasica favorendone lo sviluppo (11,14) e facilitando il richiamo delle cellule del sistema immunitario che vengono a formare l’infiltrato infiammatorio.

ASPETTI CLINICI

Il numero delle lesioni in corso di Psoriasi è molto variabile: talvolta può esserne presente una lesione isolata, talvolta multiple (manifestazione piu’ frequente) ed in casi estremi la psoriasi può coinvolgere l’intero tegumento (15). Le sedi elettive d’esordio della dermatosi sono le superfici estensorie degli arti (Figura 8) (gomiti e superficie ulnare dell’avambraccio, ginocchia e regioni pretibiali), il cuoio capelluto, la regione lombo-sacrale e periombelicale, la piega interglutea, la regione retro auricolare, ma ogni altro tratto di cute può essere primitivamente interessato.

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14 Figura 7

In relazione alla localizzazione e forma delle lesioni si determinano numerose varianti della malattia, come la psoriasi cronica a placche, che è la forma più frequente (80% dei casi), la psoriasi guttata, la psoriasi invertita.

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15 1.3 ANGIOGENESI

L’angiogenesi è la formazione di nuovi vasi sanguigni da vasi pre-esistenti, strettamente controllata da un delicato equilibrio tra fattori pro-angiogenici ed angiostatici. L’angiogenesi e’ un processo fondamentale sia in corso di stati fisiologici quali lo sviluppo fetale, la guarigione delle ferite ed il ciclo riproduttivo, che in condizioni patologiche come l’infiammazione, il rimodellamento tissutale patologico e i processi tumorali/metastatici. Nell’AP l’angiogenesi sembra svolgere un ruolo fondamentale già dalle prime fasi di infiammazione articolare contribuendo attivamente alla cronicizzazione di tale processo e al danno delle cartilagini e dell’ osso sub-condrale. L’angiogenesi è il risultato finale di una serie di eventi che si succedono in una sequenza programmata.

Il primo step è caratterizzato dalla liberazione di mediatori pro-angiogenici (fattori di crescita e metalloproteinasi) da parte di cellule del sistema immunitario (linfociti, monociti e neutrofili) e di cellule strutturali (cellule epiteliali, cheratinociti, fibroblasti, sinoviociti etc.) che promuovono la degradazione della membrana basale endoteliale e lo scollamento dalla parete vascolare di cellule connettivali dette periciti. Tale processo favorisce la successiva migrazione e proliferazione delle cellule endoteliali ed è regolato da fattori di crescita quali il VEGF ed il Fibroblast Growth Factor (FGF)-2. Nell’area perivascolare si viene quindi a creare il “primary sprout” o germoglio primario, con successiva formazione di un nuovo capillare ad ansa. Il nuovo vaso necessita di una successiva stabilizzazione con formazione di una nuova parete data dal riassemblaggio dei periciti intorno alle cellule endoteliali a formare una guaina. Una volta che la parete vasale è formata vengono rilasciati dei fattori angiostatici endogeni per controbilanciare i fattori angiogenici ed interrompere il processo di vascolarizzazione.

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Key stages in the process of angiogenesis. This diagram summarizes the steps involved in the formation of new capillary blood vessels. Steps include protease production, endothelial cell migration and proliferation, vascular tube formation,

anastomosis of newly formed tubes, synthesis of a new basement membrane and

incorporation of pericytes. Reproduced with permission from Lowe et al. Br J Dermatol 1995 © Blackwell Publishing [1].

Mentre nei processi fisiologici i fattori angiogenici ed angiostatici sono in equilibrio tra loro, in corso di eventi patologici i fattori angiogenici sembrano prevalere su quelli angiostatici con conseguente formazione di una eccessiva vascolarizzazione (16).

1.4 FATTORI PROANGIOGENICI

I fattori che regolano l’angiogenesi vengono in parte rilasciati dalle cellule infiammatorie che infiltrano il tessuto flogistico ed in parte dalle cellule strutturali. Tra questi mediatori

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ricordiamo i fattori di crescita, le citochine, le chemochine, i componenti della matrice extracellulare (ECM), gli enzimi proteolitici e le molecole di adesione (17).

I fattori di crescita principalmente coinvolti nell’angiogenesi vengono sintetizzati e rilasciati dalle cellule stromali ed infiammatorie e successivamente si legano alla ECM, ai proteoglicani e alle membrane cellulari dove si trovano in forma inattiva. Dopo azione proteolitica da parte di alcune metalloproteinasi della matrice (MMPs) questi fattori di crescita vengono liberati e resi attivi, attivando le cellule endoteliali e altre cellule tissutali quali le cellule epiteliali, i fibroblasti e i sinoviociti.

1.4.1 VEGF: VASCULAR ENDOTHELIAL GROWTH FACTOR

Tra i fattori di crescita vascolare il VEGF è il fattor pro-angiogenico piu’ importante con un ruolo prevalentemente mitogenico selettivo per le cellule endoteliali. Con il termine VEGF si indica una specifica sottofamiglia di fattori di crescita coinvolta sia nella vasculogenesi (intesa come genesi ex novo di un sistema circolatorio in età embrionale) sia nell'angiogenesi (la formazione di vasi da strutture già esistenti). La proteina più importante di questa categoria è il VEGF-A, in origine chiamato VEGF prima della scoperta delle altre proteine di questa famiglia. Ne fanno parte anche la P1GF (proteina placentare coinvolta nello sviluppo prenatale), il VEGF-B, il VEGF-C ed il VEGF-D. Tutti i membri della famiglia VEGF stimolano risposte cellulari legandosi ai recettori tirosina-chinasi sulla superficie cellulare, forzandone la dimerizzazione e l'attivazione tramite transfosforilazione. I recettori per VEGF hanno una porzione extracellulare consistente in 7 domini simili a quelli delle immunoglobuline, una singola porzione trans-membrana e una porzione intracellulare contenente un dominio tirosin-chinasi. Il VEGF-A si lega ai recettori VEGFR-1 e VEGFR-2: di questi il secondo è quello responsabile della maggior

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parte delle risposte cellulari indotte dal VEGF. Il primo invece, meno conosciuto, si pensa svolga un ruolo di modulazione del VEGFR-2. Un’ipotesi recente è che il VEGFR-1 possa agire da inibitore competitivo nei confronti del VEGFR-2 soprattutto in età embrionale. Esiste inoltre un terzo recettore, il VEGFR-3, in grado di legare le isoforme VEGF-C e VEGF-D che svolgono un ruolo chiave nella linfoangiogenesi (18).

IL VEGF viene sintetizzato principalmente da cellule del sistema immunitario quali macrofagi e monociti in risposta allo stimolo di citochine pro-infiammatorie (TNF-a e l’interleuchina-1[IL-1]). Tramite legame con il VEGFR-2, tale fattore stimola la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali con conseguente formazione di nuovi vasi. L’ ipossia e’ stata recentemente identificata come condizione rilevante nella produzione di VEGF in corso di infiammazione. La riduzione della tensione di ossigeno a carico del tessuto porterebbe all’aumento della produzione della famiglia dell’ hypoxia inducible factors (HIF-1, e HIF-2) da parte di cellule infiammatorie quali macrofagi e monociti e successivamente alla sintesi di VEGF. L’asse ipossia-HIF-VEGF è cruciale nella regolazione dell’infiammazione associata all’angiogenesi; tuttavia esistono altri meccanismi che regolano la produzione di VEGF quale, per esempio, la sintesi di nitrossido (NO) e l’attivazione di prostaglandine. Il VEGF interagisce successivamente con altri fattori di crescita, per esempio l’Angiopoietina-1 (Ang-1) che svolge il suo ruolo di stabilizzatore dei vasi tramite recettore Tie-2 espresso sulle cellule endoteliali (18,19).

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Altri mediatori coinvolti nell’angiogenesi includono la famiglia dei FGFs, l’HGF, l’endotelina (ET)-1, il platelet derived growth factor (PDGF), l’epidermal growth factor (EGF), l’insulin growth factor (IGF) ed il TGF-b.

1.4.2 FIBROBLAST GROWTH FACTORS: (FGFs)

L’FGF-1 e l’FGF-2 sono potenti fattori mitogenici appartenenti alla famiglia degli FGFs che svolgono un ruolo fondamentale nelle prime fasi dell’angiogenesi.

Con il termine FGF si indica una famiglia di fattori di crescita (22 membri) che promuovono l’angiogenesi, permettono la fisiologica riparazione tissutale e lo sviluppo embrionale. In particolare l’FGF-2 è fisiologicamente presente nella membrana basale e nella ECM subendoteliale dei vasi sanguigni. Si trova legato alla membrana cellulare e alla ECM in stato di inattivazione. Mediante proteolisi tale fattore di crescita viene liberato e successivamente reso attivo. E’ stato ipotizzato che, sia durante la riparazione tissutale che durante la crescita tumorale, l’eparan solfato sia uno dei responsabili dell’attivazione di FGF-2 e della successiva vascolarizzazione.

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Inoltre l’FGF-2, in sinergia con altri fattori pro-angiogenici, induce la formazione di reti vascolari che rimangono stabili nel tempo (20).

1.4.3 CITOCHINE CHEMOCHINE PRO-ANGIOGENICHE

Tra le citochine pro-infiammatorie con azione pro-angiogenica ricordiamo il TNF-α, IL-1, IL-6, IL-15, IL-17, IL-18, l’Oncostatina M, il macrophage migration inhibitory factor (MIF), il granulocyte e il granulocyte-macrophage colony-stimulating factors (G-CSF e GM-CSF). Tali citochine svolgono un’azione pro-angiogenica indirettamente, promuovendo la cronicizzazione ed amplificazione dell’infiammazione, modulando direttamente i componenti della parate vasale, della ECM e delle cellule strutturali. Risultato comune dell’ azione delle citochine è l’aumento di sintesi e rilascio di VEGF da parte della componente cellulare insieme ad altri fattori di crescita pro-angiogenici (19). Un ruolo importante nel processo angiogenico viene svolto dalle chemochine, fattori chemotattici responsabili del reclutamento delle cellule infiammatorie a livello tissutale. Alcune chemochine svolgono un ruolo attivo sia nei processi dell’infiammazione che dell’angiogenesi. La maggior parte delle chemochine della famiglia delle CXC contenenti la sequenza amminoacidica glutamyl-leucyl-arginyl (ELR) stimolano la neovascolarizzazione come, per esempio, l’IL-8. Tale chemochina è il fattore chemotattico principale per i neutrofili ed agisce direttamente sulle cellule endoteliali mediante recettore CXCR8, promuovendo la loro proliferazione e migrazione. Tra la famiglia delle chemochine CC ricordiamo l’eotassina, responsabile del reclutamento degli eosinofili, che, agendo sul suo recettore CCR3 espresso sull’endotelio, stimola anch’essa la proliferazione e migrazione delle cellule endoteliali. Il fattore chemotattico per i monociti e linfociti

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21 MCP-1 svolgerebbe un ruolo pro-angiogenico attraverso la modulazione del rimodellamento della ECM.

L’adesione tra cellule infiammatorie e ECM e tra cellule infiammatorie e parete vasale è strettamente regolata dalle molecole di adesione cellulare (CAMs) quali per esempio la famiglia delle integrine e delle selectine.

Fra le integrine, ricordiamo l’α4β1, α5β1 e αvβ3 che svolgono un ruolo centrale nell’angiogenesi favorendo l’adesione tra le cellule endoteliali ed i componenti della ECM. In particolare l’α4β1 permette il legame delle cellule endoteliali con la fibronectina, l’α5β1 con la laminina e l’αvβ3 con fibronectina ed osteopontina, promuovendo la migrazione delle cellule endoteliali attraverso la ECM (18).

1.5 FATTORI ANGIOSTATICI

L’angiogenesi, in condizioni fisiologiche, è regolata dall’equilibrio tra fattori pro- ed anti-angiogenici che sono responsabili dell’omeostasi vascolare. Esiste un gran numero di molecole ad azione anti-angiogenica prodotte naturalmente o sintetiche. Alcune di esse sono già state proposte come terapia per ridurre la neovascolarizzazione tumorale e/o associata a processi infiammatori cronici. Gli inibitori endogeni dell’angiogenesi sono proteine o frammenti di proteine prodotte dall’organismo che inibiscono la formazione dei vasi. Esistono almeno 27 diverse molecole con questa funzione che si possono ritrovare nel circolo sanguigno in condizioni fisiologiche. Gli inibitori endogeni possono essere frammenti di grosse molecole della ECM rilasciate dopo proteolisi da parte degli enzimi; frammenti di ormoni, fattori della coagulazione e proteine del sistema immunitario.

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22 1.5.1 ENDOSTATINA

In particolare, l’Endostatina, fattore di inibizione dell’angiogenesi purificato per la prima volta nel 1997 dall’emangioma di topo, è riconosciuta come l’inibitore endogeno principale per il VEGF. L’Endostatina è un polipeptide di 184 amminoacidi dal peso molecolare di 20-22 KDa; è costituito dal frammento carbossi-terminale del collagene di tipo XVIII (componente della ECM dei vasi sanguigni), che viene prodotto dall’azione proteolitica di enzimi quali MMPs, elastasi e catepsine. L’endostatina è uno dei principali inibitori endogeni dell’angiogenesi: inibisce infatti la migrazione e la proliferazione delle cellule endoteliali causandone l’arresto cellulare in fase G1 e inducendone l’apoptosi. Tali effetti sono dovuti all’ azione di blocco del legame delle isoforme VEGF165 e VEGF121 con il loro recettore funzionale VEGFR-2. Inoltre ha un effetto di stabilizzazione dei legami tra cellule/cellule e cellule/ECM promuovendo la fase di stabilizzazione vascolare.

1.5.2 TROMBOSPONDINA-1 (TSP-1)

Insieme all’endostatina la TSP-1 rappresenta un importante fattore angiostatico. E’ una glicoproteina della ECM fisiologicamente prodotta dai macrofagi e da cellule strutturali quali fibroblasti e sinoviociti. In condizioni fisiologiche la TSP-1 si trova adesa alla superficie cellulare o sulla ECM mediante il suo dominio N-terminale. La sua funzione anti-angiogenica sembra dovuta soprattutto all’ azione di inibizione di fattori di crescita pro-angiogenici legati all’ eparina (22). Nonostante il suo ruolo di stabilizzazione della parete del vaso, recentemente e’ stato dimostrato che quando viene prodotta in quantità elevata, la TSP-1 promuoverebbe lo scollamento delle cellule endoteliali dalla ECM circostante (23).

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1.6 L’ANGIOGENESI NELLE SPONDILOARTRITI

L’angiogenesi è un processo fondamentale che prende parte già alle prime fasi dell’infiammazione. I processi infiammatori e la condizione di ipossia che si generano a carico delle articolazioni porterebbero alla formazione di nuovi vasi con conseguente amplificazione della stessa infiammazione.

Diversi studi riportano un aumento dei livelli nel siero, nella membrana sinoviale e nel liquido sinoviale di vari fattori pro-angiogenici in corso di AR (24) tuttavia sono ancora piuttosto scarsi i dati sui livelli di tali fattori nel siero e a livello articolare di soggetti con spondiloartriti. Nell’AR è stato infatti riscontrato un aumento sierico di VEGF, soprattutto nelle fasi precoci della patologia, che correla con il grado di severità dell’artrite stessa. Fattori pro-angiogenici quali VEGF, FGF-2 ed Ang-2 aumentano in corso di AP ed SA sia nel liquido che nel tessuto sinoviale (19,25). In particolare il VEGF aumenta in modo significativo nel siero di soggetti con AP rispetto ai controlli sani con valori significativamente maggiori nelle forme attive rispetto a quelle inattive della malattia.

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Sulla base di alcuni studi, il VEGF in soggetti con AP correla inoltre con gli indici di infiammazione quali VES, PCR e BASDAI (Bath Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index) score. Oltre ai fattori di crescita e alle MMPs (in particolare la MMP-9), il TNF-α ed i suoi recettori solubili sTNFRI e sTNFRII sono risultati aumentati nel liquido e tessuto sinoviale di soggetti con spondiloartriti rispetto a soggetti sani. E’ stato dimostrato che il TNF-a svolge un ruolo importante non solo nel processo infiammatorio ma anche nella formazione di nuovi vasi. Esso, infatti, promuove l’angiogenesi stimolando da una parte la proliferazione delle cellule endoteliali e dall’ altra il rimodellamento tissutale indispensabile per la formazione di nuovi vasi. La terapia con farmaci biologici che bloccano l’azione del TNF-a in pazienti con AP ed AR ha inoltre dimostrato di ridurre rapidamente l’ispessimento della membrana sinoviale e la sua vascolarizzazione con down-regulation dei comuni markers delle cellule endoteliali (18).

In corso di AP i vasi sanguigni del tessuto sinoviale presentano alterazioni strutturali e funzionali. E’ stato dimostrato che vasi immaturi possano coesistere con vasi in forma matura o in fase di regressione. I periciti possono non aderire strettamente alle cellule endoteliali sottostanti o, in alcuni casi, essere completamente assenti. Parte delle alterazioni a carico dei periciti sinoviali in corso di AP ed SA sembrano dovute alla riduzione di piu’ del 50% delle molecole di adesione neuronali (NCAM) importanti per la stabilizzazione dei periciti all’endotelio. Il reclutamento dei periciti e l’espressione di NCAM sono infatti fattori critici per la stabilizzazione dei vasi.

La presenza di vasi instabili nelle articolazioni di soggetti con artriti croniche è causata da un ambiente fortemente ipossico, un’incompleta interazione tra cellule endoteliali e periciti ed un aumento del danno ossidativo con conseguente danno del DNA cellulare. Tali cambiamenti in termini di stabilizzazione dei periciti non vengono invece riscontrati

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nell’angiogenesi in corso di osteoartrosi suggerendo una singolarità dei processi angiogenici delle artriti croniche (1).

1.6 ANGIOGENESI NELL' ARTRITE PSORIASICA E PSORIASI

1.6.1 ANGIOGENESI NELL’ARTRITE PSORIASICA

Il processo di angiogenesi è controllato da una varietà di fattori pro-angiogenici ed angiostatici il cui equilibrio determina la qualità e la quantità dei vasi neoformati.

Sono stati descritti vari tipi di morfologia vascolare, mediante esame artroscopico, nell’AR e nelle artriti sieronegative come l’AP (26).

Precedenti studi hanno infatti dimostrato un aumento dell’angiogenesi e una diversa morfologia vascolare nella membrana sinoviale delle artriti infiammatorie croniche durante le fasi precoci della patologia. Tali caratteristiche sono associate ad una diversa espressione di fattori pro-angiogenici nel liquido e nel tessuto sinoviale (1,27). E’stato

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inoltre dimostrato in artroscopia che la membrana sinoviale nell’AP è più vascolarizzata rispetto a quella nell’AR. Nell’AR i vasi si presentano soprattutto rettilinei e ramificati mentre nell’AP la morfologia tipica dei vasi è allungata, tortuosa e con aspetto a cespuglio; inoltre la vascolarizzazione dei villi si presenta con un’intensità maggiore. Tali caratteristiche vascolari dell’AP riassumono un quadro di angiogenesi anomala od immatura (25). Gli studi in letteratura riportano un aumento di livelli di VEGF nel siero, nel liquido e nella membrana sinoviale di pazienti con artriti croniche attive rispetto alle forme inattive ed ai soggetti normali (7). Il VEGF è inoltre considerato un buon indicatore dell’attività della malattia; i livelli di VEGF infatti sono aumentati nelle forme di artriti all’ esordio rispetto alle forme avanzate e trattate farmacologicamente. Si pensa che il VEGF circolante possa essere un buon marcatore di follow-up della malattia, in quanto una sua riduzione si correla direttamente con la remissione della malattia (28-29). E’ importante sottolineare che i valori di VEGF nelle articolazioni, pur essendo aumentati in tutte le forme di artriti croniche, sono più elevati nelle forme precoci di AP rispetto a quelle precoci di AR. Una stretta correlazione, inoltre, è stata dimostrata tra i livelli di VEGF articolare ed il numero e l’aspetto dei vasi in tutte le forme di artriti infiamamtorie croniche.

L’FGF-2, come il VEGF, aumenta sia nell’AR che nelle spondiloartriti (21), tuttavia non sono state riscontrate differenze a livello articolare, in termini di FGF-2, tra AP ed AR od altre forme di artriti (30). Insieme al VEGF ed all’FGF-2 è stato dimostrato un aumento superiore del TGF-b1 nel liquido sinoviale di pazienti con AP rispetto ai livelli nell’AR. Gli aspetti angiogenici caratteristici dell’AP sembrano giustificare il maggior volume di liquido sinoviale trovato nell’AP rispetto alle altre artropatie (7).

Appare ragionevole quindi ipotizzare che l’espressione dei fattori pro-angiogenici nella membrana sinoviale possa rispecchiare i diversi aspetti fenotipici dei vasi riscontrati in

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forme diverse di artriti infiammatorie croniche nelle fasi precoci di malattia, in particolare nell’AP e nell’AR (21). Questa ipotesi trova conferma nell’osservazione di caratteristiche patologiche diverse nelle diverse forme di artriti; ad esempio, le erosioni articolari nell’AP sono minori che nell’ AR e la progressione della distruzione articolare è più lenta nella AP rispetto alla AR anche se può portare anch’essa a disabilità.

Questi dati potrebbero quindi avere un’importante implicazione terapeutica. Infatti il giusto approccio terapeutico è finalizzato non solo al controllo dell’infiammazione ma anche dell’angiogenesi, due processi che vanno di pari passo nelle artriti croniche infiammatorie (19). Una terapia efficace dovrebbe quindi agire a livello della vascolarizzazione sinoviale nelle fasi di esordio della malattia (1).

1.6.2 ANGIOGENESI NELLA PSORIASI

Nella psoriasi le citochine prodotte dai cheratinociti sono in grado di indurre non solo un’aumentata proliferazione cheratinocitaria, ma sono anche capaci di mediare l’espressione di molecole di adesione sull’endotelio vascolare. La stretta correlazione tra alterazione del microcircolo e epidermide è un elemento fondamentale nella comprensione dei meccanismi patogenetici nella psoriasi. Numerosi studi suggeriscono infatti che i più precoci cambiamenti che si verificano nelle lesioni psoriasiche si realizzino proprio a carico del microcircolo. È infatti dimostrato che la dilatazione e la tortuosità delle anse capillari dermiche si formano prima che l’iperplasia epidermica sia rilevabile istologicamente e che l’incremento del flusso sanguigno sia evidenziabile prima che si realizzi qualsiasi modificazione epidermica rilevabile istologicamente (31). Tra i più importanti fattori proangiogenetici ci sono certamente il TNFα e il VEGF (32). I livelli del VEGF risultano essere fortemente aumentati sia nel siero che nella cute dei pazienti

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psoriasici e strettamente correlati al valore del Psoriasic Area and Severity Index (PASI) (33). I recettori del VEGF (flt-1 e KDR), risultano iper-espressi. In vitro le tre principali isoforme di VEGF vengono espresse soprattutto dai cheratinociti e in minima parte dai fibroblasti. È stato inoltre osservato che i cheratinociti dei soggetti affetti da psoriasi, rispetto a a quelli dei soggetti sani, presentano una ridotta produzione di trombospondina 1 (TPS-1) e un’ aumentata produzione di IL-8 (34).

1.7 TERAPIA DELL’ARTRITE PSORIASICA

In tutte le artriti croniche infiammatorie il primo approccio è l’utilizzo dei farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) utili per le manifestazioni cliniche più lievi. La mancata risposta clinica ai FANS porta all’introduzione di altre classi di farmaci. I corticosteroidi sistemici con azione sia anti-infiamamatoria che immunsoppressiva possono essere utili in tutte le forme di artriti infiammatorie, tuttavia per i loro effetti indesiderati è necessario valutare la durata della terapia ed i loro dosaggi. I pazienti che non rispondono alla terapia coi FANS o che hanno una patologia progressiva possono avere necessità di ricorrere ai DMARDs (Disease Modifying Antirheumatic Drugs) (35), la maggior parte dei quali, tuttavia, ha efficacia diversa a seconda della localizzazione dell’infiammazione e del tipo di artrite, dimostrando di essere d’aiuto per le artriti periferiche ma non per le patologie assiali e per le enteropatie; quindi tali farmaci non sono efficaci nella SA, dove i FANS rimangono i farmaci più utilizzati (19).

Dopo la dimostrazione che gli agenti anti TNF-α sono efficaci nel trattamento dell’AR, l’effetto di questa terapia è stato studiato nelle spondiloartriti, comprese l’AP e la SA mostrando in queste patologie un’efficacia addirittura maggiore rispetto all’AR (36). I TNF-α blockers hanno dimostrato di essere utili nel trattamento di molte espressioni cliniche della patologia infiammatoria articolare incluse le artropatie periferiche, il

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coinvolgimento assiale, le entesopatie e le manifestazioni extraarticolari con un effetto di rallentamento della progressione della malattia. Tuttavia e’ stato dimostrato che nella SA, ma non nell’AP, gli anti-TNF-α non bloccano la progressione radiologica della patologia (7,37) con una mancata risposta nel 20-25% dei pazienti (37).

Risulta evidente la necessità di tenere in considerazione non solo il tipo di artrite da trattare ma anche il tipo di articolazione coinvolta, l’ attività della malattia e la risposta individuale alla terapia (39). Risulta quindi fondamentale, per il tipo di trattamento da intraprendere nelle diverse forme di artriti croniche infiammatorie, considerare il diverso pattern di vascolarizzazione articolare ed i livelli dei fattori che regolano l’angiogenesi. Oggi sappiamo che la somministrazione di agenti biologici anti TNF-a riduce i livelli circolanti di VEGF, FGF-1 e di altri mediatori pro-angiogenici (21,40), tuttavia non sono ancora disponibili in letteratura dati sui livelli dei fattori angiostatici e di una loro risposta alla terapia.

1.8 TERAPIA DELLA PSORIASI

Per ciò che riguarda l’affezione cutanea, lo scopo del trattamento consiste nell’indurre una riduzione delle lesioni tale che esse risultino tollerabili per il paziente sia da un punto di vista funzionale che psicologico. Nell’ambito del trattamento della psoriasi si distingue il trattamento non farmacologico ed il trattamento farmacologico topico e sistemico.

Terapia non farmacologica della psoriasi

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L'elioterapia è la più comune terapia per la psoriasi. I raggi UV sia nella banda UVA sia UVB esercitano un'azione riducente per la psoriasi. Lo spettro di radiazioni solari agisce meglio che le singole radiazioni UV artificiali, pertanto si può ritenere l'esposizione alla luce solare una vera e propria terapia per la psoriasi. L'elioterapia va eseguita preferibilmente in ambiente marino dove è più facile trascorrere molte ore senza indumenti. Particolarmente efficace l'elioterapia sul Mar Morto dove le radiazioni UVA sono particolarmente intense e dove la salinità del mare contribuisce alla riduzione di spessore delle placche psoriasiche favorendo l'allontanamento delle squame cornee (decapaggio).

- UVB fototerapia a banda stretta

Questa terapia richiede il trattamento con lampade che emettono nella banda UVB di 311-313 nm. Con questa tecnica si ottengono validi risultati terapeutici nell'80% dei casi. - PUVA fototerapia

Questa metodica combina una fototerapia con raggi UVA (lunghezza d'onda 320-400 nm) con lo psoralene metoxalene. Il metoxalene causa una fotosensibilizzazione ed é assunto oralmente due ore prima della foto-esposizione. Il rischio maggiore della PUVA terapia è lo sviluppo di carcinomi spinocellulari. Attualmente l'uso dei raggi ultravioletti è molto più limitato rispetto al recente passato, sia per i problemi di carcinogenesi fotoindotta sia perché queste metodiche sono considerate troppo lunghe e costose.

Quando la dermatosi si fa più estesa e importante, si ricorre a trattamenti farmacologici.

Terapia farmacologia della psoriasi

Il trattamento topico della psoriasi si articola classicamente in due fasi: 1) Il decapaggio delle lesioni mediante topici cheratolitici (acido salicilico);

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2) Il trattamento dell’infiammazione sottostante mediante cortisonici locali. I trattamenti sistemici sono indispensabili solamente nelle forme gravi di psoriasi.

Tra i farmaci maggiormente utilizzati possiamo citare la ciclosporina, i retinoidi, il metotrexate e i farmaci biologici, in particolare i farmaci anti TNFα (infliximab, adalimumab e etanercept).

Recentemente è stato inoltre approvato l’uso di un nuovo farmaco biologico, Alefacept (Amevive), in grado di produrre un effetto di riduzione apoptotica selettiva sulle cellule T memoria. La FDA ha approvato questo nuovo trattamento per i pazienti adulti affetti da psoriasi cronica a placche moderata-grave, destinati a terapia sistemica o a fototerapia. È opportuno ricordare che tutti i principali trattamenti a disposizione (ciclosporina, retinoidi, methotrexate, biologici) presentano numerosi effetti collaterali, che ne limitano le indicazioni e impongono una stretta sorveglianza delle condizioni del malato (37).

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32 2. SCOPO DELLA TESI

Scopo dello studio è quello di valutare i livelli dei fattori angiogenici VEGF ed FGF-2 e dei loro fattori di inibizione endogeni Endostatina e TSP-1 nel siero di pazienti con AP durante il loro follow-up in trattamento con cortisonici e DMARDs. I livelli di fattori angiogenici e angiostatici sono stati confrontati con quelli misurati in pazienti con psoriasi e in soggetti sani: Sono poi state valutate eventuali differenze tra fattori angiogenici ed angiostatici in sottogruppi di pazienti trattati con farmaci anti-infiammatori e/o con DMARDs o con farmaci biologici.

3. PAZIENTI E METODI

3.1 PAZIENTI

Abbiamo selezionato presso l’U.O. Reumatologia del Dipartimento di Medicina Interna 26 pazienti con AP nei quali la diagnosi è stata fatta sulla base dei criteri CASPAR e sottoposti a piani terapeutici differenti a seconda del quadro clinico. Come gruppi di controllo abbiamo selezionato presso l’U.O. Dermatologia Ospedale Campo di Marte (Lucca) 26 pazienti con psoriasi classificati sulla base della severità delle manifestazioni cutanee mediante l’indice PASI (Psoriasis Area and Severity Index) e 41 soggetti sani. Sia i pazienti con AP e con psoriasi erano ben controllati dalla terapia farmacologica. Una volta ottenuto il consenso informato, tutti i pazienti con AP e psoriasi seguiti rispettivamente presso l’UO di Reumatologia e presso la UO di Dermatologia sono stati sottoposti ad un prelievo di 4 ml di sangue venoso periferico. Dopo separazione mediante centrifugazione a 2000 rpm per 10 minuti, il siero ottenuto è stato congelato a -20 °C per

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dosare i fattori angiogenici/angiostatici; 41 donatori sani (NHS) provenienti dall’ospedale di Pisa sono stati inclusi come controlli.

3.2 METODICA

Il metodo utilizzato è stato il “sandwich ELISA” (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay) (Duo-Set R&D, Systems Minneapolis, MN, USA), come da protocollo. In particolare, il test prevede l’analisi quantitativa di citochine e fattori di crescita utilizzando una piastra da 96 pozzetti. Il primo step prevede l’incubazione sulla superficie della piastra di un anticorpo monoclonale di topo diretto verso la molecolea da dosare. Dopo 18 ore di incubazione a temperatura ambiente, la piastra è stata lavata tre volte con PBS contenente 0,05% Tween 20 per eliminare l’eccesso di anticorpo. La piastra è stata quindi saturata con PBS contenente 1% di albumina sierica bovina (BSA) per un’ora a temperatura ambiente. Per la valutazione quantitativa è stato necessario preparare la curva standard utilizzando una quantità nota dell’antigene ricombinante da dosare. La curva comprende 7 concentrazioni scalari dell’antigene ricombinante. Come controllo negativo è stato utilizzato un campione in cui l’ antigene è stato omesso. Dopo un ulteriore lavaggio, i pozzetti sono stati caricati in duplicato o con siero di pazienti con AP, psoriasi e controlli sani opportunamente diluito in BSA 1%, oppure con i sieri di controlli o con la curva standard. Dopo 2 ore di incubazione, l’eccesso di antigene è stato eliminato mediante 3 lavaggi con PBS, Tween 0,05% e la piastra è stata incubata con un anticorpo secondario (anticorpo policlonale prodotto nella capra, legato alla biotina e diretto verso gli antigeni umani da dosare). Successivamente, dopo aver lavato l’anticorpo secondario in eccesso con i tre lavaggi in PBS, Tween 0,05%, i pozzetti sono stati incubati per 20 minuti a temperatura ambiente con la streptoavidina coniugata con perossidasi di rafano diluita 1/200. La reazione è stata sviluppata mediante incubazione per 20 minuti con il substrato

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Tetra Metil Benzidina (TMB- Sigam-Aldrich). La reazione enzimatica è stata successivamente bloccata con H2SO4 (2N) e la piastra è stata analizzata allo spettrofotometro alla lunghezza d’onda (OD) di 450 nm. I dati della quantità di antigene da determinare sono stati ottenuti sulla base dei valori della curva standard, utilizzando il programma Excel.

Nel test sandwitch-ELISA, le molecole da dosare (VEGF, FGF-2, Endostatina e TSP-1) funzionano da “ponte”: maggiore è la quantità di antigene presente nei campioni, maggiore sarà la densità ottica rilevata dallo spettrofotometro. Questa metodica è altamente specifica poiché vengono ridotte le possibili cross-reattività od interferenze con altre isoforme dei mediatori dosati. Solo nel caso del VEGF il nostro test riconosce due isoforme della molecola, l’isoforma 165 e 121, quelle maggiormente presenti nell’uomo.

3.3 DOSAGGIO DEI FATTORI ANGIOGENICI E ANGIOSTATICI

Per il dosaggio sierico del VEGF, dell’ FGF-2, dell’ Endostatina e della TSP-1 nei soggetti con AP, SA, AR e nei controlli sani sono stati utilizzati i Duo-set ELISA (catalog number DY293B per il VEGF, DY233 per l’ FGF-2, DY1098 per l’Endostatina e DY3074 per la TSP-1). La procedura precedentemente descritta prevede l’utilizzo di un anticorpo monoclonale di topo diretto verso le quattro sostanze da dosare (Capture Antibody) che viene diluito in PBS 1% alla concentrazione finale di 1.0 µg/ml per il VEGF e per la TSP-1, di 2.0 µg/mL per l’FGF-2 e di 4.0 µg/ml per l’Endostatina. Per la preparazione della curva standard sono state eseguite diluizioni scalari ottenendo 7 concentrazioni comprese, nel caso del VEGF, tra 2000 pg/ml e 31,25 pg/ml, per l’FGF-2 tra 1000 pg/ml e 15,65

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pg/ml e per l’Endostatina tra 4000 pg/ml e 62,5 pg/ml e per la TSP-1 tra 100 ng/ml e 1,5625 ng/ml. Il Detection Antibody (anticopo policlonale prodotto nella capra, legato alla biotina e diretto rispettivamente verso gli antigeni umani VEGF165,121 , FGF-2, Endostatina, TSP-1) è stato diluito alla concentrazione di 100 ng/ml per VEGF ed Endostatina, di 250 ng/ml per FGF-2 e 200 ng/ml per la TSP-1. I sieri sono stati caricati indiluiti per il VEGF e l’FGF-2, diluiti 1/200 per Endostatina e TSP-1

I dati quantitativi dei fattori VEGF, FGF-2 e endostatina sono espressi in pg/ml; quelli della TSP-1 in ng/ml.

3.4 ANALISI STATISTICA

I dati relativi ai dosaggi di VEGF, FGF-2, Endostatina e TSP-1 sono espressi come media + deviazione standard di ogni campione valutato in duplicato. Per lo studio statistico è stato utilizzato il Software GraphPad ed il programma GraphPad Prism 5 per l’analisi dei dati. I dati dei 3 gruppi sono stati analizzati mediante il test non parametrico di Mann-Whitney. La probabilità inferiore a 0.05 è stata considerata statisticamente significativa.

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36 4. RISULTATI

4.1 LIVELLI DI VEGF NELL'ARTRITE PSORIASICA E PSORIASI

Abbiamo selezionato 26 pazienti con AP [età: 55 (21-79); M/F: 10/16] in cui la malattia e’ ben controllata dalla terapia. Dei 26 pazienti selezionati, 9 erano in terapia con farmaci antinfiammatori (FANS/GCs), 7 con associazione antinfiammatori/DMARDs e 10 con soli DMARDs.

Nel siero di questi pazienti abbiamo dosato il VEGF, importante fattore pro-angiogenico che agisce mediante legame con il recettore VEGFR2 espresso sulle cellule endoteliali e l’FGF-2, fattore angiogenico che promuove la proliferazione e differenziazione delle cellule endoteliali. I livelli sierici riscontrati nei pazienti con AP sono stati confrontati con i livelli dosati nel siero di 26 pazienti con psoriasi [età: 58 (37-91); M/F: 10/16] anch’essi con un buon controllo di malattia e in 41 soggetti sani.

Come rappresentato nella Figura 1 i livelli sierici di VEGF (A) e FGF-2 (B) nei soggetti con AP sono sovrapponibile a quelli con psoriasi e ai controlli sani.

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Figura 1A

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4.2 LIVELLI SIERICI DEI FATTORI ANGIOSTATICI ENDOSTATINA E TSP-1

I livelli dei fattori pro-angiogenici VEGF e FGF-2 sono regolati da mediatori angiostatici. Tra questi l’ Endostatina, fattore endogeno più potente, sembra modulare l’attività pro-angiogenica del VEGF e la TSP-1 del FGF-2. Per tale motivo insieme al VEGF ed all’FGF-2 abbiamo dosato i livelli di Endostatina e TSP-1 per valutare una possibile alterazione dell’equilibrio tra fattori angiogenici ed angiostatici nei pazienti con AP in cui la malattia e’ ben controllata dalla terapia farmacologica. Come indicato in Figura 2, i livelli di Endostatina (A) e TSP-1 (B) sono significativamente aumentati sia nell’AP che nella psoriasi rispetto ai controlli sani.

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Figura 2B

Non abbiamo rilevato differenze significative nei livelli sierici di Endostatina e TSP-1 tra i pazienti con AP in terapia con soli antinfiammatori e quelli con antinfiammatori e DMARDs o solo DMARDs.

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41 5. DISCUSSIONE

Nella AP, l’angiogenesi sembra svolgere un ruolo fondamentale già dalle prime fasi di infiammazione articolare contribuendo attivamente alla cronicizzazione di tale processo e al danno delle cartilagini e dell’ osso sub-condrale. Diversi studi riportano un aumento dei livelli nel siero, nella membrana sinoviale e nel liquido sinoviale di fattori pro-angiogenici in corso di AR (15), tuttavia sono ancora piuttosto limitati i dati sui livelli di tali fattori nel siero e nella sinovia di soggetti con AP. E’ importante sottolineare che in letteratura non vi sono ad oggi dati sui fattori angiostatici endogeni in pazienti con AP. Questi mediatori svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione dei fattori angiogenici ed un loro disequilibrio porta ad un’alterazione morfologica e funzionale dei vasi a livello tissutale. Pertanto nel nostro studio abbiamo preso in esame non solo fattori pro-angiogenici ma anche i loro down-regolatori endogeni. In particolare abbiamo dosato i livelli sierici di VEGF ed FGF-2 in 26 pazienti con AP nei quali la malattia e’ ben controllata dalla terapia farmacologica. In parallelo, negli stessi sieri, sono stati misurati Endostatina e TSP-1, fattori angiostatici rispettivamente del VEGF e dell’FGF-2. Come gruppi di controllo abbiamo selezionato soggetti sani ed un gruppo di pazienti affetti da psoriasi, patologia cronica cutanea che può presentarsi come entità indipendente od associata ad AP. In tale patologia la componente angiogenica e’ stata ampiamente dimostrata con particolare riguardo per il ruolo del VEGF nella progressione della malattia.

I nostri dati hanno evidenziato che i livelli di VEGF e di FGF-2 nel siero di soggetti con AP e psoriasi sono sovrapponibili a quelli riscontrati nei soggetti sani. In letteratura vengono riportati livelli aumentati di fattori angiogenici come il VEGF nei pazienti con AP nei quali la malattia non e’ ben controllata dalla terapia farmacologica o all’ esordio della malattia. I nostri risultati indicano quindi che quando la malattia e’ ben controllata dalla terapia farmacologica i livelli dei fattori angiogenici VEGF ed FGF-2sono sovrapponibili a

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quelli dei soggetti sani. Anche nei pazienti con psoriasi in cui la malattia è ben controllata dal trattamento si osservano livelli di fattori pro-angiogenici simili ai soggetti normali. Un’azione dei farmaci comunemente impiegati nella terapia di queste forme morbose sull’angiogenesi è nota, anche se i meccanismi non sono del tutto chiari. I FANS/GCs agirebbero sull’angiogenesi indirettamente attraverso la riduzione del processo infiammatorio, fondamentale per lo sviluppo e l’amplificazione dell’angiogenesi. I DMARDs agirebbero attraverso vari meccanismi inclusa la soppressione della produzione di mediatori sia dell’ infiammazione che della neovascolarizzazione (10). Bloccando la produzione di fattori angiogenici si ridurrebbe la migrazione e proliferazione delle cellule endoteliali con conseguente arresto della formazione dei vasi.

I fattori pro-angiogenici sono strettamente regolati dai fattori angiostatici. Per tale motivo abbiamo ritenuto fondamentale dosare insieme al VEGF ed all’FGF-2 i loro inibitori endogeni, Endostatina e TSP-1. Fino ad oggi non vi sono dati in letteratura sui fattori angiostatici in corso di AP. Nel nostro studio abbiamo riscontrato un aumento significativo di entrambi i fattori angiostatici rispetto ai controlli sani. Questo dato è piuttosto interessante poiché potrebbe essere la conseguenza di un effetto regolatorio endogeno con conseguente down-regolazione dell’eccessiva vascolarizzazione a carico del tessuto sinoviale. L’aumento di Endostatina e TSP-1 potrebbe anche essere modulato dalle terapie. Sarà necessario reclutare un gruppo di pazienti all’esordio della malattia, quindi ancora non trattati, per verificare gli effetti dei farmaci sui livelli di questi fattori. L’analisi di pazienti in fase attiva consentirà anche di verificare se i livelli di fattori angiostatici variano in rapporto con l’attività di malattia.

Per concludere, il nostro studio ha dimostrato che in corso di AP quando la malattia e’ ben controllata dalla terapia farmacologica, vi e’ una disregolazione dei mediatori circolanti che regolano i processi di angiogenesi con normalità dei fattori pro-angiogenici ed un

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aumento di quelli angiostatici, fornendo nuovi elementi utili a comprendere i meccanismi patogenetici che sottendono l’AP.

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44 6. BIBLIOGRAFIA

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