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Cap. XI. - Origine del campo atmosfericoXI.1

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Cap. XI. - Origine del campo atmosferico

XI.1. Premessa

In questo capitolo ci proponiamo di dire qualcosa sulle componenti del CMT che hanno le loro sorgenti in sistemi di correnti elettriche che scorrono nell’atmosfera terrestre e che chiameremo campo atmosferico (qualcuno lo chiama campo esterno, sottinteso alla Terra solida). Si tratta, nell’insieme, di un campo intrinsecamente variabile nel tempo e che, semplificando, raccoglie in sé le variazioni temporali pseudoperiodiche di non grande periodo (non maggiore del periodo della rotazione diurna della Terra, cioè non maggiore di 24h), quali la variazione solare diurna e quella lunare diurna tra le variazioni cosiddette regolari (par. VII.3), e le variazioni temporali irregolari, o aperiodiche o impulsive, quali le pulsazioni, le baie e le tempeste (par. VII.4).

Le correnti elettriche che sono sorgenti del campo atmosferico sono più o meno ampiamente variabili nel tempo e vanno distinte in due gruppi.

Il primo gruppo è quello delle correnti solari dirette, costituite da fasci di particelle solari elettricamente cariche (elettroni e protoni) facenti parte dell’intensa radiazione solare corpuscolare che, pittorescamente denominata vento solare, pervade l’intero Sistema Solare, investendo quindi, con variabile intensità e variabile frequenza, il nostro pianeta. A queste correnti vanno imputate le citate variazioni irregolari.

Il secondo gruppo è quello delle correnti solari indirette, cui vanno imputate le dette variazioni regolari diurne solare e lunare, che nascono appunto in maniera indiretta dal Sole. Infatti, il Sole irradia, oltre che particelle, una radiazione solare elettromagnetica, o fotonica che dir si voglia, che ionizza l’atmosfera terrestre, rendendola parzialmente conduttrice dell’elettricità, suscitando così una corrente elettrica con il massimo nel piano equatoriale, costituita dal movimento ordinato che assumono gli ioni atmosferici sotto l’azione delle forze che nascono dall’interazione del loro stato dinamico con i movimenti di rotazione diurna e convettivi termici dei gas atmosferici e delle forze di Lorentz di interazione del loro stato elettrodinamico con il CMT generale.

Nei paragrafi che seguono daremo − nell’ordine − le notizie essenziali sull’atmosfera terretre, sulla fluidostatica atmosferica, sull’andamento sperimentale dei parametri fisici atmosferici con la quota e sulla conseguente tradizionale ripartizione dell’atmosfera in zone; passeremo poi alla teoria della fotoionizzazione solare dell’atmosfera e, quale più interessante fenomeno interattivo, polarizzeremo la nostra attenzione sulla più importante tra le variazioni regolari del CMT, cioè sulla variazione solare diurna.

XI. 2. L’atmosfera terrestre

XI.2.1. Definizione e dimensioni dell’atmosfera terrestre

La locuzione atmosfera terrestre (dai termini greci atmós “vapore, aria” e sphaíra

“sfera” e quindi “sfera dell’aria”) è stata tradizionalmente usata per indicare l’involucro di gas e vapori che circonda la Terra e ne fa parte; il “ne fa parte” è essenziale in quanto, dato che lo spazio interplanetario e cosmico contiene materia allo stato diffuso tra i corpi astrali formati, se si omettesse tale locuzione l’atmosfera terrestre non avrebbe

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un limite superiore; diremo allora che i gas e vapori che costituiscono l’atmosfera terrestre devono essere “terrestri” essi stessi, nel senso di essere vincolati alla Terra da forze di origine terrestre e di seguirne le vicende, a partire dalla rotazione diurna.

La definizione che abbiamo ora data apparve però relativamente tardi, all’incirca sul finire del XIX sec.; precedentemente, ci si regolava su puri criteri osservativi, ascriven- do all’atmosfera terrestre le sole apparenze nel cielo che, per esempio come le nubi, partecipassero alla rotazione terrestre. La tab. XI.2.1-1 dà una sinossi delle idee sull’at-

mosfera dall’epoca classica greco-romana fino ai nostri giorni, assumendo come parametro indicativo la quota alla quale si pensava che l’atmosfera stessa terminasse nel “vuoto cosmico”, ciò che potremmo chiamare quota limite o confine superiore dell’atmosfera.

Nella detta epoca classica il criterio in base al quale si fissava il confine dell’atmosfera era molto semplice;

poiché ci si era accorti che salendo lungo i fianchi di un monte la respirazione si faceva via via più difficile, si pensava che l’atmosfera terminasse alle alte quote dei monti più alti, dove con la respirabilità dell’aria venisse meno anche l’elemento umano e si passasse nel sovrumano (non per nulla la sede degli Dei greci era stata posta sulla cima del monte Olimpo, a poco più di 2900 metri di altitudine); per ragionare in termini geofisici, diremo che la quota limite era pensata coincidente con la quota delle nubi basse, sui 2 km.

Questo criterio empirico – respirabilità e Dei a parte –, vale a dire di fissare il limite dell’atmosfera alla quota delle apparenze celesti più alte facenti sicuramente parte dell’ambiente terrestre, durò assai a lungo, in pratica sino a tutto il XIX sec.; col progresso dei mezzi d’osservazione, il limite si spostò successivamente ai 12 km delle nubi alte (ancora in epoca classica), ai ca.

25 km delle cosiddette “nubi

madreperlacee” (derivanti da particolari fenomeni di rifrazione della luce solare nell’alta atmosfera alle alte latitudini; 1820 ca.) e ai 90 km delle cosiddette “nubi nottilucenti” (raro fenomeno di luminescenza del cielo alle alte latitudini, si pensa dovuto a fenomeni di rifrazione della luce solare al crepuscolo attraverso polveri di meteore; 1896); riconosciuta poi la natura “terrestre” della aurore polari, la quota limite fu spostata, intorno al 1900, ai circa 1000 km delle frange più alte delle aurore. Siamo però giunti all’epoca della fisica molecolare e della prima teoria cinetica dei gas, per cui, correttamente, si ragionò decidendo di far terminare l’atmosfera alla quota dove l’energia cinetica delle molecole dei gas atmosferici uguagliasse l’energia potenziale derivante dal fatto di trovarsi nel campo gravitazionale terrestre, ottenendosi per il limite dell’atmosfera una superficie sferica di raggio ca. 8900 km, come dire una quota limite di ca. 2500 km. Dopo poco tempo, però, si prese atto dal fatto che esisteva un “campo terrestre” ben più efficace di quello gravitazionale per controllare le molecole dei gas atmosferici: il CMT, con la sua azione elettrodinamica sulle molecole atmosferiche, che a quote così alte erano tutte ionizzate. Assunta per il campo la struttura dipolare (vera, come sappiamo, per circa il 96% di esso) e rifatti i conti riferendosi non più all’energia potenziale gravitazionale ma a quella elettrodinamica nel CMT, la superficie limite dell’atmosfera risultò essere (fig. XI.2.1/1a) quella di un ellissoide di rotazione intorno all’asse terrestre, con raggio polare di circa 20 raggi terrestri (ca. 128.000 km) e raggio equatoriale la metà. (1958). Poco dopo i primi risultati dell’esplorazione dello spazio circumterrestre (1960 e anni immediatamente seguenti) mostrarono però che la struttura del CMT a grande distanza<dalla Terra è assai differente da quella attesa in base al modello dipolare; infatti, a causa dell’interazione col vento solare il campo è come compresso dalla parte del Sole e come allungato nella direzione opposta, assumendo nel complesso la struttura, simile a quella di una cometa caudata, schematizzata nella fig. XI.2.1/1b, nella quale è evidenziata la superficie limite atmosferica, che ha il nome di magnetopausa quale limite della magnetosfera, la zona dello spazio in cui esiste il CMT (analogamente a “stratopausa” come limite della

“stratosfera”, e così via per le altre zone dell’atmosfera alle quali accenneremo tra poco); schematizzando drasticamente, la magnetopausa dista dal centro della Terra per circa 10 raggi terrestri (ca. 6,4 104 km)

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con una lunghissima coda geomagnetica (per altri particolari v. oltre: par. 2.3. f; per la complessa struttura della magnetosfera, occorre rifarsi ai testi specializzati citati nella Nota bibliografica data alla fine).

FIG. XI.2.1/1. - FORMA SCHEMATICA DELLA MAGNETOSFERA E DELLATMOSFERA TERRESTRE. A sinistra, la struttura a ellissoide di rotazione intorno all’asse terrestre dell’epoca (all’incirca fino al 1960) anteriore all’esplorazione diretta dello spazio circumterrestre. A destra, la struttura ora riconosciuta,

a forma di cometa caudata nella direzione opposta al Sole, per effetto dell’azione del vento solare.

XI.2.2. Le equazioni fondamentali dell’atmosfera neutra in quiete

Considerando le varie specie di gas e vapori (come gas perfetti) dell’atmosfera, supposta in quiete, per ogni specie valgono le seguenti equazioni (Tab. XI.2.2-1):

[XI.2.2*1] equazione di stato pV = NRT , [XI.2.2*2] equazione dell’equilibrio aerostatico – g

dh

dp= .

Poiché è =NM/V e R=NAkB, dalle 2*1 e 2*2 segue –dp/p=[(gM)/(kBT)]dh; risolven- do questa equazione differenziale si ha la

seguente equazione del decadimento esponenziale della pressione con l’altezza:

[[XI.2.2*5] p = p0 exp (–

H h h

) ,

[XI.2.2*6] H = gM kbT ,

con h0 arbitraria quota di riferimento e p0 la pressione ivi; H è l’altezza di scala, che rappresenta la variazione della quota h per la quale si ha una variazione della pressione p (in diminuzione se h aumenta, in aumento se h diminuisce) pari a exp(1) ≈ 37 %.

Dalle equazioni 2*1 e 2*2 si ricavano ancora la relazione tra pressione e temperatura [XI.2.2*7] p = n kB T

e l’equazione del decadimento esponenziale della concentrazione molecolare con l’altezza

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[XI.2.2*8] n = n0 exp (–

H h h

) , essendo n0 la concentrazione alla quota di riferimento h0.

Ogni specie chimica di aeriformi dell’atmosfera ha la sua propria altezza di scala; le varie specie si ripartiscono in quota dalle più pesanti in basso a via via le più leggere in alto. Conoscendo la composizione chimica dell’atmosfera in un certo intervallo di quote, è possibile calcolare l’altezza di scala per quell’intervallo come una media delle altezze di scala delle varie specie presenti, ponderata sulla base della percentuale in volume di ogni specie. La tab. XI.2.2-2 dà i valori dell’altezza di scala H a varie quote, in base alla composizione reale dell’atmosfera.

XI.2.3. Alcuni casi dinamici

a) Presenza di campi di velocità (per: venti, cioè movimenti dell’aria prevalentemente orizzontali; correnti, cioè movimenti prevalentemente verticali; onde; maree). Conside

rando la situazione (illustrata nella fig. XI.2.3/1 a fianco) di un volumetto dV= dxdydz di aria animata da velocità v, per il flusso di molecole attraverso la superficie elementare dydz ortogonale alle direzione coordinata x è: (∂n/∂t)xdV = (∂n/∂t)xdxdydz = nvxdydz–[nvx+(∂n/∂x)vxdx]dydz = –(∂/∂x) (n vx) dV. Eseguendo lo stesso calcolo per le altre due direzioni coordinate e sommando i risultanti si ottiene l’equazione di continuità della concentrazione molecolare:

[XI.2.3*1] =− ƒ ƒ t

n div (nv) = – ∇(nv) .

b) Equilibrio termico per collisioni. Detti nv il numero delle molecole con velocità compresa tra v–dv e v+dv, nt il numero totale di molecole e m la massa di una molecola, per la velocità delle molecole si

ha la distribuzione di Maxwell [XI.2.3*2] nv(v) dv =

= 4π nt [m/(2π kBT)]3/2exp[–(mv2)/(2π kB)] dv , con i seguenti valori particolari per la velocità:

[XI.2.3*3] velocità media

<v> = [8 kBT/(πm)]1/2 , [XI.2.3*4] velocità quadratica media <v2> = 3 kBT/m , [XI.2.3*5] velocità efficace

veff = (<v2>)1/2=(3 kBT/m)1/2 , [XI.2.3*6] velocità di picco

vp = (2 kBT/m)1/2 ;

alcuni di questi valori sono visualizzati nella fig. XI.2.3/2 per il caso dell’ossigeno molecolare (O2).

Dall’ equazione dell’energia cinetica molecolare media [XI.2.3*7] (1/2) m <v2> = (3/2) kBT

segue per due specie molecolari di massa m1 e m2 che si trovino in equilibrio termico fra loro (stessa energia cinetica molecolare media) la legge dell’equilibrio termico

[XI.2.3*8] m1<v1

2> = m2<v2 2> ,

dalla quale segue che in condizioni di equilibrio termico tra più specie molecolari, la specie più leggera è quella più veloce.

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c) Libero cammino medio molecolare. È il cammino <l> percorso in media da una molecola tra una collisione e l’altra che essa subisce da parte delle molecole circostanti;

detta <f> la frequenza media delle collisioni tra le molecole, è:

[XI.2.3*9] <l> = veff /<f> = (3 kBT/m)1/2(1/<f>) .

La frequenza media delle collisioni risulta sempre proporzionale alla concentrazione molecolare n e dipende dalla temperatura T a seconda della natura delle particelle collidenti o, meglio, a seconda della sezione d’urto della coppia di particelle interessate;

per esempio, è proporzionale a T per le collisioni elettroni-molecole e proprozionale a T-

3/2 per le collisioni elettroni-ioni positivi.

d) Diffusione. L’effetto di questo fenomeno è descritto dalle seguenti equazioni nelle componenti cartesiane della velocità di diffusione vd: (∂n/∂x) = –knvdx , (∂n/∂y) = –knvdy, (∂n/∂z) = – knvdz , essendo k un coefficiente di proporzionalità, le quali possono essere riassunte nell’equazione della diffusione molecolare:

[XI.2.3*10] vd = – n

D div n = – n D ∇n ,

con D (pari all’inverso del generico coefficiente k del calcolo precedente) è il coefficiente di diffusione, in m2/s.

Essendo, per la componente secondo l’asse coordinato x, ∂n/∂t = –(∂/∂x)(nvx) = – (∂/∂x)(D ∂n/∂x) = +D (∂2n/∂x2), segue, estendendo il calcolo agli altri due assi coordinati, la seguente espressione alternativa per l’equazione della diffusione molecolare:

[XI.2.3*11] D t n = ƒ

ƒ ∇2n .

Dalla [XI.2.2*7] si ricava (∂p/∂x) = kBT (∂n/∂x) = – n<f>mv e quindi, considerando le tre componenti cartesiane, per il coefficiente di diffusione si ottiene:

[XI.2.3*12] D =

>

< f m

kbT .

In generale, si ha una diffusione più rapida per temperature crescenti e per pressioni e concentrazioni molecolari decrescenti.

e) Misurazioni inerenti all’alta atmosfera neutra. Diciamo “alta atmosfera” perché la

“bassa atmosfera”, come tale intendendo la parte prossima alla superficie terrestre che tra breve chiameremo troposfera (quota massima in media sui 13 km) e che è quella interessata ai fenomeni meteorologici, è ampiamente investigata con gli strumenti e le procedure della meteorologia per controllare il tempo meteorologico e il clima, strumenti e procedure che si suppongono ben noti. Comunque, la parte dell’atmosfera che interessa il magnetismo terrestre è quella ionizzata, come tale capace di essere sede di correnti elettriche sorgenti di campi magnetici, che s’estende da circa 50 km di quota alla magnetopausa; essa s’è aperta alle misurazioni fisiche praticamente soltanto con l’avvento della navigazione spaziale, sul finire degli anni Cinquanta del XX secolo.

Tra le misurazioni dirette ricorderemo quelle, di carattere sporadico e attualmente praticate soltanto molto raramente, eseguite mediante strumenti portati da razzi d’alta quota e quelle, di carattere sistematico e continuo per lunghi periodi di tempo, eseguite mediante strumenti a bordo di veicoli spaziali (sonde spaziali, senza equipaggio umano; navette spaziali e navi spaziali, con equipaggio umano e per

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missioni di durata, rispettivamente, breve (pochi giorni) e medio-lunga (anche parecchi mesi).

In qualche caso ci si serve degli strumenti che sono adoperati normalmente a terra, salvo i normali adattamenti per il particolare ambiente (all’esterno della sonda o del veicolo la pressione è dell’ordine di 10-3 Pa a 100 km di quota e di 10-5 Pa a 300 km, e così via, pressioni che a terra sono proprie di ambienti cosiddetti “a vuoto”) e per le particolari condizioni cinetiche (la velocità di una sonda è dell’ordine di qualche km/s). In altri casi sono stati sviluppati strumenti ad hoc, quale, per esempio, lo spettrometro di massa a tempo di volo per determinare accuratamente la composizione chimica.

Le misurazioni indirette sono basati sulla misurazione di qualche grandezza caratteristica di certi fenomeni dalla quale è possibile ricavare il valore di una grandezza attinente allo stato chimico-fisico della zona atmosferica in cui ci si trova. In questa sede non possiamo entrare nei dettagli di queste misurazioni e ci limiteremo quindi a una semplice menzione di esse, formando il quadro sinottico della tab. seguente.

TAB. XI.2.3-1 - PRINCIPALI MISURAZIONI INDIRETTE PER LALTA ATMOSFERA

Fenomeno osservato Relazione utile Grandezza ricavata

ATMOSFERA NEUTRA

Diffusione di luce laser alla Rayleigh Intensità diffusa ( ) massa volumica Emissione nell’infrarosso Intensità (T) temperatura assoluta T

Frenamento atmosferico di satelliti (d /dt) ( ) massa volumica artificiali terrestri (variazione tem-

porale del periodo orbitale )

Luminescenze atmosferiche varie nell’infrarosso, composizione visibile e ultravioletto

ATMOSFERA IONIZZATA

Sondaggi con impulsi radio HF N(h’) concentrazione N di elettroni

(1-30 MHz) da terra (radiosondaggi) quota di riflessione h’

I risultati delle misurazioni relative all’atmosfera neutra sono sintetizzati nelle figg.

XI.2.3/3 (composizione) e XI.2.3/4 (principali grandezze fisiche).

I I I I

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FIG. XI.2.3/3 - CONCENTRAZIONE n CON LA FIG. XI.2.3/4 - DISTRIBUZIONE CON LA QUOTA h

NELLA

QUOTA h DEI PRINCIPALI GAS ATMOSFERICI ATMOSFERA DELLA TEMPERATURA ASSOLUTA T, DELLA PRESSIONE p E DELLA MASSA VOLUMICA .

f) Ripartizione dell’atmosfera in zone. Nel trascorrere del tempo, con l’aumentare delle conoscenze fisiche e dei dati sperimentali sull’atmosfera terrestre, quest’ultima subì varie modellizzazioni in base a vari criteri, i più popolari dei quali riposavano sulla ripartizione in zone in base alla composizione chimica (ripartizioone per composizione) o al modo di variare della temperatura con la quota (ripartizione per temperatura); si aggiunsero poi altri criteri, quali lo stato elettrico (ripartizione per ionizzazione) e la parte interessata della geofisica (ripartizione per interesse). La fig.

XI.2.3/5 dà un quadro abbastanza completo della situazione attuale.

FIG. XI.2.3/5 - RIPARTIZIONE DELLATMOSFERA TERRESTRE IN ZONE SECONDO VARI CRITERI

Alcune di queste partizioni si spiegano da sole. Così è per la ripartizione per composizione: due sole zone, nella più bassa della quale, l’omosfera o turbosfera, il continuo rimescolamento dei moti meteorologici determina una composizione mediamente costante con la quota fino a 50 km (questa e tutte le successive quote di separazione tra le zone sono da intendersi in termini medi e in parte convenzionali), dopo di che inizia l’altra zona, la eterosfera, nella quale l’agitazione è assai minore e le varie specie chimiche si ripartiscono, come abbiamo detto sopra, in base alla loro massa molecolare, con le più pesanti in basso.

Anche la partizione per ionizzazione è piuttosto semplice, con tre zone; la prima zona è l’atmosfera neutra, dove la presenza di ioni è bassissima (dell’ordine delle decine o centinaia di ioni a cm3, come dire 107-108 m-3, contro una concentrazione molecolare complessiva di 1020-1024 m-3 ( come le quote, anche le concentrazioni che via via saranno citate hanno carattere medio e in parte convenzionale);

la seconda è la ionosfera, che è parzialmente ionizzata, con una concentrazione di elettroni liberi e ioni dei due segni che va da 107 m-3 alla quota iniziale di 50 km a un massimo di 1012 m-3 a 300-350 km per

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ridursi a 1011 m-3 alla quota finale di 500 km (ionopausa), dove però l’atmosfera è completamente ionizzata e inizia la terza zona, la magnetosfera, fino al confine superiore dell’atmosfera, la già ricordata magnetopausa (distanza dal centro della Terra di circa 64.000 km nella direzione del Sole e di circa 1,2 milioni di km nella direzione opposta: v. sopra, par. 2.1).

Piuttosto formale e autospiegantesi è la ripartizione per campo d’interesse, che comprende due sole zone. La prima zona va fino alla ionopausa (500 km) e vede questa ampia parte inferiore dell’atmosfera come un fluido comprimibile, non omogeneo, non isotermo e largamente neutro (salvo il margine superiore, intorno alla ionopausa), da studiare con i metodi della fluidodinamica. La seconda zona, che va dai 50 km confine inferiore della ionosfera alla magnetopausa, vede l’atmosfera come un fluido quasi completamente ionizzato, cioè come un plasma, anzi propriamente, vista l’esistenza del CMT che permea l’intero ambiente terrestre, come un magnetoplasma, nel quale le interazioni tra le particelle componenti sono prevalentemente forze elettrodinamiche (forze di Lorentz), da descrivere e studiare con i metodi della magnetoplasmadinamica.

Più complessa, ma anche più interessante, è la ripartizione per temperatura, che è poi quella alla quale abitualmente ci si è riferiti nel passato e tuttora ci si riferisce, in cinque zone. La prima zona dal basso è la troposfera (dal greco, “sfera agitata”), detta così perché sede dei venti e delle correnti che determinano il tempo meteorologico e va fino a una quota limite (tropopausa “ternine della troposfera) di circa 13 km in media (varia leggermente con la latitudine geografica); in essa la temperatura diminuisce quasi linearmente con la quota a partire dai 293 K (20 °C) mediamente assunti per la superficie terrestre, con un gradiente termico negativo di –0,006 K/m (cioè una diminuzione di 0,6 °C a ogni 100 m di aumento della quota), fino a un minimo di 210 K (–63 °C) (anche le temperature e i gradienti termici qui citati hanno carattere medio). Nella zona seguente, la stratosfera (così denominata nel passato perché supposta erroneamente in quiete e quindi stratificata in rapporto alle masse volumiche delle varie specie aeriformi presenti; in realtà è agitata da intensi movimenti, che peraltro, a causa della assai diminuita densità, muovono piccole masse d’aria e quindi non hanno apprezzabili effetti meteorologici), la temperatura cresce raggiungendo 273 K (0 °C) al limite superiore della zona, la stratopausa, a 50 km.

La temperatura torna a diminuire nella zona seguente, la mesosfera (così denominata perché presenta un gradiente termico negativo tra due zone a gradiente termico positivo), portandosi al suo minimo assoluto atmosferico, che è di 190 K (–83 °C) al limite superiore della zona, la mesopausa, a 80 km di quota. La temperatura torna poi a crescere rapidamente nella termosfera, fino ai nominali gradi assoluti 1500 K (1227 °C) alla termopausa, a 500 km di quota; abbiamo detto “gradi nominali” perché da questa zona in poi non si tratta più di temperatura nel significato ordinario del termine, cioè della grandezza misurabile con un termometro normale, ma di temperatura cinetica, cioè “misurata” dall’energia cinetica media delle molecole (o meglio, elettroni e ioni di varie specie, con concentrazioni enormemente piccole rispetto a quelle della bassa atmosfera: in media, 1013 m-3 contro 1023 m-3) secondo la [XI.2.3*7] e quindi definibile non per l’insieme delle particelle ma soltanto per ogni specie di esse (che interviene con la sua massa nella detta relazione). Per questo motivo il diagramma della temperatura diventa tratteggiato, cioè indefinibile in assoluto, nella finale zona della esosfera (“sfera esterna”), dalla termopausa alla magnetopausa, termine dell’atmosfera terrestre, dove questa si confonde con lo spazio interplanetario o, secondo molti, con l’atmosfera esterna del Sole, nella quale tutto il Sistema Solare andrebbe correttamente collocato.

Va tenuto presente che se è vero che le varie ripartizioni dell’atmosfera in zone come sono state qui presentate costituiscono uno schema accettato unanimemente, ciò non è vero per i particolari quantitativi, cioè per la quota e i valori di temperatura, concentrazioni, ecc., relativi alle varie zone, per le quali vari studiosi danno, con ragionevoli motivazioni, valori differenti da quelli sopra ricordati.

XI.3. Conducibilità elettrica dell’atmosfera terrestre

La condizione perché l’atmosfera terrestre possa essere sede di correnti elettriche sorgenti del campo magnetico atmosferico è, in primo luogo, che essa sia elettricamente conduttrice; in secondo luogo, occorre che in essa sia lanciato dall’esterno un flusso di particelle cariche dello stesso segno, il che è dato dalla radiazione solare particellare, avendosi allora una corrente elettrica da vento solare (a causa della piccolissima densità materiale dell’alta atmosfera, le cose vanno quasi come andrebbero nel vuoto), oppure che in essa sia presente un campo elettromotore, cioè un campo elettrico capace di suscitare e mantenere una corrente di particelle elettricamente cariche dell’atmosfera, avendosi allora una corrente elettrica di conduzione.

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In questa sede siamo particolarmente interessati a questo secondo tipo di correnti atmosferiche, cosicché nel seguito appunteremo la nostra attenzione sui fenomeni in virtù dei quali nell’atmosfera si determina una certa conducibilità elettrica e insorgono efficienti campi elettromotori.

XI.3.1. Agenti ionizzanti nell’atmosfera

Le molecole degli aeriformi atmosferici (gas e vapori, questi ultimi essenzialmente nella parte bassa e media, all’incirca fino alla mesopausa, a quota di 80 km) sono soggetti avari agenti ionizzanti, che, in ordine d’importanza, sono: fotoni solari, particelle solari, raggi cosmici (radiazioni di alta energia provenienti da regioni esterne al Sistema Solare) e radiazioni ionizzanti terrestri (fotoni e particelle emessi da rocce radioattive). Di essi, quelli di gran lunga più importanti sono i fotoni solari, vale a dire la radiazione elettromagnetica emessa dal Sole, tanto che dire ionizzazione dell’atmosfera è per la gradissima parte come dire fotoionizzazione solare dell’atmosfera (segue, ma a grande distanza, la ionizzazione solare a opera di particelle cariche veloci del cosiddetto vento solare, che ha importanza in questa sede in quanto responsabile delle perturbazioni impulsive del CMT).

La radiazione fotonica del Sole occupa praticamente l’intero spettro delle radiazioni elettromagnetiche, dalle frequenze bassissime di pochi hertz (lunghezze d’onda

nel vuoto, 0, di centinaia di migliaia di km) alle iperfrequenze dei raggi gamma (con 0 dell’ordine delle dimensioni delle particelle del nuclei degli atomi), passando, al decrescere di 0, per i campi delle radiazioni termiche (RT), radio (RR), infrarosse (IR), visibili (V), ultraviolette vicine (UV) e lontane (UL), X e infine gamma ( ). Non tutte queste radiazioni sono però efficaci nello ionizzare le molecole atmosferiche;

occorre infatti che l’energia dei fotoni solari, pari a hc/ 0 (con h=2,24 10-02 J s costante di Planck e c=2,98 108 m s-1 velocità della luce nel vuoto), sia non minore della soglia di ionizzazione) delle varie specie di molecole atmosferiche.

La parte inferiore della fig. XI.3.1/1 mostra il quadro delle soglie di ionizzazione per le principali specie molecolari (e atomiche) che entrano in gioco per la conducibilità elettrica atmosferica; come si vede, queste soglie sono poco diverse tra loro e si può dire che per la fotoionizzazione atmosferica sono agenti ionizzanti tutte le radiazioni elettromagnetiche solari a partire all’incirca dall’ultravioletto lontano ( 0 da circa 150 nm in giù). Il diagramma nella parte alta della stessa figura dà la quota minima raggiunta dai fotoni solari prima di essere completamente

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assorbiti (minore è questa quota, maggiore è la capacità di ionizzare, beninteso se si è al disopra della soglia di ionizzazione per le specie di interesse); al diagramma è sovrapposta l’indicazione delle regioni dell’atmosfera in cui si hanno massimi relativi di concentrazione degli elettroni e ioni prodotti da fotoni solari, che sono, nell’ordine del grado crescente di concentrazione, le tre parti della ionosfera dette regione D (massimo intorno a 80 km di quota), regione E (intorno a 120 km) e regione F (con il massimo assoluto dell’intera atmosfera, a 200-350 km di quota a seconda della stagione, dell’ora del giorno e della latitudine).

XI.3.2. La teoria di Chapman della fotoionizzazione atmosferica

Fu la prima teoria in materia, enunciata nel 1931 dal Sydney Chapman

<cèpmen>, geofisico inglese (1888-1970), prof. di fisica in varie università e dal 1953 direttore dell’Istituto di geofisica dell’università dell’Alaska. Presentata come una teoria di prima approssimazione, s’è dimostrata capace di rappresentare bene i principali fatti sperimentali. Essa è basata sulle seguenti ipotesi (che accompagneremo con un commento critico): (1) si considera l’atmosfera costituita da una sola specie molecolare; (2) si considera l’atmosfera isoterma, cioè a temperatura costante con la quota (queste due prime ipotesi non sono accettabili in generale, come dimostrano i precedenti diagrammi sulla composizione e sulle proprietà fisiche dell’atmosfera, ma lo diventano se si limita a intervalli di quota piuttosto ristretti, posto che in intervalli del genere v’è sempre una specie molecolare largamente prevalente sulle altre e la temperatura non varia di molto);

(3) si considera l’atmosfera in quiete (dato che l’atmosfera , anche alle alte quote della ionosfera, è percorsa da correnti e onde di svariati tipi, questa ipotesi è la più difficile da accettare, a meno di limitarsi strettamente, per es., a considerare le vicende dei soli massimi di concentrazione ionica); (4) per rappresentare la ionizzazione globale si assume la sola concentrazione degli elettroni liberi derivanti da essa (ipotesi tutto sommato accettabile, in quanto la proprietà più interessante dell’atmosfera ionizzata è di essere radiorifrangente, cioè d’influire sulla propagazione di onde elettromagnetiche nel campo delle radiocomunicazioni, e, salvo certi casi particolari attinenti a radioonde di bassa frequenza, le particelle elettricamente cariche che determinano la detta radiorifrangenza sono gli elettroni liberi nell’atmosfera); (5) gli elettroni liberi atmosferici sono prodotti soltanto per fotoionizzazione solare e scompaiono soltanto per ricombinazione ionica, secondo la seguente

[XI.3.2*1] equazione di reazione m + f ←→ m+ + e ,

con m molecola atmosferica, m+ suo ione positivo monovalente, f fotone solare ionizzante, e elettrone, la quale rappresenta la fotoionizzazione se letta da sinistra verso destra e la ricombinazione se letta da destra verso sinistra; si tratta di un’equazione puramente simbolica, dato che per soddisfare il principio di conservazione dell’energia occorrebbe portare in conto nella fotoionizzazione la differenza tra l’energia del fotone ionizzante e quella di ionizzazione della molecola, che resta quasi completamente allo ione come energia cinetica; nella ricombinazione un eccesso di energia del sistema ione-elettrone potrebbe dar luogo a emissione di un fotone, avendosi allora le cosiddette luminescenze

(11)

atmosferiche per ricombinazione ionica radiativa, quali quelle che costituiscono le aurore polari. Se s’introducono il tasso di produzione elettronica, quale numero q di elettroni prodotti a m3 e a secondo, e il tasso di scomparsa elettronica, quale numero di elettroni liberi che scompaiono a m3 e a secondo (ovviamente pari ad N2, con N concentrazione elettronica [numero di elettroni a m3] e coefficiente di proporzionalità detto coefficiente di ricombinazione ionica) per la concentrazione elettronica si ha la seguente

[XI.3.2*2] equazione di continuità elettronica t N ƒ

ƒ = q − N2 , essendo t, come al solito, il tempo.

Come ben s’immagina sulla base dei commenti fatti sulle dette ipotesi di base, la teoria di Chapman ha dato luogo a vari tentativi di generalizzazione, particolarmente a proposito del reale stato dinamico dell’atmosfera ionizzata, del portare in conto oltre agli elettroni anche gli ioni dei due segni e delle varie specie presenti e del portare in conto vari altri processi di ionizzazione e di scomparsa di elettroni e di ioni oltre alla fotoionizzazione e alla ricombinazione ionica. Abbiamo parlato di “tentativi di generalizzazione” poiché i calcoli per raggiungere la voluta generalità sono piuttosto difficili e si è costretti ad adattamenti delle ipotesi di base fatti su misura per la particolare situazione da studiare (per es., se si vuole studiare la propagazione ionosferica di onde radio di bassa frequenza, è sufficiente dare un ruolo anche limitato agli ioni accanto agli elettroni). Comunque, è da rilevare che la teoria originaria di Chapman è ancora straordinariamente aderente alla realtà sperimentale se si considerano situazioni relative a massimi di concentrazione elettronica, come capita, per esempio, se si vuole studiare la morfologia delle regioni iomosferiche dianzi ricordate o, sempre per esempio, si vuole studiare la propagazione per riflessione ionosferica o per rifrazione transionosferica di onde radio di frequenza relativamente alta (onde corte e ultracorte); in questi problemi ci si muove intorno alla quota e al tempo della massima concentrazione elettronica, cioè in un ristretto ambito spaziotemporale simile a quello che Chapman assunse per ragioni puramente operative di prima approssimazione (rivelatasi poi, per le quationi cui abbiamo ora accennato e per altre analoghe, di buona approssimazione anche per la complicata atmosfera reale.

In conclusione, in questa sede ha senso compiuto, al di là del mero obbligo didattico, esaminare i lineamenti della teoria di Chapman; va ricordato che ad essa dovremo peraltro apportare un certo ampliamento, dato che la teoria è volta essenzialmente al calcolo del tasso di produzione elettronica nell’atmosfera per fotoionizzazione solare e qui si è interessati piuttosto a calcolare una grandezza derivata, vale a dire la conduttività elettrica dell’atmosfera.

Cominciamo con l’operare una modificazione geometrica, passando dalle quote vere h alle corrispondenti quote ridotte z, il che semplifica notevolmente le formule di grandezze che siano funzione della quota. Precisamente, fissata − come s’è fatto nel precedente par. XI.2.2 − una certa quota di riferimento h0 a una quota (o altezza) generica h corrisponde la quota (o altezza) ridotta

[XI.3.2*3] z = H

h h0

,

essendo H l’altezza di scala della specie molecolare o ionica considerata, data dalla [XI.2.2*6]; osserviamo che la quota ridotta è una grandezza adimensionata, e al valore zero di essa corrisponde, nella scala delle quote vere, la quota di riferimento h0 Con

(12)

questa posizione, la funzione di distribuzione con la quota della concentrazione molecolare n passa dalla forma data dalla [XI.2.2*8] alla più semplice forma:

[XI.3.2*4] n = n0 exp (−z) .

Ciò posto, il semplice buon senso dice che il tasso q di produzione elettronica è proporzionale sia alla concentrazione n delle molecole ionizzabili sia alla concentrazione

dei fotoni solari ionizzanti, come dire all’intensità I della radiazione fotonica solare capace di ionizzare quelle molecole; possiamo allora scrivere:

[XI.3.2*5] q = f n I ,

essendo f la sezione d’urto di fotoionizzazione, che funge da coefficiente di proporzionalità. L’intensità I della radiazione fotonica subisce, a causa della ionizzazione effettuata, una diminuzione pari a −dI nel percorrere il tratto ds del suo cammino, indicato nella fig.XI.3.2/1; tale diminuzione è proporzionale all’intensità iniziale I, alla concen

trazione n delle molecole via via ionizzate e alla lunghezza del tratto ds, che è pari a sec dh, essendo la distanza zenitale del Sole, potendosi quindi scrivere: −dI = bnI sec dh

= bn0exp(−z) IH sec dz, con b coefficiente di proporzionalità da chiamarsi coefficiente lineico d’assorbimento; si ha allora l’equazione differenziale dI/I = −bn0H exp(−z) sec dz; per = cost questa equazione ha la soluzione I=kexp[−bn0Hexp(−z)sec ] per 0≤z≤∞; per z= è Ik exp(0), da cui q(z, ) = f n0 exp(−z) I exp [...].

Calcolando (∂q/∂ ) = 0 si ha che il massimo di q è per =0 (Sole allo zenit);

analogamente, calcolando (∂q/∂z) = 0 si ha il massimo di q per zM= ln(bn0H); se poniamo questo massimo alla quota di riferimento, cioè a zM=0, segue bn0H = 1 e finalmente si ha la funzione fotoelettronica di Chapman:

[XI.3.2*6] q(z, ) = q0 exp [1 − z − sec exp(−z)] ,

essendo q0 il valore di q alla quota di +riferimento, che, per le posizioni fatte, è il valore massimo assoluto di q (per z=0 e =0, Sole allo zenit).

Il diagramma della funzione di Chapman, parametrizzato in valori della distanza zenitale del Sole, è rappresentato nella fig. XI.3.2/2; come si vede, si tratta di una diagramma a un solo massimo ben pronunciato, la quota del quale sale a partire da z=0 al crescere di

.

L’equazione di continuità elettronica [XI.3.1*2] prende così la forma:

[XI.3.2*7]

t N ƒ

ƒ = q0 exp [1 − z − sec exp(−z)] − N2 ;

(13)

una tale distribuzione costituisce quel che si chiama uno strato ionizzato di Chapman.

XI.3.3. Verifiche sperimentali

Esistono e sono praticati vari metodi di misurazione diretta delle concentrazione di elettroni e di ioni nell’alta atmosfera, ma il metodo seguito da più tempo (all’incirca dal 1931), con continuità nel tempo e con una buona rete di stazioni a terra è un metodo indiretto, quello del radiosondaggio ionosferico da terra, che ricorda il principio dell’ecometro a ultrasuoni per misurare le profondità dei fondi marini.

Questo metodo consiste nell’irradiare verticalmente verso l’alto corti impulsi (qualche decina di µs) di onde radio con frequenza variabile con continuità da circa 1 a circa 25 MHz (onde decametriche) nell’ambito di qualche decina di secondi e nel ricevere gli echi di ritorno riflessi dagli strati ionizzati della ionosfera; il ritardo d’eco (tra emissione di un impulso e ritorno dell’eco) costituisce una misura della quota virtuale h’ dello strato riflettente (la quota che si avrebbe se i segnali si propagassero sempre con la velocità delle luce nel vuoto, laddove la loro velocità decresce nella regione riflettente fino ad annullarsi alla riflessione, per cui la quota vera di riflessione h è un poco minore di quella virtuale), mentre la massima frequenza radio f riflessa, cosiddetta frequenza critica dello strato, costituisce una misura della concentrazione elettronica massima alla quota della riflessione; gli speciali radiorice-trasmettitori a impulsi usati per questo sondaggio, detti sonde ionosferiche o ionosonde, forniscono automaticamente il diagramma h’(f), da quale non vi sono difficoltà per passare, anche automaticamente, al diagramma delle concentrazioni elettroniche in funzione della quota vera. In realtà, le cose sono un poco complicate dal fatto che la presenza del CMT rende birifrangente la ionosfera per le onde radio e la propagazione di queste si sdoppia in un raggio ordinario, cui compete la frequenza critica minore, indicata col simbolo fo (frequenza critica ordinaria) costituente la misura della concentrazione elettronica, e in un raggio straordinario (frequenza critica fx).

(14)

La fig. XI.3.3/1 mostra la registrazione (ionogramma) fornita da una ionosonda, dalla quale, per semplicità, si sono tolte le tracce relative al raggio straordinario; in questo “ionogramma ordinario”, rilevato alle ore 0530 TU del 20 maggio 1999 nell’Osservatorio ionosferico di Roma dell’Istituto nazionale di geofisica, si riconoscono nettamente le due regioni ionosferiche, la regione E, circa tra 100 e 120 km di quota vera (la quota “virtuale” dello ionogramma è leggermente maggiore perché la velocità di gruppo dei segnali diminuisce via via che ci si avvicina alla situazione di riflessione), e la regione F, a quota maggiore, che nell’ora e nella stagione in cui è stato ripreso lo ionogramma si presentava divisa in due sottoregioni, lo strato F1, con il suo massimo a 236 km virtuali, e lo strato F2, con il suo massimo a 310 km virtuali; è osservabile anche una formazione irregolare, detto strato E sporadico (Es), che si presenta sporadicamente un poco più in alto (qui 118 km) rispetto alla regione E normale (102 km); infine, è tracciato anche il diagramma della concentrazione elettronica N in funzione della quota vera (la concentrazione massima si ha alla quota vera ZM=283 km).

Va osservato che le ionosonde attualmente in servizio nella dette Rete mondiale operano, per ragioni tecniche relative alle antenne irradianti e riceventi, su radiofre- quenze non minori di circa 1,5 MHz, il che impedisce di

osservare nel servizio normale formazioni ionosferiche a quota minore di circa 100 km, indicate, in ordine di quota decrescente, strato D e strato C della regione D; si tratta peraltro di formazioni con concentrazioni elettroniche notevolmente minori di quella della sovrastante regione E, e quindi di moderato interesse sia geofisico sia radiotecnico.

La grande copia e la buona accuratezza dei dati raccolti in oltre sessanta anni di attività delle rete mondiale di stazioni di radiosondaggio ionosferico (di questa rete fanno parte da una cinquantina d’anni le due stazioni di Roma e di Gibilmanna (Palermo) dell’Istituto nazionale di geofisica) consentono di avere un quadro completo sia alla scala planetaria sia a particolari scale locali

dell’andamento medio normale (cosiddetta ionosfera normale) e degli andamenti perturbati della ionosfera; la fig. XI.3.3/2 presenta un quadro completo della ionosfera normale. Si riconoscono gli strati normali, o permanenti, denominati, in ordine di quota e di concentrazione elettronica (quelle ionica positiva è dello stesso ordine di grandezza) con le lettere D, E ed F ( nei giorni estivi e in alta attività solare nettamente diviso in F1 e F2), le quote e concentrazioni elettroniche dei quali variano sensibilmente a seconda dell’ora del giorno, della stagione dell’anno e

(15)

della fase nel ciclo undecennale dell’atti-

vità solare, qui indicata dal valore del cosiddetto numero delle macchie solari, R (è una delle più forti correlazioni tra una grandezza geofisica e l’attività solare).

XI.3.4. Teoria magnetoionica e conduttività elettrica dell’atmosfera

Nel 1924-1926 il fisico tedesco, poi emigrato negli SUA, Wilhelm Altar sviluppò una teoria per calcolare in termini tensoriali l’indice di rifrazione elettromagnetico di un gas parzialmente ionizzato, applicabile in particolare all’alta atmosfera ionizzata terrestre per dedurre le leggi che governano la propagazione nell’atmosfera delle onde elettromagnetiche usate nella nascente radiotecnica delle onde corte, con i suoi spettacolari collegamenti a grandissima distanza con potenze enormemente minori di quelle richieste nei radiocollegamenti – allora quasi esclusivi – con onde lunghe e medie;

questa teoria fu poi rielaborata in più semplici termini scalari nel 1928-1932, con il nome di teoria magnetoionica e con immediato successo internazionale, dall’inglese Edward Appleton <è’plton> (1892-1965), prof. di fisica in varie università britanniche e infine a Edinburgo, premio Nobel 1947 per le sue ricerche di fisica della ionosfera. Le linee di questa teoria possono essere sintetizzate, e semplificate per ciò che qui interessa, come segue.

Si considera, come detto appena adesso, un magnetoplasma minoritario, cioè un aeriforme parzialmente ionizzato immerso in un campo magnetico, un ottimo modello fisico dell’atmosfera terrestre nel CMT. Per l’esattezza, un magnetoplasma è detto minoritario se la concentrazione degli elettroni liberi – assunta quale indice del grado di ionizzazione – è minore di quella delle molecole neutre presenti ma purtuttavia capace di modificare in maniera apprezzabile le caratteristiche elettromagnetiche complessive; è detto maggioritario se la concentrazione elettronica è maggiore di quella molecolare neutra e, in particolare, totale se quest’ultima è nulla, cioè se la ionizzazione è completa. L’atmosfera terrestre si può considerare un magnetoplasma minoritario nel significato ora detto (vale a dire, insistiamo, nel senso che le particelle elettricamente cariche sono minoritarie ma influenzano le caratteristiche elettromagnetiche, cosa che non capita nella bassa atmosfera) tra il limite inferiore e quello superiore della ionosfera (v. fig. XI.2.3/5), cioè all’incirca tra 50 e 500 km di quota; oltre quest’ultima quota si entra nella magnetosfera, che va considerata come un magnetoplasma totale (l’atmosfera è completamente ionizzata). Si considera, ulteriormente, che si tratti di un magnetoplasma minoritario freddo, con quest’ultimo aggettivo intendendosi che l’energia di agitazione termica delle particelle che lo costituiscono (3kBT/2) sia nettamente minore di quella conferita loro da un’onda elettromagnetica che si propaghi in esso.

S’immagina dunque che nel detto magnetoplasma si propaghi un’onda elettromagnetica (campo elettrico E, campo magnetico d’induzione B), chiamando B0 l’induzione del CMT (supposto stazionario, nel senso che i tempi delle sue variazioni temporali siano assai maggiori del periodo dell’onda elettromagnetica). Poiché, come si fatto rilevare a proposito delle ipotesi della teoria di Chapman della fotoionizzazione atmosferica, le particelle di quasi esclusivo interesse sono gli elettroni liberi atmosferici, si comincia con lo scrivere l’equazione del moto di un elettrone libero (massa m, carica elettrica −e, velocità v)di tale magnetoplasma minoritario:

(16)

[XI.3.4*1] m dt

d v = − e E − e v × B0 – m <ce> v .

Questa equazione è la forma che qui assume la seconda equazione della magnetoplasmadinamica [IX.3.2*10] restringendo l’esame ai soli elettroni, come dire l’equazione fondamentale della dinamica nel nostro caso, il secondo membro rappresentando l’insieme delle forze in gioco sull’elettrone libero: nell’ordine, la forza dal campo elettrico dell’onda, la forza di Lorentz dal CMT e la forza resistente rappresentante in media l’effetto delle collisioni che, con la frequenza media <ce>, l’elettrone subisce da parte delle circostanti molecole neutre.

La forma data a quest’ultima forza richiede una spiegazione. Consideriamo una collisione tra un elettrone libero e una molecola atmosferica (massa M>>m, velocità V); considerando la velocità vr

dell’elettrone rispetto alla molecola urtata, è come se durante la collisione sull’elettrone agisse una forza impulsiva Fc che, per il teorema dell’impulso, vale il prodotto della massa per la variazione della quantità di moto dell’elettrone (Fcdt=mdv). Le due situazioni dinamiche estreme tra le infinite possibili sono: (a) v ≈ V (in realtà, per poter avere una collisione v deve essere di poco maggiore rispetto a V) e allora l’elettrone è come se si adagiasse sulla molecola, con una variazione nulla della sua quantità di moto (Fc=0); (b) v diretta come V ma in verso opposto, per cui, data la grande disparità delle masse, l’elettrone rimbalza e Fc=−2mv; come valore statistico medio nell’unità di tempo tra i due ora detti è Fc=−mv.

Quanto alla densità j della corrente elettrica costituita dal moto d’insieme degli elettroni si ha:

[XI.3.4*2] j = e,ij E = − N e v ,

dove e,ij indica il tensore (di rango 2, cioè a due indici) della conduttività elettrica da elettroni (assunta lineare); segue: dv/dt = − (dj/dt)/(Ne). Se si assume per le grandezze ondose in gioco (E, B, ecc.) la natura armonica, cioè, in termini scalari, la rappresentatività con funzioni sinusoidali (se non fossero armoniche, sarebbero comunque esprimibili con un certo numero di componenti sinusoidali), per esse può essere usata la cosiddetta forma esponenziale, che è una forma complessa (per avere la forma sinusoidale basta considerare il coefficiente dell’unità immaginaria); per esempio:

E = A exp [i( t k⋅r)] ,

con A ampiezza, i unità immaginaria, pulsazione temporale dell’onda (variazione nell’unità di tempo della fase spaziotemporale, cioè dell’argomento dell’esponenziale, in rad/s, pari a 2π volte la frequenza f dell’onda), k pulsazione spaziale dell’onda (vettore diretto come l’onda e avente per modulo la variazione della fase spaziotemporale dell’onda nell’unità di percorso, in rad/m),⋅r vettore di percorso, e se si approssima, come qui è lecito, la derivata temporale totale di j con quella parziale, la 3.4*2 dà dv/dt = − ( j/ t)/(Ne) = − i[ /(eN)] j, da cui, sostituendo nella 3.4*1, si ha:

[XI.3.4*3] − j = i m Ne2

E − i m

e j × B0 − i j .

Operiamo ora le seguenti posizioni di normalizzazione alla frequenza f dell’onda che si propaga nel plasma:

(1) parametro di plasma elettronico (adimensionale) [XI.3.4*4] X =

f fN

, con

(17)

[XI.3.4*5] fN2 =

m Ne

0 2

2

4 (in unità SI, ≈ 8.98 N Hz)

frequenza di plasma elettronica, che è la frequenza delle oscillazioni libere di un elettrone che fosse allontanato dalla sua posizione di equilibrio nel plasma; il parametro X è detto frequenza di plasma elettronica ridotta (alla frequenza f dell’onda).

Per giustificare l’espressione 3.4*5 possiamo ricorrere al semplice modello rappresentato nella fig.

XI.3.1/8, in cui A è uno strato piano e sensibilmente monomolecolare di plasma (massa m, carica elettri ca generica q); se immaginiamo di spostare tale strato di x (assai minore delle

dimensioni piane dello strato), esso lascerà uno strato virtuale positivo nella posizione iniziale e costituirà uno strato negativo nella nuova posizione; se indichiamo con ∆V la differenza di potenziale tra questi due strati, che possono essere assimilati agli strati di carica elettrica sulle armature di un condensatore piano carico, di capacità C = Q/∆V= [1/(4π 0)]S/x, con 0

costante dielettrica assoluta del vuoto e S area di uno strato; il campo elettrico, ortogonale agli strati, vale V/x e la forza su una singola carica spostata vale q∆V/x, ossia se N è la concentrazione delle cariche, qQ/(Cx) = Nq2x/ 0. L’equazione del moto di una singola carica è allora m(d2x/dt2) = Nq2x/ 0, donde un moto oscillatorio con pulsazione = 2πf = [Nq2/( 0m)]1/2, cioè fN

2 = Nq2/(4π2 0m); sostituendo alla carica generica q la carica −e dell’elettrone del plasma atmosferico si ottiene la 3.4*5.

(2) parametro elettronico di ciclotrone (adimensionale) [XI.3.4*6] Y =

B

Y B0 , Y = f fB

, con

[XI.3.4*7] fB = m

q B 2

0 (in unità SI, ≈ 2,80 1010 Hz) ;

quest’ultimo parametro (per i valori dell’induzione del CMT sulla superficie terrestre e nell’atmosfera terrestre non altissima, circa 1,2 MHz) è detto frequenza elettronica di ciclotrone o girofrequenza elettronica, in quanto è la frequenza del moto circolare uniforme (moto di ciclotrone) che assumerebbe un elettrone libero lanciato con una certa velocità in un campo magnetico uniforme trasversale al moto; il parametro Y è detto girofrequenza elettronica ridotta (alla frequenza f dell’onda elettromagnetica).

Di questo parametro nella forma vettoriale, Y, si considerano per certe questioni i due componenti YL (componente longitudinale) secondo la direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica e YT (componente trasversale) ortogonale a tale direzione (v.

successiva fig. XI.3.5/1).

Per giustificare la 3.4*7, si consideri l’equazione del moto della generica particella (massa m, carica elettrica q, velocità v): ma = qv×B (forza di Lorentz); segue: q BRB = m B

2R, essendo R il raggio della traiettoria circolare del moto circolare (di ciclotrone) assunto, di pulsazione B = 2πfB; segue fB = Bq/(2πm) e, passando dalla carica generica q a quella dell’elettrone, si ha la 3.4*7.

(3) parametro dissipativo elettronico (adimensionale) [XI.3.4*8] U = 1 − i Z ,

con

[XI.3.4*9] Z = f ce 2

>

< ,

frequenza delle collisioni elettroniche ridotta (alla frequenza f dell’onda).

Come ben appare, il valore delle frequenze di plasma 3.4*5 e di ciclotrone 3.4*7 è direttamente proporzionale alla carica massica (cioè carica elettrica a unità di massa)

(18)

q/m, cosicché gli effetti correlati sono migliaia di volte maggiori per gli elettroni che per ioni ed è giustificata la considerazione dei soli elettroni che è stata fatta nell’esporre la teoria di Chapman della fotoionizzazione atmosferica. Ove interessasse per qualche ragione, tutte le formule delle grandezze ora definite per gli elettroni possono essere trasferite a ioni delle varie specie semplicemente sostituendo alla massa e alla carica dell’elettrone quelle relative agli ioni interessati.

Inserendo nella 3.4*3 i detti parametri si ha la seguente equazione costitutiva magnetoionica:

[XI.3.4*10] − j = i 0 X2E + i j × Y − i Z j .

Ciò posto, la teoria magnetoionica prosegue con la determinazione dell’indice di rifrazione complesso del plasma atmosferico, nella forma n = n i , la cui parte reale n dà l’indice di rifrazione nel significato ottico e il cui coefficiente dell’unità immaginaria serve per calcolare l’assorbimento subito dall’onda; tralasciando i complicati calcoli a ciò occorrenti, ci limitiamo a riportare il risultato finale, la cosiddetta formula di Altar- Appleton:

[XI.3.4*11] n2 = (n i )2 = 1 −

2 2 2 4 2

2

2

) (

4 ) (

2 L

T

T Y

X U

Y X

U U Y

X

− +

− ±

.

In questa formula la parte più significativa è la presenza del doppio segno; questo indica che ci sono due valori per l’indice di rifrazione, cioè che l’atmosfera (per l’esattezza, la ionosfera) è birifrangente per le onde elettromagnetiche; un’onda di tale genere irradiata verso l’alto si divide in due raggi di propagazione, detti, in analogia con la birifrangenza ottica, raggio ordinario e raggio straordinario, che seguono percorsi differenti, l’uno o l’altro o entrambi potendo essere rifratti nella ionosfera verso la superficie terrestre (ciò che si chiama riflessione ionosferica) e potendo quindi pervenire a grandissima distanza, eventualmente mediante più riflessioni. Come ben si comprende, tutto questo è di straordinaria importanza per le radiocomunicazioni, e infatti la fisica della ionosfera e la tecnica della radiopropagazione ionosferica hanno avuto per molti decenni uno sviluppo con forti interazioni. Limitandoci qui, come già detto, a quello che riguarda la formazione di correnti elettriche nell’atmosfera, spostiamo la nostra attenzione sulla parte della teoria magnetoionica che riguarda la conducibilità elettrica atmosferica.

XI.3.5. Il tensore di conduttività elettrica dell’atmosfera ionizzata

Il tensore di conduttività elettronica (lineare) e,ij della 3.4*2 si ottiene implicitamente proiettando l’equazione costitutiva magnetoionica 3.4*10 sugli assi del sistema di riferimento indicato nella fig. XI.3.5/1:

⌠– jx = i 0 X2Ex – jzYT – iZjx , [XI.3.5*1] – jy = i 0 X2Ey + jzYL – iZjy , – jz = i 0 X2Ez + jxYT – jyYL – iZjz ;

per dare conto delle componenti del prodotto vettore che compare nella 3.4*10 diamo la relativa matrice mnemonica :

 x1 y1 z1 [XI.3.5*2] j × Y ≡  jx jy jz  Y 0 

(19)

Riordinando le 3.5*1 in forma canonica, cioè

jx  xx xy xz Ex [XI.3.5*3] jy  =  yx yy yz  Ey , jz  zx zy zz Ez

e tenendo conto dei parametri di normalizzazione 3.4*4, 3.4*6, 3.4*8, nel triedro di riferimento Oxyz della figura si ottiene:

 U2 −i YL U i YT U  [XI.3.5*4] e,ij ≡  iYL U U2−YT2 −YL YT  . −iYT U −YLYT U2−YL2

Nella pratica si preferisce peraltro − presumibilmente per ragioni storiche − riferirsi al triedro cartesiano di riferimento O x’y’z’ della fig. precedente, avendosi come componenti del tensore di conduttività la conduttività longitudinale 0 (per la corrente elettrica lungo l’asse z’, direzione del CMT B0), la conduttività trasversale longitudinale,

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