• Non ci sono risultati.

La `frequente evenienza`: problemi del contenzioso sui compensi degli arbitri - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "La `frequente evenienza`: problemi del contenzioso sui compensi degli arbitri - Judicium"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it

VINCENZO VIGORITI LA“FREQUENTEEVENIENZA”:

PROBLEMIDELCONTENZIOSOSUICOMPENSIDEGLIARBITRI

I – Ci occupa un tema che viene assumendo un ruolo di eccessivo rilievo nell’esperienza arbitrale, vuoi per una certa tendenza dei singoli a sottrarsi alle obbligazioni assunte, vuoi per la propensione degli arbitri ad avanzare pretese esagerate, vuoi infine per l’affermarsi di interpretazioni giurisprudenziali non facilitative. Situazioni che la Suprema Corte ha, con ironia, constatato di “frequente evenienza”. Questi i problemi da ultimo sollevati.

Si domanda quale sia la natura dell’ordinanza con cui il Presidente del Tribunale quantifica l’importo del compenso dovuto agli arbitri per l’attività da essi svolta e sfociata nella pronuncia del lodo, e soprattutto si domanda se avverso detto provvedimento sia ammissibile proporre ricorso per Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost.

Il quesito aveva rilevanza particolare prima della riforma del 2006 (che ha modificato l’art.

814 c.p.c., inserendo la possibilità di reclamo), ma non ha perso di importanza a seguito della modifica.

In passato, la Cassazione sosteneva che l’attività demandata al Presidente del Tribunale era di carattere giurisprudenziale e contenzioso e che il relativo provvedimento doveva ritenersi atto ad assumere efficacia di giudicato, risultando pertanto impugnabile in Cassazione con il ricorso straordinario.

Nel 2009-2010, alcune sentenze hanno tuttavia assunto una posizione diversa, sostenendo che quell’ordinanza ha natura sì giurisdizionale non però contenziosa, e dichiarando quindi inammissibili i ricorsi proposti alla Suprema Corte contro tali provvedimenti. E questo perché la quantificazione del compenso degli arbitri sarebbe mera integrazione della volontà negoziale, già manifestata con la stipula del contratto di arbitrato, con cui le parti conferiscono a certi soggetti

(2)

www.judicium.it

l’incarico di decidere una determinata controversia. Nel caso di contrasto fra parti ed arbitri sull’ammontare dei compensi, in considerazione del valore dell’attività svolta, l’ordinamento prevede un interevento del giudice che offra agli arbitri, intanto, la possibilità di vedersi quantificare con provvedimento esecutivo l’entità della prestazione loro dovuta, escluso però ogni accertamento sulla debenza, per quanto agevole esso sia. Come nell’art. 1349, comma 1, c. civ. si dispone che il giudice intervenga per determinare l’oggetto del contratto quando il terzo officiato dai contraenti non abbia provveduto, o lo abbia fatto in maniera erronea, così anche nella situazione dedotta il Presidente si limita ad integrare il contratto di arbitrato, senza procedere all’accertamento del diritto di credito degli arbitri ricorrenti. Si tratterebbe insomma di un atto riferibile alla giurisdizione volontaria, privo di carattere decisorio, inidoneo al giudicato, e non ricorribile in Cassazione (1).

Francamente la tesi con convince, e pare davvero ispirata dall’esigenza di contribuire a limitare l’accesso alla Suprema Corte, soffocata (si dice) da una massa enorme di ricorsi contro i provvedimenti di liquidazione degli onorari di arbitri, avvocati, ausiliari del giudice, e simili.

Appunto, accentuando l’aspetto contrattualistico si tende a ricondurre questi provvedimenti (tutti, non solo quelli sollecitati dagli arbitri) nell’ambito della volontaria giurisdizione, negando quindi l’ammissibilità del controllo in Cassazione (2).

Più in dettaglio. Sul piano fattuale, terminato l’arbitrato e adempiuta la loro obbligazione gli arbitri procedono alla richiesta degli onorari e del rimborso spese. E’ pacifico che la pretesa vale solo come “proposta”, priva persino della presunzione di veridicità che assiste le liquidazioni degli avvocati, proposta che le parti possono rifiutare anche senza motivazione, e senza neppure dover informare gli arbitri (3).

Se essi non vogliono (non possono) agire in sede monitoria (4), oppure ordinaria (per an e quantum) possono assumere l’iniziativa ex art. 814, al fine però di ottenere la sola quantificazione della pretesa, impregiudicato il resto. Questa è situazione diversa da quella dell’art. 1349 c. civ., perché la norma civilistica concerne l’ipotesi in cui non c’è ancora un contratto perfetto e il terzo concorre con le parti alla formazione del negozio determinandone l’oggetto, mentre qui si riscontra

(3)

www.judicium.it

una tipica situazione di conflitto fra diritti, legata ad un contratto già perfezionato e addirittura già eseguito, nella quale alcuni contraenti (gli arbitri) si proclamano adempienti e chiedono ad altri contraenti (le parti in arbitrato) di adempiere a loro volta. La volontà contrattuale si è dunque già manifestata, e c’è un adempimento a cui corrisponde invece il rifiuto di prestare.

In secondo luogo, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 1349 non ci sono diritti da accertare, la stessa cosa non è vera nell’ipotesi di controversia fra parti e arbitri, dove invece i diritti ci sono, ed hanno dignità di diritti soggettivi.

Si dice (si è sempre detto) che in sede di art. 814 non c’è accertamento dell’an, ma anche questa pare affermazione da verificare.

Nel proporre il ricorso, gli arbitri devono infatti dare prova del conferimento dell’incarico come dell’importanza e pregio dell’opera, e quindi in sostanza dei fatti costitutivi del diritto vantato, a cui eventualmente seguirà la quantificazione del dovuto effettuata dal giudice. Basterà di solito la produzione del lodo, o in mancanza di questo, del contratto, del compromesso, dei verbali, di qualunque attendibile riscontro del buon diritto di chi chiede, ma quella prova non può mancare e deve essere esaustiva (5), perché presupposto ineludibile della quantificazione successiva.

A loro volta, anche i resistenti possono (debbono, a pena di acquiescenza) contestare l’an, e quindi allegare fatti ostativi, oppure quando ciò risulti impossibile, più semplicemente riconoscere il diritto azionato e limitarsi a discutere l’entità della pretesa rifiutata. Ma se non contestano, e puntualmente, l’esistenza del diritto dei ricorrenti, tale diritto deve darsi per accertato e non può essere revocato in dubbio in altre sedi, in diverso e separato giudizio (6).

Sarà un accertamento sommario quanto si vuole, ma come tanti altri che sfociano in un provvedimento definitivo con attitudine ad acquisire efficacia di giudicato.

Infine, la pretesa “eccessiva” sommarietà dell’accertamento appare davvero discutibile. Già prima del 2006, le norme di rito consentivano una verifica più che accettabile delle aspirazioni di arbitri e parti, e ancor di più la permettono adesso. Il contraddittorio è anticipato rispetto alla decisione; non ci sono preclusioni in punto di allegazioni e relativi riscontri; è previsto un riesame

(4)

www.judicium.it

della decisione presidenziale, al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva. Che tutto questo serva solo alla quantificazione forzata di una pretesa il cui fondamento va accertato altrove non è credibile.

Né va dimenticato che le alternative all’art. 814 sono il procedimento monitorio oppure il processo ordinario, con i quali dunque lo strumento di tutela speciale non può non condividere natura e ampiezza, e quindi accertamento dell’an e determinazione del quantum. Diverse le forme, non altro.

I ricorsi all’epoca direttamente proposti contro le ordinanze presidenziali dovevano dunque essere dichiarati ammissibili, e le Sezioni Unite avrebbero potuto benissimo conoscere della questione loro sottoposta (7).

II – Dal 2006, l’ordinanza presidenziale ex art. 814 può essere oggetto di reclamo in Corte d’Appello a norma dell’art. 825, comma 4; si applica l’art. 830, comma 4. Si tratta di un’ulteriore garanzia di carattere processuale, che non incide sulla soluzione del problema qui proposta.

Se si dovesse tornare al “vecchio” orientamento e quindi riconoscere carattere decisorio all’ordinanza presidenziale, questa dovrebbe ritenersi impugnabile anche se non reclamata. La facoltà offerta dall’art. 814, ultimo comma, mira al controllo della sola efficacia esecutiva dell’ordinanza gravata, non altrimenti modificabile né in punto di debenza, né di quantum esattamente come accade per la sospensione dei lodi.

III – Si domanda se la tutela ex art. 814 sia disponibile anche per gli arbitri che abbiano svolto le loro attività in un procedimento terminato con un lodo irrituale.

Com’è noto, alla negazione iniziale, basata sul rilievo che le disposizioni di favore erano solo per gli arbitri impegnati a rendere un lodo rituale, erano seguite alcune pronunce di segno contrario, imperniate sull’assunto che l’attività previlegiata era quella di arbitro, indipendentemente dalla natura irrituale del lodo e quindi dalla sua equiparabilità ad una sentenza. In altre più recenti

(5)

www.judicium.it

occasioni, la Cassazione è tornata sulla vecchia posizione, ancora escludendo dal procedimento speciale gli arbitri officiati a fini irrituali, sostenendo che il quel caso l’onere per le parti è un debito che deriva dal conferimento del mandato, e non una spesa necessaria per l’ottenimento del lodo (8).

Però, se la Suprema Corte conviene che l’art. 814 mira a premiare la meritevolezza dell’attività svolta (qualunque sia il titolo) non c’è più motivo di negare agli arbitri che abbiano operato, sia pure in ambito irrituale, di pretendere la controprestazione nella sede speciale. Il focus torna sull’attività di definizione di una controversia e non sull’attitudine del relativo lodo a farsi sentenza, che è elemento estrinseco non caratterizzante l’attività di arbitro.

IV – Si domanda infine se, nel caso di arbitrato amministrato, siano gli enti di gestione a doversi attivare per la riscossione dei compensi non corrisposti, o se devono essere gli arbitri ad agire. Ed eventualmente in quali sedi (9).

Occorre distinguere. Il contratto che lega le parti all’ente di gestione è un normale contratto avente per oggetto la prestazione di servizi, nell’ambito dei quali, fra l’altro, gli enti si offrono di scegliere e nominare gli arbitri in luogo delle parti e garantiscono a queste ultime il controllo sulle pretese economiche dei soggetti officiati, secondo il tariffario adottato dall’ente.

Resta però che il contratto d’arbitrato vero e proprio ha contraenti e contenuto diverso, essendo stipulato fra le parti della controversia e gli arbitri chiamati a dirimerla. L’ente facilita la conclusione del contratto, ma non si sostituisce alle parti, che restano le sole a cui la prestazione va indirizzata e le sole obbligate per la corresponsione degli onorari agli arbitri. Il gestore può chiedere il deposito di acconti, determina l’importo finale dovuto agli arbitri, sollecita il saldo se necessario, ma il suo compito si ferma qui: i titolari del diritto alla controprestazione sono gli arbitri e solo loro sono legittimati ad agire in giudizio per la riscossione. Loro potranno farlo in una qualunque delle sedi indicate, ma sempre a titolo individuale, mentre gli enti potranno agire, in via ingiuntiva, per la riscossione di quanto ad essi dovuto, ma non per il credito degli arbitri verso le parti.

NOTE

(6)

www.judicium.it

(1) Ved., Cass. Sez. un. civ., sent. 3 luglio 2009, n. 15586 e n. 15592, in Foro it., 2009, I, 3340 (specie 3343); di recente, Cass. sent. 28 aprile 2010, n. 10221; Riv. arb., 2009, p. 687, con nota condivisibile di R.Tiscini, Nuovi voli pindarici, ecc.

(2) Nello stesso senso, anche Tiscini, Nuovi voli pindarici, cit. pp. 698-700.

(3) Giurisprudenza fermissima. In Trib. Chieti, sent. 18 febbraio 2009, n. 135, in PQM, 2009, I, 99 gli arbitri avevano quantificato all’inizio del procedimento l’importo degli onorari dovuti, invitando le parti a corrispondere subito il 50%

degli stessi, e il saldo all’emanazione del lodo. Le parti pagavano l’acconto, ma rifiutavano il saldo, eccependo di non aver mai accettato la liquidazione complessiva effettuata dagli arbitri. Il Tribunale riteneva che il pagamento dell’acconto valesse come accettazione per fatti concludenti della cifra globalmente pretesa, a nulla rilevando che le parti non fossero state avvisate, e si dicessero non consapevoli delle implicazioni dell’adempimento parziale.

(4) Trib. Chieti, sent. n. 135/09 cit., ha ritenuto che gli arbitri siano “obbligati” a fare ricorso al Presidente del Tribunale, restando loro precluso l’accesso al procedimento monitorio.

(5) Non c’è motivo di negare l’ammissibilità del ricorso in assenza del lodo finale, così precludendo l’iniziativa quando ciò dipende da fatto delle parti, o quando la parte istante è un arbitro che aveva dovuto (o voluto) abbandonare il collegio nel corso del procedimento arbitrale, e altri casi ancora. La produzione del lodo è finalizzata alla prova dei fatti costitutivi del diritto, che tuttavia possono essere provati anche con altri documenti, in difetto di preclusioni sancite dalla legge.

(6) La giurisprudenza da sempre ribadisce che il diritto dell’arbitro al compenso sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l’incarico e non viene meno allorquando il lodo sia stato caducato dal giudice perché affetto da uno dei vizi di cui all’art. 829 c.p.c., salvi “gli strascichi” di accertamenti relativi a specifiche condotte degli arbitri:

(7)

www.judicium.it

Cass. n. 10221/10; Cass. n. 14799/08, in Riv. arb., 2008, p. 361 con nota R. Vaccarella.

(7) Che era quella dell’ammissibilità di istanze ex art. 814 di singoli arbitri, pur membri dello stesso collegio, e quella della necessaria partecipazione di tutti al procedimento di quantificazione della pretesa. E la risposta bene potrebbe essere positiva, visto che non esiste fra gli arbitri alcun vincolo che possa far ritenere inutiliter data la pronuncia che liquida il diritto di credito di uno, e non quello di un altro. Esattamente come succederebbe se l’iniziativa fosse assunta in via ordinaria o monitoria, in sedi e tempi diversi.

(8) Riferimenti in V. Vigoriti, Regole e tendenze in tema di liquidazione degli onorari degli arbitri, in Giur. it. 2008, 518 ss.; Tiscini, Nuovi voli pindarici, cit., p. 696; in senso contrario all’ammissibilità, ved. ora Cass. n. 10221/10; è invece favorevole, Trib. Perugia, ord. 31 ottobre 2007, in Riv. arb., 2007, p. 431, con nota di M. Scalamogna.

(9) Puntualmente, C. Silvestri, La legittimazione ad agire per il pagamento degli onorari degli arbitri in caso di arbitrato amministrato, in Riv. arb., 2009, p. 493.

Riferimenti

Documenti correlati

14 E quindi, secondo la tendenza futura, sempre. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, in Dir. 23,

Peraltro, a ben guardare, la somma dovuta per il ritardo finisce inevitabilmente per svolgere, rispetto alla prestazione in forma specifica, anche la funzione risarcitoria

[r]

I conferimenti mediante apporto di un patrimonio destinato ai sensi dell’art.. Vicende normative e definizione attuale

Quanto all’incompatibilità (e, cioè, all’inconciliabilità fra le posizioni del terzo e della parte vittoriosa), il requisito ricorre quando il terzo aspiri a esercitare su

Qualora poi la proposizione della domanda sia sottoposta ad un termine a pena di decadenza, dopo la pronuncia di inammissibilità per ragioni di competenza della prima via,

I problemi sono moltissimi: l’entità del compenso, che può variare molto nella diverse situazioni (certi Studi arrivano a chiedere fino al 35% di quanto attribuito alla

Dal momento che il giudizio è sì di diritto, ma è fortemente condizionato dalle circostanze concrete, la Corte ammette che il suo controllo deve restringersi