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Procura della Repubblica di Torino

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Academic year: 2022

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Procura della Repubblica di Torino

Incontro presso il Consiglio Superiore della Magistratura sul tema

Interventi per il potenziamento delle forme di coordinamento investigativo in materia di terrorismo internazionale e per l’individuazione di referenti centrali nell’interlocuzione con le

Autorità Estere Roma 2 marzo 2015

Relazione di Armando Spataro

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino

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1. Premessa: i contenuti della relazione (pag. 2); 2. L’ L’organizzazione della Procura della Repubblica di Torino (pag.3); 3. “Non siamo all’anno zero”: il coordinamento, dagli anni di piombo all’antimafia (pag. 5); 4. L’organizzazione delle Procure della Repubblica nelle indagini sul terrorismo internazionale: ancora una volta il coordinamento spontaneo (pag. 7); 5) Ulteriori riferimenti alle modalità d’indagine nel settore del terrorismo internazionale (pag. 10): 6. Gli interventi legislativi del 2001 (dopo l’ 11 settembre) e del 2005, dopo gli attentati di Londra del luglio 2005 (pag. 13): 7. Luci ed ombre nella cooperazione internazionale (pag. 18); 8. Altri aspetti critici della cooperazione internazionale (pag. 25) derivanti da : 8.a-Sistema delle cd. black list (pag.

25); 8.b- Raccolta di dati personali “a strascico” (pag. 29); 8.c- Confusione tra ruolo della polizia giudiziaria e ruolo dei servizi segreti o agenzie di informazione (pag. 33); 8.d: L’obiettivo della Procura Europea Antiterrorismo (pag.36); 9. Brevi commenti al decreto-legge 18 febbraio 2015, n.

7 (pag. 37); 10. Il confronto positivo con le comunità musulmane (pag.49).

Seguono:

Allegato 1: Sintesi del lavoro di gruppo di giudici e pubblici ministeri di varie nazioni europee, in occasione dell’incontro di studi del CSM su “L’attuazione di Eurojust: forme e modelli di coordinamento delle indagini comuni nella prospettiva della libera circolazione delle autorità giudiziarie”, tenutosi in Roma, dall’11 al 15 ottobre 2004)

Allegato 2: Relazione del Gen. B. Mario Parente, Comandante del Ros dei Carabinieri, nel corso del Seminario organizzato dalla Fondazione ICSA sulla minaccia terrorista presso il Centro Alti Studi per la Difesa (Roma, 18 febbraio 2015)

Allegato 3 : “Note sui principali strumenti internazionali in materia di prevenzione e contrasto del terrorismo” di Lorenzo Salazar, Direttore f.f. Ufficio Affari Legislativi e internazionali – Ministero della Giustizia, oggetto di relazione nel corso del Seminario organizzato dalla Fondazione ICSA sulla minaccia terrorista presso il Centro Alti Studi per la Difesa (Roma, 18 febbraio 2015)

Allegato 4 : Intervento del 27 gennaio 2015 del Garante Europeo della Protezione Dati, Giovanni Buttarelli, a Bruxelles, dinanzi alla Commissione Libe del Parlamento Europeo

1. Premessa: i contenuti della relazione1

Questa relazione non contiene analisi socio-politiche degli scenari mondiali che vedono il terrorismo internazionale manifestarsi in modo sempre più allarmante ed in forme di particolare crudeltà, né affronta tematiche di politica internazionale o attinenti il diritto bellico. Fuori dal tema dell’intervento è, dunque, ogni considerazione in ordine alle iniziative politiche - ed eventualmente militari - adottate (o da adottare) dalla comunità internazionale o dai singoli Stati (Italia compresa) nei confronti di governi o movimenti che alimentano il terrorismo.

1 Sono numerosi, in questo intervento, riferimenti e valutazioni dello scrivente formulati in occasione di Incontri di studio ed aggiornamento professionale organizzati dal CSM, nonché contenuti in articoli pubblicati in Riviste giuridiche. Si richiamano, in particolare, in quanto già nella disponibilità per il CSM, le relazioni su “Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti umani” (Incontro di studi del CSM del 5/7.3.2007), su “Il contesto storico dei fenomeni di terrorismo internazionale e l’esperienza giudiziaria italiana: i principali rilevatori della presenza di nuclei terroristici nei territori nazionali (italiano e degli altri paesi europei” (Incontro di studi del CSM del 15.6.2009), nonché la Sintesi del lavoro di gruppo di giudici e pubblici ministeri di varie nazioni europee, in occasione dell’incontro di studi del CSM su

“L’attuazione di Eurojust: forme e modelli di coordinamento delle indagini comuni nella prospettiva della libera circolazione delle autorità giudiziarie”, tenutosi in Roma, dall’11 al 15 ottobre 2004 (qui in Allegato n.1).

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La relazione, invece, si fonda sull’esperienza professionale dello scrivente che, sempre da pubblico ministero e per circa 25 anni, ha operato nel settore del terrorismo interno ed internazionale, coordinando a lungo il lavoro del gruppo specializzato della Procura della Repubblica di Milano (dunque in territorio particolarmente colpito da tali fenomeni criminali), ove ha prestato servizio prima di assumere le funzioni attualmente esercitate a Torino.

Di qui l’attenzione che in questo documento viene riservata, come del resto il CSM richiede, alle modalità di conduzione delle indagini ed alla loro proiezione dibattimentale per pervenire all’accertamento delle responsabilità degli autori di così gravi reati.

La relazione, dopo i riferimenti iniziali alla struttura della Procura della Repubblica di Torino nel settore dell’Antiterrorismo, contiene un tentativo di ricostruzione storica del modo in cui, all’epoca dei cd. “anni di piombo, valorizzando specializzazione e coordinamento, la magistratura e la polizia giudiziaria italiana seppero auto- organizzarsi. Seguirà analoga descrizione delle prassi adottate in relazione al terrorismo internazionale, con connessa sintesi valutativa dei più importanti interventi legislativi fino al 2005 e, nel penultimo paragrafo, del recentissimo D.L. 18 febbraio 2015, n.7. Centrale sarà pure l’analisi della situazione della cooperazione internazionale e delle connesse criticità, tra cui quella della diffusa confusione tra ruolo della polizia giudiziaria e ruolo dei servizi segreti o agenzie di informazione.

2. L’organizzazione della Procura della Repubblica di Torino

Presso la Procura della Repubblica di Torino, come è noto, opera sin dall’inizio degli

“anni di piombo” un gruppo specializzato in materia terroristica, coordinato e composto da magistrati esperti nel settore.

In particolare, operano presso questo ufficio un Gruppo che tratta la materia del terrorismo e dell’ eversione dell’ordine democratico ed un altro che si occupa di reati connessi alla costruzione della linea Tav Torino Lione ed alle conseguenti manifestazioni di protesta spesso sfociate in atti violenti. Un Procuratore Aggiunto coordina entrambi i gruppi, ma nel secondo opera anche altro Procuratore Aggiunto, coordinatore pure del Gruppo Reati contro la P.A.

E’ però in fase di elaborazione un nuovo progetto organizzativo che vedrà costituirsi a breve un nuovo Gruppo specializzato in Terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, nonché in reati commessi in occasione di manifestazioni pubbliche, previa unificazione dei due citati gruppi ora esistenti.

Il gruppo in questione sarà costituito da 1 Procuratore Aggiunto e 5 sostituti e sarà competente su tutti i reati in precedenza attribuiti alle Sezioni soppresse, cioè su procedimenti in materia di reati di terrorismo, di eversione dell’ordine democratico, di delitti contro la personalità dello Stato (tutti di competenza distrettuale ex art. 51 c. 3 quater cpp) e dei reati connessi a tali categorie, nonchè – per quanto riguarda la competenza della soppressa Sezione Gruppo Tav – solo per i

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reati “politicamente motivati”, commessi durante pubbliche manifestazioni. Sarà anche competente su tutti i reati motivati da ragioni di discriminazione razziale - etnico-religiosa (d.l. 26.4.1993 n. 122, conv. in L, 25.6.1993), sui reati previsti dalla L. n. 210/1995 in materia di reclutamento, utilizzazione, finanziamento e istruzione di mercenari, sulle occupazione di stabili e luoghi pubblici, sempre “politicamente motivati”, nonché a disporre intercettazioni telefoniche preventive di cui all’art. 226 co.1 D. L.vo 28 luglio 1989 (Norme di Coordinamento al CPP) limitatamente alla esigenze di prevenzione di delitti di cui all’art. 407 co. 2, lettera a) cpp. .

Il gruppo potrà anche trattare, attraverso lo strumento della coassegnazione, misure di prevenzione personale ai sensi dell’art. 4, co.1, lett. d), e), f), g), h), i) D. L.vo 6 settembre 2011, n. 159 nonché quelle di prevenzione patrimoniale ai sensi dell’art. 12 co. 1, lett. a), b) stesso D. L.vo, normalmente devolute alla competenza del “Gruppo 3 – Misure di Prevenzione, Riciclaggio e Usura”.

Nel corso del 2014, sono stati 70 i processi iscritti ed assegnati al Gruppo terrorismo ed eversione e 48 quelli di competenza della Sezione Tav.

Attualmente pendono in fase di indagini preliminari due procedimenti per violazione dell’art. 270 bis cp ed altri reati; un terzo pende dinanzi al Giudice per l’Udienza Preliminare pure per violazione dell’art. 270 bis cp e detenzione di esplosivo: ma questi tre procedimenti non riguardano il terrorismo internazionale, come invece altro procedimento iscritto per violazione dell’art. 270 quater cp (riguarda un italiano presunto arruolato per combattere in Siria).

Varie sentenze di primo grado sono state pronunciate per atti di violenza durante manifestazioni pubbliche contro la TAV Torino-Lione: in una recente sentenza (n.

2/2014 del 17 dicembre 2014 della Corte d’Assise di Torino, nel proc. contro Alberto Claudio + 3, per fatti verificatisi nel maggio del 2013), unitamente alla condanna per vari reati contestati, è stata esclusa la sussistenza della finalità di terrorismo per alcune delle condotte oggetto delle imputazioni (in particolare è stata dichiarata l’insussistenza dei reati di cui agli artt. 280 e 280 bis c.p.). Quest’ufficio proporrà appello avverso questa pronuncia.

Sono state anche richieste varie misure di prevenzione ai sensi delle norme sopra citate.

I magistrati del Gruppo in questione praticano, ovviamente con attenzione, ogni forma di possibile tempestivo coordinamento nazionale (con altre Procure distrettuali e non solo) ed internazionale; mantengono stretti e diretti rapporti con gli organi di PG specializzati in materia, mentre al sottoscritto sono riservati i rapporti eventuali con le Agenzie di Informazione.

Nel corso delle indagini, vengono frequentemente utilizzati strumenti come intercettazioni telefoniche, ambientali e studio dei cd. “tabulati” di telefonia mobile

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Coerentemente con le decisioni da tempo assunte dai rappresentanti delle Procure Distrettuali nelle loro periodiche riunioni (se ne parlerà nel successivo par. 4), la Procura di Torino non dispone di una banca dati in materia di terrorismo, ma di un archivio cartaceo : alimenta comunque l’archivio informatico che di fatto quei magistrati hanno costituito in attesa della auspicata costituzione della Banca Dati Nazionale che non potrà non far capo alla Procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo.

3. “Non siamo all’anno zero”2: il coordinamento, dagli “anni di piombo”

all’antimafia

La magistratura italiana ha sempre dedicato attenzione prioritaria al momento giurisdizionale e al connesso dovere di pieno rispetto dei diritti degli imputati. Si tratta di un approccio che distingue all’evidenza la cultura giuridica italiana (e non solo quella, fortunatamente) dalle teorizzazioni partorite a cavallo dell’ 11 settembre oltre oceano, e poi diffusesi in Europa, che ruotano attorno alla War on Terror (di cui si parlerà più avanti).

In tale prospettiva, la magistratura italiana può rivendicare di avere rivestito, insieme alla polizia giudiziaria, un ruolo decisivo nel contrasto del terrorismo interno (quello dei cd. “anni di piombo”).

Un breve approfondimento storico può essere utile per l’attualità poichè, proprio negli anni più bui del terrorismo interno, cioè negli anni ’70 e durante buona parte degli anni ’80, la magistratura è stata capace di esprimere un eccellente livello di professionalità: specializzazione, lavoro di gruppo, coordinamento spontaneo tra uffici giudiziari, raccordo effettivo e leale con la polizia giudiziaria, capacità di gestione di un fenomeno divenuto quasi di massa come quello dei cd. pentiti e rispetto delle garanzie degli imputati furono i fattori che ne caratterizzarono l’azione.

Se le forze di polizia giudiziaria, nella primavera del 1978 (epoca del sequestro dell’on.le Moro), avevano già intrapreso il cammino verso una più diffusa specializzazione nella materia del terrorismo, la magistratura, salvo che a Torino, era decisamente indietro: mancavano la cultura del coordinamento reciproco tra uffici giudiziari e la capacità di coordinare gli uffici di polizia giudiziaria. Il sequestro dell’on. Moro, per questa ragione, colse le istituzioni impreparate: indagini frammentate, talvolta approssimative e comunque prive di coordinamento, costituivano la normalità quasi dappertutto.

Proprio nel ’78, però, in particolare nel periodo post Moro, la situazione registrò un’evoluzione positiva grazie all’iniziativa autonoma di PM e Giudici Istruttori, che diedero vita ad un coordinamento spontaneo tra gli uffici giudiziari

2 “Non siamo all’anno zero” è un’efficacissima espressione usata dal Procuratore della Reubblica di Catania, dr.

Giovanni Salvi, nel corso di una riunione tenutasi il 15 gennaio 2015, presso il Ministero della Giustizia, con la partecipazione del Ministro della Giustizia, il Ministro dell’Interno, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, il Procuratore Nazionale Antimafia e 15 Procuratori della Repubblica (operanti in sedi medio-grandi) per discutere della creazione (da tutti alla fine auspicata) della Procura Nazionale Antiterrorismo.

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interessati dal fenomeno ed alla creazione, al loro interno, di gruppi specializzati nel settore del terrorismo. Il sistema di legge non prevedeva allora né Direzioni Nazionali né alcuna norma in tema di coordinamento, anzi conosceva barriere formali che ostacolavano lo scambio di notizie. Ciononostante, a partire dalla metà del '78, quei magistrati, superando ogni logica formalistica ed ogni possibile diversità di estrazione culturale, cominciarono ad incontrarsi spontaneamente, con periodicità molto ravvicinata, sempre con modalità riservate e, talvolta, persino presso sedi ubicate in località decentrate. Quel gruppo di magistrati investigatori non superava il numero di venti-venticinque unità: nei loro incontri, essi si scambiavano in tempo reale notizie sulle indagini ed elaboravano indirizzi giurisprudenziali applicati.

Quando poi si manifestarono i primi “pentiti”, tra la fine del '79 e l’inizio '80, ne facevano immediatamente circolare i verbali delle dichiarazioni rese, accordandosi sulla ripartizione di competenze “a fare” e su tempi e modalità di eventuali e conseguenti sbocchi operativi (perquisizioni ed arresti).

Anche l'evoluzione delle strategie dei gruppi armati, le loro “risoluzioni strategiche”

e i volantini di rivendicazione venivano analizzati dai magistrati che indagavano sul fenomeno, alcuni dei quali avevano il compito di confrontare e sintetizzare i documenti d’interesse: in assenza di computer e banche dati, essi divennero la memoria storica della produzione ideologica dei gruppi terroristi.

Questo tipo di specializzazione e di auto-organizzazione – non è superfluo ricordarlo – vide protagonisti solo i pubblici ministeri ed i giudici istruttori, senza che alcuno invocasse la creazione di tribunali speciali o di un’unica Corte o di una Procura competenti su tutto il territorio nazionale per quel tipo di reati.

In breve, a quelle riunioni, presero a partecipare anche i responsabili locali, e talvolta nazionali, degli organismi investigativi della P.G. che andavano a loro volta recuperando o rafforzando la loro specializzazione (il nuovo nucleo speciale interforze comandato dal gen. Dalla Chiesa venne costituito il 10.8.78): proprio per effetto di questo stretto rapporto tra magistrati e polizia giudiziaria fu possibile non solo dare attuazione piena al principio della sottoposizione della P.G. alle direttive del Pubblico Ministero (ed, all’epoca, anche dei Giudici Istruttori), ma anche, attraverso il leale confronto tra le rispettive esperienze ed impostazioni di lavoro, favorire reciprocamente una consistente crescita di professionalità e la capacità di coordinamento di tutte istituzioni impegnate nelle indagini giudiziarie sul terrorismo.

Risale a quel periodo, dunque, la creazione di una sorta di task force composta da magistrati e polizia giudiziaria, capace di valutare congiuntamente le modalità ed i tempi degli sviluppi investigativi con l’attenzione rivolta alle regole e alle necessità del futuro dibattimento, prudente nell’analizzare la reale pertinenza o meno dei fenomeni di cd. antagonismo sociale (fisiologici in qualsiasi democrazia avanzata) alla pratica del terrorismo vero e proprio.

Va anche doverosamente sottolineato che pubblici ministeri e giudici istruttori, in quegli anni, non intrattennero – salvo che in un caso riguardante lo stragismo di destra, da cui scaturirono polemiche ed un processo penale - rapporti funzionali con i Servizi d’Informazione ma solo con la polizia giudiziaria: non certo per preconcetta

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ed ingiustificata diffidenza nei confronti dei primi, ma per la precisa consapevolezza della diversità di ruoli e competenze tra P.G. e Servizi stessi. Non a caso per i servizi, riformati nel ’77, fu previsto l’obbligo di riferire le notizie di reato alla polizia giudiziaria, tramite i rispettivi vertici: un obbligo che permane con la riforma del 20073.

Fu positivo e costante il confronto con le Autorità politiche, in particolare con l’allora Ministro dell’Interno Virginio Rognoni, che – nel rispetto delle competenze di ognuno – determinò una legislazione decisamente utile per la sconfitta del terrorismo interno, nonostante qualche commentatore, non sempre in buona fede, continui a definirla “emergenziale”, alludendo a presunti strappi al sistema dei diritti da cui sarebbe stata caratterizzata .

Non è fuori luogo, infine, citare il fatto che, nel periodo finale degli anni di piombo, un gruppo di magistrati siciliani (tra cui Giovanni Falcone) che si occupavano di mafia partecipò a vari incontri dei colleghi che si occupavano di terrorismo solo per conoscere le modalità del coordinamento spontaneo che essi avevano realizzato e gli orientamenti giurisprudenziali in tema di reati associativi (di portata storica, ad es., furono quelli elaborati in ordine al concorso esterno nel reato di banda armata poi recepiti in relazione al reato di associazione di stampo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p.) .

Con la differenza che, nel campo dell’antimafia, il Parlamento diede vita ad una legislazione specifica che – per quel che in questa sede interessa – determinò l’introduzione nel nostro ordinamento della Direzione Nazionale e delle Direzioni Distrettuali Antimafia, cioè istituti inutilmente invocati dai magistrati che si occupavano di antiterrorismo.

4. L’organizzazione delle Procure della Repubblica nelle indagini sul terrorismo internazionale: ancora una volta il coordinamento spontaneo.

Sono passati più di trent’anni da quando l’allora Capo dello Stato, Sandro Pertini, affermò, riferendosi alle B.R. ormai scompaginate, che il nostro Paese poteva vantarsi di avere sconfitto il terrorismo con gli strumenti previsti dalla Legge, dunque nelle aule di giustizia e non negli stadi.

Il Presidente Pertini potrebbe dirlo ancora oggi, pur se di “sconfitta” non si può certo ancora parlare, a commento delle modalità dell’ azione di magistratura e polizia giudiziaria contro la nuova emergenza costituita dal terrorismo internazionale. Il tutto, come già s’è detto nell’incipit, in un contesto internazionale che sembra favorire il ricorso a strumenti e logiche incompatibili con i principi su cui si regge ogni democrazia.

Secondo la teoria della War on Terror (“alla guerra si risponde con la guerra e la guerra produce democrazia”), ad esempio, i principi possano essere flessibili e sono ammissibili “zone grigie” in cui i diritti vivono in forma attenuata ed in cui diventano

3 Il tema delle diverse competenze di P.G. e Servizi d’informazione verrà comunque trattato più avanti, anche con riferimento all’attualità.

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lecite, in nome della sicurezza, attività normalmente considerate contra legem, finalizzate non certo alla celebrazione di un processo equo, ma ad ottenere l’informazione, ritenuta la chiave di volta per sconfiggere il terrorismo.

Eppure, anche quando atti di terrorismo vengono realizzati in tempo ed in zone di guerra, le democrazie dovrebbero rispettare il diritto bellico, cioè innanzitutto la Convenzione di Ginevra, i suoi protocolli addizionali e, più in generale, il diritto umanitario. Ma nell’ambito della W.O.T. anche queste regole sono state spesso violate, a partire, ad esempio, dalla stessa creazione della categoria degli “unlawful enemy combatants (cioè dei combattenti nemici illegali), che deve la sua ragion d’essere proprio al disegno di sottrarre i sospetti terroristi “catturati” in ogni parte del mondo alle regole del diritto umanitario e persino alla giurisdizione dei Tribunali Militari : seguendo questa logica, però, si corre il rischio di vanificare, attraverso atti amministrativi e politici unilaterali, decenni di elaborazione giuridica sul rispetto dovuto ai diritti umani e alle Convenzioni e leggi intervenute in materia.

Certe posizioni dimostrano come sul cosiddetto terrorismo islamico4 sia necessario un radicale mutamento di prospettiva: esso, quando si manifesta al di fuori degli scenari di guerra (di cui questa relazione non si occupa), è – e va considerato - una forma di criminalità organizzata, sia pure con caratteristiche e motivazioni ben diverse da quelle di altri fenomeni criminali e degli altri terrorismi conosciuti, come quelli di matrice nazionalista dell’ ETA e dell’IRA, o ideologico-politica delle BR o della RAF.

Ogni prassi illegale, anche se ritenuta utile contro il terrorismo (ma appresso se ne dimostrerà la assoluta inutilità), va dunque respinta. Al di là dei rapimenti e dei trasferimenti illegali a fini di tortura (le cd. extraordinary renditions), ci si vuol riferire, a titolo di esempio, ad istituti come il fermo per ben 28 giorni di sospetti terroristi, senza formalizzazione dell’accusa, consentito in Gran Bretagna; o alla criticabile «garde à vue » che in Francia consente alla polizia di detenere ed interrogare i fermati per terrorismo per 4 giorni, in assenza di intervento di magistrati e di avvocati, ciononostante ottenendo prove valide nei processi o, ancora, alla diffusa e prioritaria delega delle attività di contrasto del terrorismo ai servizi segreti o agenzie di informazione.

Gli eccellenti risultati sin qui ottenuti in Italia confermano ancora una volta la necessità di attenzione al sistema dei diritti e l’efficacia del rispetto delle regole anche nel contrasto di questo nuovo tragico terrorismo.

Venendo alla storia più recente, deve allora ricordarsi che, sin dalla metà degli anni novanta, si sono sviluppate in Italia le prime inchieste sul terrorismo internazionale

4 La definizione di “terrorismo cosiddetto islamico” (o di “cosiddetta matrice islamica”) viene qui adottata anche in ossequio alla condivisa richiesta di autorevoli esponenti delle magistrature e delle forze di polizia di vari paesi islamici i quali, nel corso di vari incontri motivati da ragioni scientifiche e da esigenze di cooperazione internazionale, hanno osservato che solo l’espressione di “so called islamic terrorism” può ritenersi idonea ad evitare ogni impropria, se non offensiva, generalizzazione. Si veda sul tema della definizione di questo terrorismo, “Perché è giusto non chiamare “islamico” il terrore dell’IS”, di Fareed Zakaria (La Repubblica, 21.2.2015), a commento di analoga posizione espressa dal Presidente degli Stati Uniti B.Obama in una pubblica conferenza

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con i primi arresti e le condanne dei militanti dei gruppi indagati. Alle soglie del 2000 ed anche prima dell’11 settembre, tali indagini si sono estese ed hanno interessato numerose sedi giudiziarie, nel Nord, Centro e Sud d’Italia.

Sono stati numerosi gli aderenti ad organizzazioni terroristiche di cd. matrice islamica condannati in questi ultimi anni in Italia in via definitiva, pur se, fino al 2004, le loro condanne riguardavano prevalentemente reati di associazione per delinquere (art. 416 cp) finalizzate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ed al traffico di documenti di identità falsi. Ciò è dipeso – è chiaro – dal fatto che il reato di associazione per delinquere con finalità di terrorismo anche internazionale è stato inserito nell’art. 270 bis cp solo con il D.L. n.374/2001, convertito nella L. n.438/2001, mentre le condotte giudicate in quei primi processi erano temporalmente anteriori all’autunno 2001. Tuttavia, nelle motivazioni delle sentenze di condanna per condotte così temporalmente collocate, veniva esplicitamente riconosciuto che le attività dei condannati rientravano nel programma criminale di associazione agenti con finalità di terrorismo internazionale. A partire dal 2004, invece, sono intervenute numerose condanne anche per violazione dell’art.

270 bis cp (oltre che per specifici reati fini delle associazioni inquisite), che smentiscono l’erroneo assunto secondo cui questo terrorismo non potrebbe essere affrontato e sanzionato nelle aule giudiziarie, ipotizzando una inadeguatezza del sistema giudiziario italiano a fronteggiare questo nuovo fenomeno. Ciò va affermato anche in relazione al numero delle pronunce intervenute in altri Stati, in particolare nei paesi di common law (U.S.A. e Gran Bretagna, soprattutto), ove il contrasto del terrorismo è fondato su opzioni differenti.

Va perciò riaffermata la centralità della risposta giudiziaria al terrorismo, pur con il suo irrinunciabile fardello di regole poste a tutela dei diritti dei cittadini, anche di quelli stranieri, imputati di reati gravissimi.

I citati risultati sono stati conseguiti non solo grazie alla professionalità della nostra polizia giudiziaria, ma anche grazie al ritorno alle virtuose esperienze del passato: ancora una volta, cioè, i magistrati italiani hanno dato prova di capacità di auto-organizzazione e di coordinamento spontaneo, pur nella perdurante assenza di una Procura Nazionale Antiterrorismo e della correlata Banca dati.

Le Procure Distrettuali competenti in materia di terrorismo ed eversione ex art. 51 c.

quater cpp, infatti, sin dai primi mesi del 2003 e su iniziativa di alcuni magistrati esperti in quel settore, hanno assunto la decisione di organizzare spontaneamente – proprio come già avvenne a partire dal 1978 – il loro coordinamento.

Conseguentemente, ogni tre mesi circa, magistrati appartenenti alle 26 Procure in questione si sono incontrate per scambiarsi aggiornamenti sulle indagini in corso in ciascuna sede, per elaborare indirizzi strategici e giurisprudenziali in materia, per intensificare i rapporti di coordinamento e fare il punto del non sempre soddisfacente livello della cooperazione internazionale.

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A tale ultimo fine, anche il membro italiano di Eurojust veniva invitato a partecipare agli incontri cui, talvolta, furono invitati anche i magistrati di collegamento di Spagna, Francia e Gran Bretagna operanti in Italia.

Gli incontri, peraltro, da un certo momento in poi, si svolsero stabilmente presso il Consiglio Superiore della Magistratura, in un’aula appositamente attrezzata messa a disposizione dei magistrati.

I partecipanti alle riunioni in questione hanno spesso realizzato supporti informatici per i colleghi delle altre Procure al fine di un più agevole scambio di informazioni:

niente di diverso rispetto a quanto, nella fine degli anni ’70 ed inizio anni ’80, veniva realizzato con lo scambio di fotocopie. In questo caso, però, lo scambio di informazioni su supporto informatico serviva anche ad alimentare il sistema di banche dati che, sempre spontaneamente, alcune delle 26 Procure Distrettuali misero a punto . Furono anche designati tre magistrati addetti al tentativo di coordinamento tra le banche dati delle varie Procure.

Attorno al 2009-2010 si è registrato un diffuso calo di attenzione rispetto alla necessità di riunioni periodiche tra i rappresentanti delle Procure Distrettuali, probabilmente collegato alla diminuzione- anche nelle zone del Paese più toccate da quel fenomeno criminale - delle indagini sul terrorismo internazionale. Ma non si può per questo affermare che la consapevolezza dell’importanza strategica di quello strumento sia venuta meno: infatti, proprio recentemente, nel gennaio di quest’anno, i rappresentanti di quattro Procure della Repubblica del Centro Nord si sono riservatamente incontrati, unitamente ai responsabili degli Uffici di P.G. che con loro stanno rispettivamente lavorando, per scambiarsi informazioni e valutazioni relative ad indagini in corso di comune interesse.

5. Ulteriori riferimenti alle modalità d’indagini nel settore del terrorismo internazionale

Si può affermare, dunque, che lo sforzo di pubblici ministeri e della polizia giudiziaria, nella direzione del recupero ed affinamento dei metodi di indagine attuati negli anni '70 ed ’80, non si è arrestato ed è oggi arricchito dal sapiente governo delle tecnologie disponibili.

Spetta, ad es., Pubblici Ministeri la conoscenza e l’uso mirato delle nuove tecniche di intercettazione telefonica e delle comunicazioni tra presenti, ma compete ai giudici l’obbligo di un rigoroso controllo giurisdizionale sulla ricorrenza dei presupposti autorizzativi dei provvedimenti in questione e la loro motivazione effettiva, il che determina una situazione ben diversa da quella conosciuta in altri ordinamenti, ove siffatte valutazioni sono affidate ad Autorità politiche o di Polizia.

Spetta ancora ai Pubblici Ministeri l’amministrazione oculata dei propri poteri autorizzativi delle intercettazioni preventive ad opera della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, in modo da evitare che il loro eventuale abuso determini un aggiramento sostanziale delle norme che

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presidiano le intercettazioni giudiziarie. E la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma, dal canto suo, è chiamata a gestire con prudenza le autorizzazioni delle intercettazioni preventive dei Servizi di Informazione (di cui sarebbe forse utile conoscere la quantità per anno), onde scongiurare quel rischio di sovrapposizione di competenze di cui si tratterrà appresso.

Al di là dei metodi tradizionali di indagine (pedinamenti, tecniche di esame di testimoni e di interrogatori di indagati, indagini scientifiche etc.), vi sono molti altri moderni strumenti che la magistratura italiana e la nostra polizia giudiziaria sanno sapientemente utilizzare nelle indagini contro il terrorismo internazionale: dalla possibilità di analisi delle tracce degli apparati telefonici mobili per individuare movimenti e contatti tra persone, alle indagini scientifiche di varia natura; dalle possibilità di disporre il ritardato arresto al differimento di perquisizioni e sequestri etc. offerte dalla L. 146/2006 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle N.U. contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea Generale il 15.11. 2000 ed il 31.5.2001); dalle analisi di siti web fino alla valutazione ed oculata selezione dei tanti, forse troppi, dati personali cui la modernità ci consente di accedere, con il rischio – però - che il loro accumulo generi difficoltà nel distinguere quelli utili da quelli inutili ed amplifichi a dismisura l’area dei potenziali sospetti. Ma su questo punto, si tornerà più avanti, così come sul sistema delle cd. black list e sui rapporti con i Servizi di informazione.

Si ritiene utile, a questo punto, far riferimento alla relazione del Gen. B. Mario Parente, Comandante del ROS dei Carabinieri (qui in All. 25) che in modo compiuto e preciso non solo ricostruisce alcune indagini sul terrorismo internazionale condotte in Italia anni addietro (tra cui quella sull’unico caso di aspirante kamikaze, Mohammed Game, un cittadino libico che il 12 ottobre 2009 tentò di farsi esplodere all’ingresso di una caserma dell’Esercito a Milano, provocando gravi danni solo a se stesso e lievi ferite ad un soldato), illustrando il nascere del “terrorismo fai da te”, ma – partendo da riferimenti attuali ai fenomeni dei foreign fighters e degli homegrown – riferisce in dettaglio sulle moderne tecniche di indagini ed analisi sul web di cui la nostra polizia giudiziaria è capace.

In definitiva, rimangono identici, rispetto al passato, i parametri di comportamento professionale da valorizzare e recuperare in pieno in questo momento storico, specie da parte dei pubblici ministeri che, attrezzandosi anche spontaneamente, devono:

- consolidare la cultura del coordinamento tra uffici e dello scambio reciproco di informazioni;

5 Si tratta della relazione illustrata dal Gen. M. Parente nel Seminario sulla minaccia terrorista organizzato dalla Fondazione Icsa presso il Centro Alti Studi per la Difesa (Roma, 18 febbraio 2015),

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- perseguire una ulteriore e più accentuata specializzazione in una materia in buona parte ancora poco esplorata, che richiede anche conoscenza della storia e della cultura islamica, nonché - in particolare – delle motivazioni e del progressivo diffondersi di questo terrorismo;

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continuare a coltivare la prassi virtuosa dell’analisi e della discussione con la Polizia Giudiziaria circa le possibili strategie investigative;

-

aver chiaro che il proprio ruolo giudiziario nulla ha a che fare, se non in modo indiretto e derivato, con le funzioni di prevenzione, sicchè sono da evitare rapporti, se non assolutamente necessari per l’investigazione, con organismi diversi dalla polizia giudiziaria e, comunque, l’utilizzo di elementi e notizie non accertati o confermati da quest’ultima.

Si tratta di un ruolo che, così interpretato, non solo consentirà di dare piena attuazione al dettato dell’art. 327 cpp in tema di direzione delle indagini preliminari, ma, traducendosi nella valorizzazione delle esperienze e delle eccellenti qualità della polizia giudiziaria italiana specializzata in materia, consentirà ai Pubblici Ministeri di evitare o prevenire prassi inaccettabili e poco produttive di risultati concreti che si sono talvolta manifestate anche in un recente passato. Ci si intende riferire alle informative-teorema rivolte ad un numero indefinito di AA.GG., zeppe di valutazioni improprie e povere di fatti; alle singolari e formali richieste di cattura di indagati rivolte dalla PG al PM (mentre solo i fatti dovrebbero essere al PM riferiti e solo il PM può trarne elementi per richiedere provvedimenti restrittivi); alle informative infarcite di notizie provenienti da innominate e “qualificate fonti” o di ipotesi espresse al condizionale o di fatti che, pur assolutamente indimostrati, si danno per provati : si pensi all’enfatizzazione dei rischi da cui il nostro Paese sarebbe afflitto per l’alto numero dei cd. “foreign fighters” in arrivo o in partenza; o – peggio – ai continui riferimenti (a dire il vero non certo provenienti dalla polizia giudiziaria) alla indimostrata possibilità che i terroristi possano arrivare in Italia sui barconi degli immigrati irregolari che muoiono a centinaia nel Mediterraneo.

Bisogna anche ribadire, al di là di quanto sarà appresso specificato sul contenuto del decreto legge 18 febbraio 2015 n. 7, che – tranne per l’istituzione della Procura Nazionale Anti Terrorismo e di una Banca dati ad hoc su cui appresso si tornerà – non si avverte, sul piano interno, la necessità di ulteriori interventi legislativi6 : la legislazione di cui disponiamo, in sostanza, appare sufficientemente adeguata al contrasto del fenomeno in esame e, complessivamente, sia pure con qualche aspetto di sofferenza dettato dalle emergenze terroristiche post attentati, non ha certo compromesso il diritto di difesa degli imputati (come avvenuto in altri sistemi).

Resta il problema, piuttosto, di far effettivamente funzionare la collaborazione internazionale, rendendola immediata e spontanea: una prospettiva sin qui ancora

6 Ci si riferisce – è chiaro – alla specifica normativa anti terrorismo, essendo fuori dal tema della relazione ogni possibile ed altrimenti doveroso rilievo in tema di interventi sulle generali regole del nostro processo penale.

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lontana, nonostante la consapevolezza di questa necessità sia in generale diffusa nell’ambito dell’Unione Europea, unitamente a quella della effettività dell’assistenza giudiziaria, di un efficace coordinamento interno ed esterno degli apparati repressivi nazionali, nonché della omogeneità delle legislazioni e delle prassi nazionali7. Ma anche di questo si parlerà appresso.

6. Gli interventi legislativi del 2001 (dopo l’ 11 settembre) e del 2005 (dopo gli attentati di Londra del luglio 2005)

E’ doveroso ricordare, a questo punto, che anche nel settore del cd. terrorismo islamico, così come avvenne tra il ’78 e l’82, si sono succeduti interventi legislativi, ovviamente utili per meglio contrastare anche il terrorismo interno.

La normativa speciale in tema di terrorismo ha riguardato i settori del diritto penale, della procedura penale, della esecuzione delle pene, delle misure di sicurezza, della attività di prevenzione, delle espulsioni degli stranieri, della organizzazione della magistratura e delle forze di polizia, nonché la disciplina amministrativa di una serie di attività ritenute degne di attenzione a fini di prevenzione di rischi di attentati.

Le direttive internazionali in materia di terrorismo, in particolare, sono state recepite in Italia – pur se con molti vuoti - anche attraverso specifici interventi normativi di cui i più importanti sono intervenuti dopo l’11.9.01 e dopo gli attentati di Londra del luglio del 2005.

Interventi legislativi successivi all’11 settembre:

- Decreto Legge 28.9.2001 n. 353, convertito nella Legge 27.11.2001 n. 415 recante

“Disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle misure adottate nei confronti del regime dei Talebani”;

- Decreto Legge 12.10.2001 n. 369, convertito nella Legge 14.12.2001 n. 431 recante “Disposizioni urgenti per contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale”, che ha introdotto il “Comitato di Sicurezza Finanziaria”, costituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e disciplinato la procedura di congelamento dei beni di persone ed associazioni sospette;

- Decreto Legge 18.10.2001 n. 374, convertito nella Legge 15.12.2001 n. 438 recante “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”, che ha costituito l’intervento normativo più rilevante e che ha introdotto:

 il reato di Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale”

(nuova formulazione dell’articolo 270 bis del Codice Penale);

 in analogia con quanto previsto per il contrasto della mafia, la competenza delle 26 Procure della Repubblica presso le sedi di distretto (e non più delle

7 Vittorio Grevi, in proposito, ha lucidamente affermato che “in realtà, l’idea di una struttura unitaria volta a coordinare le inchieste per fatti terroristici in Italia…appare sempre più condivisa, ed è fortemente auspicata anche a livello internazionale. Anzi, essa è praticamente imposta dalle esigenze di individuare un adeguato corrispondente nazionale rispetto ad Eurojust, l’organismo europeo di coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata.

Eppure, nessun governo ha mai fatto qualcosa di concreto al riguardo. E’ lecito sperare in un guizzo di orgoglio nelle prossime settimane?” (“Coordinamento e banca dati. Le armi spuntate dei giudici” – La Repubblica, 26.2.2007)

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166 costituite presso ogni tribunale) a condurre le indagini in materia di terrorismo, al fine di garantire maggiore specializzazione e concentrazione del sapere investigativo;

 in analogia con quanto previsto per il contrasto della mafia, la possibilità di effettuare intercettazioni telefoniche, ambientali e di flussi informatici in presenza di sufficienti indizi di reato e di necessità delle intercettazioni (mentre il regime normale prevede la presenza necessaria di gravi indizi e di assoluta indispensabilità delle intercettazioni);

 la possibilità di effettuare le stesse intercettazioni, in via preventiva, su autorizzazione del PM (senza necessità dell’intervento autorizzativo del Giudice per le Indagini Preliminari), ma senza valenza probatoria e processuale dei risultati delle operazioni;

 la possibilità per gli appartenenti alla forze di polizia ed i loro ausiliari di svolgere “attività sotto copertura”;

 l’estensione al settore del terrorismo internazionale delle misure di prevenzione personali e reali, originariamente previste per contro la mafia;

 l’utilizzo del sistema della videoconferenza per l’esame e la partecipazione al dibattimento di detenuti e collaboratori.

Da tempo, invece, l’ordinamento italiano già prevedeva il trattamento di favore, sul piano sanzionatorio, detentivo e della sicurezza, dei collaboratori processuali nel settore del terrorismo (ve ne sono stati alcuni anche nel settore di quello internazionale), nonché una speciale aggravante per i reati commessi per tali finalità.

Intervento legislativo successivo agli attentati di Londra del 7 luglio del 2005 (Il Decreto-legge 27.7.2005 n. 144 (cd. Decreto Pisanu), recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito con Legge 31 luglio 2005 n.

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Al di là della variegata carica di innovatività dei suoi specifici profili di articolazione, l’intervento normativo noto come Legge Pisanu appare complessivamente muoversi lungo le fondamentali e significative linee di politica criminale inaugurate già all’indomani degli eventi dell’11 settembre (quelle prima indicate). In sostanza, il nuovo provvedimento appare coerente con la scelta, immediatamente seguita ai tragici eventi newyorkesi, di rinunciare a strumenti incompatibili con le regole di uno stato di diritto, ricercandosi invece:

- il progressivo adeguamento del sistema delle incriminazioni alla luce dei dati offerti dall’osservazione criminologica e dalla concreta esperienza investigativa e processuale, unitamente al tentativo, prevalso soltanto in sede di conversione

8 Il commento alla Legge Pisanu è in buona parte tratto da “Senza la creazione di una Procura Nazionale a rischio il coordinamento tra gli Uffici”, di G. Melillo e A. Spataro (in Guida al Diritto, n. 33/2005, 49.

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dell’originario decreto legge, di apprestare una nozione di “condotta con finalità di terrorismo” tale da resistere ad ogni rischio di divaricazione interpretativa;

- un’ulteriore progressione del processo di estensione ai procedimenti in materia di terrorismo di istituti nati per il contrasto della criminalità organizzata mafiosa;

- il rafforzamento, anche in ambito e per finalità extra-processuali, delle potestà di raccolta ed utilizzazione di informazioni utili alla penetrazione conoscitiva del fenomeno e all’accertamento dei reati (con conseguente compressione di correlate sfere di privatezza e libertà individuali, pur se controllata e dunque costituzionalmente sostenibile) e, in generale, l’estensione dei poteri di intervento autonomo, anche pre-cautelare, delle forze di polizia.

E’ da rilevare, però, che la gravità della montante minaccia terroristica (in nulla intaccata dall’ormai accertata operatività di gruppi numericamente limitati e talvolta privi di collegamenti con organizzazioni dotate di strutture ramificate su scala transnazionale e di mezzi e finanziamenti sofisticati) e la sua prevedibile tendenza a segnare fortemente gli scenari interni ed internazionali dei prossimi anni sono alla base del tratto distintivo complessivo della Legge Pisanu . Questa, cioè, diversamente dalle leggi del 2001, si adegua alla già descritta filosofia degli interventi legislativi di molti altri Stati europei e privilegia le funzioni di prevenzione dei rischi . Ne escono rafforzate, dunque, le competenze degli apparati di polizia e di intelligence e, in generale, acquistano maggior peso le correlate scelte dell’autorità politica. Si spiega, così, la tendenza che obiettivamente emerge da quel “pacchetto” a svincolare l’azione antiterrorismo dalla direzione e dal controllo degli uffici del P.M.: si vedano, a tal proposito alcuni dei rilievi che seguono.

Il Decreto-legge 27.7.2005 n. 144 recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito con Legge 31 luglio 2005 n. 155, ha comunque introdotto:

a) il “permesso di soggiorno a fini investigativi” (art. 2 del D.L.) che nasce dalla logica premiale che già da tempo l’ordinamento italiano prevede nei confronti dei collaboratori processuali in tema di criminalità mafiosa e terroristica (oltre che in vari altri settori criminali);

b) un complesso di nuove misure specificatamente atte alla prevenzione del rischio di attentati contro l’incolumità pubblica, attraverso l’introduzione di più rigorose regolamentazioni amministrative di attività astrattamente pericolose (in tale direzione vanno le nuove norme integranti la disciplina amministrativa degli esercizi pubblici di telefonia e internet di cui all’art. 7, delle attività concernenti gli esplosivi di cui all’art. 8, dell’attività di volo di cui all’art. 9, della prevenzione antiterroristica negli aeroporti di cui all’art. 9 bis e dei servizi di vigilanza che non richiedono l’impiego di personale delle forze di polizia di cui all’art.18);

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c) nuove norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, che rivelano la citata pericolosa tendenza del nuovo “pacchetto” ad affievolire la tutela dei diritti delle persone. Infatti, viene soppressa la regola (di cui all’abrogato comma 3-sexies del dlv.

286/1998) della necessaria prevalenza delle esigenze giurisdizionali connesse alla trattazione di procedimenti relativi ai gravi delitti elencati dalle norme della lett. a) del capoverso dell’art. 407 c.p.p. rispetto a quelle sottese all’allontanamento forzato dello straniero dal territorio dello Stato9 e si prevede che il meccanismo dell’espulsione scatti sulla sola base di valutazioni di polizia di prevenzione, senza che in nessun caso il giudice amministrativo, cui abbia fatto ricorso il destinatario di un provvedimento di espulsione, possa sospendere l’esecuzione dell’atto in ipotesi illegittimo;

d) la possibilità per i direttori dei servizi di informazione, sul presupposto di una delega politica, di richiedere di essere autorizzati dalle Procure Generali presso le Corti d’Appello allo svolgimento di intercettazioni preventive. La soluzione di attribuire la competenza al rilascio di tali autorizzazioni agli uffici di Procura Generale, poi modificata con l’art. 12 co. 1 della L. 7 agosto 2012 n. 133, che l’ha attribuita alla sola Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma, rischia di affievolire la necessità di controllo su quelle intercettazioni poiché non sempre tali uffici dispongono del know-how necessario per valutare la potenziale interferenza delle attività informative delle agenzie di informazione rispetto alle indagini giudiziarie in atto in altre Procure Distrettuali;

e) l’obbligo di identificazione degli acquirenti di schede elettroniche (S.I.M.) per telefonia mobile, di conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico ed il nuovo regime di acquisizione dei dati stessi ai fini processuali, che avviene ora direttamente ad opera del PM con decreto motivato entro 24 mesi dalla loro conservazione oppure, per i casi di cui al c. 4 dell’art. 132 D. L.vo n. 196/2003 ove ricorra l’urgenza, con decreto da sottoporsi a convalida da parte del Giudice (art. 6);

f) la nuova figura di reato di “possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi”, validi per l’espatrio, con conseguente ampliamento delle ipotesi di arresto obbligatorio e facoltativo in flagranza di reato, nonché di fermo di indiziati di delitto (artt. 10 e 13);

g) la estensione da 12 a 24 ore del cd. fermo per identificazione personale, che risponde ad una obiettiva e frequente difficoltà nell’accertamento rapido

9 Sicchè, anche se lo straniero era sottoposto a procedimento penale, non era più necessario, secondo una norma temporanea non più in vigore, il nulla osta all’espulsione dell’Autorità Giudiziaria competente: era piuttosto al solo Prefetto (comma 3 articolo 3 del Decreto convertito) che si attribuiva la valutazione di contrarie esigenze che pure appaiono di natura strettamente giudiziaria (come “la necessità per la prosecuzione delle indagini…dirette alla individuazione o alla cattura dei responsabili dei delitti commessi con finalità di terrorismo”) ed il connesso potere di sospendere – oltre che di omettere e revocare - il provvedimento di espulsione.

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della reale identità delle persone (specie se provenienti da Paesi extracomunitari) e della genuinità dei loro documenti personali10;

h) nuove previsioni di reati nel Codice Penale (l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale - ex art. 270 quater c.p. - e l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale – ex art. 270 quinquies c.p. - che prevede la punizione anche della persona addestrata) e la migliore definizione giuridica dei reati di terrorismo (sono state tipizzate – ex art. 270 sexies - le “condotte con finalità di terrorismo”, attraverso formule che si ispirano alla nozione di terrorismo internazionale ed alla formulazione adottata dall’art. 1 della Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea del 13 giugno 2002).

Restava inspiegabile, però, la mancanza di un intervento diretto a disciplinare il coordinamento giudiziario delle indagini in materia di terrorismo, dell’esigenza del quale pure contenevano tracce rilevanti già i lavori parlamentari di conversione del d.l. n. 374/2001. Ci si intende riferire – è chiaro – alla mancata istituzione della Procura Nazionale Antiterrorismo (ed alla conseguente mancata creazione di una banca dati nazionale ad hoc), lacuna – come si dirà, colmata solo il 18 febbraio 2015, cioè quasi dieci anni dopo la L. 144/2005.

Infatti, al di là delle variegate giustificazioni politiche che vennero date in ordine alla perdurante assenza nel sistema di tale organismo, appariva chiaro che l’attribuzione ad un ufficio giudiziario centrale delle funzioni che, con riferimento alla criminalità organizzata mafiosa ovvero a questa assimilata, dal 199311 già svolgeva la Direzione nazionale antimafia, avrebbe meglio consentito la elaborazione di comuni strategie di intervento giudiziario, la concentrazione e la circolazione delle conoscenze, una maggiore attenzione alle ragioni della cooperazione internazionale, che espressamente esige l’individuazione di riferimenti nazionali unitari per lo scambio delle informazioni e il coordinamento delle iniziative investigative12. Tanto più trattandosi di attività delittuose di organizzazioni aderenti a programmi di violenza terroristica, vale a dire di organizzazioni con una naturale vocazione transnazionale, dotate di complessi profili strutturali e strategici strettamente connessi alle logiche di un circuito politico-ideologico-religioso di respiro internazionale ed in grado di

10E’ stato paventato il rischio che tale più esteso potere possa dar luogo a prassi surrettiziamente finalizzate ad obiettivi diversi da quelli avuti di mira dalla norma (art. 10) modificativa dell’art. 349 cpp. Ed è per questo che autorevoli voci (A. Cassese, Ma sul fermo di polizia servono più garanzie, in La Repubblica del 23.7.05) hanno suggerito la previsione di una visita medica di controllo obbligatoria del fermato, da svolgersi al momento del rilascio e gli esiti documentati della quale dovrebbero trasmettersi al magistrato, in linea, peraltro, con le garanzie che il Comitato per il Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura richiede da anni, in termini generali, a tutti gli stati. E’ pure da rilevare, in ogni caso, che a circa 10 anni dall’entrata in vigore della norma, non risultano denunciati abusi nella sua applicazione, almeno per quanto noto allo scrivente.

11La DNA, infatti, pur “varata” con D.L. 20.11.1991 n. 367, conv. in L. 20.1.1992 n. 8, entrò effettivamente n funzione il 15 gennaio 1993

12Si veda più avanti per quanto riguarda la persistente mancanza di previsione di un corrispondente italiano per Eurojust.

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trasferire silenziosamente e con rapidità uomini, denaro e armi attraverso i confini nazionali, così coinvolgendo gli interessi di una pluralità di stati13.

La pur sommaria menzione delle caratteristiche principali dei più rilevanti interventi legislativi fino al 2005, comunqe, ha in questa sede una precisa ragione: dimostrare che, come già avvenuto all’epoca del terrorismo interno degli anni settanta ed ottanta, il Legislatore ha adottato strumenti che, in alcuni casi, si sono rivelati effettivamente utili per un più incisivo contrasto del terrorismo internazionale ed in altri poco significativi. Ma in quegli interventi esiste pure una parte residua, e fortunatamente non prevalente, di dubbia compatibilità con il sistema delle regole conosciute nel nostro ordinamento: ciò non può non ritenersi conseguenza della descritta tendenza internazionale a considerare il processo un ingombrante ostacolo sulla strada della sicurezza e della prevenzione dei rischi.

Ecco perché, ancora oggi, come trent’anni fa, tocca alla magistratura un ruolo equilibratore del sistema, capace, da un lato, di valorizzare, anche in questo settore, strumenti efficaci per il contrasto del terrorismo che non determinano lesioni delle garanzie individuali e, dall’altro, di “contenere” derive pericolose per la stessa credibilità della nostra democrazia.

7.Luci ed ombre nella cooperazione internazionale

Va ora approfondita l’analisi del funzionamento – in questi ultimi 15 anni – della cooperazione internazionale in tema di terrorismo. A quest’ultimo proposito, i dati desumibili dall’esperienza concreta consentono di affermare che in alcuni casi i rapporti di cooperazione tra organi di p.g. e magistrature di Stati diversi hanno funzionato e determinato ottimi risultati (tra Italia, Spagna e Germania, innanzitutto).

In altri, invece, la cooperazione è stata soltanto declamata senza alcun effettivo risultato pratico. Ma sempre la magistratura e le forze di polizia italiane, forti dell’esperienza conseguita in passato, anche nel campo dell’antimafia, hanno sostenuto con forza - e nei fatti attuato - il principio secondo cui, in particolare nel contrasto del terrorismo, nessuno è il proprietario esclusivo della notizia e la circolazione delle informazioni deve essere invece immediata e spontanea, anche in assenza di formali richieste di assistenza giudiziaria (pur dovendosi ovviamente concordare obblighi di reciproco rispetto di eventuali esigenze di riservatezza).

Certo esistono problemi giuridici da affrontare e risolvere a livello internazionale (quelli, ad es., della definizione, non ancora del tutto condivisa, di “atto di terrorismo” e di “associazione terroristica”, delle condizioni di ammissibilità – in

13Con risoluzione adottata dall’Assemblea Plenaria del 12.7.2006, anche il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo un approfondito esame della normativa e delle prassi internazionali, nonché delle esigenze concretamente imposte dal fenomeno del terrorismo internazionale, si era categoricamente espresso sul punto: “ In conclusione, la costituzione di un organismo di coordinamento (ndr.: definito nel documento “D.N.A.T.”, cioè “Direzione Nazionale Anti Terrorismo”) è ormai necessaria. Essa è anzi urgente, in quanto occorre dare risposta alle esigenze derivanti dal contrasto del terrorismo internazionale”

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questo settore – del processo in absentia14, dell’effettivo riconoscimento del principio del ne bis in idem e dell’utilizzabilità delle prove raccolte secondo la lex loci salva l’ovvia eccezione delle prove acquisite in violazione dei diritti umani e dei principi fondamentali di ciascuno Stato) ma, al di là della creazione di nuove istituzioni preposte al contrasto del terrorismo internazionale o dell’approvazione di nuove convenzioni e risoluzioni, di cui non si avverte l’urgente bisogno, occorre far vivere ed operare effettivamente quelle già esistenti, secondo mentalità e convinzioni che purtroppo non sono, come in Italia ed in altri pochi Stati, patrimonio diffuso in Europa, né tra gli investigatori statunitensi.

Mentre l’obiettivo dell’adeguata preparazione a far fronte ad un possibile attacco terroristico, in uno spirito di solidarietà ed attenzione per le possibili vittime, riguarda essenzialmente il campo delle responsabilità politiche ed amministrative (coinvolgendo i temi del soccorso e trasporto delle persone coinvolte in eventuali attacchi; delle esercitazioni – anche in Italia effettuate – per il caso di attentati; del sostegno economico in materia di protezione civile ed aiuto delle vittime e dei loro familiari; nonché delle modalità di gestione dei periodi di crisi), i contenuti della strategia antiterrorismo europea per il perseguimento oltre frontiera e su scala mondiale dei terroristi sono quelli che più direttamente investono le competenze dei pubblici ministeri e degli investigatori in genere. Le indagini sulle associazioni terroristiche, l’assicurazione alla giustizia di quanti ne sono componenti ed il finanziamento dei gruppi terroristici costituiscono, infatti, il terreno su cui è davvero possibile misurare l’effettività delle politiche europee antiterrorismo e l’efficacia della cooperazione internazionale che ne costituisce il centro. Luci ed ombre in questi settori, dunque, servono a qualificare in un senso o nell’altro i risultati sin qui conseguiti.

E’ doveroso esaminare innanzitutto, in rapida rassegna, quelle scelte dell’Unione Europea che, risalenti al periodo immediatamente successivo all’11 settembre, sono da considerarsi, decisamente positive.

Un risultato di grande rilievo ed utilità, ad esempio, è costituito senza alcun dubbio dall’adozione del mandato d’arresto europeo: oltre che utilizzato ormai in migliaia di casi ed anche nel settore del contrasto del terrorismo, l’istituto risponde pure alla necessità di valorizzare l’indipendenza delle Autorità giudiziarie dai Governi dei vari Stati membri: è noto, infatti, che il M.A.E. è eseguibile negli Stati europei a prescindere dalla volontà politica dei Governi interessati, cui non è riconosciuto alcun margine di discrezionalità in tema, appunto, di esecuzione e consegna dell’arrestato all’autorità giudiziaria richiedente. E’ un affare tra giudici, insomma: e ciò è

14 E’ da precisare, però, che il 27 febbraio 2009 è stata approvata dal Consiglio dell’Unione Europea una importante Decisione Quadro sul processo in absentia, che, introducendo tra l’altro emendamenti ad altre precedenti DQ - tra cui quella sul mandato d’arresto europeo -, prevede le condizioni per il mutuo riconoscimento, tra gli Stati membri, delle sentenze emesse in procedimenti celebratisi in assenza delle persone interessate. Rispetto a tale Decisione Quadro proprio l’Italia ha fatto valere una clausola di riserva che le consente di posticipare il recepimento – comunque ancora non avvenuto - al 2014.

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decisamente una buona cosa, pur se qualche non secondaria resistenza alla piena efficacia del M.A.E. tuttora si manifesta, anche nel settore del terrorismo, in alcuni stati europei. Ciò avviene sia per ragioni giuridiche (principalmente concernenti la compatibilità dei principi affermati nella decisione quadro e nella normativa interna di recepimento rispetto alle normative costituzionali di riferimento), sia per effetto di prassi burocratiche, che producono effetti sostanzialmente dilatori quanto al trasferimento degli arrestati negli stati richiedenti.

Anche la decisione quadro sulla costituzione delle Squadre Investigative comuni15, risalente al 13 giugno 2002, pur se ancora non recepita in Italia, è da annoverarsi tra i risultati positivi della politica dell’Unione Europea in tema di contrasto della criminalità organizzata, tra cui quella transnazionale e terroristica. Le indagini condotte dalle polizie europee grazie a questo strumento sono in deciso incremento ed è prevedibile che in futuro esse diano luogo a risultati ancor più soddisfacenti. Tra l’altro qualche anno fa è stata approvata un’altra Decisione quadro sul rafforzamento di Eurojust che, oltre a potenziare il ruolo dei membri nazionali nel richiedere agli Stati coinvolti la costituzione di un JIT (Joint Investigations Teams), prevede che gli stessi possano parteciparvi direttamente.

Sempre al 13 giugno 2002 risale un altro momento importante della strategia antiterrorismo dell’Unione: l’adozione della Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea16 con cui sono stati affrontati ed in buona parte risolti i non secondari problemi di definizione dell’atto di terrorismo. E’ noto, infatti, quali siano a livello mondiale le difficoltà che impediscono di pervenire ad una definizione condivisa di tali atti: non a caso è stato autorevolmente affermato che “quello che in realtà manca.. non è la definizione” dell’atto o della finalità di terrorismo, nonché di associazione terroristica, “bensì l’accordo sulla eccezione alla definizione”17.

Ma ora, proprio grazie a tale Decisione Quadro, lo sforzo interpretativo dei giudici europei può giuridicamente orientarsi sulla base di solidi ed utili parametri: se, da un lato, infatti, sono ormai individuate come terroristiche le condotte di danno grave o anche solo di pericolo grave per un Paese o una organizzazione internazionale (art.1), dall’altro, viene tipizzata una serie amplissima di condotte e di relativi scopi, utile anche per la individuazione del significato da attribuire, sul piano giurisdizionale interno, al concetto di “finalità di terrorismo” che tanto ha fatto discutere in Italia.

Tale decisione quadro adottata nell’ambito del c.d Terzo Pilastro della normativa europea, in particolare gli artt. 29, 31 lettere e) e 34 paragrafo 2 lettera 9) del Trattato UE, è vincolante per gli Stati membri, pur lasciando alle autorità nazionali la

15 Decisione quadro 2002/465/JHA pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 164 dell’Unione Europea del 20.6.2002, alla quale fa peraltro riferimento quella del Consiglio 2005/671/GAI la quale (art. 3) prevede anche che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad istituire squadre investigative comuni per svolgere indagini penali riguardanti i reati terroristici.

16 Decisione quadro 2002/475/JHA pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 164 dell’Unione Europea del 22.6.2002

17 Antonio Cassese, “Lineamenti di diritto internazionale penale”, Il Mulino, 2005, pag. 164.

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