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Il bilancio delle società immobiliari: il principio di competenza

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Il bilancio delle società immobiliari: il principio di competenza

di Massimo Pipino

Pubblicato il 18 gennaio 2017

analizziamo come funziona il principio di competenza economica per le società immobiliari, in particolar modo per le società che si occupano di costruzioni: nel settore immobiliare il principio di competenza economica può far emergere anomalie nei risultati di bilancio, ad esempio può essere complesso valutare correttamente le rimanenze di magazzino

Come è ben noto, il principio di competenza economica ha la funzione di guidare nell’imputazione di costi e ricavi ai diversi esercizi cui essi effettivamente spettano. Il legislatore civilistico si è preoccupato di richiamare per due volte il principio di competenza, senza tuttavia aver mai provveduto a definirlo in modo chiaro e preciso. Una prima volta il principio in parola viene richiamato nell’ambito dell’articolo n. 2432- bis (“Principi di redazione del bilancio”), dove si prevede che si debba tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio indipendentemente dalla data in cui è avvenuto l’incasso dei proventi o il pagamento degli oneri, nonché dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio (anche in questo caso indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento).

Per una più precisa definizione del principio di competenza soccorre naturalmente la prassi contabile (in particolare il principio contabile n. 11, che trova applicazione alla generalità delle imprese diverse da quelle che applicano i principi contabili internazionali ed è dedicato alle finalità del bilancio d’esercizio ed ai suoi postulati) secondo cui l’effetto delle operazioni poste in essere e degli altri eventi deve trovare la propria rilevazione contabile ed essere attribuito all’esercizio nel quale tali operazioni sono state concretizzate e non a quello in cui si manifestano i corrispondenti movimenti di numerario, cioè gli incassi ed i pagamenti.

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La determinazione dei risultati dell’esercizio implica un procedimento di identificazione, di misurazione e di correlazione dei ricavi e dei costi relativi all’esercizio medesimo.

Così i ricavi, come regola generale, devono essere riconosciuti quando il processo produttivo dei beni e dei servizi è stato completato e lo scambio è avvenuto, cioè si è verificato il passaggio sostanziale e non solo formale del titolo rappresentativo della proprietà. Tale momento viene convenzionalmente rappresentato in maniera differente a seconda che si tratti di beni mobili o di servizi: nel primo caso il momento a partire dal quale lo scambio si ritiene essere stato perfezionato è quello della spedizione del bene, per quanto, invece, riguarda i servizi, il momento è quello i cui i medesimi sono stati resi e, di conseguenza, sono fatturabili. I ricavi derivanti dalla cessione di immobili devono, invece, essere riconosciuti a partire dal momento in cui è stato stipulato l’atto (pubblico) di compravendita, non assumendo alcuna tipo di rilevanza il pagamento di anticipi o la redazione di un contratto preliminare di compravendita (detto anche “compromesso”) produttivo, come è noto, esclusivamente di diritti meramente obbligatori e non reali. Regole particolari riguardano la rilevazione dei ricavi relativi a commesse a lungo termine (tipicamente contratti di appalto o di subappalto), cioè a contratti il cui processo produttivo eccede la durata dell’esercizio. Per tali contratti i ricavi dovrebbero essere sulla base dello stato di avanzamento dei lavori.

I componenti negativi del reddito di impresa (ovvero i costi), invece, devono essere correlati a quelli positivi (i ricavi) che sono stati realizzati nel corso dell’esercizio stesso. Tale correlazione rappresenta un corollario di importanza fondamentale del principio di competenza ed intende esprimere la necessità che ai ricavi che sono stati conseguiti nel corso dell’esercizio dall’impresa vengano contrapposti quelli che sono stati i relativi costi, sia quelli certi che quelli eventuali e presunti. La correlazione si realizza:

per associazione di causa ed effetto fra i costi ed i ricavi, secondo modalità di carattere analitico e diretto (come nel caso delle provvigioni), o sulla base di assunzioni del flusso dei costi, così come avviene secondo i metodi cosiddetti “LIFO”, “FIFO” o del costo medio;

per ripartizione dell’utilità o funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica, in carenza di una più diretta associazione. Un esempio tipico di tale modalità di correlazione è costituita dall’ammortamento;

per imputazione diretta di costi al Conto Economico dell’esercizio perché associati al tempo;

per imputazione diretta di costi al Conto Economico dell’esercizio per il venir meno dell’utilità o della funzionalità del costo. Più in particolare ciò accade nel caso in cui i costi che sono stati sostenuti nel corso di un esercizio esauriscono la loro utilità nello stesso esercizio o, comunque, non è identificabile o valutabile con sufficiente precisione l’utilità futura o la funzionalità di costi che erano stati sospesi nel corso di esercizi precedenti, oppure quando l’associazione di causa ed effetto o la ripartizione dell’utilità su base

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Sul tema costituito dal riconoscimento dei ricavi, nei principi contabili internazionali enunciati dall’International Accounting Standard Board (più brevemente siglato IASB), viene operata una distinzione fra tre diverse tipologie di operazioni: la vendita di beni, la prestazione di servizi e l’utilizzo da parte di soggetti terzi di risorse facenti capo all’impresa che fruttano interessi, royalties e dividendi (il riferimento è allo IAS n. 18, che ha per oggetto i ricavi, paragrafi da 14 a 34). I ricavi derivanti dalla cessione di beni devono essere nel momento in cui sono soddisfatti le seguenti condizioni:

l’impresa ha provveduto a trasferire in capo all’acquirente i rischi significativi ed i benefici che sono connessi alla proprietà dei beni. Ciò generalmente avviene nel momento in cui si trasferisce la titolarità o il possesso del bene in capo all’acquirente. Tuttavia, nel caso in cui l’impresa si trovi a conservare dei rischi significativi connessi con la proprietà, l’operazione non può venir classificata come una cessione e non è possibile rilevare dei ricavi;

l’impresa smette di esercitare il consueto livello continuativo di attività associate con la proprietà del bene compravenduto nonché l’effettivo controllo sulla merce che è stata venduta;

il valore cui ammontano i ricavi può essere determinato in maniera misurabile e attendibile;

i costi che sono stati in precedenza sostenuti in riferimento all’operazione di compravendita possono essere quantificati in maniera attendibile.

I ricavi che sono derivanti dall’esecuzione di prestazioni di servizio, nel momento in cui il risultato dell’operazione può essere stimato in modo attendibile, devono essere rilevati in riferimento allo stato di completamento dell’operazione alla data di riferimento relativa al bilancio. Il risultato di un’operazione può essere stimato in maniera sufficientemente attendibile nel momento in cui siano state soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

è possibile stimare in maniera attendibile quello che risulta essere l’ammontare dei ricavi;

è probabile che i benefici economici derivanti dall’operazione di compravendita e/o prestazione di servizi possano affluire all’impresa;

lo stadio di completamento dell’operazione di compravendita e/o prestazione di servizi alla data di riferimento del bilancio può essere quantificato in maniera sufficientemente attendibile;

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i costi sostenuti per l’operazione di compravendita e/o prestazione di servizi ed i costi che devono essere sostenuti per poterla completare possono essere quantificati in maniera sufficientemente attendibile.

La rilevazione dei ricavi con riferimento allo stato di completamento di un’operazione viene frequentemente indicata come metodo della percentuale di completamento. Applicando tale metodologia, i ricavi vengono ad essere rilevati nel corso del periodo amministrativo nel quale i servizi sono prestati. La rilevazione dei ricavi che viene così ottenuta fornisce informazioni utili in riferimento all’ammontare dell’attività di servizi che è stata svolta e in merito al risultato economico conseguito nel corso dell’esercizio.

Anche il principio contabile internazionale relativo alla valutazione delle commesse a lungo termine (IAS n. 11 originariamente titolato “construction contracts”) richiede di operare la rilevazione dei ricavi seguendo il metodo appena accennato. Le prescrizioni del citato Principio vengono generalmente applicate alla rilevazione dei ricavi e dei costi che risultano essere associati per un’operazione che comporta la prestazione di servizi (si ricordi che anche le commesse attribuite all’impresa tramite contratti d’appalto o subappalto nel settore delle costruzioni vengono considerate prestazioni di servizi e lo stesso avviene per le forniture con posa in opera in cui la fornitura non assuma una posizione funzionalmente, e non economicamente, di prevalenza ).

I componenti positivi del reddito di impresa che derivano dall’utilizzo, da parte di soggetti terzi, di beni di proprietà dell’impresa che generano canoni, interessi, royalties e dividendi (è il caso tipico dei noli, siano essi “a freddo” che a “caldo”) devono essere rilevati applicando i criteri che vengono sotto esposti nel caso in cui sia probabile che i benefici economici derivanti dall’operazione saranno effettivamente fruiti dall’impresa ed è possibile valutare in maniera attendibile l’ammontare dei ricavi. I ricavi possono essere riconosciuti a quelle che sono le seguenti condizioni:

gli interessi devono essere rilevati in base ad un criterio di natura temporale che sia in grado di considerare l’effettivo rendimento conseguito in conseguenza dell’utilizzo da parte di terzi del bene aziendale;

le royalties devono essere rilevate seguendo il principio di competenza in base a quanto viene previsto dal contenuto del relativo accordo in conseguenza del quale le stesse vengono riconosciute;

i dividendi devono essere rilevati nel momento in cui si stabilisce la sussistenza del diritto esistente in capo agli azionisti a riceverne il pagamento.

Per quanto nei principi contabili si possa leggere che, avendo riguardo ai principi per la redazione del bilancio d’esercizio, non sussistano sostanziali differenze in riferimento a quanto

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riconoscimento della sussistenza dei ricavi sono relativamente meno restrittive. Così come è stato correttamente osservato, i principi contabili italiani escludono l’attribuzione di ricavi, anche se maturati sulla base del tempo che è trascorso, derivanti da un processo che non è ancora giunto alla sua conclusione o in riferimento ai quali non è ancora giunto il momento in cui è stata pattuita l’emissione della relativa fattura. In tal maniera, si ottiene l’effetto di escludere la contabilizzazione nell’ambito dell’esercizio di tutti i ricavi normalmente rilevati in corrispondenza di riscontri passivi, che, così come è noto, si riferiscono ad operazioni che sono al momento della redazione del bilancio d’esercizio ancora in corso e quindi si trovano a cavallo di due distinti esercizi, sicuramente non sono completate ed i ratei attivi, che invece, oltre a riferirsi ad operazioni in corso di svolgimento a cavallo di due distinti esercizi, sono ancora non fatturabili.

Poniamo a confronti i principi di competenza fiscale ed economica

Così come si potrà vedere meglio prossimamente, il principio di competenza viene richiamato anche dalla norma vigente in ambito fiscale, in particolare in base all’articolo 109 del TUIR, secondo cui, salvo una espressa indicazione che sia in senso contrario, quelli che sono i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il risultato dell’esercizio di competenza (“I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”).

Scendendo più in particolare, sotto un punto di vista strettamente fiscale, i corrispettivi che sono stati realizzati in conseguenza delle cessioni, nonché le spese di acquisizione dei beni necessari alla realizzazione dell’attività di impresa, devono essere considerati come se fossero stati realizzati, alla data della consegna o della spedizione per quanto riguarda i beni che possono essere classificati come beni mobili, della stipulazione del relativo atto di compravendita per quei beni che possono essere individuabili come immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si vine a verificare l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di un altro diritto reale. Per contro, quelli che sono i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano essere stati conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi necessari per il loro espletamento si considerano essere state sostenute, alla data in cui le prestazioni sono state ultimate, ovvero, per quelle che sono dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione ed altri e diversi contratti da cui derivano corrispettivi riscossi periodicamente, alla data di maturazione dei corrispettivi stessi.

Da quanto appena esposto appare subito in modo evidente come la norma fiscale vada ad individuare la competenza dei componenti positivi del reddito in un modo che è del tutto indipendente rispetto a quelli che sono i componenti negativi e viceversa. Sembrerebbe, pertanto, essere del tutto sconosciuta al legislatore fiscale l’esigenza di trovare una correlazione fra i componenti positivi ed i componenti negativi del reddito d’impresa, mentre tale regola, così come si ha avuto modo di vedere in precedenza, rappresenta un principio fondamentale della prassi contabile. In effetti, se sotto il profilo dei ricavi può essere rintracciata una sostanziale coincidenza tra quelle che sono le condizioni di realizzazione richieste dalla prassi contabile e dalla normativa discale avendo, invece, riguardo ai costi, sia nel caso in cui siano diretti all’acquisizione di beni che di servizi, il discorso si fa un poco più complesso.

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Il legislatore fiscale appare, infatti, essere preoccupato, più che altro, di giungere ad individuare il momento in cui i costi devono essere contabilizzati, momento che non sempre è sufficiente a definire quale sia la competenza. Un esempio può tornare ad essere utile a chiarire quanto si intende dimostrare. Prendiamo in considerazione il caso in cui si sia commissionata ad un soggetto terzo la realizzazione di un software dedicato alla gestione automatizzata delle commesse in edilizia, che si provvederà a vendere ai soggetti terzi interessati. Anche nel caso in cui il servizio venga concluso nell’arco di un singolo esercizio, e quindi il relativo costo possa essere fiscalmente sostenuto nel medesimo periodo, non è certamente possibile che possa essere considerato come di competenza di quel preciso esercizio, tenendo conto del fatto che il costo del software, nella fattispecie, può essere ammortizzato nell’ambito di più esercizi.

L’assenza di un richiamo esplicito nell’ambito del testo del citato articolo 109 non deve tuttavia portarci a propendere per la non applicabilità del principio di correlazione tra quelli che sono i costi ed i ricavi nell’ambito della fiscalità. In effetti, la posizione che viene assunta da parte dell’Amministrazione al riguardo, anche se un poco ondivaga nel passato, sembrerebbe essersi ormai consolidata in senso positivo con alcuni interessanti interventi di prassi (si veda in proposito la Risoluzione del 5 marzo 1998 n. 14 emanata dal Ministero delle Finanze – Dipartimento Entrate – Affari Giuridici – Servizio III e titolata “Correlazione costi-ricavi relativa a prestazioni di smaltimento di rifiuti tossico-nocivi. Istanza” che, anche se non precisamente attinente il settore delle costruzioni dà importanti indicazioni generali).

È quindi possibile concordare con la dottrina secondo cui la sola preoccupazione del legislatore fiscale consiste nel riconoscimento dei ricavi e non della loro correlazione con i costi non perché tale regola non debba trovare applicazione anche in campo tributario , ma in quanto rappresenta, in ogni caso, interesse del contribuente individuare i componenti negativi del reddito da correlare a quelli positivi, nel rispetto delle regole che vengono stabilite dall’articolo 109 TUIR. In altre parole, la normativa fiscale non sente la necessità di definire in modo completo ed esaustivo il principio di competenza poiché è nell’interesse del contribuente, e non in quello dell’Amministrazione finanziaria, darvi la più completa applicazione, all’interno di in sistema di vincoli definiti dalla stessa normativa fiscale.

18 gennaio 2017 Massimo Pipino

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