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5. L’interlingua 5.1. Che cos’è l’interlingua?

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5. L’interlingua

5.1. Che cos’è l’interlingua?

Nello sforzo di definire meglio un nuovo campo di ricerca della teoria linguistica, Selinker, nel 1972, ha coniato il termine “interlanguage”, tradotto come “interlingua” (Selinker, 1972), per designare «un sistema linguistico a sé stante […] che risulta dal tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una norma della LO (lingua obiettivo o target)».

Selinker sottolinea che esiste solo una piccola percentuale di apprendenti che finisce per conoscere la lingua d’arrivo come i nativi, mentre circa il 95% di essi attiva una “struttura psicologica latente” che si realizza in un sistema di cui alcune regole non hanno a che fare né con L1 né con L2.

Il termine può intendersi tanto in senso sincronico, come il sistema posseduto da un apprendente in un certo momento, quanto in senso evolutivo, come l’insieme dei sistemi transitori, degli stadi che si succedono nel tempo nella competenza di un apprendente. Il concetto introdotto da Selinker ha una duplice valenza teorica: da un lato, caratterizzando come “sistema” (language) la competenza in divenire di un apprendente (a qualunque stadio egli si trovi), induce a cercarne le regole soggiacenti, a identificare i principi che la governano e che plausibilmente spiegano anche alcuni dei suoi “errori”; tali principi costituiscono il nucleo di una possibile teoria acquisizionale. D’altro canto il concetto allude al carattere dinamico e transitorio di tale competenza (il prefisso inter- ), suggerendo che qualche regolarità possa governare la transizione fra i vari stadi dell’interlingua stessa e che dunque possa darsi una teoria che le spieghi.

Selinker elenca cinque processi cognitivi centrali:

1. il transfer da L1 (di unità o regole), ossia l’influsso proveniente dalla lingua materna sul sistema in formazione; 2. il transfer of training, derivato dal tipo di insegnamento di L2

cui si è sottoposti, dai tratti su cui esso insiste e che l’apprendente può tendere a sovrautilizzare;

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3. strategie di apprendimento di L2, derivanti dal modo in cui l’apprendente affronta il compito acquisizionale (per es. semplificando la morfologia);

4. strategie di comunicazione in L2, ascrivibili al modo in cui un apprendente cerca di comunicare con i nativi di L2, utilizzando i limitati mezzi a disposizione;

5. sovra estensione di regole di L2 che egli ha permesso.

Un ulteriore processo, per Selinker, distingue l’interlinea dell’apprendimento di L1: la “fossilizzazione”, per cui l’acquisizione di L2 si arresta allora a uno stadio precedente lo stadio finale raggiunto dai nativi, per varie e diverse ragioni, ambientali oppure personali.

Caratteristica dell’interlingua è la sua variabilità, decisamente maggiore rispetto a quella registrata per la L1.

Selinker denomina tale sistema indipendente come “interlingua”, non facendo altro che rendere ancora più esplicito un concetto che era già stato espresso in precedenza da Nemser, solo per citarne qualcuno, che aveva parlato di “sistemi approssimati” (Nemser, 1971). La riflessione di Selinker sottolinea che l’interlingua non è da intendersi come una varietà che si trova a metà strada fra la lingua di partenza e quella d’arrivo, ma piuttosto come una particolare varietà della lingua d’arrivo. Tale varietà, pur essendo parlata da individui diversi per posizione sociale e provenienza geografica, presenta molti tratti convergenti che in parte ritornano nel linguaggio infantile e anche nelle lingue “pidgin” descritte ampliamente da Schumann e che non sono altro che forme ridotte e semplificate usate da persone di lingue diverse per poter comunicare (Schumann, 1974).

L’interlingua è un sistema linguistico in continua evoluzione, sottoposto a un graduale processo di complicazione: nuove regole e strutture si aggiungono progressivamente, ridimensionando e ridisegnando il ruolo delle regole e strutture presenti nelle fasi precedenti. Proprio come accade per il parlante di una lingua pienamente sviluppata, gli apprendenti usano questo sistema come “grammatica” per le proprie produzioni nella seconda lingua” (Andorno, Cattana, , 2008).

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Il percorso di acquisizione naturale di una lingua segue delle tappe ben precise un “ordine naturale di acquisizione” secondo la definizione di Krashen.

La linguistica acquisizionale studia e descrive le fasi del processo di acquisizione spontanea di una lingua, essa:

− studia l’acquisizione di una L2 in contesto spontaneo − studia la lingua dell’apprendente (interlingua)

− studia l’emergere degli elementi e delle strutture e il loro consolidarsi

− assume gli ‘errori’ degli apprendenti come terreno privilegiato di studio

− descrive il processo di apprendimento linguistico e le sue tappe. (Chini 2005). Ella ha elaborato delle sequenze di acquisizione che risultano comuni a tutti gli apprendenti di una determinata lingua qualsiasi sia la loro lingua d’origine.

Il significato di interlingua oggi riflette una concezione in parte diversa da quella proposta da Selinker: non significa infatti “lingua di mezzo fra la lingua di partenza e quella di arrivo”1 così come l’avevano intesa i linguisti degli anni settanta; si tratta piuttosto di una varietà della lingua di arrivo, ridotta, instabile e con un forte dinamismo interno che la rende gradualmente sempre più complessa e più vicina alla lingua di arrivo.

5.2. Il processo di acquisizione

5.2.1. Le fasi dell’interlingua

Selinker definisce l'interlingua come un sistema a sé stante, una lingua vera a propria che obbedisce a regole come tutte le lingue ed è il prodotto di una grammatica mentale, cioè di una serie di regole alcune riconducibili alla L1, altre alla L2, altre a meccanismi mentali universali (grammatica universale) in parte innati e inconsci, in parte consapevoli, che non è frutto dell’imitazione della L2 ma della competenza transitoria

1 A. Giacalone Ramat, «Prospettive e problemi della ricerca sull’acquisizione di una lingua seconda», in

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(conoscenza che si ha in un determinato momento), è provvisoria e soggetta ad adattamenti perché le sue regole possono mutare nel tempo. In prospettiva di linguistica acquisizionale, per quanto concerne le varietà dell’interlingua dall’apprendente L2, si può parlare di fasi:

La linguistica acquisizionale distingue tre tappe fondamentali dell’apprendimento di una lingua:

Varietà pre-basica:

sfruttamento di principi pragmatici per l’organizzazione degli enunciati parole non organizzate per classi grammaticali (mancanza di distinzioni anche fondamentali, come l’opposizione nome-verbo)

Distinzioni delle parole in classi di diverso valore semantico

Varietà basica:

enunciati organizzati intorno all’opposizione verbo + complementi

prevalenza di elementi lessicali per segnalare relazioni grammaticali (avverbi, preposizioni, pronomi personali…)

Sviluppo della morfosintassi

Varietà post-basica:

ordine delle parole più organizzato secondo la sintassi dei nativi uso significativo di elementi morfologici: articoli, copula, ausiliari.

M. Chini distingue all’interno delle varietà post-basiche:

stadi intermedi, in cui morfologia e subordinazione compaiono in modo più sistematico, ma con "zone di fragilità" (es. nei tempi e modi verbali meno usati, nel genere dei nomi, negli ambiti più marcati di L2);

varietà avanzate, con morfosintassi solitamente corretta, ma sporadiche deviazioni rispetto alla varietà d'arrivo, nella pronuncia, nella prosodia, o ad altri livelli (es. nell'uso, meno ricco e variato di connettori

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discorsivi o particelle modali; nei mezzi linguistici preferiti per fare riferimento a entità, tempo e spazio);

varietà quasi-native, poco distinguibili da quelle native, dove lessico e grammatica sono senza errori, ma le intuizioni grammaticali l'organizzazione del discorso sono talora difformi rispetto al modello nativo di L2”. (Chini, 2005).

In questa nuova prospettiva che prende in considerazione non il risultato finale, ma il percorso verso l’acquisizione di una lingua gli errori del discente “sono soprattutto testimonianza del modo in cui riflette sulla lingua e formula ipotesi. L’errore da elemento da evitare diventa elemento auspicabile perché dall’errore lo studente può ripartire per rinegoziare e riqualificare le proprie ipotesi sul funzionamento della lingua. In questa nuova prospettiva l’errore è il risultato di strategie che l’apprendente mette in atto per imparare e che sono universali. La prospettiva interlinguisitica assegna all’errore e all’analisi degli errori un ruolo centrale e significativo. (D’Annunzio, Serragiotto)2.

5.3. Apprendimento dei pronomi nell’Italiano L2

5.3.1. La morfologia

Il livello morfologico è, per l’italiano L2 complicato da apprendere, sia in contesto di insegnamento formale, sia in caso di apprendimento spontaneo. Gli apprendenti, infatti, nello sviluppo delle loro interlingue, colgono all’inizio solo gli elementi più importanti dal punto di vista semantico e si avvalgono di strategie extralinguistiche e materiale lessicale, e solo più tardi cominciano ad avvalersi consciamente di morfemi grammaticali. Pur nella sua complessità, il processo di acquisizione della morfologia risulta essere meno soggetto ad interferenze con la L1 e quindi può essere considerato un terreno di verifica del grado di elaborazione autonoma degli apprendenti e, di conseguenza, dello sviluppo sistemico delle IL. L’emergere della morfologia italiana risulta essere un ambito campo di ricerca per il fatto che è allo stesso tempo flessiva e derivativa e in

2 D’Annunzio Barbara, Serragiotto Graziano, La valutazione e l’analisi dell’errore, FILIM – Formazione

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alcuni casi è strettamente legata alla sintassi e, soprattutto, perché, mantenendo la pienezza fonetica di tutte le sillabe, è caratterizzata da relativa trasparenza tra temi e suffissi. Studiando l’apprendimento del sistema morfologico nelle IL italiane si notano, in informanti diversi, strategie comuni che riprendono i principi della cosiddetta “morfologia naturale”.

Questi accorgimenti sono: la marcatezza, l’isomorfismo, l’iconicità e la trasparenza.

Il concetto di marcatezza è una nozione relativa e si definisce in contrapposizione ad altri concetti chiave, come quelli di lunghezza, rarità, estensione, facilità articolatoria delle parole. In una coppia di elementi, infatti, un elemento viene sentito come meno marcato, e quindi, in un certo senso, più facile da apprendere, rispetto a quello più marcato e ricercato.

L’isomorfismo, cioè quel fenomeno per cui due elementi hanno la stessa forma, ma valore distinto, è un fattore critico per qualsiasi apprendente perché crea confusione.

Per iconicità si intende la facilità di attribuire ad un elemento, quindi ad una parola, un valore reale, concreto. È, dunque, un fattore che aiuta l’apprendimento di parole e concetti.

Parlando di trasparenza ci si riferisce al rapporto chiaro ed univoco tra la forma e la funzione di un elemento.

5.3.2. L’evoluzione delle strategie morfologiche in Italiano L2

Berretta (1990) ha elaborato una scaletta dell’evoluzione delle strategie morfologiche in italiano L2 composta principalmente di tre stadi: un primo stadio lessicale in cui l’apprendente ovvia alla difficoltà delle marche morfologiche con il ricorso ad elementi lessicali come avverbi o avverbiali al posto di morfemi verbali o ripresa di pronomi pieni per evitare i pronomi anaforici. Il passo successivo è la fase sintattica in cui si esplicitano tutti i significati attraverso la collocazione dei costituenti dell’enunciato: ad esempio si preferisce il pronome io posto all’inizio rispetto al più oscuro mi calato all’interno della frase. La strategia più avanzata è quella morfologica in cui appare un’embrionale “coscienza

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morfologica”. A questo livello l’apprendente cerca materiale morfologico trasparente per forma e significato, come i pronomi personali soggetto che suppliscono la mancanza della marca personale del verbo o i pronomi tonici usati al posto di quelli atoni.

Da questo quadro sintetico, Berretta (1990) passa ad analizzare le varie strategie ai vari livelli di interlingua ottenendo una fotografia molto utile per ricerche successive.

Nelle interlingue molto iniziali riscontra molto frequentemente i fenomeni di ellissi o di omissione dei morfemi grammaticali, specialmente dei morfemi liberi o semiliberi come gli articoli, le copule, gli ausiliari, i pronomi atoni e le preposizioni. Sono presenti quei morfemi flessivi sentiti come caratteristici dell’italiano, in particolare la terminazione delle parole in vocale o fenomeni di sovrestensione di una forma base, cioè di una forma molto più frequente delle altre nell’input, molto più facilmente articolabile, più corta, sentita come tipica della nuova lingua e considerata come grammaticalmente neutra.

Nelle interlingue avanzate, dove cominciano ad affiorare strategie analogiche, nota come gli apprendenti ricorrano molto alla sovrestensione di forme morfologiche trasparenti e frequenti e allo stesso tempo cerchino di evitare il più possibile gli allomorfi che causano confusione. Tipico di questo stadio è anche il gran utilizzo di articoli e preposizioni e di altri elementi strutturali molto frequenti nell’input.

Un ultimo gruppo di strategie è quello proprio delle interlingue delle comunità chiuse (in particolare quella sinofona): si tratta in gran parte strategie analitiche, come, ad esempio, l’utilizzo di numeri per esplicitare il plurale o delle terminazioni -o/-a per riferirsi a maschile e femminile.

5.4. Introduzione sull’apprendimento e sull’acquisizione di una lingua seconda

La teoria e la pratica devono interagire: la teoria offre un insieme di concetti astratti e analisi che permettono di riflettere sulla pratica; la pratica è l’insieme dei dati ricavati dall’esperienza concreta, dall’attività di apprendimento e di insegnamento, e offre opportunità per la verifica della

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teoria. Il processo di insegnamento/apprendimento viene studiato nel campo della glottodidattica, o metodologia dell’insegnamento linguistico, con ricerche sull’apprendimento di una lingua seconda (L2), o SLA (=Second Language Acquisition), aventi lo scopo di rivelare cosa fanno e sanno gli apprendenti; più difficile è stabilire come avviene il processo di apprendimento. Nella ricerca spiegata in seguito, ci si basa sulla “teoria GB”, di cui sono state precedentemente descritte le linee principali; i dati da considerare sono le frasi tradotte da studenti, apprendenti della lingua georgiana e albanese L2 in contesto naturale e non. Basandoci sulla terminologia usata dai linguisti generativisti, il termine acquisizione si riferisce ad un processo diverso da quello definito col termine apprendimento: solo la lingua madre (L1) è acquisita, grazie al “meccanismo di acquisizione” (LAD) attivato in un ambiente “naturale”, in un certo modo casuale; una lingua seconda (L2), non lingua madre, è invece appresa, solitamente attraverso un insegnamento guidato, con procedimenti appositamente elaborati e messi in atto. Una ricerca nel campo della SLA è un approccio sistematico di analisi con il fine di indagare e spiegare i dati che il processo di apprendimento offre. Un piano di ricerca ha generalmente a che fare con quattro aspetti: la metodologia, l’ambiente, il procedimento e la misurazione. Il metodo di ricerca può essere di tipo “longitudinale” oppure “trasversale”: il primo è generalmente definito “qualitativo”, perché osserva lo sviluppo linguistico di un soggetto, a intervalli diversi di tempo; il secondo considera un unico periodo di tempo ed è “quantitativo”, nel senso che osserva un grande numero di soggetti. L’ambiente definisce quale tipo di soggetti utilizzare e dove devono trovarsi; la metodologia stabilisce il mezzo per raccogliere i dati; il procedimento è concretamente cosa si usa per dedurre i dati sulla SLA; la misurazione decide come valutare la conoscenza o la competenza dei soggetti, se usare perciò test oppure compiti, al fine di giudicare rispettivamente un preciso aspetto appreso, oppure la generica conoscenza della L2.

Dopo aver raccolto i dati, questi devono essere analizzati; anche il processo di analisi può essere svolto in diversi modi. Dagli anni quaranta agli anni sessanta si cercò di condurre un’analisi “contrastiva” (CA), partendo dall’ipotesi a priori che i soggetti tendano a trasferire forma e senso della L1

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alla L2 e che ci sia un “trasferimento positivo” se le due lingue sono simili. Questa ipotesi non risultò però confermata dai fatti e in seguito si sviluppò una “CA debole”, la quale tentava di dare una spiegazione a posteriori agli errori commessi dai soggetti.

L’analisi degli errori fu criticata perché, essendo una metodologia che si concentra sugli errori, non teneva in considerazione quanto i soggetti dimostravano di sapere; per il modo di procedere adottato, inoltre essa non permetteva di identificare una fonte più generale di un errore. Questa fu allora incorporata nella “performance analisys” (PA), che ebbe il merito di osservare tutto ciò che il soggetto può produrre, e non soltanto gli errori che commette. In seguito, soprattutto per opera del linguista N. Chomsky, si affermò una nuova teoria dell’acquisizione linguistica, concepita come un processo di elaborazione inconscia di generalizzazioni e regole, identificato innanzitutto nell’acquisizione della lingua madre, ma estensibile anche ad una lingua seconda. Il LAD, il meccanismo di acquisizione (=Language Acquisition Device), permette ad ogni apprendente di formare ipotesi riguardo alla lingua a cui è esposto e di verificarne la validità mediante i dati che la lingua stessa offre.

Le diverse teorie hanno diverse concezioni dell’errore commesso dall’apprendente durante il suo processo di apprendimento. L’errore qui è considerato una normale tappa verso l’apprendimento ed è dovuto a strategie universali di elaborazione della grammatica di una lingua, perciò non soltanto all’interferenza della L1 come si afferma in altre teorie. La particolare lingua che un parlante usa durante il processo di apprendimento di una L2 è detta “interlingua”, che sviluppandosi dovrebbe sempre più assomigliare alla L2 parlata da un madrelingua. Se l’apprendente non è ancora entrato nella fase della pubertà, egli è in grado di acquisire due lingue come L1, altrimenti potrà essere definita L1 solo una lingua, e la seconda sarà appresa come L2. Il LAD dà accesso diretto alle strutture della UG ma se l’apprendente è adulto, tale dispositivo incontra l’interferenza delle strutture proprie della prima lingua, poiché, a causa dell’età, non gli è più possibile l’acquisizione come parlante nativo anche di una seconda lingua.

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Interessante risulta perciò una ricerca che tenti di determinare il peso che ha effettivamente la L1 sull’apprendimento di una L2, che tenti in altre parole di valutare fino a che punto l’interlingua usata dagli apprendenti si basi sulla lingua madre.

Proprio come chi apprende L1, chi apprende una seconda lingua non riproduce meramente gli enunciati sentiti nel suo ambiente; piuttosto seleziona proprietà formali specifiche dai dati linguistici disponibili, e produce coerentemente strutture diverse in modo significativo dal modello degli adulti. Sembra che tali forme derivanti siano un elemento indispensabile anche nell’apprendimento di una seconda lingua, L2.

Questi risultati suggeriscono che l’acquisizione della prima lingua e l’acquisizione naturale di una seconda lingua non possono essere considerate due processi di natura essenzialmente diversa rispetto al modo in cui le regole della grammatica vengono apprese. Siamo piuttosto di fronte a facce diverse della stessa moneta. I meccanismi fondamentali di acquisizione, che riflettono la struttura specifica della mente umana, operano sia nell’apprendimento della prima lingua che in quello di una seconda.

5.5. L'italiano come seconda lingua per gli adulti immigrati

Nel panorama degli studi sulla didattica delle lingue, la questione dell’insegnamento dell’italiano ad adulti immigrati è rimasta a lungo poco sviluppata a causa della storia stessa che l’italiano L2 ha avuto.

Il contributo dell’italiano ha iniziato ad essere lingua seconda per gli adulti in maniera visibile e consistente solo dopo gli anni ’80. La specificità inoltre della didattica dei corsi di lingua per immigrati è stata messa in luce ed affrontata solo a partire dagli anni ’90 quando, accanto agli studi di linguistica acquisizionale svolti, ad esempio, da Banfi, Bernini, Berretta, Orletti e Vedovelli, vengono pubblicati i primi saggi di didattica per adulti immigrati e nascono i primi manuali rivolti ai lavoratori stranieri in Italia.

Oggi i contributi provenienti da discipline quali la pedagogia (o andragogia, cfr Knowles, 1993) ci consentono di delineare alcune linee di

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riflessione e alcuni punti di attenzione per impostare una didattica efficace ed adeguata alle caratteristiche dei nuovi utenti.

5.5.1. Gli studi italiani di “linguistica dell’immigrazione”

Uno degli oggetti di più rilevante interesse per la ricerca linguistica è rappresentato dai fenomeni di contatto linguistico: con tale espressione si definisce:

“un insieme vario di fenomeni che vanno dagli interscambi lessicali e strutturali

fra lingue, alla coesistenza di lingue diverse entro una stessa compagine statale o comunque sociale, ai processi di apprendimento di una L2 da parte di un individuo”

(Vedovelli et al., 2004: 26).

Questo campo di fenomeni si è ampliato negli ultimi decenni, in parallelo ai processi di immigrazione e anche la ricerca scientifica italiana di linguistica ha sviluppato analisi considerevoli in questo ambito: l’apprendimento linguistico da parte di immigrati stranieri adulti riscuote l’attenzione di diverse scienze del linguaggio. Innanzitutto, è oggetto dell’analisi sociolinguistica, proprio per la condizione sociale marginale che ha il migrante e per i suoi processi di integrazione in riferimento ai quali si evidenzia la correlazione fra tratti socioculturali e caratteri linguistici. In secondo luogo, se ne occupa la linguistica teorica per la possibilità che la materia offre di verificare ipotesi sui processi di grammaticalizzazione e sulle caratteristiche tipologiche di lingue diverse. Infine, è oggetto di studio delle discipline psicolinguistiche e glottodidattiche interessate alla ricostruzione delle fasi di sviluppo dell’apprendimento per le implicazioni in vista dell’insegnamento linguistico.

La ricerca linguistica italiana ha messo in gioco gli apparati metodologici di tutti questi ambiti di studio, sulla scia delle prospettive straniere di ricerca linguistica operanti in paesi che sono meta di flussi migratori da lungo tempo: si pensi alla Francia o alla Germania, dove proprio in riferimento agli emigrati italiani sono stati studiati i processi di apprendimento del tedesco L2. La ricerca europea sulle lingue seconde è

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nata infatti in Germania col “Progetto di Heidelberg” (cfr. Giacalone Ramat, 1997, cit. in Sobrero, 1993) e ha prodotto numerosi studi in Francia,

Germania, Olanda, tra cui il progetto promosso dalla European Science

Foundation, che si è proposto di studiare in parallelo l’acquisizione di

cinque lingue europee (inglese, francese, tedesco, olandese, svedese) da parte di apprendenti di dieci diverse lingue di partenza, tra cui, appunto, l’italiano.

La ricerca italiana sull’acquisizione della lingua italiana da parte di apprendenti immigrati è iniziata a metà degli anni Ottanta ed è proseguita con successo negli anni Novanta, soprattutto con il progetto interuniversitario coordinato dall’università di Pavia. Si tratta di un progetto basato su un corpus di registrazioni di apprendenti spontanei, per lo più adulti, le cui lingue materne sono, in parte, tipologicamente vicine all’italiano o appartenenti all’area culturale europea (inglese, tedesco e francese), in parte lingue più lontane (cinese, tigrino, diverse lingue africane).

Un ulteriore aspetto che caratterizza il panorama italiano e lo differenzia dal contesto tedesco fin dagli anni Ottanta è il fatto che, mentre in Germania i primi grandi progetti di ricerca sul tedesco L2 focalizzano l’attenzione sulle singole ondate migratorie (per esempio negli anni Settanta sugli italiani, gli spagnoli e i portoghesi nei già citati progetti ZISA e di Heidelberg), i più importanti studi della linguistica acquisizionale italiana non si concentrano su particolari gruppi nazionali ma, come osserva Ada Valentini (Valentini, 2005: 191) si incanalano sin dall’inizio in un “approccio sensibile ad una prospettiva interlinguistica e al conseguente studio degli universali dell’apprendimento”.

Il primo progetto di ricerca sull’italiano di immigrati, che sarà un fondamentale punto di riferimento dei successivi studi di linguistica acquisizionale negli anni a venire, è del 1986, quando le presenze straniere in Italia sono 400.000 circa (cfr. Valentini, 2005). Promotrice del progetto è l’Università di Pavia, affiancata da altri Atenei italiani, e le prime ricerche approfondiscono diversi livelli di analisi, confrontando l’acquisizione dell’italiano come L2 e l’acquisizione dell’italiano come L1.

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In seguito nasce un filone di ricerca, tuttora attivo, che nel corso del ventennio della sua esistenza tocca diversi ambiti e fa guadagnare alla linguistica acquisizionale non solo una posizione importante all’interno della linguistica italiana, ma anche maggiore visibilità nel panorama europeo di ricerca sull’acquisizione di lingue seconde.

Le ricerche di linguistica acquisizionale utili per la linguistica dell’immigrazione sull’italiano L2 hanno dunque ruotato attorno a questi due poli: il progetto di Pavia (coordinato da A. Giacalone Ramat, poi in seguito da Giuliano Bernini), e il gruppo di Roma-Siena (che ha coinvolto in particolare M. Vedovelli, e F. Orletti).

Entrando più nello specifico, il gruppo pavese si è occupato di studiare in un’ottica tipologico funzionale come alcune categorie semantiche, sintattiche, pragmatiche siano espresse nell’acquisizione dell’italiano, e ha proposto alcune sequenze acquisizionali.

Si può dunque ritenere che, già dalla fine degli anni Novanta, si sono create le condizioni per passare dalla fase descrittiva a quella delle generalizzazioni e interpretazioni alla luce di principi teorici e di approcci afferenti a diverse discipline, dalla linguistica acquisizionale, alla glottodidattica, alla sociolinguistica.

La ricerca italiana in questa materia di studio, che potremmo definire come “linguistica dell’immigrazione” (Vedovelli 2004), si è, dunque, messa in linea con le altre impegnate nelle stesse tematiche. D’altro canto, però, se l’insegnamento e l’apprendimento guidato dell’italiano L2 costituiscono l’oggetto primario della glottodidattica, non hanno ricevuto dalla sociolinguistica e dalla linguistica teorica la stessa attenzione che è stata invece riservata all’apprendimento spontaneo, naturale, non guidato dell’italiano L2.

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