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LA STRANA PARABOLA DELL’INDENNIZZO DIRETTO

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TAGETE 4-2009 Year XV

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THE STRANGE COURSE

OF THE DIRECT COMPENSATION PROCEDURE

I

LA STRANA PARABOLA DELL’INDENNIZZO DIRETTO

I

Avv. Maurizio Hazan

IDi prossima pubblicazione sulla rivista "Danno e Responsabilità"

Avvocato, Milano ABSTRACT

The pronunciation of the Constitutional Court n 180/2009 concludes that the direct compensation should be considered an optional and not a mandatory procedure. The direct compensation procedure was conceived to be applied nationwide and since its application two years ago it has given good results. This pronunciation can seriously interfere with the future outcome of the direct compensation procedure.

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Con la sentenza n. 180 del 2009 la Corte Costituzionale, affermando il carattere meramente facoltativo dell’“indennizzo diretto”, finisce per annichilirne le ragioni e gli scopi. La procedura di risarcimento diretto è stata, invero, concepita per essere applicata su larga scala ed in termini di sostanziale obbligatorietà e cogenza; in questo senso, del resto, è stata fino ad oggi messa in opera dai players del mercato assicurativo. Pur aprendo la via a stimolanti riflessioni prospettiche, la pronuncia della Consulta rischia, dunque, di mettere in crisi un sistema -quello dell’indennizzo diritto- che ha dato prova, nel suo primo biennio di applicazione, di saper soddisfare buona parte delle esigenze poste a presidio della riforma.

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835 La sentenza della Corte Costituzionale n. 180 del 19 giugno 2009 segna l’ennesimo punto di svolta di una disciplina, quella della Rc auto, che può, allo stato attuale, ritenersi figlia di un approccio normativo incerto, claudicante e lungi dall’aver trovato il proprio definitivo assetto.

Non crediamo di sbagliare nell’affermare che il nostro legislatore, nel concepire la procedura dell’indennizzo diretto (soluzione innovativa e di sicuro interesse prospettico), ha dato da un lato prova di pionieristico ingegno e di indubbia fantasia; dall’altro non è stato in grado di dotare la riforma di adeguati ed irrefutabili sostegni normativi, tali da tracciare una disciplina ferma e non contestabile, almeno nei suoi tratti più salienti e caratteristici.

Al contrario, la fragile formulazione delle disposizioni del Codice delle Assicurazioni, unitamente all’«approssimativo coordinamento delle norme del titolo X del Codice» (così recita testualmente la sentenza in commento, pag. 6) ha fornito spunto e pretesto per dar voce alle più disparate opzioni ermeneutiche, alcune delle quali idonee a potenzialmente annichilire e vulnerare ogni portata innovativa della nuova procedura.

Una procedura riguardo alla quale, ça va sans dire, avrebbe dovuto anzitutto chiarirsi la natura - obbligatoria/esclusiva o facoltativa/alternativa - ed il rapporto di correlazione con la procedura ordinaria di cui all’art. 148 del Cod. Ass.

Ebbene, anche su tale punto, evidentemente centrale nella più generale architettura delle nuove procedure liquidative, il legislatore non è stato in grado di fornire indicazioni definitive e dirimenti, licenziando un testo - quello degli artt. 149 e 150 del nuovo Codice e del relativo regolamento attuativo (ex d.P.R. n. 254/2006) - inaccettabilmente pigro ed avaro di sé1.

1 In senso conforme, M. Rossetti, Le assicurazioni, l’assicurazione nei codici, le assicurazioni obbligatorie,

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836 Così, per quanto - a nostro parere - la “obbligatorietà” dell’indennizzo diretto pareva costituire un elemento imprescindibile e connaturato ad un sistema concepito per funzionare su larga scala, il dato normativo, pur fornendo riferimenti letterali coerenti con tale interpretazione, non è stato formulato in modo tranciante ed idoneo ad evitare quel profluvio di dibattiti sovente alimentato dai numerosi oppositori della nuova disciplina ed a tutt’oggi non sopito.

Sarebbero bastate alcune piccole accortezze, l’aggiunta di un semplice comma utile a chiarire ciò che avrebbe potuto ritenersi implicito ma che, in realtà, meritava di esser declamato in termini fermi e inoppugnabili.

Ciò non è avvenuto, e nemmeno in sede attuativa (ovvero in seno al d.P.R. n.

254/2006) è stata colta l’occasione per fornire agli interpreti ed ai critici le risposte ai dubbi che da tempo era stati sollevati dalla dottrina (non soltanto a proposito della esclusività della procedura diretta ma anche su altri temi di vitale importanza, quali il regime dell’eventuale litisconsorzio con il responsabile civile).

Di qui fiumi di inchiostro, anni di consessi, discussioni e convegni volti a surrogare l’inerzia del legislatore ed a completarne il pensiero.

Nel mentre, tuttavia, le imprese assicurative andavano strutturando il sistema dell’indennizzo diretto - sostenendo ingentissimi costi ed oneri di riorganizzazione delle proprie reti liquidative - sul presupposto della sua naturale “obbligatorietà”.

Non a caso, nei primi due anni dalla sua entrata in vigore, la nuova procedura diretta ha consentito di gestire, secondo i dati statistici diffusi dall’ANIA, la larga maggioranza dei sinistri denunziati (il 75% per l’anno 2008): dato, tale ultimo, che dimostra eloquentemente come tutti i players della fase liquidativa (imprese, assicurati e l’intermediazione assicurativa, a cura di A. La Torre, Milano, 2007, 948.

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837 danneggiati) ritenessero obbligatorio, e non certo opzionale, il ricorso all’indennizzo diretto.

Ciò fino al 19 giugno 2009, data che sembra segnare - almeno allo stato attuale - un epocale mutamento di rotta, ponendo le basi per una probabile crisi strutturale e consentendo di affermare che il risarcimento diretto potrebbe forse essere giunto, oggi e prematuramente, “al capolinea”.

L’affermazione della mera facoltatività dell’indennizzo diretto, oggi espressa a chiare lettere dalla Consulta, si mette in linea con il precedente orientamento di alcuni giudici di merito (ex multis: Giudice di Pace di Torino, sentenza n. 3441/2009) e stravolge l’impostazione - fondata sulla sostanziale cogenza della procedura - su cui è stato sino ad oggi imbastito il nuovo sistema.

Ed invero, sostenendo che l’istituto del risarcimento diretto sia nient’altro che opzionale - e tale da lasciare intatta la possibilità per il danneggiato di svolgere la propria azione diretta (in via alternativa, devesi ritenere) nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile - la Corte Costituzionale apre la via ad un potenziale annichilimento degli obiettivi e della ratio posti a presidio della nuova procedura.

Come, infatti, sopra rilevato, le intenzioni del legislatore parevano sin dal principio mirate all’introduzione di un sistema liquidativo totalmente innovativo, applicabile soltanto a determinati danni di modico o medio valore e volto al perseguimento di obiettivi macroeconomici di largo respiro. Il tutto facendo leva sull’ineludibile esclusività della relativa disciplina, nell’ambito della quale il danneggiato avrebbe dovuto considerarsi “tenuto” a svolgere le proprie istanze risarcitorie e promuovere l’azione diretta nei “soli” confronti della propria compagnia assicuratrice (a sua volta è chiamata a gestirne le richieste “per conto” dell’impresa che assicura il veicolo responsabile).

È poi ben risaputo che l’istituto dell’indennizzo diretto ha incontrato, sin dalla sua

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838 entrata in vigore, ferme critiche e resistenze, in particolare da parte di quegli operatori del diritto che contestavano la legittimità dell’art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 254/2006 (nella parte in cui esclude la rifusione delle spese di assistenza legale sostenute dal danneggiato nel corso della trattativa stragiudiziale)III.

Ora, accogliere l’idea della facoltatività dell’indennizzo diretto conduce, oltre al cennato travisamento degli obiettivi di partenza, ad un potenziale ed assai probabile abbandono sistematico della procedura diretta a favore di quella ordinaria (soprattutto da parte di quella larga pletora di professionisti che va da tempo ricercando valide argomentazioni per eludere l’applicazione dell’art. 149 cod. ass. e, come detto, sottrarsi alle limitazioni risarcitorie introdotte dall’art. 9 del d.P.R. n. 254/2006). Possibile, dunque, prevedere, in tale contesto prospettico, un deciso inaridimento del filone diretto, a tutto vantaggio della procedura ordinaria, con contestuale inflazione del contenzioso ed aumento dei costi di gestione delle singole posizioni di danno.

In tale prospettiva, oggi avallata dalla Consulta, la misera parabola dell’indennizzo diretto avrebbe esaurito gran parte dei suoi effetti prima ancora di averli concretamente realizzati: la nuova procedura, da autentico trade mark della riforma codicistica della r.c.a., rischia dunque di trasformarsi in un istituto piuttosto marginale e periferico, limitando probabilmente il suo raggio d’azione alla sola fase stragiudiziale (ma il punto è assai controverso) e venendo di fatto soppiantato, nella fase giudiziale, dal brusco ritorno alla procedura ordinaria (ex art. 148 del cod. ass.).

III Al riguardo, M. Rodolfi, in Guida al dir., 2006, 11, 41, ha osservato come sia costituzionalmente illegittimo garantire il diritto al risarcimento della voce di danno relativa all’assistenza stragiudiziale al danneggiato che abbia riportato lesioni personali superiori al 9% e non a quello che, invece, abbia subito lesioni personali di entità inferiore. Specificamente, secondo alcuni autori detta norma sembrerebbe contrastare con le norme di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione. In senso conf. M.

Rossetti, op. cit., 962.

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839 Sulla naturale “obbligatorietà” dell’indennizzo diretto

Prima di esaminare nello specifico la recentissima pronunzia della Consulta ci sia consentito passare in rassegna le ragioni in forza delle quali abbiamo sempre ritenuto - e continuiamo a farlo oggi nonostante la dissonante interpretazione della Corte - che la procedura di indennizzo diretto non possa che reggersi attorno alla propria necessaria obbligatorietà.

È in questa direzione, infatti, che l’accorto interprete avrebbe dovuto muoversi, considerando la ratio ispiratrice dell’indennizzo diretto ed il fatto che tale procedura fosse, nelle intenzioni del legislatore, verosimilmente destinata ad essere applicata (ricorrendone i presupposti) senza possibilità di deroghe o scelte alternative. Tanto più in considerazione dell’effetto “domino” che ha sin dal principio ispirato i sostenitori dell’indennizzo diretto, tutti invariabilmente convinti del sicuro e positivo impatto della nuova norma sui costi di gestione dei sinistri, sulla concorrenzialità del mercato e, in definitiva, sull’abbattimento dei premi finali di polizzaIV.

Ma al di là delle intenzioni e della ratio ispiratrice dell’innovazione procedurale del 2005, si trattava di comprendere se e in che termini l’indennizzo diretto, ove considerato strumento esclusivo e non opzionale, implicasse problemi di tenuta costituzionale, soprattutto con riferimento alla posizione del terzo danneggiato ed alla “minorata” tutela che a quest’ultimo, secondo taluni, sarebbe derivata per effetto del venir meno dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile. Si trattava cioè di capire se l’obbligatoria sostituzione dell’azione diretta verso l’impresa assicuratrice del responsabile civile con quella verso l’assicuratore del danneggiato integrasse, o meno, un’indebita compressione dei diritti di quest’ultimo, con conseguente superamento dei

IV Cfr. M. Hazan, Guida all’indennizzo diretto e alle altre procedure liquidative, Milano, 2007, XV.

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840 limiti imposti dalla legge delega n. 229 del 29 luglio 2003; legge che, secondo una certa impostazione dottrinale, non avrebbe autorizzato innovazioni sostanziali della disciplina previgente, se non nella misura in cui le stesse fossero mirate all’accrescimento della tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli (volendo, un poco forzatamente, equiparare a questi ultimi i danneggiati da sinistri stradali).

Orbene, per quanto l’esigenza di protezione delle vittime di incidenti automobilistici si atteggi quale principio-cardine dell’intero sistema della r.c.a., non sembrava azzardato dare a tale quesito una risposta negativa. Invero, su un piano astratto, dal punto di vista delle tutele e delle garanzie di pronto ristoro, dovrebbe essere (quantomeno) indifferente per il terzo leso avere come referente il proprio assicuratore, piuttosto che quello del responsabile civile; naturalmente, il discorso sarebbe stato ben diverso se la scelta fosse caduta su un soggetto di diverso rango patrimoniale, o comunque tale da offrire inferiori garanzie di solvibilità. Nel caso in esame, al contrario, l’elemento innovativo può esser letto in termini di autentico miglioramento della posizione del danneggiato in quanto teso, almeno nelle intenzioni, a favorire una velocizzazione dei tempi di liquidazione e una riduzione del contenzioso (tenuto conto del particolare rapporto fiduciario tra contraente ed impresa): obiettivi, questi, che si pongono in linea sia con i principi espressi dall’art. 4 della legge delega che con le esigenze di miglior funzionamento del sistema risarcitorio della r.c.a. che, infine, con gli scopi perseguiti dal legislatore UE.

D’altra parte, proprio in ottica comunitaria, non sembra affatto rilevante il fatto che l’azione diretta sia qui rivolta ad un assicuratore diverso da quello del responsabile civile. Si consideri, infatti, come nel sistema dell’indennizzo diretto la compagnia gestionaria operi “per conto” della debitrice, surrogandosi alla stessa e realizzando una sorta di sostituzione ex lege che non tradisce in alcun modo i principi imposti dalla

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841 quinta direttivaV. Ciò in quanto l’impresa del danneggiato, oltre che agire per conto di quella del danneggiante, sarà tenuta a liquidare secondo medesimi criteri di correttezza e buona fede (criteri addirittura rafforzati, nell’indennizzo diretto, dal momento che la gestionaria è tenuta a garantire al proprio assicurato - ex art. 9, comma 1, del d.P.R. n.

254/2006 - la «piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno»). A nostro parere, pertanto, la previsione del risarcimento diretto - quale procedimento liquidativo obbligatorio - non oltrepassa i limiti fissati dal Parlamento ex art. 76 Cost.VI.

E nemmeno pone insuperabili problemi di tenuta riguardo alla pretesa violazione degli artt. 3 e 24 della Carta Costituzionale (norme, peraltro, evocate non tanto in relazione alla cogenza della nuova procedura bensì con riferimento alla pretesa restrizione dell’area del danno risarcibile, soprattutto per quel che attiene alla mancata rifusione delle spese legali sostenute dal danneggiato nella fase stragiudiziale).

In ordine a tale ultimo profilo, non potrà non evidenziarsi come il legislatore abbia chiaramente voluto distinguere, anche sul versante dei criteri di valutazione del danno risarcibile, i sinistri di lieve entità da quelli maggiormente rilevanti; in questo senso va intesa la netta differenziazione della disciplina rispettivamente dettata dagli artt. 138 e 139 del C.a.p. in materia di risarcimento del danno alla persona. Così, ben potrebbe sostenersi che la disciplina dell’indennizzo diretto e quella del menzionato art. 139 si integrino vicendevolmente, andando ad integrare quello che potrebbe essere considerato un vero e proprio “statuto” del così detto “micro leso”, ossia di colui il quale

V Per un approfondimento, cfr. M. Criscuolo, La R.C. Auto dopo la riforma delle assicurazioni, Napoli, 2006, 155.

VI Contra vedi G. Gallone, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Walter Bigiavi, Torino, 2006, t. II, 1977, ove si legge: «È agevole allora rilevare come l’art. 149 presenti forti dubbi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 76 Cost., norma parametro per il vizio di eccesso di delega».

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842 abbia subito lesioni non eccedenti la soglia del 9% di danno biologicoVII. Ora, al di là dell’infelicità di tale quasi gergale espressione, la scelta di riservare ai “microlesi” (e, per certi aspetti, anche d a coloro che non abbiano subito danni fisici) un trattamento differenziato ed improntato alla semplificazione delle procedure ed al contenimento dei valori risarcibili pare rispondere ad un disegno di assai largo respiro, ancorché limitato all’ambito della r.c. auto; disegno volto ad offrire una concreta risposta all’esigenza, macroeconomica, di consentire una corretta allocazione del rischio ed una equilibrata ridistribuzione di risorse ontologicamente scarse. Il tutto privilegiando, sul versante della quantificazione del danno risarcibile, la posizione di coloro i quali (i così detti macro lesi) più di altri dovrebbero beneficiare di una piena tutela delle loro aspettative risarcitorie. In questo senso, dunque, la censura di illegittimità costituzionale (sotto il profilo della asserita disparità di trattamento) merita di essere riconsiderata e valutata prospetticamente al filtro di una lente meglio focalizzata.

Ciò, peraltro, senza dimenticare, passando su di un piano più generico, come l’indennizzo diretto, non derogando ai principi basilari che regolano la r.c.a., tenda, nella sua astratta previsione legislativa, ad ottimizzare i processi liquidativi, disegnando una procedura - teoricamente perfetta - in seno alla quale l’assicuratore si pone al fianco del proprio cliente con l’obiettivo di consentirgli la massima soddisfazione del suo diritto a conseguire un risarcimento pieno ed integrale (ed in questo astratto contesto la rinunzia alle spese di assistenza tecnica e legale sembra del tutto accettabile). Il fatto, poi, che questo disegno “virtuoso” si riveli sovente, nella prassi, nient’altro che “virtuale”

VII Va precisato che la valutazione circa la gravità delle lesioni subite spetta unicamente al conducente, con la conseguenza che nessuna utile contestazione sul valore può essere sollevata dal convenuto ai fini della competenza in relazione al quantum risarcitorio richiesto (sul punto, cfr. G. Gallone, Commentario al codice delle assicurazioni, rca e tutela legale, Piacenza, 2008, 591).

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843 (finendo spesso per penalizzare anziché premiare i danneggiati) è circostanza che non riguarda la costituzionalità della norma, ma i limiti di una sua claudicante applicazione e le difficoltà di raggiungere, in concreto, gli obiettivi alla stessa sottesi.

Insomma, la disciplina dell’art. 149 segna una profonda differenza rispetto a quella dell’art 141, dettato con specifico riferimento alla posizione del terzo trasportatoVIII: a differenza della prima, la procedura introdotta da quest’ultima norma, ove obbligatoria, avrebbe avuto l’effetto di porre (già sulla carta) il danneggiato in posizione certamente deteriore rispetto al passato, privandolo del beneficio della corresponsabilità solidale, ex art. 2055 c.c. Di qui la necessità di considerare il nuovo strumento liquidativo posto al servizio del trasportato come meramente alternativo ed opzionale. Non così, invece, per l’indennizzo diretto, le cui norme di riferimento (ed in particolare l’art. 149 nella parte in cui sembra limitare l’esercizio dell’azione diretta nei “soli” confronti dell’impresa assicuratrice del danneggiato) sembrerebbero confermare, anche sotto il profilo strettamente letterale, la bontà di questa opzione ermeneutica.

VIII Cfr. M. Bona, Risarcimento del danno, procedure di liquidazione e azione diretta nel «codice della assicurazioni»: prime riflessioni critiche, in RCP, 2005, 1171.

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844 La sentenza n. 180/2009

Nel ritenere rilevante, ma infondata nel merito, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di Pace di Palermo, la Consulta prende espressa posizione su tutte le eccezioni di incostituzionalità sollevate in dottrina (e puntualmente richiamate dal giudice remittente) a proposito dell’art. 149 e della procedura di indennizzo diretto.

Più precisamente la Corte Costituzionale affronta quei profili di pretesa incostituzionalità che, sollevati dal Giudice di pace di Palermo, risulterebbero riconducibili a due distinti ambiti attinenti, rispettivamente, al vizio di formazione legislativa (art. 76 Cost.) e alla lesione di diritti costituzionalmente protetti (artt. 3, 24, 111 Cost.).

Ora, nel trattare il tema, il Giudice delle leggi muove da una considerazione di partenza: i tutti gli addebiti di illegittimità costituzionale graviterebbero attorno ad un minimo comune denominatore, ossia da una errata lettura dell’art. 149 del Codice delle assicurazioni, in forza della quale dovrebbe sostenersi «l’esclusività della tutela apprestata al danneggiato da sinistro stradale» e la correlativa «obbligatorietà dell’azione configurata, nei casi previsti dalla stessa norma».

Tale - errata - opzione ermeneutica si fonderebbe, a detta della Consulta, su un travisamento di alcuni aspetti letterali e sistematici. Per quel che attiene l’equivoco

“letterale” in cui sarebbe incorso il Giudice di pace di Palermo, la sentenza in commento rileva che «…l’espressione il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione», non deve necessariamente «… indurre a configurare un obbligo senza alternative, per il danneggiato, di agire contro la propria compagnia assicuratrice: secondo il rimettente l’espressione “potere nei soli confronti” esclude l’esercizio del potere nei confronti di altri».

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845 Secondo la Corte Costituzionale, invece, il disposto dell’art. 149 dovrebbe essere letto in termini diversi, per non dire opposti: «l’oggetto della perifrasi non è tanto il rapporto che, con riguardo alla proposizione di un’azione, il legislatore vuole instaurare a favore di un soggetto, quanto l’azione stessa, che è individuata nei confronti (e nei soli confronti) di un determinato soggetto, che è l’assicuratore del danneggiato. Così individuato l’oggetto dell’azione, si passa, appunto, a stabilire la norma (anzi la facultas) agendi a favore di un soggetto, il danneggiato appunto, il quale “può” - ma non “deve”

- esperire quell’azione».

Alla luce di quanto sopra, disattendendo le diverse (ed a nostro parere ben condivisibili) conclusioni interpretative a cui era pervenuto il Giudice remittente, la Consulta giunge ad affermare che «Sulla base del significato proprio delle parole, secondo la loro connessione (art. 12 disposizioni sulla legge in generale), l’azione diretta contro il proprio assicuratore è configurabile come una facoltà, e quindi un’alternativa all’azione tradizionale per far valere la responsabilità dell’autore del danno».

Si osservi, peraltro, che tale esercizio esegetico conduce, in applicazione dei medesimi principi interpretativi, ad altre conseguenze di non poco momento: ove il lemma “soli”

non fosse infatti relativo all’esclusività direzionale dell’azione diretta, dovremmo necessariamente intenderlo come riferito al fatto che quella medesima azione possa essere esercitata soltanto verso l’impresa, senza alcuna necessità o bisogno di coinvolgere il responsabile civile, in veste di litisconsorte. Il che consentirebbe di fornire una implicita, per quanto forse non corretta né soddisfacente, risposta ad uno dei grandi quesiti interpretativi posti in relazione al coordinamento degli artt. 144 e 149 del C.a.p.

Ma anche spostandosi dal piano dell’interpretazione letterale a quello dell’ermeneutica sistematica, non si dovrebbe pervenire, secondo i giudici delle leggi, a risultati diversi:

«Secondo l’interpretazione sistematica del giudice rimettente … l’applicazione del nuovo

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846 sistema non potrebbe che essere rigoroso e non ammettere alternative, come si ricaverebbe dall’art. 150 dello stesso Codice. In altre parole, lo scopo della legge verrebbe vanificato ove si pretendesse di duplicare la tutela attraverso la procedura del risarcimento diretto, con la sopravvivenza della tutela tradizionale contro il responsabile civile e l’assicuratore di quest’ultimo. Non vi sarebbe risparmio di costi e, quindi, neppure riduzione dei premi».

Orbene tale interpretazione, pur potenzialmente condivisibile non esaurirebbe, a detta della Consulta «la spiegazione delle finalità che si pone la norma».

Alla base dell’innovazione vi sarebbe, invece, «l’idea che uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle effettive condizioni di concorrenza nel mercato assicurativo è rappresentato dalla particolare natura del rapporto contrattuale che si instaura nella r.c.a.: l’indennizzato non è il cliente dell’assicurazione, ma tipicamente è una terza parte senza vincoli contrattuali con la compagnia di assicurazione tenuta ad effettuare il rimborso. Creando la legge un rapporto diretto tra impresa e cliente, e stimolando la ricerca da parte di quest’ultimo della “miglior compagnia”, risulta forte l’incentivo per le imprese ad investire nella concorrenza sulla qualità di servizi offerti e nella efficienza nella gestione dei sinistri.

Pertanto, non è l’obbligatorietà del sistema di risarcimento diretto che impone le condizioni di un mercato concorrenziale, bensì la ricerca, da parte delle compagnie, della competitività con l’offerta di migliori servizi, e l’incentivo dei clienti non solo ad accettare quella determinata offerta contrattuale, ma a ricorrere al meccanismo, ove ve ne sia bisogno, del risarcimento diretto, come il più conveniente, ferma restando la possibilità di opzione per l’azione di responsabilità tradizionale, e per l’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile civile».

Il passaggio testé citato, davvero interessante anche in relazione a quanto diremo tra

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847 breve, rafforzerebbe la bontà di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.

149 e tale da consentire accanto all’azione diretta contro la compagnia assicuratrice del veicolo utilizzato, la persistenza della tutela tradizionale nei confronti del responsabile civile e del di lui assicuratore: «Pur nell’approssimativo coordinamento delle norme del titolo X del Codice, nel loro complesso e nei rapporti con la disciplina vigente, nulla autorizza a ritenere che siano stati stravolti i principi in tema di responsabilità civile … Nella misura in cui l’azione diretta contro l’assicuratore del danneggiato non rappresenta una diminuzione di tutela, ma un ulteriore rimedio a disposizione del danneggiato, non è riconoscibile un vizio nel procedimento di formazione legislativa: il sistema di liquidazione del danno creato nell’esercizio della delega è misurabile nei termini del riassetto normativo delegato. Il nuovo sistema agevola i danneggiati che hanno contratto l’assicurazione … Il nuovo sistema di risarcimento diretto non consente di ritenere escluse le azioni già previste dall’ordinamento in favore del danneggiato».

Insomma, il nuovo corso procedurale si limiterebbe ad aggiungere uno strumento di tutela al danneggiato riguardato dall’art. 149, senza in alcun modo escludere la possibilità di ordinariamente, ed alternativamente, ricorrere alla “vecchia” azione diretta, di cui al combinato disposto degli artt. 145 e 148 del C.a.p.

Stupisce, peraltro, la disinvoltura con cui la Consulta, nel chiudere il proprio percorso motivazionale, dichiara di essere perfettamente consapevole, pur non volendone tenere conto, delle complicazioni operative indotte dalla propria interpretazione “autentica”:

«Non si ignora che l’interpretazione costituzionalmente orientata, la quale, accanto alla nuova azione diretta contro il proprio assicuratore, ammette l’esperibilità dell’azione ex art. 2054 c.c. e dell’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile civile, apre una serie di problemi applicativi. Tuttavia, la soluzione di detti problemi esula dai limiti del giudizio costituzionale, non potendo che essere demandata agli interpreti».

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848 Pare, a chi scrive, che in tale ultima proposizione si annidi, oltre che l’ennesima presa d’atto della debolezza dell’impianto normativo di riferimento, la candida ammissione dell’inadeguatezza dell’interpretazione propugnata. Interpretazione di cui, peraltro, merita di essere ricordata la dubbia vincolatività erga omnes sul piano strettamente giuridico, trattandosi di sentenza interpretativa di rigetto (in aderenza a quanto stabilito dalla dottrina prevalente e sancito nella nota sentenza della Cass. pen., sez. un., n.

23016 del 31 marzo 2004)IX.

Prime note critiche e spunti di riflessione

Non ci dilungheremo ulteriormente sulle ragioni, già affrontate, in forza delle quali l’interpretazione sistematica della nuova norma, tenuto conto non solo delle intenzioni della vigilia ma della sua applicazione concreta, non potrebbe che essere nel senso della esclusività della procedura di indennizzo diretto.

Anche sul piano letterale, peraltro, l’iter ermeneutico seguito dalla Consulta - tutto fondato sulla prevalenza del lemma «può» rispetto al sintagma «nei soli confronti del proprio assicuratore» - non pare affatto convincente. Al contrario, l’interpretazione dei Giudici di legittimità, assolutamente opinabile e focalizzata sul solo sesto comma della norma, non sembra tener conto di quanto invece previsto dal primo comma dell’art.

149, in seno al quale, sia pur con riferimento alla fase stragiudiziale, l’invio della richiesta di risarcimento alla sola compagnia assicuratrice del danneggiato è disciplinata in termini esclusivi («devono», si legge nella norma, senza alcun riferimento a possibili

IX Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2004, n. 23016, in D&G 2004, 24, 18 con nota di G. Riccio, Quando l’efficacia è vincolante nelle interpretative di rigetto.

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849 alternative).

L’utilizzo del verbo “dovere”, peraltro, non può avere, seguendo gli stessi canoni ermeneutici applicati dalla Consulta, un significato diverso a seconda delle differenti convenienze interpretative.

Sicché, a voler cercare una soluzione di compromesso senza rinunziare all’utilizzo di chiavi di lettura coerenti ed univoche, si dovrebbe di necessità concludere che la procedura diretta continui ad essere obbligatoria nella fase stragiudiziale, divenendo meramente opzionale soltanto nel caso in cui il danneggiato decidesse di esercitare la propria azione diretta in giudizio.

Ciò condurrebbe allo sbinamento della fase stragiudiziale da quella - eventuale - processualeX: soluzione certamente coerente sul piano interpretativo, ma davvero incongrua sotto il profilo delle sue concrete conseguenze applicative, tali da far ricadere sull’impresa del responsabile i costi ed i rischi di un contenzioso derivato dall’incapacità della gestionaria (e cioè dell’impresa assicuratrice del danneggiato) di “chiudere” la trattativa e di evitare l’incardinazione del giudizio. Insomma, la compagnia del responsabile potrebbe pagar dazio processuale per effetto di un’eventuale mala gestio dell’impresa assicuratrice investita, per legge, della trattativa stragiudiziale. Il che finirebbe per annichilire la ratio dello spatium deliberandi di cui all’art. 145, comma 1 e 2, del C.a.p., funzionalmente diretto a consentire all’impresa che gestisce la richiesta

X Così, per esempio, si esprime G. Gallone, op. cit., 608 e 609: «Tutto ciò dimostra come nelle ipotesi disciplinate dalla norma in commento (art. 149 c.a.p.) sia ancor più ragionevole ritenere che il danneggiato non sia privato del suo diritto di proporre l’azione diretta nei confronti del responsabile civile e dell’impresa di assicurazione che copre la sua responsabilità (art. 144, I e III comma). In una recente ordinanza (G.d.p. Roma 14 febbraio 2008, AGCS 08) è stato, infatti, precisato come la norma in commento nei primi 5 commi abbia imposto l’obbligo in capo al danneggiato di seguire la particolare procedura stragiudiziale, mentre la speciale azione giudiziaria contemplata nel VI comma è una mera facoltà prevista a favore della vittima».

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850 stragiudiziale di addivenire, ricorrendone i presupposti, ad una congrua e motivata offerta di liquidazione del danno, idonea ad evitare rischi ed oneri processuali (il tutto nell’ambito del più ampio obiettivo macroeconomico di consentire una deflazione dei contenziosi giudiziali)XI.

Siamo dunque indotti a ritenere che la tesi del c.d. “regime a doppio binario”

(obbligatorio nella fase stragiudiziale e facoltativo in quella processuale), per quanto imbastita attorno agli stessi criteri interpretativi seguiti dalla Consulta - la quale, peraltro, non si è espressa al riguardo - non sia dunque condivisibile. Ciò nondimeno, trova conforto in alcuni precedenti giurisprudenziali di merito, insensibili alle obiezioni logico/sistematiche di cui sopraXII.

In tale pronunzie, si è peraltro, cercato di ovviare al problema - del tutto consequenziale - afferente la potenziale improponibilità di una causa promossa nei confronti dell’assicurazione debitrice a fronte di una lettera di richiesta danni inviata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 145 e 149 del C.a.p., all’impresa gestionaria. Ebbene, a superare l’impasse - e ad evitare che il danneggiato sia tenuto, per poter agire contro la debitrice, a dare avvio ad una nuova fase stragiudiziale, si è sostenuto che la messa in

XI Per un più ampio esame delle finalità dello spatium deliberandi rinvio a M. Hazan, op. cit., 226-234.

XII Cfr. Giudice di Pace di Torino, Dr.ssa L. Ferraro, sentenza n. 3441 del 10 marzo 2009 in cui si legge:

«Il danneggiato dunque può e non deve proporre l’azione nei confronti della propria assicuratrice. Se decide di avvalersi di tale facoltà, procede nei confronti della sola assicuratrice del proprio veicolo. Se invece decide di avvalersi di altra procedura, dovrà procedere non nei confronti della sola assicuratrice del responsabile del danno, ma anche nei confronti del responsabile. … Non essendovi obbligatorietà dell’azione diretta ex art. 149, nulla impedisce al danneggiato che abbia correttamente instaurato la fase stragiudiziale di esperire alternativamente l’azione diretta di carattere generale nei confronti della società assicuratrice del veicolo danneggiante».

E ancora, Giudice di Pace di Pozzuoli, Dr. I. Bruno, sentenza n. 1852 del 14 luglio 2008: «Il significato letterale del verbo PUÒ di cui all’art. 149, si deve interpretare nel senso che il danneggiato non è obbligato a proporre l’azione giudiziaria nei confronti della propria compagnia d’assicurazione ma, può, in alternativa, (con un’interpretazione costituzionalmente orientata) scegliere, ex articolo 144, di evocare in giudizio la compagnia del responsabile civile e quest’ultimo quale litisconsorte necessario».

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851 mora di quest’ultima possa essere perfettamente integrata dall’invio “per conoscenza”

della lettera di richiesta danni indirizzata, in via principale, alla gestionaria (ex art. 145, comma 2, del c.a.p.). A completare tale pensiero, si è poi argomentato che il primo comma dello stesso art. 145 preveda la possibilità che l’invio della lettera di avvio della procedura ordinaria sia effettuato, quanto all’impresa assicuratrice del responsabile, anche “per conoscenza”. Di qui una supposta “relatio perfecta” tra le due disposizioni, tale da suffragare la tesi dello sbinamento senza mettere in gioco la proponibilità dell’azione.

Trattasi di ragionamenti fallaci.

Le due missive inviabili “per conoscenza” all’impresa del responsabile si distinguono per una evidente differenza di scopo e di contenuto.

Quella di cui all’art. 145, comma 1 - da trasmettersi in piego raccomandato - è funzionalmente rivolta ad avviare la trattativa stragiudiziale con l’impresa destinataria (ed il riferimento alla possibilità di trasmetterla per conoscenza deve intendersi correlato alla possibilità che la stessa lettera sia indirizzata, anzitutto, al responsabile civile).

Quella disciplinata dal secondo comma della medesima disposizione - da trasmettersi in forma libera o, tutt’al più, nei modi di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 254/2006, è volta a rendere edotta la società debitrice dell’avvio della procedura di ID, consentendole di prepararsi a gestire i flussi informativi ed istruttori preordinati alla liquidazione da parte della gestionaria nonché di appostare le necessarie riserve o verificare l’applicazione del malus o l’opportunità di dar corso ad eventuali azioni di rivalsaXIII.

Ma vi è un altro argomento che consente di escludere che la lettera inviata per

XIII G. B. Petti, Risarcimento del danno da lesioni micropermamenti. Le nuove leggi r.c.a. per la liquidazione tabellare, medico legale e attuariale, Santarcangelo di Romagna, 2006, 209 ss.

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852 conoscenza alla debitrice integri condizione di proponibilità dell’azione diretta nei suoi confrontiXIV.

Mi riferisco all’assenza di qualsiasi potere, in capo alla stessa debitrice, di chiedere l’integrazione della missiva, laddove la stessa risultasse incompleta. Tale potere spetterebbe soltanto alla gestionaria, mentre non è in alcun modo previsto che la risposta del danneggiato (contenente i dati mancanti) debba essere anch’essa trasmessa per conoscenza all’impresa del responsabile civile. Il che equivale a dire che la debitrice potrebbe essere convenuta in giudizio sulla scorta di una precedente lettera di messa in mora, potenzialmente incompleta. Tesi, all’evidenza, inaccettabile.

A voler salvaguardare la tesi del “doppio binario” occorrerebbe dunque ammettere la già accennata necessità, per l’attore, di dar corso ad una nuova procedura stragiudiziale, questa volta nei diretti confronti della debitrice, prima di poterla convenire in giudizio. Ma anche tale soluzione rivela tutta la sua incongruità, sul piano logico prima ancora che giuridico.

Di qui la necessità di considerare la possibilità di addivenire ad una diversa soluzione, già elaborata da alcuni Giudici di merito (cfr.: Giudice di pace di Erice, sentenza n.

376/2008)XV e volta a sostenere che la facoltatività dell’indennizzo sia tale non solo con riferimento all’esercizio dell’azione diretta bensì sin dal principio, ossia sin dalla fase della richiesta stragiudizialeXVI. Trattasi di tesi certamente preferibile alla precedente, dal

XIV Con riferimento ai poteri del destinatario della richiesta, segnaliamo G. Gallone, op. cit., 504.

XV Sentenza n. 376 del 25 febbraio 2008 del Giudice di Pace di Erice, conf. Giudice di Pace di Roma 14 febbraio 2008; Giudice di Pace di Rossano 21 gennaio 2008; Giudice di Pace di Napoli 14 novembre 2007, tutte in AGCS, 08.

XVI E, in questo senso, si veda la proposta di legge del deputato Ciocchetti del 29 aprile 2008 - attualmente in esame presso la VI Commissione Finanze - che prevede la modifica del comma 1 dell’art.

149 c.a.p., sostituendo il termine “devono” con “possono”, proprio al fine di rendere, sin dal principio, facoltativo il ricorso alla (intera) procedura di risarcimento diretto.

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853 punto di vista del buon senso, in quanto mirata ad evitare la tanto criticata scissura soggettiva tra la fase non contenziosa e la vertenza giudiziale. Sennonché, anche se più condivisibile sul piano logico e sistematico, tale impostazione cozza, insanabilmente, contro la perentorietà del disposto dell’art. 149, comma 1, del C.a.p. (nella parte in cui, si ricorda, esprime un vero e proprio obbligo ad indirizzare la richiesta stragiudiziale all’impresa gestionaria).

Ma anche su di un piano meramente operativo e tecnico, la convivenza delle due procedure pone evidenti problemi di tenuta, e ciò non solo sotto il profilo, già esaminato, della inaccettabile biforcazione tra la fase stragiudiziale - necessariamente affidata all’impresa gestionaria - e quella contenziosa.

Si pensi, infatti, al rischio di possibile duplicazione di risarcimenti ed al potenziale - e forse accademico - conflitto di pronunzie (e di giudicati) sotteso alla eventuale esercizio simultaneo delle due procedure. Nulla viene, infatti, specificato dal legislatore (e non avrebbe potuto esser diversamente, data la cogenza del sistema ...) in ordine al rapporto di eventuale alternatività e pregiudizialità delle procedure.

Merita, in tal senso, di essere presa in considerazione l’ipotesi concreta - di certo non infrequente - in cui il danneggiato abbia, prudentemente e contestualmente, dato corso a due lettere di messa in mora (una alla gestionaria ed una alla debitrice); in tal caso la questione potrebbe essere risolta in modo più tranciante e sistematico, affermando la necessaria applicazione dell’indennizzo diretto, quantomeno nella fase stragiudiziale.

Ciò in forza di quanto previsto dall’art. 149, comma 3, a mente del quale l’impresa del danneggiato, una volta ricevuta la richiesta, è tenuta ad assumere la gestione della posizione. Tale adempimento - espresso in termini di autentica cogenza - non consente alla gestionaria di disinteressarsi della vicenda ed allo stesso tempo giustifica la reiezione da parte della debitrice, a prescindere dalla soluzione del problema afferente

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854 la facoltatività/obbligatorietà dell’ID: non vi è dubbio, infatti, che la procedura debba essere gestita da un solo assicuratore, non essendo ammissibile un concorso di procedure (tanto meno a fronte di una speculativa iniziativa del danneggiato, il quale - anche a voler aderire alla prospettazione della Consulta - potrebbe scegliere quale procedura seguire ma non potrebbe in alcun modo attivarle entrambe in modo cumulativo). La tesi della facoltatività dell’indennizzo diretto dovrebbe, dunque, e a tutto voler concedere, completarsi con la previsione non solo della alternatività delle due procedure ma anche con l’implicita affermazione dell’applicazione, al caso di specie, del principio secondo il quale electa una via non datur ricursus ad alteram (altrimenti giunti all’esito della fase ordinaria sarebbe ammesso che il danneggiato, ove insoddisfatto dell’offerta, riparta ex novo nei confronti della debitrice, o viceversa).

Rimane il fatto che, a fronte della potenziale caduta, sotto diversi angoli visuali, di entrambe le sopracitate opzioni ermeneutiche, pare davvero che le conclusioni perentoriamente - ma forse un poco frettolosamente sostenute dalla Corte Costituzionale - richiedano di essere poste ancora in discussione.

Tanto più che la stessa Consulta ben esprime, in un passaggio della sentenza in commento, l’idea, certamente centrale, della sostanziale equivalenza, sul piano delle tutele del danneggiato, della procedura di risarcimento diretto rispetto a quella ordinariamente dettata dall’art. 148: «l’esperibilità dell’azione di responsabilità e di quella diretta contro l’assicuratore del responsabile civile, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, si dimostra rispettosa della direttiva 2005/14/CE: questa obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le persone lese da un sinistro, causato da un veicolo assicurato, possano avvalersi di un’azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro la responsabilità civile la persona responsabile del sinistro. Senza considerare che l’azione diretta è ora esperibile contro il proprio assicuratore, perché

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855 questi non fa altro che liquidare il danno per conto dell’assicurazione del danneggiante (art. 149, comma 3, del Codice delle assicurazioni), tanto che la seconda può intervenire nel giudizio intrapreso dal danneggiato contro il primo, ed estrometterlo (comma 6)».

Di più, verrebbe da dire, l’indennizzo diretto si allinea totalmente al disposto comunitario, dal momento che l’impresa del danneggiato liquida “per conto” di quella del responsabile civile, realizzando un fenomeno di sostituzione/rappresentanza che non pare in alcun modo idoneo a modificare i termini del rapporto sostanziale intercorrente tra l’assicuratore del danneggiante ed il danneggiatoXVII.

Di qui si sarebbe, dunque, dovuti muovere per approdare, con il conforto dell’interpretazione sistematica e letterale sopra illustrata, all’affermazione della obbligatorietà dell’indennizzo diretto.

Opinare diversamente, come ha fatto la Consulta, significa effettivamente aprire la strada a scenari inquietanti.

Una suggestiva apertura

Certo, la (comunque criticabile) idea della facoltatività della procedura diretta, ove correlata - secondo l’idea della Consulta - allo scopo prioritario di promuovere la concorrenza tra le imprese assicurative e di rendere più virtuoso ed apprezzabile dalla

XVII In tema di rapporti tra le imprese, cfr. M. Rossetti, op. cit., 954.

I termini della questione non mutano anche volendo considerare quanto stabilito dall’art. 18 della recentissima direttiva 2009/103 CE del 16 settembre 2009, avente ad oggetto il coordinamento, la razionalizzazione e, in definitiva, la ricodificazione delle disposizioni contenute nelle 5 precedenti

“direttive auto”.

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856 clientela il servizio di liquidazione del danno, fornisce spunti di riflessione prospettica davvero suggestivi.

In sostanza, seguendo il ragionamento del Giudice delle leggi, è proprio nel segno di una nuova spinta concorrenziale che le compagnie assicuratrici dovrebbero perfezionare i loro apparati liquidativi, inducendo la clientela ad orientare le proprie scelte di consumo in funzione della qualità del servizio liquidativo dell’impresa di volta in volta eletta. Così, l’assicurato dovrebbe determinarsi all’acquisto in vista e nella prospettiva di fruire, oltre che di determinate condizioni di premio e di contratto, di una pronta liquidazione degli eventuali danni patiti in regime di indennizzo diretto.

A ben voler vedere, dunque, tale impostazione, ove integrata dall’estensione della facoltatività sin dalla fase stragiudiziale, finirebbe per necessitare un’interpretazione estensiva dell’art. 14 del d.P.R. n. 254/2006, nella parte in cui prevede la possibilità, per l’assicuratore, di innovare il contratto mediante «l’impiego di clausole che prevedano il risarcimento del danno in forma specifica con contestuale riduzione del premio per l’assicurato. In presenza di clausole che prevedono il risarcimento del danno in forma specifica, nel contratto deve essere espressamente indicata la percentuale di sconto applicata».

Orbene, nell’ambito di un sistema facoltativo, quale quello configurato dalla Consulta, la possibilità di contrattualizzare il risarcimento in forma specifica, con contestuale riduzione del premio, avrebbe senso soltanto nella misura in cui si prevedesse, a monte, la contrattualizzazione dell’impegno dell’assicurato di utilizzare sempre - ricorrendone i presupposti - la procedura di indennizzo diretto (con rinunzia a quella ordinaria). Ciò, ripetesi, laddove si accettasse l’interpretazione in base alla quale la facoltatività riguardi anche la fase stragiudiziale.

Più in generale, tra le pieghe dei principi avallati dalla Corte Costituzionale, si ricava, in

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857 nuce, la possibilità di una progressiva riconduzione della fase liquidativa entro il sinallagma del contratto di assicurazione della Rc auto. Ed invero, la tenuta, sotto il profilo costituzionale, dell’indennizzo diretto sembrerebbe doversi ricollegare non al contenuto intrinseco della nuova procedura bensì alla sua mera facoltatività: una facoltatività che, mantenendo intatti i diritti risarcitori del danneggiato nei confronti del responsabile e della sua impresa assicuratrice, avrebbe il pregio di fornirgli uno strumento aggiuntivo di tutela, meramente opzionale e fondato su di una sostanziale contrattualizzazione del risarcimento (rectius: dell’indennizzo).

In questa prospettiva la natura del contratto di assicurazione della Rc auto, da sempre al centro di delicati dibattiti qualificatori, si rivelerebbe, in modo finalmente netto, in tutto il suo ibrido ed atipico polimorfismo funzionale e causale.

Ciò potrebbe aprire la via ad una “rivoluzione” su base endocontrattuale del sistema, ponendo a fianco di una procedura aquiliana, di stampo legale, una procedura negoziale che presenta elementi di assonanza con le coperture dirette del ramo danni. Il che consentirebbe anche di evocare l’opportunità di contrattualizzare (sia pure in termini opzionali ed alternativi e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1229 c.c.) i parametri degli indennizzi/risarcimenti rientranti nel paradigma di operatività dell’art. 149, con ciò superando le difficoltà connesse alla problematica individuazione di criteri risarcitori definitivi e certi nell’ambito della liquidazione dei danni alla persona così detti “micro permanenti”).

Ma di ciò potrà essere interessante occuparsi in altro e più appropriato contesto.

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