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L’AZIONE DIRETTA DEL DANNEGGIATO NEI CONFRONTI DELL’IMPRESA ASSICURATRICE PER LA RCA E DI ALTRI SOGGETTI LEGITTIMATI. LA PROCEDURA STRAGIUDIZIALE PER LA LIQUIDAZIONE DELL’INDENNIZZO

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L’AZIONE DIRETTA DEL DANNEGGIATO NEI CONFRONTI DELL’IMPRESA ASSICURATRICE PER LA RCA E DI ALTRI SOGGETTI

LEGITTIMATI. LA PROCEDURA STRAGIUDIZIALE PER LA LIQUIDAZIONE DELL’INDENNIZZO

Dr. Marco Rossetti

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ABSTRACT

Un esteso, delucidante, ben argomentato intervento del Dr. Marco Rossetti, Giudice del Tribunale di Roma.

Nella prima parte della trattazione si enunciano e approfondiscono gli aspetti teorici/pratici delle azioni giudiziarie che competono al danneggiato da sinistro stradale in seguito all’emanazione della nuova normativa:

“(a) l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, nel caso di sinistro causato da veicolo immatricolato ed assicurato in Italia (art. 144 cod. ass.);

(b) l’azione diretta nei confronti dell’UCI, nell’ipotesi di sinistro causato da veicolo immatricolato all’estero (art. 126, comma 3, lettera (c), cod. ass.);

(c) l’azione diretta nei confronti dell’impresa designata, nel caso di sinistro causato da veicolo circolante prohibente domino, sconosciuto, non assicurato od assicurato con impresa posta in l.c.a.

(art. 283 cod. ass.);

(d) l’azione diretta del trasportato nei confronti del proprio vettore (art. 141 cod. ass.);

(e) l’azione diretta della vittima nei confronti del proprio assicuratore della r.c.a., nei casi in cui trova applicazione la procedura di indennizzo diretto (art. 149 cod. ass.);

(f) l’azione diretta nei confronti del commissario liquidatore dell’impresa del responsabile, posta in l.c.a., se autorizzato alla liquidazione dei sinistri (art. 284 cod. ass.);

(g) infine - ma, si anticipa, è ipotesi problematica - è parere di chi scrive che debba ammettersi, in virtù di una interpretazione conforme al diritto comunitario, una azione diretta anche nei confronti del mandatario per la liquidazione dei sinistri, nel caso di sinistri avvenuti all’estero e la cui vittima risieda in Italia (art. 152 cod. ass.)”.

Quindi l’intervento si conclude con una disamina dettagliata degli elementi caratterizzanti la fase stragiudiziale di liquidazione del danno sia nella procedura ordinaria che in quella di “indennizzo diretto”.

Magistrato, Tribunale di Roma

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SOMMARIO: 1. Le azioni dirette nei confronti dell’assicuratore. Il dato normativo. - 2. L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile. - 2.1. Le eccezioni opponibili. - 2.2. Il litisconsorzio necessario. - 2.3. Le condizioni di proponibilità della domanda contro l’assicuratore. - 2.4. Alcuni problemi posti dall’art. 145 cod. ass.. - 3. L’azione diretta nei confronti dell’UCI. - 4. L’azione diretta nei confronti dell’impresa designata. - 5. L’azione diretta del trasportato nei confronti dell’assicuratore del proprio vettore. - 6. L’azione diretta della vittima nei confronti del proprio assicuratore. - 6.1. L’ambito di applicazione. - 6.2. La legittimazione passiva. - 7. L’azione diretta nei confronti del commissario liquidatore dell’impresa in l.c.a.. - 8. L’azione diretta nei confronti del mandatario per la liquidazione dei sinistri. - 9. La procedura stragiudiziale di liquidazione del danno. - 9.1. Nelle ipotesi ordinarie.

- 9.2. Nei casi di indennizzo diretto.

1. Le azioni dirette nei confronti dell’assicuratore. Il dato normativo.

L’abrogata legge 24.12.1969 n. 990 attribuiva alla vittima di un sinistro stradale tre diverse “azioni dirette”, aggiuntive a quella ordinaria che la vittima poteva proporre nei confronti del responsabile ex artt. 2043-2054 c.c.:

(a) l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, nel caso di sinistro causato da veicolo immatricolato ed assicurato in Italia (art. 18 l. 24.12.1969 n. 990);

(b) l’azione diretta nei confronti dell’UCI, nell’ipotesi di sinistro causato da veicolo immatricolato all’estero (art. 6, comma 7, lettera (c), l. 990/69);

(c) l’azione diretta nei confronti dell’impresa designata, nel caso di sinistro causato da veicolo sconosciuto, non assicurato od assicurato con impresa posta in l.c.a. (art. 19, comma 4, l. 990/69).

Tale quadro normativo è significativamente mutato per effetto dell’entrata in vigore del codice delle assicurazioni private (d. lg. 7.9.2005 n. 209), il quale prevede ora:

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(a) l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, nel caso di sinistro causato da veicolo immatricolato ed assicurato in Italia (art. 144 cod. ass.);

(b) l’azione diretta nei confronti dell’UCI, nell’ipotesi di sinistro causato da veicolo immatricolato all’estero (art. 126, comma 3, lettera (c), cod. ass.);

(c) l’azione diretta nei confronti dell’impresa designata, nel caso di sinistro causato da veicolo circolante prohibente domino, sconosciuto, non assicurato od assicurato con impresa posta in l.c.a. (art. 283 cod. ass.);

(d) l’azione diretta del trasportato nei confronti del proprio vettore (art. 141 cod. ass.);

(e) l’azione diretta della vittima nei confronti del proprio assicuratore della r.c.a., nei casi in cui trova applicazione la procedura di indennizzo diretto (art. 149 cod. ass.);

(f) l’azione diretta nei confronti del commissario liquidatore dell’impresa del responsabile, posta in l.c.a., se autorizzato alla liquidazione dei sinistri (art. 284 cod.

ass.);

(g) infine - ma, si anticipa, è ipotesi problematica - è parere di chi scrive che debba ammettersi, in virtù di una interpretazione conforme al diritto comunitario, una azione diretta anche nei confronti del mandatario per la liquidazione dei sinistri, nel caso di sinistri avvenuti all’estero e la cui vittima risieda in Italia (art. 152 cod. ass.).

Esaminiamo ora partitamente queste singole ipotesi, ponendo l’accento principalmente sui problemi da esse posti.

2. L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile.

I primi due commi dell’art. 144 cod. ass. riproducono l’art. 18 l. 990/69; il terzo comma riproduce il primo periodo dell’art. 23 l. cit.; l’ultimo comma, infine, riproduce l’art. 26, comma 1, l. 990/69. A parte la diversa sistematica adottata dal codice rispetto alla legge 990, il contenuto precettivo delle norme è rimasto sostanzialmente immutato.

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Anche con riferimento all’azione diretta prevista dall’art. 144 cod. ass. troveranno perciò verosimilmente applicazione alcuni princìpi ormai consolidati in giurisprudenza, che vale la pena ricordare brevemente.

In primo luogo, quanto alla fonte dell’obbligazione dell’assicuratore del responsabile, essa non è rappresentata dal fatto illecito, ma da una complessa fattispecie alla cui integrazione concorrono l'illecito, il contratto di assicurazione e la relazione diretta che la legge instaura tra il danneggiato e l'assicuratore, estendendo al primo gli effetti del contratto (Cass., 29-07-1983, n. 5218, in Assicurazioni, 1983, II, 2, 237, con nota di GERI; Cass., 29-07-1983, n. 5219, in Dir. e pratica assic., 1983, 316; dopo tali decisioni che costituirono le sentenze capostipite, nello stesso senso si vedano Cass.

7.7.1999 n. 7019; Cass. 2.6.1992, n. 6694; Cass. 16.8.1988, n. 4950; Cass.

1.6.1995, n. 6128, in Assicurazioni, 1995, II, 2, mass. 109; Cass. 3.5.1990, n. 3624;

Cass. 28.11.1994, n. 10156, in Arch. circolaz. 1995, 986).

È altresì pacifico in giurisprudenza che l’azione diretta si affianca, e non si sostituisce a quella ordinaria ex art. 2054 c.c. (Cass. 12.2.1998, n. 1471; Cass. 13.3.1996, n.

2056; Cass. 1.6.1995, n. 6128, in Assicurazioni, 1995, II, 2, mass. 109; Cass.

10.5.1984, ibidem, 1984, II, 2, mass. 49), e che pertanto il danneggiato può proporre cumulativamente le due azioni (in tal senso, dopo alcuni iniziali contrasti, si vedano ex permultis Cass. 4.10.1996, n. 8717, in Assicurazioni, 1997, II, 2, mass. 18; Cass.

3.5.1990, n. 3624), e che l’obbligazione risarcitoria del danneggiante e quella indennitaria del suo assicuratore sono legate da un vincolo di solidarietà, ancorché atipico (c.d. solidarietà imperfetta o ad interesse unisoggettivo).

Conseguenze di questa cumulabilità e del vincolo di solidarietà passiva, per quanto atipico, trattandosi di obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo, sono che:

(a) sul piano sostanziale deve riconoscersi effetto liberatorio al pagamento effettuato da uno dei debitori (Cass. 28.11.1988, n. 6402; Cass. 27.11.1982, n. 6428, in Riv. giur.

circolaz. trasp. 1983, 279;

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(b) l'azione esperita contro l'assicuratore contiene implicitamente la domanda di accertamento della responsabilità del conducente e del proprietario (Cass. 15.9.1982, n. 4887, in Resp. civ. prev. 1983, 448).

2.1. Le eccezioni opponibili.

Anche l’art. 145, comma 2, cod. ass. (come il previgente art. 18 l. 990/69) statuisce che per l'intero massimale di polizza l'assicuratore non può opporre al danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno.

Per “eccezioni derivanti dal contratto” devono intendersi quelle relative all'invalidità ed all'inefficacia del contratto, mentre restano estranee al suddetto regime soltanto le ipotesi di nullità del contratto di assicurazione e di inesistenza del rapporto assicurativo.

Sono state ritenute eccezioni inopponibili:

(a) le eccezioni di annullabilità del contratto, come nel caso di dichiarazioni inesatte o reticenti (art. 1892 e 1893 c.c.);

b) l'eccezione di aggravamento del rischio (art. 1898 c.c.), come nel caso di trasporto anomalo (Cass. 20.2.1998, n. 1786; Cass. 14.3.1996, n. 2125);

c) l'eccezione di mancata denunzia di vizio della cosa (art. 1906 c.c.);

d) L'eccezione di inadempimento dell'obbligo di avviso e di salvataggio (art. 1915 c.c.), ossia nel caso di circolazione di veicolo, la mancata denunzia del sinistro, ferma restante la facoltà dell'assicuratore di rivalersi sull'assicurato in ragione del pregiudizio sofferto;

e) l'eccezione di guida senza patente o di patente non regolare, nell'ipotesi che la polizza subordini l'operatività della copertura assicurativa al possesso da parte del conducente della patente richiesta (Cass., sez. III, 03-12-2003, n. 18467, Arch.

circolaz., 2004, 383; Cass. 26.5.1999 n. 5110; Cass. 20.2.1998, n. 1786; Cass.

18.1.1994, n. 382);

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(f) l'eccezione di dolo, ossia che il fatto illecito ha carattere doloso (Cass. 18.2.1997, n.

1502);

g) l'eccezione del mancato pagamento del premio o della prima rata di premio (art.

1901, 1o c.), se l'assicuratore ha rilasciato il certificato di assicurazione ed il contrassegno (Cass. 24.5.1993, n. 5834; Cass. 11.11.1995, n. 11723);

h) la stipula del contratto da parte di impresa non autorizzata, in quanto ciò non dà luogo a nullità o annullabilità del contratto, ma solo a risoluzione ex nunc, su formale denuncia dell'interessato (Cass. 19.1.1995, n. 586);

i) l'inosservanza dell'art. 98 cod. strad. che impone la presenza a bordo di autoveicoli con targa “prova” del titolare dell'autorizzazione a circolare con la targa prova o di un suo dipendente, poiché non incide sull'esistenza del rapporto assicurativo, salvo che tale circostanza risulti prevista quale elemento essenziale della copertura assicurativa (A Torino, 18.10.1982, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1984, 692);

l) lo stato di ebbrezza del conducente (P. Piazza Armerina, in Arch. circolaz. 1978, 257);

m) la clausola che preveda l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno;

n) la mancata esposizione del contrassegno da parte del veicolo danneggiante, essendo prevista solo a tutela dell'affidamento del danneggiato la disposizione del secondo comma di detto articolo secondo la quale l'assicuratore è tenuto nei confronti dei terzi per il periodo di tempo indicato nel certificato (Cass. 23.2.1998, n. 1944).

Sono, invece, state ritenute eccezioni opponibili:

a) L'inesistenza o nullità assoluta del contratto assicurativo, per mancanza dei requisiti essenziali di cui all'art. 1325 c.c. (Cass. 17.10.1994, n. 8460);

b) l'inesistenza del rischio, che comporta la nullità del contratto (art. 1895 c.c., Cass.

17.10.1994, n. 8460 cit.), con esclusione dell'ipotesi del dolo; c) il mancato pagamento delle rate del premio successive alla prima, dopo il decorso del periodo di tolleranza, se l'assicurato non sia in possesso del certificato (Cass. 6.6.1987, 4906);

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d) il limite del massimale (Cass. 23.1.1987, n. 646; Cass. 4.9.1985, n. 4611, con onere della prova del limite del massimale a carico dell'assicuratore);

e) nel caso di danno provocato da rimorchio, in movimento perché agganciato alla motrice, l'assicuratore del solo rischio statico ben può opporre l'inoperatività del contratto, in quanto non si tratta di un'eccezione contrattuale, ma di inesistenza di garanzia connessa alla circolazione del rimorchio (se il rimorchio viene agganciato alla motrice, diviene componente di un unico veicolo a motore e perde la propria autonomia, con la conseguenza che nei confronti del terzo danneggiato non risponde l'assicuratore del solo rimorchio, non vertendosi in tema di limite della responsabilità dell'assicuratore, ma di identificazione del veicolo il cui rischio è stato assicurato) (Cass.

18.12.1996, n. 11318; Cass. 25.7.1992, n. 8972; Cass. 30.1.1992, n. 950;);

f) nel caso in cui trattasi non di responsabilità ex art. 2054 c.c., ma di colpa professionale, quando il sinistro è provocato per cause ascrivibile al soggetto che abbia effettuato la riparazione (Cass. 1.3.1983, n. 1538, relativamente al caso del distacco di una ruota, mentre alla guida vi era il meccanico che aveva provveduto a riparare la stessa);

g) la mancanza di copertura assicurativa, nel qual caso è onere del danneggiato di provare, anche con testimoni, che tale danno si è verificato nel periodo di copertura assicurativa indicato nel contrassegno apposto sul veicolo investitore, ovvero nel periodo di tolleranza previsto dall'art. 1901, c. 2o, c.c., oppure che, essendosi verificato il sinistro nel periodo di sospensione assicurativa, ex art. 1901, c.c., il premio sia stato pagato dall'assicurato anteriormente al sinistro (Cass. 25.5.1998, n. 5194; Cass.

18.5.1999 n. 4803).

L'assicuratore, che non abbia potuto opporre al danneggiato che agisce in via diretta, eccezioni derivanti dal contratto né le clausole di contributo a carico dell'assicurato, ha diritto di rivalsa nei confronti dell'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto diritto contrattualmente di rifiutare o di ridurre la propria prestazione.

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In merito alla disciplina dell'azione di rivalsa, la giurisprudenza e la dottrina hanno enucleato i seguenti principi:

a) l'azione di rivalsa è esperibile anche se il danneggiato sia stato tacitato stragiudizialmente; se però l'assicurato non ha consentito al pagamento o non sia stato fatto partecipe delle trattative, egli può contrastare la domanda di rimborso dell'assicuratore con eccezioni sia in ordine alla responsabilità sia in ordine all'ammontare del risarcimento pagato (Cass. 27.1.1995, n. 981);

b) l'esercizio dell'azione di rivalsa si sostanzia in una vera e propria domanda e non in una semplice eccezione, sicché non è proponibile per la prima volta in appello (Cass.

24.7.1980, n. 4805);

c) tuttavia, se l'assicuratore, convenuto con azione diretta, faccia valere contro l'assicurato, anch'esso convenuto, la rivalsa di cui all'art. 143 cod. ass., introduce una pretesa strettamente connessa per comunanza di titolo con quella avanzata dall'attore e riconducibile tra i mezzi di difesa esperibili contro quest'ultima (Cass. 5.5.1980, n.

2940);

d) conseguentemente, la procura al difensore rilasciata dall'assicuratore per contraddire in ordine alla domanda del danneggiato deve ritenersi comprensiva del potere di proporre la domanda di rivalsa nei confronti dell'assicurato (Cass. 5.5.1980, n. 2940, cit.);

e) nel caso di circolazione prohibente domino la domanda di rivalsa può essere proposta solo contro il conducente e non contro il proprietario (Cass. 19.10.1981, in Giust. civ. 1982, I, 64).

Controverso è il problema della legittimazione passiva rispetto all’azione di rivalsa.

Secondo un primo orientamento, maggioritario e più risalente, l' “assicurato” nei confronti del quale l'assicuratore può esercitare l'azione di rivalsa si identifica non solo nel contraente della polizza, ma anche nel proprietario e/o conducente del veicolo

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responsabile del sinistro, soggetto titolare dell'interesse assicurato (Cass. 8.3.1993, n.

2764, in Giust. civ. 1994, I, 2015).

Più di recente, invece, Cass., sez. III, 31-01-2006, n. 2130 ha ritenuto che l’azione di rivalsa di cui alla norma qui in commento spetta all’assicuratore esclusivamente nei confronti dell’assicurato e non nei confronti del terzo conducente del veicolo (conforme Cass., sez. III, 29-05-2003, n. 8622, in Dir. e giustizia, 2003, fasc. 25, 55).

Quest’ultimo orientamento tuttavia mi sembra palesemente erroneo, in quanto non considera che l’ass. della r.c.a. è una assicurazione ambulatoria, nella quale il titolare dell’interesse esposto al rischio (e cioè l’ “assicurato”, in senso tecnico) è chiunque si ponga, col consenso del proprietario, alla guida del veicolo.

2.2. Il litisconsorzio necessario.

Nel giudizio promosso contro l’assicuratore del responsabile, ai sensi dell’art. 144 cod.

ass., è litisconsorte necessario il responsabile del danno, tradizionalmente identificato nel proprietario del veicolo che ha causato il danno.

La ratio di detto litisconsorzio è individuata nell'esigenza di assicurare che l'esistenza della responsabilità sia accertata in contraddittorio con il responsabile del danno, sicché essa non può ritenersi applicabile se non quando, esperita dal danneggiante l'azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore ex art. 144 cod. ass., debba procedersi nel relativo giudizio all'accertamento della responsabilità, la cui esistenza costituisce il presupposto dell'obbligo incombente all'assicuratore in forza del contratto di assicurazione (Cass. S.U. 15.10.1982, n. 5350, in Assicurazioni 1983, II, 2, 84, in Giust. civ. 1983, I, 148).

Mentre nel giudizio sull'an debeatur, promosso dal danneggiato contro l'assicuratore della responsabilità civile, è sempre necessaria la partecipazione al processo del responsabile del danno, nel giudizio sul quantum, qualora questo si svolga separatamente dal giudizio sull'an (perché instaurato successivamente alla pronuncia di

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condanna generica dell'assicuratore e del responsabile al risarcimento) detta partecipazione non è necessaria (Cass. 15.10.1982, n. 5350).

L’obbligo del litisconsorzio non sussiste ovviamente nel caso di azione esperita contro il responsabile a norma dell'art. 2054 c.c. In questa ipotesi la partecipazione al giudizio dell'assicuratore può avvenire ad iniziativa dell'assicurato che lo chiami in causa a titolo di garanzia impropria, a norma dell'art. 106 c.p.c., senza che sussista in assenza di sua iniziativa, l'obbligo per il giudice di disporre l'integrazione del contraddittorio a norma dell'art. 102 c.p.c. (Cass. 30.5.1995, n. 6074).

Il litisconsorzio necessario sussiste anche nel caso di domanda di accertamento negativo dell'operatività della garanzia assicurativa proposta dall'assicuratore, per cui tale domanda deve essere rivolta sia nei confronti del danneggiato che dell'assicurato (Cass.

19.10.1981 n. 5461).

Le conseguenze del suddetto litisconsorzio necessario sono che:

a) deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio ex art. 331, nel caso in cui la sentenza non sia stata impugnata nei confronti di tutti i litisconsorti (Cass. 17.5.1986, n.

3277;

b) in caso di omesso adempimento di tale onere, deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. 29.5.1986, n. 3648);

c) il litisconsorte citato a seguito di ordine di integrazione del contraddittorio, potrà effettuare l'impugnazione in via incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c.;

d) l'appello proposto dal solo assicuratore investe tutte le risultanze processuali, con facoltà del giudice di decidere sulla responsabilità del sinistro con accertamento valevole per tutte le parti, e quindi, anche nei confronti dell'assicurato (Cass. 14.1.1987, n. 198);

e) l'impugnazione proposta da uno dei condebitori spiega i suoi effetti anche nei confronti dell'altro condebitore (Cass. 20.8.1984, n. 4661).

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Tuttavia se fu proposta l'azione ex art. 18 nei confronti dell'assicuratore e contemporaneamente e cumulativamente l'azione ex art. 2054 nei confronti del conducente e del proprietario dell'auto, il giudice d'appello chiamato a pronunciare sulla nullità della sentenza impugnata conseguente alla nullità insanabile della citazione nel giudizio di primo grado del proprietario del veicolo, nel dichiarare detta nullità deve, in conseguenza della non integrità del contraddittorio, rimettere al primo giudice la causa promossa nei confronti dell'assicuratore e del proprietario del veicolo e trattenere e decidere nel merito quella promossa nei confronti del conducente, atteso che solo il proprietario del veicolo è litisconsorte necessario nella azione diretta e che non è ipotizzabile, con riferimento al giudizio di appello, un litisconsorzio necessario dipendente dall'effettiva partecipazione anche del conducente del veicolo al giudizio di primo grado (Cass. 24.2.1998, n. 1976; Cass. 26.4.1995, n. 4622). Egualmente, nel caso di confluenza nello stesso processo, dell'azione ex art. 2054 c.c. nei confronti del responsabile del danno e della causa di garanzia proposta da questi contro l'assicuratore, il danneggiato non è parte del rapporto processuale relativamente a questa seconda causa e non ha quindi interesse ad impugnare le statuizioni relative (Cass. 1.2.1995, n. 1134). Si ha in questo caso una semplice connessione di causa, con litisconsorzio passivo facoltativo, per cui la sentenza impugnata nei confronti di uno solo dei convenuti passa in giudicato per l'altro, nei cui confronti non può essere modificata dal giudice d'appello (Cass. 30.5.1995, n. 6074; Cass. 5.5.1987, n. 4684).

2.3. Le condizioni di proponibilità della domanda contro l’assicuratore.

L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile è soggetta all’onere di preventiva richiesta scritta di risarcimento all’assicuratore stesso, e del decorso dello spatium deliberandi previsto dalla legge.

Tale onere è imposto dall’art. 145 cod. ass., il quale ha riprodotto , con modificazioni, l’art. 22 l. 990/69. Le principali novità introdotte dal codice sono:

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(a) l’introduzione di un diverso termine, al cui decorso è subordinata la procedibilità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, a seconda del tipo di danni dei quali si chiede il risarcimento: 60 gg. nel caso di sinistri con danni a cose, e 90 nel caso di sinistri con danni a persone;

(b) la previsione di un termine diverso a seconda che la domanda sia proposta nei confronti di un assicuratore in bonis o dell’impresa designata: nel primo caso il termine è di 60 gg. (anche per i danni a persone); nel secondo caso sarà di sei mesi se il sinistro è stato causato da persona assicurata con impresa posta in l.c.a., di 60 gg. in tutti gli altri casi (art. 287 cod. ass.). Ne emerge un composito e non del tutto razionale quadro, che per semplicità può essere riassunto nella seguente tabella:

Sinistro causato

da veicolo assicurato con impresa in bonis

Sinistro causato da veicolo sconosciuto, non

assicurato o circolate prohibente

domino

Sinistro causato da veicolo assicurato con impresa in l.c.a.

Danni a cose 60 gg. 60 gg. 6 mesi

Danni a persone 90 gg. 60 gg. 6 mesi

Pacificamente la dottrina e la giurisprudenza ritengono che la funzione della richiesta scritta consiste nel costituire in mora l'assicuratore, una volta che sia decorso inutilmente il termine stabilito dalla legge. Quanto al dies a quo di detto termine, esso non è costituito dalla data di spedizione della raccomandata ma da quella di ricezione (Cass.

6.3.1982, n. 1423, Cass. 8.2.1986 n. 809), dovendo essere libero lo spatium deliberandi in favore dell'assicuratore.

Oltre tale funzione strettamente giuridica, la richiesta scritta ha anche quella di politica giudiziaria di facilitare le procedure di risarcimento, restringere il contenzioso ed evitare l'aggravamento dei costi di gestione dei sinistri. Pertanto mentre il danneggiante è costituito in mora dalla data del fatto illecito, l'assicuratore lo diventa soltanto dal

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momento dell'inutile decorso dello spatium deliberandi dalla richiesta del danneggiante che rende operante un'accessoria e coordinata obbligazione avente ad oggetto, ai sensi dell'art. 1224 c.c., gli interessi moratori ed il maggior danno costituito dalla sopravvenuta svalutazione monetaria (Cass. 27.5.1991 n. 5996; Cass. 28.5.1991 n.

6014).

2.4. Alcuni problemi posti dall’art. 145 cod. ass..

Mentre l'art. 22 l. 990/69 non stabiliva quali fossero gli elementi che la richiesta doveva contenere per essere ritenuta completa, limitandosi a stabilire che la richiesta deve essere effettuata con raccomandata con ricevuta di ritorno, l’art. 145 cod. ass. prescrive che la richiesta abbia i contenuti di cui agli artt. 148, 149 e 150, a seconda del sistema di indennizzo applicabile.

Un primo problema posto dalla nuova norma è quindi stabilire se possa ritenersi improponibile l’azione diretta quando la richiesta scritta non possegga i suddetti contenuti.

Riterrei che a tale quesito non possa darsi una risposta categorica.

Se infatti è vero, per un verso, che l’assicuratore ha l’obbligo di attivarsi alla stregua dell’ordinaria diligenza professionale da lui esigibile (art. 1176, comma 2, c.c.) per accertare il danno e liquidare l’indennizzo, e quindi non può sottrarsi a tale obbligo opponendo fiscali obiezioni sullo scostamento tra il contenuto della richiesta concretamente inviata e quello imposto dall’art. 148 cod. ass., per altro verso è altresì vero che il danneggiato ha l’obbligo di uberrima bona fides nel corso delle trattative, e non può limitarsi ad inviare all’assicuratore richieste del tutto generiche e prove di adeguato corredato documentale, come tali assolutamente insufficienti per la stima del danno (e ciò a mente dell’art. 1206 c.c., alla stregua del quale il creditore deve compiere “quanto necessario” perché il debitore possa adempiere).

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Una adeguata soluzione al problema qui in esame mi sembra possa raggiungersi muovendo dalla ratio dell’art. 145 cod. ass., che è quella - lo si è detto - di favorire gli accordi stragiudiziali. Da ciò consegue che, abbia o non abbia il danneggiato rispettato alla lettera le prescrizioni dell’art. 148 cod. ass., la domanda sarà comunque procedibile se gli elementi inviati erano comunque sufficienti, con l’uso dell’ordinaria diligenza, per l’accertamento della responsabilità e la stima del danno.

Per contro, la domanda andrà dichiarata improcedibile se nella richiesta scritta di risarcimento manchino gli elementi indispensabili per la stima del danno. Così, ad esempio, riterrei non ostativa alla procedibilità della domanda l’omessa indicazione, nella richiesta scritta di risarcimento, del codice fiscale del danneggiato (purché la persona sia inequivocabilmente individuabile attraverso i datai anagrafici), ovvero delle dichiarazioni dei redditi, quando la vittima non abbia patito (e quindi non domandi) alcun danno da perdita della capacità di guadagno.

Un secondo problema posto dagli artt. 144-145 cod. ass. (ma già sorto nel vigore della disciplina previgente) è se la richiesta dell’assicuratore di ulteriori informazioni nel caso di domanda incompleta, ai sensi dell’art. 148, comma 5, cod. ass., comporti l’interruzione, oltre che dei termini per la formulazione dell’offerta di cui ai commi 1 e 2 della norma ora citata, anche l’interruzione del termine di 60 o 90 giorni per il promovimento della azione diretta, di cui al comma 1 dell’art145 cod. ass..

A tale delicato problema, in assenza (sinora) di precedenti giurisprudenziali, mi sembra debba darsi risposta affermativa.

Lo spatium deliberandi di cui all’art. 145, comma 1, cod. ass. è previsto dalla legge al fine di consentire all’assicuratore di valutare se e quanto offrire a titolo di indennizzo. Di tale termine l’assicuratore deve poter fruire interamente, tanto è vero che se la richiesta è incompleta il termine per l’offerta è differito: dunque la richiesta incompleta è inidonea a provocare la mora debendi dell’assicuratore (art. 148, comma 5, cod. ass.).

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Alla luce di tali considerazioni non mi sembra peregrino qualificare il termine di cui all’art. 145 cit. come un termine di adempimento a favore del debitore, imposto direttamente dalla legge: con la conseguenza che prima della scadenza di tale termine il credito è inesigibile (in virtù del principio secondo cui soltanto quod sine die debetur, statim debetur). Se, dunque, il termine di cui all’art. 148, comma 1 e 2 cod. ass., è prorogato per effetto della richiesta di chiarimenti avanzata dall’assicuratore dinanzi ad una richiesta incompleta, il credito sarà inesigibile fino alla scadenza del termine prorogato, e di conseguenza l’assicuratore non potrà essere convenuto in giudizio.

Pertanto mi pare possa concludersi nel senso che la richiesta incompleta, là dove l’assicuratore si avvalga della facoltà di chiedere integrazioni, produca l’effetto di differire il termine per il promovimento dell’azione diretta di cui all’art. 145, comma 1, cod. ass..

Un terzo problema posto dal nuovo combinato disposto degli artt. 144 e 145 cod. ass.

è se le nuove norme sulla procedibilità della domanda si applichino ai giudizi introdotti dopo il 1°.1.2006 (data di entrata in vigore del codice delle assicurazioni), quando il sinsitro si sia verificato prima e la richiesta scritta di risarcimento sia stata inoltrata nel vigore dell’art. 22 l. 990/69.

Tale problema è di agevole soluzione: infatti è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che le norme le quali impongono condizioni di procedibilità della domanda sono disposizioni processuali, e come tali soggette al principio tempus regit actum (Cass., sez. III, 07-02-2006, n. 2527; Cass., sez. III, 13-04-2000, n. 4803; Cass., sez.

III, 04-11-1996, n. 9544). Pertanto il rispetto delle condizioni di procedibilità va accertato in base alle norme vigenti al momento in cui la condizione di procedibilità è stata (o doveva essere) osservata, e non al momento dell’introduzione del giudizio, né a quello della sentenza.

Se, dunque, il danneggiato ha inviato, prima del 1°.1.2006, una richiesta scritta di risarcimento difforme dai precetti di cui all’art. 148 cod. ass., ma conforme a quelli di

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cui all’art. 22 l. 990/69, la domanda sarà procedibile, anche se introdotta dopo il 1°.1.2006; non lo sarà, invece, se la richiesta scritta difforme dal dettato dell’art. 148 cod. ass. sia pervenuta all’assicuratore dopo l’entrata n vigore del codice, a nulla rilevando che il sinistro si sia verificato in precedenza.

3. L’azione diretta nei confronti dell’UCI.

L’art. 126 cod. ass. ha riprodotto l’art. 6 l. 990/69 - per quanto qui rileva, e cioè il promovimento dell’azione diretta nei confronti dell’UCI - senza novità di rilievo, eccezion fatta per un “infortunio” nomopoietico in cui è incorso il legislatore.

Il terzo comma dell’art. 126 cod. ass. stabilisce infatti che quando si cita l’UCI in giudizio con l’azione diretta, il termine a comparire fissato nell’atto di citazione dev’essere “aumentato del doppio, risultando perciò stabilito in centottanta giorni per il giudizio di fronte al tribunale e in novanta giorni per il giudizio di fronte al giudice di pace”.

Tale norma è destinata a suscitare seri problemi tra gli interpreti, in quanto per effetto delle modifiche apportate all’art. 163 bis c.p.c. dall'art. 2, comma 1, lettera (g), l. 28 dicembre 2005, n. 263, il termine a comparire nei giudizi ordinari di cognizione è stato elevato a 90 giorni dinanzi al tribunale, e 45 dinanzi al giudice di pace. Sicché, se si privilegia la prima parte della disposizione qui in esame (“il termine a comparire dev’essere aumentato del doppio”), tale termine dovrebbe essere di 270 giorni, mentre se si privilegia la seconda parte (“risultando perciò stabilito in centottanta giorni”) il termine in questione dovrebbe continuare ad essere di 180 giorni.

Non essendo tale problema superabile in base alla lettera della norma, la soluzione preferibile mi sembra quella di ricorrere all’interpretazione costituzionalmente orientata e ritenere perciò che il termine a comparire nelle cause in cui sia convenuta l’UCI debba restare di 180 giorni, in quanto tale interpretazione è la sola conforme al disposto

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dell’art. 111 cost., nella parte in cui prescrive che il processo debba avere una durata

“ragionevole”.

Problemi analoghi sono sorti dall’estensione del rito del lavoro alle controversie in tema di sinistri stradali, disposta dall’art. 3 l. 21.2.2006 n. 102. Nel rito del lavoro, infatti, l’art. 415, comma 5, c.p.c., fissa in soli 30 giorni il termine a comparire, sicché sussiste un conflitto apparente di norme tra quest’ultima disposizione e l’art. 126 cod. ass. Per risolvere tale conflitto, mi sembra si debba muovere dal rilievo che le due norme appena citate si pongono in rapporto di specialità reciproca, in quanto hanno un nucleo comune (entrambe disciplinano l’azione di risarcimento di danni da lesioni o da morte causati da veicoli immatricolati all’estero), ed elementi di specialità: l’art. 3 l. 102/06 si applica anche nel caso di danni causati da veicoli immatricolati in Italia, ai quali è inapplicabile l’art. 126 cod. ass.; e quest’ultimo si applica anche ai danni causati da natanti ed ai danni a cose, ipotesi invece sottratte alla previsione dell’art. 3 l. 102/06.

Di conseguenza, il conflitto apparente tra esse va risolto in base al principio del c.d.

bilanciamento di valori, ovvero individuando la norma assiologicamente prevalente sull’altra, in quanto espressione di valori superiori (Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, 228 e ss.). Pertanto, poiché la finalità dell’art. 126 cod. ass., e del più lungo termine a comparire ivi previsto, è quella di consentire all’UCI di meglio difendersi, mentre la finalità dell’art. 3 l. 102/06 è quella di apprestare una più celere ed incisiva tutela a quelle vittime di sinistri stradali che abbiano patito gravi lesioni personali o degli affetti, l’art. 3 l. 102/06 deve prevalere sull’art. 126 cod. ass., e quindi la domanda di risarcimento del danno da lesioni o da morte, quand’anche proposta nei confronti dell’UCI, sarà soggetta alle previsioni dell’art. 415 c.p.c., ed il termine a comparire sarà di soli 30 giorni (sia benevolmente consentito, sul punto, il rinvio a Rossetti, Sinistri stradali e rito del lavoro, Milano, 2006, 219).

4. L’azione diretta nei confronti dell’impresa designata.

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L’art. 283 cod. ass. non ha introdotto novità di rilievo con riferimento all’ipotesi di sinistro causato da veicolo non assicurato, sconosciuto, od assicurato con impresa in l.c.a., ove si eccettui l’incongruenza già segnalata (rispetto all’art. 145 cod. ass.), consistita nell’avere previsto, quale condizione di procedibilità dell’azione diretta nei confronti dell’impresa designata il decorso di un termine di 60 gg. (anche per i danni a persone), salvo che il veicolo sia stato causato da veicolo assicurato con impresa posta in l.c.a., nel qual caso il termine suddetto è di sei mesi (art. 287 cod. ass.).

Una novità assoluta è invece la previsione dell’intervento del fondo di garanzia, per il tramite dell’impresa designata, nel caso di veicolo “posto in circolazione contro la volontà del proprietario” o delle altre persone chiamate ex lege a rispondere dei danni causati dalla circolazione (art. 283, comma 1, lettera (d), cod. ass.).

Con questa norma il legislatore parrebbe essersi avvalso della facoltà concessagli dall’art. 2, comma 2, della Direttiva del Consiglio 30-12-1983, n. 84/5 (“Concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli”), secondo cui nel caso di veicoli “rubati o ottenuti con la violenza”, gli Stati membri possono prevedere che il fondo di garanzia intervenga in luogo e vece dell'assicuratore. E tuttavia non può non registrarsi un evidente iato tra la previsione comunitaria e quella codicistica: la prima parla infatti di “veicoli rubati o ottenuti con la violenza”, la seconda di “veicoli posti in circolazione contro la volontà del proprietario”, il che ovviamente può avvenire anche in assenza di furto o violenza.

Tuttavia la norma codicistica può essere interpretata in senso conforme al diritto comunitario, ove si consideri che l’art. 122 cod. ass., il quale prevede l’esonero dell’assicuratore del veicolo nel caso di circolazione prohibente domino, stabilisce espressamente che l’assicurazione cessa a partire dalle ore 24.00 del giorno in cui è stata presentata la denuncia agli organi di polizia. Pertanto, leggendo unitariamente l’art. 2 Direttiva 84/5, l’art. 122 e l’art. 283 cod. ass., deve concludersi che l’azione

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diretta nei confronti del fondo va proposta non in qualunque ipotesi di circolazione contro la volontà del proprietario, ma solo nei casi in cui la circolazione sia frutto di furto o violenza.

Qualche incertezza l’art. 283 cod. ass. può far sorgere, nel caso di sinistri causati da veicoli circolanti prohibente domino, anche per quanto attiene i danni risarcibili. La legge prevede infatti (comma 2) che il risarcimento è dovuto sia per i danni alla persona sia per i danni a cose, ma soltanto:

(a) ai terzi non trasportati;

(b) ai trasportati contro la propria volontà;

(c) ai trasportati inconsapevoli della circolazione illegale.

La lettera della norma lascia insoluti alcuni problemi, ed in particolare se ai trasportati consapevoli della circolazione illegale spetti da parte del Fondo solo il risarcimento del danno alla persona, anche il risarcimento del danno a cose, nei limiti di cui alla prima parte del secondo comma dell’art. 283, oppure non spetti alcun risarcimento da parte del Fondo.

Quest’ultima sembrerebbe l’opinione preferibile in base alla lettera della norma: la inconsapevolezza della circolazione illegale è infatti presupposto per l’intervento del Fondo in favore del trasportato, e dunque se manca la prima, non potrà avvenire il secondo.

E tuttavia non può negarsi che in tal modo si crea un pericoloso vuoto di tutela: il terzo consapevole della circolazione illegale infatti non potrebbe proporre l’azione diretta nei confronti di alcuno: non nei confronti dell’impresa designata, perché lo esclude l’art.

283, comma 2, cod. ass.; non nei confronti dell’assicuratore del vettore, perché lo esclude l’art. 122, comma 3, cod. ass..

Questa conclusione è però insostenibile, perché in contrasto col diritto comunitario.

stabilisce, infatti, l’art. 1, comma 1, Direttiva Consiglio 14-05-1990, n. 90/232 (“Relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di

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assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli”) che l'assicurazione obbligatoria della r.c.a. deve coprire la responsabilità per i danni alla persona "di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall'uso del veicolo”.

Né. ovviamente, la mera consapevolezza della circolazione illegale del veicolo sembra costituire una giusta ragione per derogare a tale principio.

In prima approssimazione, riterrei che la soluzione preferibile sia quella di disapplicare, per contrarietà insanabile col diritto comunitario, l’art. 283, comma 2, ult. parte, cod.

ass., secondo l’insegnamento della Corte di giustizia (ex permultis, da ultimo, Corte giustizia Comunità europee, 22-05-2003, n. 462/99, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2004, 748).

5. L’azione diretta del trasportato nei confronti dell’assicuratore del proprio vettore.

L’art. 141 cod. ass. disciplina l’ipotesi di danni patiti dal terzo trasportato, e costituisce una previsione del tutto nuova. La norma non distingue tra le varie ipotesi di trasporto, e dunque deve ritenersi applicabile sia nel caso di trasporto di cortesia, sia nel caso di trasporto gratuito, sia nel caso di trasporto oneroso.

L’art. 141 cod. ass. è forse una delle norme meno felici dell’intero codice delle assicurazioni; sia per la tecnica con la quale è stato scritto, sia per il contenuto, che nella migliore delle ipotesi è ambiguo, e nella peggiore inutilmente peggiorativo rispetto all’attuale stato di cose.

Affinché sia ben chiaro questo concetto, è opportuno brevemente ricordare di che tipo di tutela abbia goduto fino ad oggi, per diritto vivente, il trasportato su un veicolo a motore, che in conseguenza di un sinistro abbia patito danni alla persona.

Nel caso di sinistro stradale senza urto tra veicoli, il trasportato a qualsiasi titolo poteva pretendere il risarcimento del danno, ex art. 2054, comma 1, c.c., dal proprio vettore e dall’assicuratore della r.c.a. di quest’ultimo.

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Nel caso di sinistro stradale con scontro tra due o più veicoli, il trasportato a qualsiasi titolo poteva pretendere l’intero risarcimento sia dal proprio vettore, sia dai conducenti degli altri veicoli, invocando nei confronti di ciascuno di essi la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054, comma 1, c.c., e di conseguenza il beneficio della solidarietà di cui all’art. 2055 c.c. (ex permultis, Cass., sez. III, 20-04-2004, n. 7500, in Arch. circolaz., 2004, 982; Cass., sez. III, 26-02-2004, n. 3868, in Arch. circolaz., 2004, 742).

Fino all’entrata in vigore del codice, quindi, il terzo trasportato aveva dinanzi a sé una nutrita platea di debitori solidali: i conducenti, i proprietari ed i rispettivi assicuratori. La colpa di tutti costoro era presunta.

L’art. 141 cod. ass. stabilisce ora in modo tranchante che il danno subito dal trasportato

“è risarcito dall’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo [sic]1”, “a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti”, e “salva l’ipotesi di caso fortuito”. Il terzo comma, altrettanto recisamente, afferma che “l’azione diretta avente ad oggetto il risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo sul quale il danneggiato era a bordo”.

Il meccanismo previsto dalla norma, in sintesi, è il seguente: il terzo danneggiato domanda il risarcimento del danno all’assicuratore del vettore; quest’ultimo è tenuto al pagamento dell’indennizzo, salvo recuperare l’importo pagato nei confronti dell’assicuratore del terzo responsabile. Il trasportato non può agire nei confronti dell’assicuratore del veicolo antagonista, se non quando il massimale dell’assicuratore del vettore sia incapiente, e quello dell’assicuratore dell’altro corresponsabile sia superiore al minimo di legge.

Il buon senso potrebbe indurre a ritenere che lo scopo avuto di mira dal legislatore con tale norma sia stato quello di garantire in ogni caso il risarcimento al trasportato, salva

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1 Si noti la evidente sgrammaticatura, posto che l’espressione “a bordo” dovrebbe reggere la preposizione “di”, e non “su”.

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la rivalsa dell’assicuratore del vettore nei confronti dell’effettivo responsabile. Non saprei dire se sia stata davvero questa la finalità della norma; ma è certo che, per come essa è stata scritta, tale finalità non può dirsi raggiunta.

Questi, in particolare, i problemi posti dalla norma in esame:

(a) se essa preveda una ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del vettore;

(b) se essa deroghi al principio secondo cui il creditore di più debitori in solido può convenirli tutti nel medesimo giudizio;

(c) in caso di risposta affermativa al quesito (b), se l’azione del trasportato nei confronti dei corresponsabili diversi dal vettore sia esclusa in toto, ovvero semplicemente improponibile se è stata proposta l’azione diretta prevista dal comma 3 dell’art. 141 cod. ass..

Al primo quesito mi pare che si debba necessariamente dare risposta negativa.

Il primo comma dell’art. 141 cod. ass. esordisce affermando che l’assicuratore del vettore è tenuto ad indennizzare il terzo trasportato “salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito”. Il caso fortuito, secondo l’opinione condivisa dalla S.C. almeno da mezzo secolo, comprende anche il fatto del terzo (Cass., sez. III, 27-01-2005, n. 1655, inedita; Cass., sez. III, 30-03-2001, n. 4742, in Arch. civ., 2001, 977; Cass., sez. III, 22-02-2000, n. 1971, in Foro it. Rep. 2000, Responsabilità civile, n. 343). Pertanto la responsabilità dell’assicuratore del vettore è esclusa sia quando il sinistro è dovuto a cause naturali, sia quando è dovuto a colpa di altro conducente.

Dunque l’art. 141, comma 1, cod. ass. non può che essere interpretato nel senso che l’assicuratore del vettore risponde nei confronti del trasportato quando vi sia una colpa almeno concorrente, ancorché presunta, del proprio assicurato. Ove, per contro, l’assicuratore dimostri che il sinistro è dovuto interamente a responsabilità di altro conducente, non sarà tenuto al risarcimento.

Vi è dunque una larvata contraddizione tra l’affermare che l’assicuratore risponde “salvo il caso fortuito”, e l’aggiungere che tale responsabilità “prescinde dall’accertamento

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della responsabilità di altri conducenti”. Il caso fortuito, in materia di sinistri stradali, è infatti rappresentato proprio dalla responsabilità di altri conducenti, e dunque non è affatto vero che la condanna dell’assicuratore del vettore possa “prescindere” da tale accertamento.

Il testo della norma pertanto va letto non nel senso che l’assicuratore del vettore sia tenuto al pagamento “a prescindere” dall’accertamento della responsabilità del conducente, ma piuttosto nel senso che quest’ultima responsabilità si presume fino a che l’assicuratore non dimostri il caso fortuito (ivi compresa la colpa del terzo).

Ma se così è - e le regole dell’ermeneutica non consentono altre ipotesi - la norma è sotto questo profilo del tutto inutile, perché già oggi in base al combinato disposto dell’art. 2054, comma 1, c.c., l’assicuratore del vettore è tenuto a rifondere il danno del trasportato, a meno che non provi la colpa di un terzo.

Il secondo problema posto dalla norma è se essa deroghi o meno al principio della solidarietà tra coautori di un fatto illecito, di cui all’art. 2055 c.c.. In virtù di tale norma, oggi il trasportato può convenire in giudizio simultaneamente sia il vettore, sia il conducente e/o proprietario del veicolo antagonista, sia i rispettivi assicuratori della r.c.a..

L’art. 141 cod. ass., per contro, afferma recisamente che “l’azione diretta avente ad oggetto il risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo sul quale il danneggiato era a bordo al momento del sinistro”, escludendo altre possibilità. L’impossibilità di convenire in giudizio simultaneamente l’assicuratore del vettore e quello del veicolo antagonista parrebbe indirettamente confermata dalla previsione del comma 3, ultima parte, ove si stabilisce che “l’impresa di assicurazione del responsabile civile [recte, del terzo responsabile] può intervenire nel giudizio e può estromettere l’impresa di assicurazione del veicolo [recte, del vettore], riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”: dal che potrebbe affrettatamente desumersi che il

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legislatore abbia inteso evitare la contemporanea pendenza di processi sia nei confronti dell’assicuratore del vettore che nei confronti dell’assicuratore dell’antagonista.

Una simile conclusione, pur indubbiamente autorizzata dal testo normativo, non mi sembra però possa condividersi.

Ricordiamo che dalla verificazione di un sinsitro stradale la vittima diviene creditore nell’ambito di due diversi rapporti giuridici: uno ex delicto col danneggiante, l’altro ex lege con l’assicuratore di quest’ultimo. Limitare l’azionabilità della pretesa al solo assicuratore del vettore significa sopprimere l’azionabilità di un diritto di credito ex delicto, e ciò porrebbe seri problemi di conformità al dettato dell’art. 24 cost..

Inoltre, interpretando alla lettera l’art. 141 cod. ass., ne deriverebbe la soppressione della solidarietà tra i coautori del fatto illecito, di cui all’art. 2055 c.c.. E’ tuttavia noto che la solidarietà tra più condebitori costituisce un beneficio per il creditore, ed escluderla significherebbe creare un conflitto tra il codice e la legge delega (l.

29.7.2003 n. 229). Quest’ultima infatti, all’art. 4, comma 1, lettera (b), prevedeva quale criterio direttivo per la redazione del codice la “tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli (...), avendo riguardo anche alla correttezza (...) del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio”. Or bene, escludere il beneficio della solidarietà tra condebitori non mi sembra una misura intesa a tutelare “consumatori e contraenti più deboli”: riterrei pertanto non vietato dalla lettera, ed anzi consono alla ratio della legge, interpretare l’art. 141, comma 1, cod.

ass. come si dicesse “l’assicuratore del vettore non può opporre al trasportato, ove quest’ultimo gli domandi il risarcimento, altre eccezioni che il caso fortuito”. Resta salva, però, la possibilità del danneggiato di domandare il risarcimento anche (o solo) all’assicuratore del corresponsabile.

A questa conclusione non mi sembra osti il ricordato terzo comma dell’art. 141, ove si stabilisce che nella controversia pendente tra l’assicuratore del vettore ed il trasportato danneggiato può intervenire l’assicuratore del “responsabile civile”, che in questo caso

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“può estromettere [recte, “far estromettere”] l’impresa di assicurazione del veicolo, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”.

Tale norma infatti non autorizza affatto a concludere che l’azione nei confronti dell’assicuratore del vettore sia necessariamente alternativa rispetto a quella nei confronti dell’assicuratore del terzo responsabile.

Si consideri, a questo riguardo, che in pratica non possono darsi che tre possibilità:

colpa esclusiva del vettore, colpa esclusiva del conducente il veicolo antagonista, colpa concorrente di entrambi.

Nel primo caso ovviamente il meccanismo dell’intervento e dell’estromissione non può operare.

Nel secondo caso (colpa esclusiva del conducente il veicolo antagonista) l’intervento e l’estromissione costituiscono applicazione del generale principio di cui all’art. 108 c.p.c.: non v’è bisogno di coltivare il processo nei confronti della parte il cui debito sia assunto da altri. In questo caso, quindi, l’estromissione dell’assicuratore del vettore viene disposta non perché non possano pendere contemporaneamente l’azione nei confronti di questi e l’azione nei confronti di altri corresponsabili, ma semplicemente perché la confessione di responsabilità da parte dell’intervenuto rende superfluo l’accertamento della responsabilità dell’originario convenuto.

Nel terzo caso (colpa concorrente) l’estromissione non potrà operare: infatti, anche se ciascuno dei corresponsabili risponde per l’intero nei confronti della vittima del danno (art. 2055 c.c.), l’art. 141 cit. subordina l’estromissione al “riconoscimento della responsabilità” da parte dell’interveniente. Pertanto, se quest’ultimo ammette solo una propria corresponsabilità, viene meno uno dei presupposti applicativi della norma.

Infine, una osservazione di diritto intertemporale. L’art. 141 cod. ass. è entrato in vigore il 1°.1.2006, e non avrei dubbi che si tratti di norma processuale, in quanto stabilisce quale sia il soggetto passivamente legittimato rispetto alla pretesa risarcitoria del trasportato. Ne consegue che essa dovrà essere applicabile a tutti i giudizi introdotti

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dopo il 1°.1.2006, in virtù del principio di cui all’art. 11 disp. prel. c.c.. (tempus regit actum), a nulla rilevando che il sinsitro si sia verificato prima della data appena indicata.

6. L’azione diretta della vittima nei confronti del proprio assicuratore.

Tutta nuova è la procedura del c.d. “indennizzo diretto” (art. 149 cod. ass.). In virtù di essa, l’impresa che assicura la responsabilità civile della vittima indennizzerà quest’ultima, salvo rivalsa nei confronti dell’assicuratore del responsabile. La norma attribuisce perciò all’assicuratore della vittima il ruolo di mandatario ex lege dell’impresa assicuratrice del responsabile, con tutti gli obblighi e gli oneri gravanti su quest’ultimo per quanto attiene alla misura della responsabilità.

L’eventuale azione per il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 149, comma 6, cod.

ass., va proposta nei confronti dell’assicuratore della r.c.a. della vittima. La stessa disposizione soggiunge che l'impresa di assicurazione del responsabile “può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”.

Tale disposizione appare caratterizzata da una palese balbuzie giuridica. Che vi fosse bisogno di una norma espressa per consentire all’assicuratore del responsabile di intervenire nel giudizio tra il danneggiato ed il proprio assicuratore è da escludere.

L’assicuratore del responsabile, in quanto soggetto sul quale grava il peso finale del risarcimento, anche in assenza della norma in esame avrebbe comunque avuto un sicuro interesse ex art. 100 c.p.c. ad intervenire nel giudizio. Ma se la prima parte della norma è inutile, la seconda parte è ambigua, là dove si legge che l’assicuratore del responsabile “può estromettere l’altra impresa”. Il provvedimento di estromissione dal giudizio esige infatti comunque un provvedimento del giudice, rimesso alla sua discrezionalità, mentre il presente indicativo adottato nel comma 6 dell’art. 149 cod.

ass. parrebbe lasciare intendere che l’estromissione dipenda non da una valutazione del giudice, ma dal fatto stesso che l’assicuratore del responsabile sia intervenuto in giudizio.

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Non meno ambigua è l’ultima parte della norma, dove si precisa che l’assicuratore del responsabile può estromettere l’altra impresa “riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”. Non è chiaro infatti se l’estromissione possa avvenire solo quando l’assicuratore del responsabile, intervenendo, riconosca la totale responsabilità del proprio assicurato, ovvero sia possibile anche quando l’interveniente riconosca soltanto un concorso di colpa del proprio assicurato.

6.1. L’ambito di applicazione.

Il promovimento dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore della vittima stessa è ovviamente subordinato alla sussistenza dei presupposti per l’operatività del sistema dell’indennizzo diretto, che non sono pochi né di agevole lettura.

L’ambito di applicazione della nuova disciplina risulta infatti dal combinato disposto degli artt. 149, commi 1 e 2, cod. ass.; e dagli artt. 3 e 4 del relativo regolamento di attuazione (d.p.r. 254/2006).

Si tratta di un ambito che incontra vari limiti, relativi:

(a) al tipo di sinistro;

(b) al tipo di veicoli coinvolti;

(c) alla condizione soggettiva del danneggiato;

(d) al tipo di danni dei quali si chiede l’indennizzo.

Può essere utile in questa sede spendere qualche parola su tali limiti, dai quali dipende l’esperibilità dell’azione diretta.

(A) Limiti applicativi relativi al tipo di sinistro.

Per quanto attiene il tipo di sinistro, esso deve avere coinvolto due veicoli soltanto (art.

149 cod. ass.). Ci si potrebbe chiedere se l’aggettivo “soltanto” vada logicamente riferito al tipo di “enti” coinvolti nel sinsitro (soltanto veicoli), ovvero al numero di essi (soltanto due). Nel primo caso, l’indennizzo diretto non potrà trovare applicazione

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quando il veicolo abbia coinvolto, oltre due veicoli, anche - ad es. - un velocipede od un pedone (ad es., Tizio tampona Caio che, sull’abbrivio, investe un pedone in procinto di attraversare la strada). Nel secondo caso, invece, quel che rileva ai fini dell’applicabilità del sistema dell’indennizzo diretto è unicamente il coinvolgimento di veicoli a motore in numero non superiore a due, quale che fosse il numero di altri

“enti” coinvolti (pedoni, animali, veicoli non a motore).

La prima soluzione appare tuttavia preferibile, per due ragioni. La prima è che il sistema dell’indennizzo si fonda sul presupposto che ciascuno degli assicuratori tenuto al pagamento (quello della vittima in prima battuta, e quello del responsabile in via di rivalsa) abbiano assicurato almeno un veicolo coinvolto nel sinistro, e che non vi siano altre “partite” di danno da sistemare. Diversamente, infatti, il sistema si complicherebbe paurosamente: se, ad es., si ammettesse la praticabilità dell’indennizzo diretto anche se nel sinistro sia coinvolto un pedone, l’assicuratore del responsabile si vedrebbe esposto a due azioni: l’una, in via diretta, da parte del pedone danneggiato; l’altra, in via recuperatoria, da parte dell’assicuratore dell’altro automobilista che abbia riportato danni, il che impedirebbe la unitaria e contestuale definizione di ogni rapporto tra danneggiati ed assicuratore del danneggiante.

La seconda ragione è che l’art. 140, comma 4, cod. ass. ha introdotto l’obbligo del litisconsorzio necessario in tutti i sinistri con pluralità di danneggiati, al fine di consentire il riparto del massimale in misura proporzionale tra tutti, nel caso di incapienza. Se quindi fosse consentito all’automobilista danneggiato invocare le norme sull’indennizzo diretto anche quando in conseguenza del sinistro sia rimasto ferito - poniamo - un pedone, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il proprio assicuratore dovrebbe essere chiamato anche il pedone, il quale però non avrebbe azione nei confronti dell’assicuratore convenuto, ma solo nei confronti dell’assicuratore del responsabile.

Verrebbe quindi vulnerata in tal caso la ratio sia delle norme sull’indennizzo diretto, sia di quelle sul litisconsorzio necessario. Né varrebbe obiettare che l’art. 140, comma 4,

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cod. ass. (norma assurda sotto più d’un profilo) potrebbe essere salvificamente interpretato ritenendo che il litisconsorzio necessario sussista solo nei casi di incapienza del massimale, che ben raramente possono verificarsi nell’ipotesi di danni con esiti micropermanenti. Rarità non vuol dire infatti impossibilità, e non può in radice escludersi che una modesta lesione personale possa causare un rilevante danno patrimoniale da perdita del reddito, capace - unitamente agli altri danni causati dal sinistro - di esaurire il massimale.

Il sinistro inoltre deve essere avvenuto in Italia (art. 1 regolamento). Nulla rileva pertanto né che sia avvenuto tra veicoli immatricolati in Italia, né che debitore e creditore siano ambedue italiani. Restano peraltro ferme le norme di diritto internazionale privato, sicché l’indennizzo diretto non sarà applicabile se l’obbligazione scaturita dal fatto illecito è soggetta alla legge straniera.

(B) Limiti applicativi relativi al tipo di veicoli coinvolti.

Il sinistro deve avere coinvolto non più di due veicoli, immatricolati in Italia, identificati ed “assicurati”.

Il requisito dell’immatricolazione in Italia, a fronte della scarna lettera della legge, deve ritenersi prevalente sulla circostanza che il veicolo stazioni abitualmente all’estero, o sia di proprietà di uno straniero, anche non residente in Italia. Sempre che, ovviamente, l’obbligazione scaturita dal fatto illecito sia soggetta alla legge italiana.

I veicoli coinvolti debbono altresì essere identificati: in mancanza di ulteriori indicazioni, deve ritenersi che la procedura di indennizzo diretto si applichi anche nel caso in cui l’identificazione del responsabile sia successiva al sinistro.

I veicoli debbono essere inoltre “assicurati”, metafora antropomorfizzante con la quale si intende esprimere il concetto che esista una polizza di assicurazione, da chiunque stipulata, la quale copra la responsabilità civile delle persone di cui all’art. 2054 c.c., scaturente dalla circolazione del veicolo. Il veicolo deve ritenersi assicurato anche

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quando il contratto sia scaduto, ma sia in corso il termine di proroga legale previsto dall’art. 1901 c.c..

(C) Limiti applicativi relativi alla condizione dei danneggiati.

L’indennizzo diretto non può essere preteso da chiunque abbia patito un danno in conseguenza del sinistro, ma solo da alcun categorie di persone, individuate però in termini piuttosto problematici.

Secondo l’art. 149, comma 2, cod. ass., la disciplina in esame si applica quando il danno sia lamentato dal conducente del veicolo coinvolto, dal proprietario o dall’

“assicurato”, in questo caso limitatamente ai danni alle cose trasportate.

Secondo l’art. 1, comma 1, reg. invece la procedura si applica soltanto ai danni patiti dal proprietario o dal conducente.

La consueta frettolosità della tecnica normativa pone all’interprete vari problemi, perché la formula della legge e quella del regolamento non sono affatto sovrapponibili.

Nell’assicurazione r.c.a. “assicurato” è qualunque persona la cui responsabilità possa restare ingaggiata in conseguenza di un sinistro stradale, ai sensi dell’art. 2054 c.c.:

dunque non solo proprietario e conducente, ma anche l’acquirente con patto di riservato dominio, l’usufruttuario e l’utilizzatore in leasing. Eppure queste categorie di soggetti, stando alla legge, possono avvalersi della procedura di indennizzo diretto solo per domandare il ristoro del danno alle cose trasportate, ma non per domandare il risarcimento del danno patito in conseguenza dell’avaria al veicolo (canoni inutilmente pagati, perdita di profitto, ecc.), nemmeno - si badi bene - nell’ipotesi in cui il contratto o il titolo del possesso ponga a loro carico la responsabilità per danni nei confronti del proprietario (clausola, ad es., ricorrente nei confronti di leasing).

Ancora più restrittiva è la previsione del regolamento, il quale esclude dalla procedura di indennizzo diretto qualsiasi persona diversa da conducente e proprietario.

Questo scriteriato modo di scrivere testi normativi pone all’interprete due problemi:

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(a) se sia ragionevole e conforme a Costituzione l’esclusione dall’indennizzo diretto per gli assicurati diversi dal proprietario, di cui all’art. 2054, comma 3, c.c.;

(b) se sia legittimo il regolamento nella parte in cui esclude la procedura di indennizzo diretto per i danni alle cose trasportate patiti dagli assicurati diversi dal proprietario o dal conducente.

Ad ambedue i quesiti va a mio avviso data risposta negativa: al primo, in quanto l’esclusione di alcune categorie di assicurati dal sistema dell’indennizzo diretto non trova giustificazione alcuna, e parrebbe perciò contrastare con l’art. 3 cost., sotto il profilo della ragionevolezza; al secondo, in quanto - come già visto - non è consentito al regolamento ridurre l’ambito di applicazione della legge.

In ogni caso, allo stato attuale della legislazione restano esclusi dalla procedura dell’indennizzo diretto:

(a) i trasportati, a nulla rilevando che viaggiassero sul veicolo del responsabile o s u quello antagonista;

(b) i pedoni, e più in generale tutti i terzi estranei alla circolazione del veicolo;

(c) gli assicurati diversi dal proprietario e dal conducente, i quali possono invocare la procedura in esame solo per ottenere il ristoro del danno alle cose trasportate.

(D) Limiti applicativi relativi alla condizione dei danneggiati.

Il quarto limite applicativo dell’indennizzo diretto è rappresentato dal tipo, dall’entità e dalla causa dei danni causati dal sinistro.

(α) Tipi di danni indennizzabili.

Per quanto attiene i danni alle cose, quelli al veicolo sono sempre indennizzabili con la procedura in esame. Legittimato a chiederla sarà il proprietario, anche se non sia lui il contraente della polizza.

Per quanto attiene gli altri danni alle cose, la procedura è utilizzabile solo per i danni alle cose trasportate, e solo se appartenenti al proprietario del veicolo od al

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conducente. Così, per fare un esempio, l’indennizzo diretto sarà utilizzabile se il conducente ha riportato la rottura dell’orologio, ma non se per effetto del sinistro vengano danneggiate proprietà esterne (porte basculanti, guard rail, muri perimetrali),siano esse appartenenti a terzi o al proprietario del veicolo.

In sintesi, l’indennizzo diretto è applicabile:

- in caso di danno al veicolo, sempre;

- in caso di danni a cose esterne al veicolo, mai;

- in caso di danni a cose trasportate, solo se di proprietà dell’assicurato (conducente, proprietario, utilizzatore in leasing, ecc.).

Per quanto attiene i danni alla persona, la procedura dell’indennizzo diretto è utilizzabile se siano stati patiti dal conducente (sia egli il proprietario o meno del veicolo).

Sia la legge, sia il regolamento nulla dicono in merito al danno patrimoniale conseguente ad un danno biologico (ad es., perdita del reddito, spese sanitarie). Riterrei tuttavia che tali categorie di danno debbano farsi rientrare nella generale nozione di

“danno alla persona” di cui all’art. 149, comma 2, cod. ass.. Diversamente, infatti, si perverrebbe all’assurdo che la vittima di lesioni con esiti micropermanenti dovrebbe rivolgersi a due diversi debitori per ottenere il ristoro dall’uno del danno biologico, e dall’altro del danno patrimoniale causato dall’invalidità: conclusione in chiaro contrasto con la ratio dell’art. 149 cod. ass., che è quella di agevolare ed accelerare la procedura risarcitoria. Del resto, se davvero i danni patrimoniali conseguenti ad una lesione della salute fossero esclusi dall’indennizzo diretto, non si giustificherebbe la previsione di cui all’art. 6, comma 2, regolamento, il quale impone al danneggiato di allegare alla richiesta di indennizzo l’indicazione del proprio reddito.

(β) Entità dei danni indennizzabili.

Per i danni alle cose non sono previsti limiti quantitativi; per i danni alla persona invece la procedura dell’indennizzo diretto è applicabile se dal sinistro siano derivati postumi permanenti non superiori al 9% della complessiva validità dell’individuo. Dunque

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l’indennizzo diretto non si applica ai sinistri che abbiano causato solo invalidità temporanea (di qualunque durata), ovvero invalidità permanente superiore al 9%.

(γ) Eziologia del danno.

I danni alle cose sono indennizzabili con l’indennizzo diretto sia nel caso in cui chi li lamenti non abbia avuto parte alcuna nella produzione dell’evento, sia nel caso in cui vi sia stato concorso di colpa dei conducenti coinvolti.

Per i danni alla persona si registra invece uno iato tra legge e regolamento: per l’art.

149, comma 2, c.a. il danno alla persona del conducente è indennizzabile con la procedura in esame se la vittima non ne è stata responsabile. Per l’art. 5, comma 1, reg. invece la procedura dell’indennizzo diretto è attivabile sia per i danni alle cose, sia peri danni alle persone, anche nel caso di concorso di colpa.

Ora, che la limitazione dell’indennizzo diretto alle sole ipotesi di colpa esclusiva fosse una norma assurda e foriera di gravi complicazioni non è un mistero (in tutti i casi dubbi, il danneggiato per evitare sorprese converrà in giudizio sia il proprio assicuratore, nell’ipotesi in cui il giudice dovesse ritenere la colpa esclusiva dell’altro conducente; sia l’assicuratore altrui, per l’ipotesi in cui il giudice dovesse ravvisare un concorso di colpa). Tuttavia avrei seri dubbi che questa menda possa essere eliminata con la fonte regolamentare. Come già detto e ripetuto, l’art. 150 c.a. demandava al regolamento di attuazione la disciplina di circoscritti e ben specifici profili (determinazione del grado di corresponsabilità, forma della richiesta risarcitoria, modalità di pagamento, risarcibilità dei “danni accessori”, cooperazione tra imprese), ma non lo autorizzava affatto a ridurre od ampliare l’area di applicazione dell’istituto, fissata dall’art. 149 c.a.. Pertanto, sebbene la norma regolamentare sia oggettivamente più ragionevole di quella di legge, essa è illegittima, in quanto in contrasto con la fonte primaria.

6.2. La legittimazione passiva.

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