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Capitolo 1. LA MOZZARELLA

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Academic year: 2021

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Capitolo 1. LA MOZZARELLA

1.1 CENNI STORICI

La mozzarella è il formaggio fresco a pasta filata per eccellenza: nella sua presentazione più comune, presenta una forma rotonda o leggermente ovale con pasta fragrante caratteristica di colore bianco, lucida all’esterno, morbida ed elastica, che al taglio geme latticello (Bottazzi,1993).

Le origini della mozzarella si perdono nel tempo, essendo molto remote. Si giudicano veritiere le prime testimonianze scritte ritrovate: il più antico documento sul quale appare il termine completo “mozzarella” risale al XVI Secolo, e fu redatto dal cuoco della corte papale Scappi; tuttavia un documento anteriore, risalente al XII Secolo, testimonia che i monaci Benedettini di San Lorenzo in Capua usavano offrire, in occasione di alcune festività religiose, un pezzo di questo formaggio (definito “mozza” o “provatura”) “per antica tradizione” (Alicardi, 1915,

http://guide.supereva.it/educazione_alimentare_/interventi/2005/07/219869.shtml), e proprio quest’ultima affermazione lascia evincere che tale produzione già allora non fosse ritenuta recente. Difatti anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia cita il “laudatissimum caseum del Campo Cediceo”, identificabile con quelle aree tra Mondragone ed il Volturno, dove oggi sono assai sviluppati l’allevamento bufalino e la produzione di formaggi di bufala. All’epoca di Plinio si trattava indubbiamente di prodotti vaccini, ma quando tra il X e l’XI Secolo si sviluppò il fenomeno dell’”impadulimento”, il bufalo trovò un habitat idoneo ed il suo latte sostituì quello vaccino nella preparazione di quel prelibato formaggio. Iniziarono quindi pian piano a diffondersi le “bufalare”: edifici in muratura a pianta circolare, dotati di un camino centrale, dove veniva lavorato il latte di questi animali per ottenere vari formaggi, tra cui la mozzarella.

La mozzarella nasce come la versione meno raffinata della provola, ed inizialmente anche il suo nome “mozza-provatura” deriva da una forma del termine provola caduta in disuso. Date le primitive tecniche di produzione e l’inefficienza dei trasporti del tempo, il latte spesso si inacidiva prima della lavorazione stessa e questi prodotti,

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facilmente e velocemente deperibili, vedevano restringersi il loro raggio di commercializzazione alla medesima zona di lavorazione.

Esistono a tutt’oggi svariate ipotesi sull’origine del termine moderno “mozzarella”: potrebbe derivare dal verbo “mozzare” o “troncare”, il quale si riferisce in dialetto campano proprio alle operazioni specifiche di lavorazione della pasta atte ad ottenere i caratteristici ovuli di formaggio; oppure dal termine “mazzoni” o “mozzoni” che indica gli antichi luoghi atti all’allevamento delle bufale nel territorio campano; oppure ancora dal francese “maison”, risalente all’epoca di dominazione francoangioina nel sud-Italia, o dal greco “muzao” che significa mungere (Salvadori del Prato, 2001).

1.2 PROCESSO PRODUTTIVO DEI FORMAGGI

FRESCHI A PASTA FILATA

Il processo inizia con l’arrivo del latte crudo o pastorizzato (in caso di produzione industriale) allo stabilimento di produzione del formaggio a pasta filata. Come ogni azienda alimentare, la materia prima viene testata secondo i principali parametri di qualità igienico sanitaria della materia prima stessa, in questo caso latte. Successivamente può esserci o meno un trattamento termico di questo, ovvero una pastorizzazione, di solito di prassi per i prodotti freschi, difatti la circolare MINISAN 88 del 15/12/1976 raccomanda la pastorizzazione del latte per la produzione di formaggi freschi a pasta filata, quali Mozzarelle, Scamorze e Burrate, mentre non ci sono indicazioni specifiche per le paste semidure o più o meno stagionate, quali Caciocavallo, o paste dure e a lunga stagionatura, quali Provolone e Ragusano. Il fulcro del processo produttivo è l’acidificazione necessaria alla demineralizzazione della cagliata. Essa consiste in uno spostamento degli equilibri minerali dei sali associati alla caseina, in particolare calcio e fosforo, in seguito proprio alla diminuzione del pH, ed è essenziale per la successiva filatura. Questa fase, per la buona riuscita del processo, deve rispettare caratteri e tempistiche ben definite e particolari; a differenza degli altri formaggi (eccezion fatta per i formaggi freschi a coagulazione acida) l’acidificazione avviene infatti prima della “formatura”.

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Acidificazione della cagliata e demineralizzazione della caseina mediante fermentazione biologica:

La fermentazione viene operata dai batteri lattici, presenti come microflore naturali del latte crudo, o come inoculi al 3-5% di starter naturali quali lattoinnesti o sieroinnesti, che sono riprodotti semplicemente incubando una parte del latte o del siero della lavorazione precedente in condizioni il più possibilmente controllate (in genere risulta dominante Streptococcus

thermophilus, insieme ai lattobacilli termofili).

Le proprietà rilevanti delle colture, oltre alla capacità acidificante e al profilo di crescita a diverse temperature sono diverse: - attività di proteolisi (Baruzzi et al., 2012) e peptidolisi: i ceppi di S. thermophilus sono in genere meno proteolitici mentre i lattobacilli termofili sono molto più attivi; quest’attività risulta importante soprattutto per le paste filate semi-stagionate e stagionate (Caciocavallo e Provolone) mentre è meno richiesta o addirittura indesiderata per le paste filate fresche (Mozzarella e Burrata);

- produzione di esopolisaccaridi: migliora la resa dei formaggi freschi trattenendo una maggior quantità di acqua nella cagliata; - capacità di fermentare il lattosio: se elevata determina un pH finale più basso e una maggior tendenza all’imbrunimento poiché il galattosio, derivante dalla scissione del lattosio e non sempre metabolizzato dai batteri lattici, può reagire con gli aminoacidi liberi per proteolisi e peptidolisi ad alte temperature, nella reazione di Maillard.

Il processo si conclude con il raggiungimento di un pH di 5,2-4,7, a seconda del tipo di latte e cagliata, in particolar modo in base al contenuto di caseina, calcio e umidità, in un arco di tempo che va dalle 3 alle 6 ore, in funzione del tipo di cagliata, del tipo di innesto utilizzato e dal suo potere acidificante, e dalla sua cinetica nel substrato, che a sua volta dipende da fattori quali temperatura, disponibilità di nutrienti per i batteri e la loro capacità di utilizzo di questi, e la presenza o meno di batteriofagi (Mucchetti e Neviani, 2006),

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oppure può arrivare fino alle 24-48 ore per i formaggi senza innesto, come ad esempio il Ragusano, in cui vengono sfruttate le microflore lattiche naturalmente presenti.

Acidificazione della cagliata e demineralizzazione della caseina mediante via chimica: Viste le difficoltà di gestione del processo fermentativo, dovute alle lunghe attese di reazione biologica, nel secolo scorso negli Stati Uniti è stata messa a punto una metodica alternativa, in grado di ottenere un’acidificazione simile alla fermentativa, quindi una solubilizzazione del calcio nel siero di spurgo pari al 40-60% del calcio totale nel latte, ma con un sistema più standardizzato e ottimale in quanto il pH della cagliata da latte preacidificato rimane molto simile a quello del latte preacidificato.

Il processo consiste nell’aggiunta di soluzioni di acido citrico o lattico in modo da preacidificare il latte, che portano ad avere un pH finale nella cagliata di 5,5-5,85, in funzione del tipo di acido aggiunto e dell’origine del latte.

Si presenta però un’alta probabilità di flocculazione della caseina nel punto di aggiunta di queste sostanze, dato il loro alto potere acidificante, e quindi di una drastica caduta del pH in modo puntiforme. Onde evitare questa possibilità, il modo migliore di addizionare l’acido citrico o lattico è quello di nebulizzarlo nel latte, cioè iniettandolo al 10% ed alla temperatura di 35°-38°C nelle tubazioni di scorrimento del latte, che lo portano alla vasca di coagulazione. In questo modo la sostanza andrà a distribuirsi omogeneamente nell’intero volume del liquido, evitando squilibri e flocculazioni che ostacolerrebbero la successiva coagulazione presamica.

Solitamente, il quantitativo di acido citrico aggiunto nel latte vaccino è di circa 1,1-1,4 g/kg, mentre quello dell’acido lattico è leggermente superiore (Mucchetti e Neviani, 2006).

Acidificazione della cagliata e demineralizzazione della caseina per via mista. Per rivedere in breve i tipi di acidificazione si può far riferimento alla Tabella 1.

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Tabella 1. Tabella riassuntiva delle diverse acidificazioni, con pH ottimali per filare cagliate differenti (Mucchetti e Neviani, 2006).

Tipo di acidificazione Intervallo del

pH Aggiunta di batteri lattici in latte vaccino 5,20-5,10 Aggiunta di batteri lattici in latte di bufala 4,90-4,75 Preacidificazione latte vaccino con acido citrico 5,75-5,85 Preacidificazione latte vaccino con acido lattico 5,60-5,70

Il passo successivo è la filatura della cagliata adeguatamente acidificata, fase che rappresenta la lavorazione cardine dei formaggi a pasta filata. La filatura è quel processo per cui una piccola quantità di cagliata, portata ad elevate temperature, diventa plastica, plasmabile e filante, tanto da poter essere tirata in filamenti continui di lunghezza superiore al metro, senza un’eccessiva perdita di grasso e umidità. In sintesi, si può descrivere come l’insieme di tre azioni susseguenti:

1. Taglio della cagliata, una volta matura e sgrondata dal suo siero.

2. Fusione della cagliata in acqua calda, dagli 85° ai 95°C. Il fattore temperatura dell’acqua, oltre a determinare una buona filatura, influisce anche su:

grado di inattivazione degli enzimi coagulanti, e quindi della variazione cinetica delle reazioni di proteolisi residuale nel caglio, specialmente per quello acidificato in via fermentativa, che presenta un indice proteolitico microbico indubbiamente maggiore rispetto alla via chimica, e variabile di per sé a seconda del tipo di innesto utilizzato. riduzione del numero di batteri lattici dell’innesto, limitando la post-acidificazione.

riduzione della microflora contaminante, alterante o patogena (nel caso in cui non sia stata effettuata la pastorizzazione).

La quantità di acqua necessaria al processo è uguale a 2-3 volte il quantitativo della pasta. Esistono diversi modi di gestire il liquido nel processo, a seconda delle esigenze e del livello organizzativo. Si può avere:

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acqua a perdere, cioè a rinnovo continuo;

acqua a riciclo parziale, che viene sostituita periodicamente durante il ciclo produttivo;

acqua a ricircolo totale, dove la sostituzione si ha solo a fine produzione giornaliera.

3. Stiratura della massa caseosa allo stato fuso: la trazione meccanica porta ad avere una struttura fibrosa orientata. Si formano cioè delle “colonne” di fibre caseiniche, tra le quali si va a disporre l’acqua, in modo da ottenere una nuova configurazione che permette anche l’allungamento delle fibre grazie all’effetto di trazione meccanica.

Nella filatura si ha uno “scambio” tra acqua e pasta: una quantità di acqua, pari al 4-6% del peso, viene inglobata nella struttura fibrosa della pasta, all’interno dei fasci colonnari della pasta tirata, ed allo stesso modo si ha un’inevitabile perdita di una percentuale di sostanza organica nell’acqua. Questa perdita è legata al sistema di gestione dell’acqua: si ha una perdita minima nel caso di ricircolo totale, che diminuisce ulteriormente nel caso in cui al posto della semplice acqua si usi un liquido già addizionato in grassi e componenti solubili del siero, mentre si ha la perdita massima nel caso di utilizzo di acqua a perdere. L’acqua di fusione può essere addizionata anche in sale, in modo da operare una prima salatura del prodotto.

Questa lavorazione è possibile solo se prima è avvenuta una corretta demineralizzazione della cagliata e un corretto uso delle temperature: questi fattori permettono infatti alla caseina di passare da una struttura granulare discontinua classica ad una fibrosa continua a strati sovrapposti, che dà la caratteristica peculiare di filabilità. Preventivamente si può saggiare la pasta con una prova empirica di

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filabilità su campione, per verificare che i passaggi precedenti siano andati a buon fine, e che quindi ci sia stata una corretta solubilizzazione di calcio e fosforo (Figura 1).

La prova di filabilità consiste semplicemente nella frantumazione manuale di un campione di cagliata di circa 10 grammi, che viene poi immerso e mescolato in acqua alla temperatura di 95°C circa (per latte bufalino) o di 85- 90°C (per latte vaccino), per ottenere la fusione della cagliata, di cui poi viene saggiata la filabilità con un mestolino di legno, stirando la pasta fino ad ottenere un filo continuo. Con questo test si può stabilire il grado di maturazione della cagliata, quindi se questa è pronta o meno per l’operazione di filatura. Se la pasta risulta acerba, quindi poco demineralizzata, si deve impiegare un quantitativo di acqua maggiore e a temperatura più alta per poter filare, anche se alla fine la pasta risulterà gommosa e consistente; se invece fosse troppo matura, ci vorrà meno acqua e più fredda, e la pasta risulterà eccessivamente morbida, priva di elasticità e contrattilità. Quindi l'uso di cagliate immature o sovrammature dà comunque luogo a prodotti filanti non ottimali o di bassa consistenza e ad un abbassamento della resa di lavorazione di 2-3 punti percentuali.

A seconda del livello di organizzazione aziendale, questa tecnica di lavorazione può essere praticata interamente a mani da addetti specializzati e abili (Figura 2), come in uso nella tradizione, oppure con l’ausilio di macchine filatrici a coclea o a braccia tuffanti (Figura 3). Se nelle piccole imprese i passaggi di fusione e allungamento spesso vengono congiunti, nelle industrie si operano passaggi disgiunti in cui la cagliata viene rotta da macchinari dotati di lame rotanti, e addizionata di acqua nel “macero” dove avviene quindi la fusione e l’impastamento, ed in seguito la pasta viene

Figura 1. Saggio di filatura.

(http://www.labaronia.com/public/come-nasce-le-fasi-della-lavorazione/).

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spinta dalle coclee verso la zona di stiratura, in cui non viene più aggiunta acqua bollente.

Figura 2. Filatura a mano

(http://www.scienzemedicheveterinarie.unibo.it/it/ricerca/Scienzaelatte/caseificio/lavorazioni-caseificio-mozzarella).

Figura 3. Macchina filante discontinua (http://www.almacsrl.com/it/articoli/FT_60.xhtml).

Nel processo di filatura la temperatura raggiunta dalla pasta, in seguito all’aggiunta di acqua a 85-95°C, è di 58-62°C per il latte vaccino, e di circa 68°C per il latte bufalino: quest’ultimo è più ricco in grassi a scapito del contenuto in acqua, poiché la temperatura risulta in relazione diretta con la morbidezza della cagliata e la sua capacità di assorbire acqua. Le combinazioni tempo-temperatura applicate non sono equiparabili, in particolare la caseificazione con latte vaccino, ad un trattamento di pastorizzazione, bensì di termizzazione.

Alla fine della filatura si ottiene una pasta molto plastica, che può subire la cosiddetta “formatura”, in modo da ottenere la forma tipica del formaggio. Il processo, come per la filatura, può essere praticato manualmente da operai abili che staccano (“mozzano”) con il pollice e l’indice delle due mani dei pezzi di pasta filata dalla massa globosa (Figura 4), oppure con macchine formatrici (Figura 5).

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Figura 4. Formatura manuale (http://www.labaronia.com/public/come-nasce-le-fasi-della-lavorazione/).

Figura 5. Macchina formatrice discontinua (http://www.almacsrl.com/it/articoli/FS_50/N.xhtml).

Per permettere al prodotto di rassodare e mantenere la forma si applica il

consolidamento in acqua fredda. Il calo di temperatura non deve essere eccessivamente repentino, onde evitare shock termici che danneggerebbero i caratteri del formaggio, per questo, una volta formata, la pasta filata entra in contatto con acqua a temperatura via via decrescente.

Essendo quasi alla fine del processo produttivo, si deve porre molta attenzione alla salubrità delle acque utilizzate in questa fase: liquidi poco salubri possono essere vettori di agenti infettivi che sfocerebbero in contaminazioni chimiche o biologiche della superficie del prodotto, quali Pseudomonas alteranti o Aeromonas hydrophila (Mucchetti e Neviani, 2006).

La salatura può essere realizzata immergendo il formaggio in soluzioni saline. La tendenza attuale è di eliminare la fase di salagione per immersione in soluzioni saline, effettuando la filatura con acqua salata. Questo perché la salatura tradizionale presenta alcuni inconvenienti: durante la permanenza del formaggio nella salamoia, il sale penetra in esso per diffusione con una cinetica che dipende dalla concentrazione salina della salamoia, dalla temperatura e soprattutto dalle dimensioni del formaggio, così che il processo risulta estremamente lento, tantoché al termine del periodo di

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immersione in salamoia la concentrazione di sale nel formaggio è ben lungi dall'essere uniforme. Al termine della permanenza in salamoia, il formaggio scaturisce molto ricco di sale nelle zone periferiche, mentre già a qualche millimetro dalla superficie il contenuto di sale è pressoché nullo. Una volta estratto dalla salamoia e immerso nel liquido di governo la concentrazione di sale nel formaggio tende a riequilibrarsi. Dagli strati esterni in cui la concentrazione è molto alta, il sale migra verso gli strati interni: per effetto di questo processo diffusivo la concentrazione del sale si abbassa negli strati esterni del formaggio e si innalza in quelli interni con tendenza ad uniformarsi (Mucchetti e Neviani, 2006).

L’ultimo passaggio del processo produttivo è quello del confezionamento, che per la maggior parte delle paste filate fresche avviene in liquido di governo, le cui funzioni sono:

 impedire la formazione della crosta superficiale.

 favorire la formazione della pelle di consistenza tenera, liscia, lucente, e di aspetto omogeneo.

 permette al prodotto di conservare un alto contenuto di acqua, che viene rilasciato poi al taglio e alla masticazione.

 completare la salatura (Mucchetti e Neviani,2006).

Il liquido di governo per prodotti ad acidificazione biologica è costituito in genere da "acqua di filatura" a cui viene aggiunto sale e siero acido diluito, in quanto, contenendo una quota di fermenti residui, conserva in ottimali condizioni microbiologiche il prodotto. In alternativa, per prodotti ad acidificazione chimica, viene usata acqua salata (con sale al 1,5% circa) aggiunta di acido citrico e/o lattico tamponato con citrato di sodio a pH 5,2-5,4 (onde limitare le fermentazioni nel caso si prevedano lunghi periodi di giacenza del prodotto) (Mucchetti e Neviani, 2006). Quest'ultimo tipo di liquido di governo è quello che viene ritenuto più idoneo poiché consente di prolungare la vita commerciale del prodotto, soprattutto nel periodo invernale, mentre nel periodo estivo, la composizione del liquido di governo viene modificata anche in funzione della destinazione del prodotto e del periodo di permanenza sul mercato. In ogni caso la sua composizione deve essere sempre in equilibrio con la composizione del formaggio, onde evitare alterazioni indesiderate dei caratteri analitici, strutturali o organolettici di

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questo, come squilibri salini o eccessive perdite di minerali e vitamine (Chierici et al., 2016).

Prima dell’immissione nella confezione la miscela liquida deve essere sterilizzata, normalmente a 120°C per 30 minuti, per evitare che questa veicoli sul prodotto agenti biologici indesiderati. Inoltre possono esservi aggiunte sostanze ad azione antimicrobica, quali sorbati o ipocloriti.

La composizione tipo di un liquido di governo potrebbe essere: o acqua con bassi valori di durezza e NaCl al 1,5 ‰

o acido citrico tamponato con citrato di sodio fino a pH 5,2-5,4, o ad un’acidità di 2,5° - 2,0°SH/50

o sterilizzazione della miscela a 120°C per 30 minuti

o raffreddamento a temperatura di impiego e aggiunta di sorbato di potassio in ragione di 750 ppm, prima dell’impiego (Salvadori del Prato, 2001).

La conservabilità del prodotto è strettamente legata al tipo di materia prima utilizzata (latte crudo o pastorizzato) ed alla tecnologia di trasformazione (Paonessa, 2004). Il prodotto ottenuto da latte crudo e siero-innesto naturale si conserva, immerso nel liquido di governo, per 3-4 giorni a temperature di 4-10°C senza perdere le sue caratteristiche tipiche (superficie esterna lucida, colore bianco, forma sferoidale, pasta morbida ed elastica, con presenza di sierosità, sapore particolare di latte fresco con punte di selvatico). Oltre tale periodo la superficie esterna si sfalda, la pasta perde la sua consistenza e diventa burrosa, perdendo completamente la struttura a sfoglie sovrapposte data dalla filatura.

Il formaggio ottenuto, invece, con latte pastorizzato e innesto selezionato, presenta un tempo di conservazione molto più lungo che può arrivare fino ad un mese. Nel caso del Fiordilatte tipico, a volte ancora prodotto con latte crudo per il consumo locale, prove empiriche hanno anche dimostrato che la miglior composizione del liquido di governo per la conservazione della sapidità e la protezione della mineralizzazione degli strati superficiali del prodotto analizzato, è quella di una soluzione di cloruro di calcio allo 0,2% con NaCl allo 0,5%, a pH 4,5: in questo modo i campioni in esame non si sono significativamente modificati fino al dodicesimo giorno (Faccia et al., 2011). Altri autori invece hanno cercato di sostituire il liquido di governo tradizionale

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con un gel naturale a base di polisaccaridi, che ha permesso di stabilizzare la microflora e la texture della mozzarella fino a quindici giorni (Laurienzo et al., 2006)

Il latte di bufala, per le caratteristiche che presenta la distribuzione degli aminoacidi nella molecola di caseina, è molto idoneo alla preparazione di pasta filata, che risulta notevolmente più elastica e più plastica di quella ottenuta con latte bovino (Bottazzi, 1993).

Tabella 2. Composizione tipica del latte bufalino e vaccino (Fonte: Istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la Nutrizione).

Composizione chimica

Latte di Bufala Latte di Vacca

Acqua % 81,5 87,5 Sostanza secca % 18,5 12,5 Residuo magro % 10,3 9,0 Caseina % 3,6 2,8 Lattoalbumina e lattoblobulina % 0,7 0,6 Grasso % 7,0-9,6 3,6-4,5 Lattosio % 5,0 ~5 Calcio (Ca²ᶧ) mg/100g 180-240 120-160 Fosforo (P) mg/100g 120-140 65-110 Rapporto CA/P 1.61 1.31 Ceneri % 0,8 0,75 pH 6,5-6,7 6,6-6,7 Acidità SH 4,2-5,0 3,3-3,5 Densità (a 15°C) 1,031-1,034 1,028-1,035 Punto crioscopico -°C 0,56-0,59 0,52-0,55 Diametro globuli micron 1,0-6,0 1,0-10,0

Azione del caglio ++++ +++

Il latte di bufala pur possedendo delle caratteristiche generali molto simili a quelle del latte vaccino se ne discosta per il più alto livello di grasso e proteine (Tabella 2), che determinano la più elevata resa del latte: 25 kg di Mozzarella, contro i 13 kg ottenuti

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mediamente dalla stessa quantità di latte vaccino con un incremento di circa 1,8 (Zicarelli, 2001) (Tabella 3).

Tabella 3. Composizione tipica della mozzarella bufalina e vaccina (Salvadori del Prato, 2001). Composizione chimica Mozzarella Bufalina Mozzarella Vaccina Energia Kcal/100g 280 265 Acqua g/100g 55-60 54-62 Proteine g/100g 19-20 18-22 Grasso g/100g 22-27 18-24 Glucidi g/100g 0,6 0,7 Sale g/100g 0-1 0-1,5 Ferro mg/100g 0,2 0,4 Calcio mg/100g 400 160 Fosforo mg/100g 240 350 Tiamina mg/100g 0,05 0,03 Riboflavina mg/100g 0,51 0,27 Vitamina A mg/100g 190 300

1.3 TIPOLOGIE DI MOZZARELLA

La mozzarella è, tra i formaggi freschi a pasta filata, quello più conosciuto nel mondo. Generalmente si presenta sotto forma di ovuli con peso variabile da 50 a 100 grammi, sino al consumo conservati in liquido di governo. Altre varianti alle mozzarelle ad ovulo sono le forme:

Trecce di mozzarella: ottenute da un cordone di pasta filata modellata a treccia. Burielli (o uova di bufala): mozzarelle dalle dimensioni di una noce da

consumarsi molto fresche.

Mozzarelle della regina di peso intermedio tra i burielli e la mozzarella classica, con caratteristiche a questa simili (Bottazzi, 1993).

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Se prima si usava il termine “mozzarella” per il prodotto a pasta filata esclusivamente a base di latte di bufala, ed il termine “fior di latte” per le tipologie a base di latte di vacca, con il DPR del 13/04/1987 si può utilizzare la denominazione “mozzarella” genericamente per entrambe le produzioni.

Oltre alle forme classiche, definite “morbide”, il mercato, specialmente quello europeo e statunitense, prevede la presenza anche di forme “ad uso industriale”, quali le mattonelle di mozzarella per pizza e gli imitation-cheese o preparati caseari.

La mozzarella da pizza si presenta con forma a mattonella, priva di crosta superficiale, dalla consistenza elastica ed omogenea, risultante al gusto leggermente acidula. La lavorazione non prevede grosse differenze rispetto a quella delle mozzarelle morbide, con acidificazione operabile per via fermentativa o con addizione di acidi (citrico o lattico). In certi casi, in queste paste, si aggiungono Lactobacillus bulgaricus o

Lactobacillus helveticus per sfruttarne la loro capacità di utilizzare il galattosio, in

modo da scongiurare fenomeni di imbrunimento durante la cottura della pizza, dovuti alla reazione di Maillard, che vede reagire un eccesso di galattosio, non metabolizzato dallo Streptococcus thermophilus, con gli aminoacidi liberi. L’aggiunta di questi batteri deve essere precisa ed oculata, onde evitare di sfociare poi in un eccesso di reazioni proteolitiche operate proprio da questi.

Le mozzarelle da pizza presentano un minor contenuto di grassi e acqua rispetto alle forme tradizionali, che risulta vantaggioso al momento dell’utilizzo, per evitare di bagnare o oliare (difetto di oiling off) eccessivamente l’impasto della pizza (Ciarrocchi, 2012).

Per vedere le principali differenze tra la produzione della mozzarella da pizza e quella morbida, si può far riferimento alla Tabella 4

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Tabella 4. Schema riassuntivo delle principali differenze tra mozzarella da pizza e mozzarella tradizionale (Salvadori del Prato, 2001).

MOZZARELLA DA PIZZA MOZZARELLA MORBIDA

Da latte parzialmente scremato Da latte intero Umidità del 47-48% Umidità >60%

Rapporto G/P di 0,7-0,9 Rapporto G/P di 1,12-1,08 Coagulo a 30°- 35°C Coagulo a 35°- 38°C Parziale cottura (+2°C) Nessuna cottura

Spurgo lungo sui tavoli Spurgo limitato e lavorazione rapida Salatura maggiore Salatura minima

Struttura chiusa, facile da affettare Struttura sbriciolabile a mano

In alcuni casi non si tratta di formaggio ma di preparazioni casearie di imitazione della mozzarella (imitation-cheese). Si definiscono così perché prevedono l’aggiunta di ingredienti diversi dal latte, con il risultato di avere una struttura completamente diversa dalla pasta filata classica. La composizione tipo di queste preparazioni è:

Caseinati

Burro o grassi vegetali Sale

Sali di fusione (citrati o polifosfati) che sottraggono calcio.

La miscela base (caseinati, burro o grassi e sale) viene reidratata per 12-18 ore e miscelata con colture mesofile aromatizzanti. La fusione successiva avviene alla temperatura di 80°C in pochi minuti. In seguito si addiziona cagliata di mozzarella e si fila a 80°C in macchina filatrice a braccia tuffanti. Infine il prodotto viene confezionato sotto forma di mattonelle in film plastici. La loro conservabilità può arrivare anche fino a 6 mesi.

Per quanto riguarda i formaggi a tutela si possono individuare prodotti con certificazioni DOP o STG. Se ne possono prendere ad esempio tre, dall’elenco delle denominazioni italiane, iscritte nel Registro delle denominazioni di origine protette,

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delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite (aggiornamento del 2014 del Regolamento UE n.1151/2012 del Parlamento Europeo):

 Mozzarella Tradizionale S.T.G. (marchio in Figura 6)

Figura 6. Marchio STG (Fonte: Regolamento CE n. 509/2006).  Mozzarella di Bufala Campana D.O.P. (marchio in Figura 7)

Figura 7.Marchio Mozzarella di Bufala Campana DOP (Fonte: Disciplinare di produzione della Denominazione di Origine Protetta "Mozzarella di Bufala Campana").

 Fior di Latte dell’Appennino Meridionale (ancora in fase transioria il D.O.P.)

1.4 ALTERAZIONI DI ORIGINE MICROBICA DELLA

MOZZARELLA

Le contaminazioni di un alimento in generale possono essere di vario tipo:

Contaminazioni primarie: che si verificano in alimenti nelle fasi di produzione ad opera di acqua, aria, suolo e animale produttore stesso.

Contaminazioni secondarie: che si verificano in fase di lavorazione e dipendono dall’ambiente in cui si opera e dl personale.

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Contaminazioni terziarie: si verificano al momento della conservazione, dello stoccaggio e della commercializzazione del prodotto.

Contaminazioni quaternarie: si verificano al momento del consumo della derrata.

Contaminazioni crociate: vedono il passaggio di microrganismi per contatto o vettori tra due alimenti.

Queste contaminazioni inevitabilmente comportano sull’alimento delle alterazioni, definibili come modificazioni negative delle caratteristiche organolettiche e/o nutrizionali dell’alimento stesso. In seguito a queste la derrata sviluppa difetti di consistenza, colorazioni anomale o odori sgradevoli (Champagne et al., 1994; Sperber e Doyle, 2009).

La comparsa dei fenomeni alterativi è direttamente correlata con il numero di microrganismi presenti sull’alimento e alle loro caratteristiche metaboliche, ed è invece inversamente correlata con le condizioni ambientali che ostacolano lo sviluppo microbico (Tiecco, 2000). Il livello di alterazione dipende dai fattori intrinseci della derrata alimentare, quali i suo caratteri chimico-fisici (pH, livello di attività dell’acqua, potenziale redox) e appunto anche dalla sua carica microbica iniziale, e da quelli estrinseci che riguardano in generale le condizioni di conservazione dell’alimento (temperatura, umidità, presenza o meno di ossigeno). Questi fattori vanno a condizionare sia il tipo che la velocità del processo deteriorativo, limitando quella che è la normale shelf-life del prodotto.

Per quanto riguarda le mozzarelle, le alterazioni più frequenti sono dovute a batteri del genere Pseudomonas, i quali portano allo sviluppo di odori sgradevoli (fruttato, di sapone, di cherosene, di patata) e colorazioni anomale (giallo, rosso, verde fluorescente e blu-viola) (Giaccone, 2010).

Le alterazioni cromatiche consistono nella comparsa di zone più o meno ampie e diffuse di pigmento, il quale normalmente non dovrebbe essere presente su quel substrato. I difetti di colorazione delle mozzarelle sono normalmente dovuti a microrganismi cromogeni, che producono colonie colorate o pigmenti colorati come metaboliti, tra cui in primis gli Pseudomonas. Un lavoro principalmente indirizzato allo studio delle cause dell’odore putrido e del sapore amaro di mozzarelle dopo alcuni

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giorni di conservazione, evidenziò, già nel 1983, anche una fluorescenza sia sulla superficie di queste che nel liquido di governo, dal quale furono isolati in particolare

Pseudomonas putida, Ps. fluorescens e Ps. palleroni, come responsabili dell’attività

proteolitica eccessiva e della produzione dei pigmenti fluorescenti (Cabrini e Neviani, 1983). Tale alterazione risultò maggiormente frequente nelle mozzarelle ottenute con acidificazione chimica con addizione di acido citrico. Proprio per le loro caratteristiche, quali pH compreso tra 5,5-6 e assenza di adeguate flore lattiche inibitrici, i microrganismi alteranti sembrano riuscire a prendervi più facilmente campo (Franzoni et al., 2010).

Successivamente, Cantoni e Chiappa hanno individuato in confezioni in commercio di mozzarelle, e rispettivi liquidi di governo, colorazioni blu dovute a Pseudomonas

fluorescens biovar IV (Cantoni e Chiappa, 2011). In seguito, sulle orme dello stesso

lavoro, i ceppi individuati si espansero a Pseudomonas libanensis, Ps.

brassicacearum, Ps. brenneri e Ps. rhizosphaerae.

La provenienza di tali batteri, fu in un secondo tempo ulteriormente indagata e riscontrata nelle acque di lavorazione e nei liquidi di governo dei prodotti (Rondinini e Garzaroli, 1990), per cui viene identificata come una contaminazione secondaria. Difatti, anche se il processo di filatura prevede l’impiego di alte temperature, si può verificare una post-contaminazione, che causa l’alterazione ed il deterioramento del formaggio, con conseguente riduzione della shelf-life (Lucera et al., 2014).

Nel corso della tesi, verrà meglio approfondito il ruolo degli Pseudomonas come alteranti alimentari ed in particolare della mozzarella.

Riferimenti

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