The John Galt Financial Newsletter, 1957
Fax: +44-207-9766106 E-mail: [email protected]
5 ottobre 2014 – Il dollaro è forte. Inventiamo favole per non aver paura...
SOMMARIO Euro a 1.2516 contro dollaro e 137.36 contro yen. Oro 1,191.42, rame 6682, indice GSCI 565.79, greggio 89.74. T-Bond 139.22, rendimento 3.12%.
Euribor tre mesi 0.08%, rendimento Bund a 10 anni 0.93%. Dow Jones 17010.
Il dollaro continua il rialzo contro euro e yen, e specificamente contro euro dà segnali "tecnici" di vero e proprio decollo (sopra 1.25 rischierebbe di partire verso 1.10/1.00).
Rafforza anche i segnali di rialzo contro periferie e emergenti - anche in questo caso toccando segnali di svolta di lungo termine.
La svolta al rialzo del dollaro, vistosa nei rapporti fra valute, non è ancora altrettanto netta se guardiamo al rapporto fra monete e merci (oro, materie prime), ma anche qui comincia a diventare consistente, soprattutto spingendo l'oro a intaccare 1200 e mandando nettamente sotto 600 l'indice delle materie prime.
Cominciamo quindi a accumularsi indizi che dicono che il rialzo del dollaro segnala l'inizio di una contrazione monetaria (cioè: il dollaro per ora, ma poi il denaro, tutto il denaro, scarseggia quindi rincara), a scapito della spiegazione più "facile" e "gradevole": un dollaro che
"rincarerebbe un po' prima degli altri", o addirittura soltanto
"stimolerebbe un po' meno degli altri" e quindi salirebbe "benevolmente".
Se fosse così, Borse e materie prime e Paesi produttori di commodities sarebbero calmi o forti, non deboli e in alcuni casi nettamente deboli.
Il dollaro quindi comincia a "vedere" uno scenario di contrazione complessiva della moneta e del credito.
Mancano alcune conferme "tecniche", dirette (sul dollaro) e indirette (oro, rame), e anzi nei prossimi giorni il dollaro si troverà davanti spartiacque economicamente importanti, quindi tecnicamente difficili, dove è possibile che venga rallentato da opposizione politica e professionale.
Ma a me la tendenza sembra chiara e, al di là di reazioni di breve/medio termine (giorni/settimane, mese, paio di mesi), irreversibile per il lungo e lunghissimo termine (tre, sei mesi, anno/due anni).
Dollaro su, euro, sterlina, emergenti e periferie giù, oro e materie prime giù. Yen oggi avversario, domani alleato del dollaro (oggi debole, destinato a risalire nettamente insieme al dollaro).
Attenzione: come era "impensabile" (???) un decollo del dollaro, adesso resta "impensabile" un decollo globale dei tassi. Fate contento un povero vecchio bacucco con le idee fisse: indebitatevi a tasso fisso, checché prometta Draghi [vuoi vedere a 1.18 di dollaro/euro, se abbasserà i tassi o li alzerà?].
INDICE
TEORIA, POLITICA E METODO
Analisi delle notizie della settimana 3 Perché il dollaro è forte?
LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO A brevissimo/breve termine (giorni/settimane/mese) 3,7
A medio termine (tre/sei mesi) 3,7
I SINGOLI MERCATI E LE INDICAZIONI OPERATIVE
Valute 7 Dollaro forte quasi ovunque
Materie prime 12 Oro in allerta ribassista
Tassi e obbligazioni 17 Francia e Germania in urto, mercati
indifferenti?
Borse 16 Banche tedesche di nuovo in picchiata
SCENARI
LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO LO SCENARIO DI BREVISSIMO/BREVE TERMINE Adesso davvero contano meno gli "eventi della settimana", e più avere chiara l'immagine complessiva di quel che sta accadendo.
Le due "notizie della settimana" (più una terza che discutiamo nella rubrica sui titoli di Stato europei)
sono infatti, di per sé, e isolatamente, marginali.
Ma hanno mosso i mercati in modo rilevante a causa di quel che sui mercati sta accadendo ormai da mesi:
* Draghi ha leggermente deluso le attese di immediati e massicci interventi di acquisto di titoli di Stato e obbligazionari da parte della banca centrale europea.
Dico "leggermente", perché in realtà le polemiche fra Draghi e i tedeschi sono ben note, i problemi tecnici che BCE dovrebbe affrontare sono ben noti, i tassi euro comunque sono ampiamente scesi, l'euro è stato già svalutato del 10% abbondante in tre mesi, e poi sono due anni che Draghi ha messo la reputazione della BCE al servizio di uno scenario "liquido", di sostegno illimitato alle finanze pubbliche europee.
Dai, non è che siamo in una situazione (euro forte, tassi all'8%) in cui ci volesse, o ci si potesse aspettare, un immediato e nuovo intervento a brevissimo termine!
Un banchiere centrale che ha già consegnato un -10% sul cambio, se anche aspetta due mesi, non puoi dirti "deluso", caspita...
E invece: mazzata sulle Borse e sulle materie prime.
E per mazzata intendo "mazzata": banche tedesche -4.48%, Milano -4%, oro sotto 1200, Brasile a un certo punto -6% [sì, sì... "le elezioni"... vedi la rubrica sul real brasiliano], greggio -4%, nickel in picchiata sotto 18000.
2) poi, con diversi mercati su livelli da allarme acuto, è arrivata l'altra notizia:
miglioramento dei dati americani dopo alcune settimane deludenti (occupazione).
Un dato secondario, non decisivo, ma accolto dai commentatori con entusiasmo.
Vabbe', diciamo "con sollievo".
Riduce leggermente i ribassi di alcune Borse (non delle banche né di Francoforte), del nickel (da quasi il 6% riduce le perdite al 2.5%).
Perché?
I due movimenti più importanti sul mercato (un rallyno del dollaro/euro fino a 1.25, quindi sulla soglia di un crollo dell'euro) e la debolezza dell'oro, restano intatti a fine settimana.
Su di essi, il dato americano non ha nessuna influenza.
La sostanza, resta: il dollaro è forte (euro), ed è forte in termini reali (oro).
Il fatto è però che il dato di venerdì fornisce ai commentatori e agli operatori l'appiglio per raccontare (a chi? A se stessi. Non ci crede nessun altro. Non io di sicuro) una "storia" diversa da quella (giusta) che era circolata a metà settimana.
A metà settimana, Borse materie prime, euro e monete emergenti/periferiche stavano già scendendo, e lo stavano già facendo da un mese,
e il fatto che Draghi non abbia fatto nulla di "energico" per frenarli ha solo accentuato un calo che avveniva già.
E il fatto che quel calo stia avvenendo, da un mese quasi ininterrotto, e nel contesto economico e dei mercati che conosciamo, ha un significato molto chiaro:
ci sono, o ci saranno, meno dollari in circolazione. La "pacchia" dei dollari facili forniti dalla Banca centrale americana e, sulla sua scia, da istituzioni finanziarie ovunque, sta finendo.
E per i mercati finanziari, "sta finendo" si traduce in "è finita": i prezzi futuri prevedibili vengono subito attualizzati.
Il dollaro forte è un sintomo di contrazione del credito.
Perché non sale solo contro euro, ma contro sostanzialmente tutte le monete, contro l'oro, contro la media delle commodities, contro metalli, energia elettrica, greggio e gomma.
Il dato americano leggermente positivo di venerdì, non ha rallentato il crollo delle Borse perché portasse chissà che novità o chissà che chiarezza,
ma perché ha fornito il pretesto per rilanciare una "storia alternativa" sul rialzo del dollaro:
non sarebbe "un crollo dell'euro"
[eccome no, in parte sì, e dài... povero Draghi, con tutta la fatica che ha fatto...],
e nemmeno "un rafforzamento del dollaro perché vengono erogati meno finanziamenti, con contestuale cedimento delle valute e merci che venivano comprate a titolo speculativo finanziandosi in dollari"
[eh, no, eh? E' per puro caso che appena sale il dollaro partano in picchiata simultaneamente le maggiori "valute a alto rendimento" usate per le "carry trades", eh? Australia, canada, nuova zelanda, brasile... tutti a picco].
No: il dollaro salirebbe "perché c'è un ritorno di fiducia sull'economia americana e globale" e perché "offre rendimenti maggiori".
Sì?
"Ritorno di fiducia sull'economia americana e globale", e calano le Borse dei mercati emergenti, i fondi immobiliari USA, Hong Kong e la Corea.
E appena il dollaro sale la Borsa scende... perché a spingere il dollaro è "fiducia nella crescita economica"?
Mah...
"Offre rendimenti interessanti", perché i suoi tassi a 10 anni sono passati in due mesi dal 2.30% al 2.40% (prima, quando erano passati dall'1.60% al 2.30%, non interessavano però nessuno?),
e mentre l'australiano rende il 3.5% ?!?
Mi sembra un'ottima spiegazione del crollo dell'australiano, che a differenziale dei tassi sostanzialmente invariato ha perso il 9% in due mesi...
Con un differenziale dell'1.2% tutti compravano australiani finanziandosi in dollari, il differenziale è diventato 1.1% e nessuno vuole più australiani?
E' davvero questo che è cambiato?
O non è cambiato forse il fatto che in realtà le Banche prendevano in prestito dollari a brevissimo allo zero per cento, acquistavano australiani al 3.5%,
lucravano il 3.499999999% di differenziale,
ma adesso quei finanziamenti non li trovano più, o non si fidano a chiederli per paura di doverli poi restituire in condizioni di emergenza a una banca centrale che "stringesse" all'improvviso?
Questa è la mia spiegazione.
Coerente con un Mondo che, allagato di liquidità esagerata però accessibile solo a operatori bancari,
va verso una contrazione di questo credito per motivi mille volte discussi.
Se la spiegazione è questa, il dollaro ha ancora molto da salire, salirà anche lo yen prima o poi,
e Borse e materie prime hanno da scendere ampiamente.
Ma un dato economico venerdì ha consentito, proprio sui livelli dove questa "storia" sarebbe diventata grave e irreversibile,
di raccontare una storia più consolante.
Adesso andiamo a vedere i mercati in dettaglio e operativamente, ma sappiate che sentiremo ancora nelle prossime settimane
questa altalena fra "storie" diverse, che "spiegano" in modo più accettabile e meno traumatico una realtà che, di fatto, comunque la giriate, traumatica è:
un dollaro che era rimasto calmo, anzi beneficamente debole, per due anni, diventa improvvisamente una minaccia.
"Improvvisamente"... per modo di dire.
Per l'ennesima volta... era ovvio, era prevedibile, era naturale, era sensato che accadesse.
Quasi quattro trilioni di dollari stampati per tenerlo calmo...
... non saranno, alla fin fine, serviti a niente.
Tranne a far fare l'ennesima figuraccia alle Banche centrali.
Tenetevi i dollari.
Se correggono ne compriamo ancora.
Se lo yen cominciasse a far "peggio" del dollaro (cioè a salire, con danni ancora maggiori a Borse e materie prime),
cambieremo i dollari in yen.
Per adesso stiamo bene così, e fuori dalle Borse,
e scarichi di materie prime.
E indebitati a tasso fisso.
Perché l'altra cosa inevitabile, naturale, ovvia, che finirà per succedere "stranamente, improvvisamente" come il rialzo del dollaro, è che saliranno i tassi.
Tutti.
Tutti.
Sì, lo so cosa dice Draghi.
Tutti.
I movimenti dei mercati in settimana
Delle condizioni e dei motivi del rialzo del dollaro ho appena parlato ampiamente nello "scenario", inutile ripetermi.
vediamo qui qualche crudo fatto:
il dollaro continua il rialzo contro euro e yen, e specificamente contro euro dà segnali "tecnici" di vero e proprio decollo.
Rafforza anche i segnali di rialzo contro periferie e emergenti - anche in questo caso toccando segnali di svolta di lungo termine.
La svolta al rialzo del dollaro, vistosa nei rapporti fra valute, non è ancora altrettanto netta se guardiamo al rapporto fra monete e merci (oro, materie prime),
ma anche qui comincia a diventare vistosa, soprattutto spingendo l'oro a intaccare 1200 e mandando nettamente sotto 600 l'indice delle materie prime.
Cominciamo quindi a accumularsi indizi che dicono che il rialzo del dollaro segnala l'inizio di una contrazione monetaria (cioè: il dollaro per ora, ma poi il denaro, tutto il denaro, scarseggia quindi rincara),
a scapito della spiegazione più "facile" e "gradevole": un dollaro che "rincarerebbe un po' prima degli altri", o addirittura soltanto
"stimolerebbe un po' meno degli altri" e quindi salirebbe
"benevolmente". Se fosse così, Borse e materie prime e Paesi produttori di commodities sarebbero calmi o forti, non deboli e in alcuni casi nettamente deboli.
Il dollaro quindi comincia a "vedere" uno scenario di contrazione complessiva della moneta e del credito.
Mancano alcune conferme "tecniche", dirette (sul dollaro) e indirette (oro, rame),
e anzi nei prossimi giorni il dollaro si troverà davanti spartiacque economicamente importanti, quindi tecnicamente difficili, dove è possibile che venga rallentato da opposizione politica e professionale.
Ma a me la tendenza sembra chiara e, al di là di reazioni di breve/medio termine (giorni/settimane, mese, paio di mesi), irreversibile per il lungo e lunghissimo termine (tre, sei mesi, anno/due anni).
Dollaro su, euro, sterlina, emergenti e periferie giù, oro e materie prime giù.
Yen oggi avversario, domani alleato del dollaro (oggi debole, destinato a risalire nettamente insieme al dollaro).
In dettaglio:
Dollaro/euro (+1.32% a 1.2516) continua il decollo avviato il mese scorso dal segnale di rialzo per lungo termine di 1.31,
sgancia definitivamente 1.28 e attacca 1.26/1.25.
Qui sta cambiando qualitativamente il significato del rialzo:
il decollo oltre 1.31 aveva messo fine alle attese di un possibile
"benefico" calo del dollaro per breve/medio termine (quindi: aveva archiviato le speranze di nuovi stimoli monetari) e cominciava a segnalare il rischio concreto di un ciclo rialzista del dollaro.
Ma senza traumi.
Ancora a 1.28 il rialzo era "benefico". Poteva essere scambiato per una "utile" svalutazione dell'euro.
Lì Draghi aveva ottenuto, con un anno di ritardo, ciò che aveva cercato di compiere a fine estate 2013: fermare il decollo dell'euro.
L'attacco a 1.26/1.25, invece, che è stato per anni un punto di riferimento per i mercati, può dare un segnale di crollo dell'euro per lungo termine (obiettivi 1.20/1.10).
Questo crollo richiede uno scenario compattamente favorevole al dollaro: mi aspetto che avvenga contestualmente all'avvio della stretta monetaria USA - o davanti a dati/eventi che costringano i mercati a ritenerla non solo inevitabile ma anche immediata.
Per esempio, richiede che il dollaro si rafforzi anche in termini reali (oro, commodities) e che il rialzo del dollaro provochi frenate sostanziali delle Borse.
Vedremo nelle prossime pagine che questo scenario non è ancora compatto, e questo può rallentare il decollo sul passaggio cruciale di 1.26/1.25.
Tengo comunque tutti i dollari che avevo (tanti), anche in caso di pause/correzioni (facile, in uno scenario ancora aperto, rivedere 1.28).
Ché se poi invece il dollaro passa 1.25, e se oro e Borse lo
"legittimano", ha ancora un "tappo tecnico" minore a 1.22 e poi però se ne andrà a 1.10 o peggio.
"Aiutando le esportazioni", dice quello. Eccome no: guarda la Borsa tedesca e quella italiana come sono entusiaste...
Anche contro yen (dollaro/yen 109.76, +0.43%) il dollaro continua a salire:
ha completato la sbandata "tecnica" dell'ultimo mese, ha raggiunto l'obiettivo di 108.
E 108 è il livello estremo che mi aspettavo per il calo di lungo termine dello yen (dal 2012 a oggi). Il dollaro infatti da un anno e mezzo non era andato oltre.
Però. I mercati si aspettano una estensione degli stimoli monetari da parte della Banca centrale giapponese, che favorirebbero una svalutazione ulteriore dello yen.
Così la vede anche la Borsa giapponese (nonostante una frenata nelle ultime settimane il Nikkei mantiene il recupero, ben sopra 15000.
Quota 15709, -3.21% in settimana, e solo 14000 segnalerebbe
"perdita di fiducia nella Banca centrale").
Esiste quindi ancora il rischio di una "benefica mini-crisi" dello yen (affondo a 120 - poi da lì lo yen rimbalzerebbe, ma comprandolo adesso perderemmo dei mesi).
Quindi: per adesso anche gli importatori dal Giappone tengano dollari, e non yen, a protezione del deprezzamento dell'euro.
Restano comunque fortissimi i freni a una "facile" svalutazione competitiva dello yen.
A parte le reazioni commerciali, già vistose (anche all'interno del Giappone), lo yen è una moneta ampiamente usata per finanziamenti e quindi vulnerabile a acquisti massicci se le Banche chiudono e fanno chiudere quelle posizioni.
Quindi a lungo termine è una moneta candidata al rialzo, insieme al dollaro, in un contesto di "stretta americana e globale".
Perciò: non mi azzardo a usare lo yen come moneta di finanziamento, se non a fronte di esportazioni in yen e solo per coperture puntuali di futuri incassi,
e resto dell'idea che poi dovremo spostare sullo yen parte delle posizioni rialziste sul dollaro.
Non adesso (anche qui, intendo: "non questa settimana". Seguo la situazione da vicino settimana dopo settimana).
Yen/euro (+0.92% a 137.36) torna leggermente sopra 138.
"Tecnicamente" sarebbe un segnale di rialzo per lo yen, ma è dovuto sostanzialmente solo alla debolezza dell'euro.
Nell'immediato questo non cambia granché, il movimento è sempre quello, ma per trasformarlo in un decollo bisogna che lo yen abbia forza propria. Non ci siamo ancora.
Non è comunque uno scenario in cui usare lo yen per finanziamenti scommettendo sulla sua debolezza oltre il breve o medio termine.
I rischi di una violenta reazione al rialzo dello yen sono notevoli.
Torniamo al dollaro.
La forza del dollaro è ormai da un mese diffusa su molti mercati (non tutti), e, ben oltre il rafforzamento nominale contro le monete più deboli e che stanno svalutando volontariamente (euro, yen e sterlina),
è diventata un rialzo anche reale sia contro le monete periferiche e emergenti (chi più chi meno), sia contro l'oro e le materie prime.
Questo è decisivo per interpretare il rialzo del dollaro:
• aumenta l'appetito per i dollari,
• diminuisce l'appetito per le merci e l'oro,
• e diminuisce la propensione degli operatori a rischiare e a cercare alti rendimenti.
Se continua così, questo non è "entusiasmo per l'economia americana", è "scarsità di dollari, contrazione monetaria".
Cominciamo dai cambi periferici e emergenti e in particolare dai semidollari:
dollaro australiano (-1.03% a 0.8675): conferma in pieno il cedimento sotto 0.90, sfonda 0.88, quindi dà segnali di ribasso conclamato per lungo/lunghissimo termine.
Sta riprendendo l'ampia correzione del 2011/2013 (da 1.10 a 0.90), e può avviare un ribasso poliennale verso 0.80/0.75.
Il cedimento dell'australiano è e sarà uno dei più importanti indicatori di scenario, e convaliderà (o no: può ancora reggere e rimbalzare sopra 0.90. Ma ritengo che cederà) una svolta in direzione restrittiva/deflattiva.
Il dollaro canadese (-0.81% a 1.1244) già da tempo sta segnalando quella svolta nello scenario, e cerca di confermare definitivamente l'allarme scendendo sotto 1.12.
E' ancora sulla soglia di allarme (1.12/1.1250), non ancora nettamente sotto, può ancora reggere.
Seguo il passaggio a giorni: cedendo, il canadese sarebbe la prima
"valuta maggiore fra le minori" a segnalare una crisi globale da stretta del credito americana.
Conto fra i "semidollari" anche la sterlina inglese, che dopo l'intermezzo "secessionista scozzese" ha ripreso a seguire lo scenario globale.
La sterlina nei mesi scorsi aveva scontato in anticipo rialzi dei tassi e si era sopravvalutata rispetto al dollaro. Da circa un mese sta invece "lasciando il passo" al dollaro, la cui stretta monetaria appare più vicina di quella inglese:
sterlina/dollaro (-1.70% a 1.5973) accelera il calo dopo il cedimento sotto 1.65 delle scorse settimane, che la sta mandando al ribasso per lungo termine.
In questi giorni attacca 1.6250/1.60, primo obiettivo ribassista e "porta" per attaccare nel lungo periodo 1.55/1.50.
Il tonfo di sterlina/dollaro comincia a rallentare anche il rialzo di sterlina/euro (-0.36% a 0.7836), che finora si era lasciata trascinare tranquillamente al rialzo dalla debolezza dell'euro.
E' appena un accenno, sterlina/euro resta forte (e può salire ancora),
ma non scommetto su un decollo autonomo della sterlina. Anzi.
Perciò, se importo dall'Inghilterra, preferisco coprire con dollari le importazioni future.
E se esporto verso Inghilterra, vendo man mano contro dollaro i futuri incassi di sterline. In questo modo mi trovo a ricevere dall'Inghilterra dollari (destinati a rafforzarsi stabilmente) invece di sterline.
Le monete emergenti accentuano il calo. Come sempre, appena lo scenario internazionale svolta in modo abbastanza energico, "si scoprono", "emergono", rogne locali che "spiegano" l'accaduto.
In Brasile il pretesto sono le imminenti elezioni, e la prospettiva che, complice la morte del rivale favorito in un incidente aereo, Dilma Rousseff venga confermata Presidente:
il real brasiliano (-1.57% a 2.458) continua a picchiare nettamente sotto i minimi della crisi iniziata nel 2009 (2.40/2.42), dando segnali di ribasso di lungo termine.
Peggiorando quei livelli (prendiamoci una settimana di verifica), sta iniziando un crollo diretto a 2.70/3.00, con ridiventerebbe una
"moneta intoccabile" come era stato per decenni, dopo l'intervallo dell'infatuazione per i "BRIC" degli scorsi anni.
La Borsa brasiliana (-4.67% a 54540) è debole, intacca l'allarme di 55000, che minaccia di rilanciare il ribasso dello scorso anno, ma non passa ancora veri e propri segnali di crollo di lungo termine (50000, poi minimi a 45000).
Fiacca/deludente, non ancora gravemente debole, può rallentare il ribasso del real.
Reggono invece i titoli di Stato brasiliani (111.125), anche se sono a malapena piatti sui minimi recenti. Meglio che "in crollo".
Torna in questi giorni sui minimi post-crisi (11.34) anche il rand sudafricano. Un'altra moneta emergente rilevante che minaccia crisi acuta.
Il rublo russo (-1.97% a 40) il crollo l'aveva già iniziato, è ampiamente sotto i minimi del 2009 (36) e anzi raggiunge quasi 40, che era l'obiettivo "tecnico" del crollo.
Attenzione, qui, casomai, a "rimbalzi da fine corsa".
Nel frattempo sta arrivando a livelli di allarme, che aveva finora evitato, la Borsa russa (9309, allarme acuto a 9300, crollo poliennale se attacca 8500).
Alle porte di Eurolandia e vicino al focolaio russo,
lo zloty polacco (-0.17% a 4.191 contro euro) ha riassorbito qualche modesta perdita di inizio settembre, resta calmo/piatto, ma - anche lui - durante l'Estate ha ridotto la forza dei mesi scorsi. E contro un euro che già di suo è debole.
Lo zloty è intanto pesante contro dollaro: a 3.35 (quasi l'11% di perdite dall'inizio dell'estate) avvicina i minimi dell'anno.
A fronte di queste ampie perdite, l'asia periferica invece resta forte davanti al "superdollaro", ha soltanto rallentato i rialzi:
per tutti segnalo il won coreano (-1.71% 1,062.11), che accelera la frenata delle ultime settimane ma finora ha solo "arretrato un po' dai massimi".
Dopo un mese intero aggancia 1060/1080: ecco, un calo sotto questi livelli comincerebbe a promettere una correzione più sostanziale (e di "ribasso" parlerei solo ben sotto 1100/1120).
Seguo a giorni 1060/1080: lì almeno il won fermerebbe il rialzo.
Lo yuan cinese (6.140) mantiene addirittura segnali di forza, anche se non sale ulteriormente:
negli ultimi due mesi ha dimezzato la correzione dei primi mesi dell'anno (6.05Æ6.25 e ritorno a 6.140).
Minaccia un attacco a 6.10: sopra 6.10/6.00 il rimbalzo diventerebbe rilevante e potrebbe preannunciare la ripresa del rialzo di lungo termine.
E in termini economici, il rimbalzo è coerente con la contrazione del credito in Cina.
Questo ancora non frena il rimbalzo della Borsa cinese (Shanghai +0.69% a 2364), che torna sopra 2300 (dove ha cominciato a stabilizzarsi).
Da segnalare che però continua a correggere Hong Kong (-2.59% a 23065), che prova a intaccare 23000. Allerta sotto 23000, allarme sotto 22000.
Sì, molta parte del calo è dovuta alle proteste studentesche: ma non si tratta di gazzarra goliardica, il tema delle proteste (autonomia politica di Hong Kong) è vitale per il futuro della Cina.
Da segnalare che accelera anche la picchiata del Kospi coreano (- 2.73% a 1976): scende sotto il preallarme di 2000, rischia di ferma il rialzo di lungo termine, se a giorni conferma cedendo sotto 1950 rischia di andare al ribasso per lungo termine e ampiamente.
Un'altra conferma importante al fatto che la forza del dollaro
"rappresenta" una contrazione globale della moneta e del credito, è la persistente debolezza delle materie prime in reazione alla forza del dollaro.
La sbandata iniziata tre settimane fa si accentua.
L'oro (1,191.42, -2.21%) estende la sbandata dell'ultimo mese e mezzo e intacca 1200 (cioè i minimi che sonda da un anno e mezzo:
vedi le analisi del 14 e 21 aprile 2013).
Sfondando 1200, dove finora la politica monetaria di Questo o Quello lo ha sempre sostenuto, cioè dove ogni mini-crisi degli ultimi due anni aveva trovato una risposta "beneficamente inflazionista" dalla Istituzioni, segnalerebbe una vera e propria crisi deflattiva.
Passaggio difficile proprio per la sua importanza economica reale, e
"tecnicamente" l'oro passa solo poche ore sotto 1200.
Aspettiamo conferma: almeno una settimana trascorsa sotto 1200, e/o un attacco a 1175 che sganci definitivamente 1200.
Attenzione anche se vedessimo il dollaro e l'oro rallentare insieme, rispettivamente intorno a 1200/1180 e a 1.26/1.25. Sarebbe una replica di precedenti tentativi falliti.
Altrimenti, lo sfondamento insieme di quei due livelli confermerebbe in pieno una nuova fase dei mercati (contrazione del credito e della moneta).
Non è una svolta che i mercati possano dichiarare a cuor leggero, e che le grandi Istituzioni possano tollerare senza interventi quantomeno verbali.
La debolezza dell'euro ovviamente limita i danni su oro/euro (-0.90% a 951.92), che però è ugualmente sceso nelle ultime settimane, fermando il rallyno di quasi 100 euro di fine primavera (900Æ990).
E' ancora lontano da segnali di debolezza (per quello occorrerebbe che cedesse almeno sotto 950 attaccando 900).
Ma quantomeno: in termini reali, l'euro non sta reflazionando.
E la debolezza dell'oro (un fattore monetario) è ormai da un mese confermata dal calo delle materie prime,
che da quindici giorni sta assumendo una consistenza rilevante, tale da minacciare un ribasso di lungo periodo.
A medio/lungo termine: per qualche settimana a inizio estate le materie prime, e specialmente i metalli-base (un importante indicatore dell'attività manifatturiera), avevano minacciato rialzi e addirittura qualche decollo euforico - sulla base della speranza che 1) le Autorità monetarie continuassero tutte a inflazionare, 2) l'economia avesse già ripreso un ritmo di crescita sostenuto dopo la frenata di inizio anno e il rimbalzicchio della primavera.
Poi, l'idea di una ripresa fiammeggiante si è raffreddata, ma restavano almeno le attese che "qualsiasi frenata dei mercati sarebbe stata contrastata da stimoli monetari" (o da "un rinvio della imminente stretta monetaria americana").
Fin lì, i mercati scontavano però solo "economia lenta, ma moneta e credito "ben" gestiti in soccorso all'economia".
Il fatto che a fine estate le materie prime non solo si siano fermate, ma comincino a addirittura a scendere per lungo termine, avvicinando, rivedendo o peggiorando prezzi visti nella fase acuta della crisi del 2009,
è un indizio che stanno venendo meno le speranze nell'opera di contrasto/sollievo delle Autorità.
A giudicare dalle commodities,
1) la "stretta del dollaro" è ben presente alle menti degli operatori.
2) Un ribasso conclamato sarebbe un esplicito indicatore di frenata dell'attività manifatturiera anche nella mitica Cina.
I movimenti più importanti di questi giorni:
L'indice GSCI (-2.87% a 565.79) cede sotto 580 e quindi conferma in pieno il calo sotto 600 delle scorse settimane, per la prima volta da due anni.
Adesso è allarme per un ribasso di medio e lungo termine.
Un recupero (ma dev'essere immediato) di 580/560 è ancora possibile a giorni, se il dollaro non decolla oltre 1200 contro oro e oltre 1.26/1.25 contro euro, entrambi [vedi sopra] passaggi difficili e revocabili.
Altrimenti la perdita definitiva di 580/560 lancerebbe le materie prime verso i minimi recenti (500/400 in uno/due anni) segnalando una nuova recessione.
Da seguire a brevissimo (giorni) con la massima attenzione.
Il calo del GSCI continua a ricevere una notevole spinta dal greggio (-4.06% a 89.74), che in un mese ha perso il 18% dai massimi ma a 90 circa resta ancora intorno ai prezzi medi, ancora alti, degli ultimi tre anni.
Per adesso quindi "rallenta e smaltisce qualche eccesso di rialzo".
Diciamo che addirittura fin qui aveva fatto un favore alle Autorità monetarie, aiutando a disinnescare "inflazione al consumo" - il rialzo della benzina alla pompa è l'unica forma d'inflazione che i politici non amano.
La perdita di 90/87 però avvierebbe una correzione e potenzialmente un ribasso di medio e lungo termine, dal significato recessivo.
Attenti perché il greggio resta esposto a incidenti "mediorientali",
"russi", oltre che ai fattori monetari.
Attenti anche al fatto che gli Arabi produttori di petrolio (quelli
"buoni", quelli "moderati", non i "terroristi") di solito diventano bellicosi proprio quando il greggio cala.
Per tornare alla media delle materie prime, e con cali sostanzialmente unanimi (nel settore energia solo il metano è decisamente controtendenza, regge ancora sopra 4.00 - mentre altro restano in rialzo, o almeno alte/piatte, nonostante recenti frenate, i bovini, le scrofe, il cacao, il caffè, il legname),
segnalo oggi quelle che già sono in ribasso di lungo termine o ci stanno arrivando:
argento, platino, palladio, benzina, mais, grano, soia, arancia, cotone, lana, gomma, con appena un rallentamento del crollo sullo zucchero.
Il calo quindi è ampio, non totalitario.
"Arbitro decisivo" per segnalare che il ribasso delle materie prime annunci recessione, sono i metalli-base:
il loro calo è iniziato in ritardo ma tocca adesso allarmi significativi:
il rame (-1.26% a 6682) continua a accumulare segnali di netto ribasso per medio e lungo termine, sganciando più nettamente 7000/6800. Non li ha persi ancora irreversibilmente, ma manca pochissimo.
A 6800 il rame mantiene ancora un aggancio ai livelli da "stallo, non crollo" su cui ciondolava da mesi,
ma andando definitivamente sotto 6800 e attaccando 6500 sarebbe in netto ribasso di lungo termine.
Resta alto, ma raffredda il rimbalzo dei mesi scorsi il comparto dell'acciaio:
lo zinco (invariato a 2258) ha frenato seccamente, rinnegando il decollo oltre 2300. Resta ancora alto, ma smentisce un importante segnale di rialzo che rischiava di attrarre speculazione.
Finché non cedesse sotto 2200 può riprendere a salire. Ci faccio attenzione.
Ho ancora qualche scorta a breve (autunno/fine anno).
Il nickel (-2.57% a 16479) invece accelera la picchiata, sfonda 18000, lì abortisce il recupero dei mesi scorsi, e comincia a ricadere verso 14000.
A 14000 e sotto tornerebbe in ribasso per lungo termine.
A oggi si sente ancora qualche commentatore che suggerisce di
"approfittare del calo per comprare qualcosa",
E effettivamente il tonfo è esagerato rispetto alle lievi perdite di zinco e acciaio. Reazioni sono possibili.
Ma io invece mantengo solo qualche scorta a breve (e solo a breve:
autunno/fine anno), resto ribassista per lungo termine.
Resta piatto ma vicino ai massimi recenti l'acciaio LME: fermo da qualche settimana, ma mantiene il passaggio al rialzo di 400/420 (- 0.11% a 448.50). Tutto molto lento, ma c'è ancora una vaga impostazione "tecnica" al rialzo.
Non smetto di tenerlo d'occhio.
Solo il ritorno della billetta sotto 400/380 e dell'Hot Rolled Coil USA sotto 660/650 [ci prova, quota 656] raffredderebbe definitivamente il comparto.
Importantissimo: continua in pieno la sua recente, pesante sbandata il future Rebar di Shanghai: a 2502 peggiora ancora i minimi recenti (intorno a 2700). Ha già perso quasi il 40% dai livelli della primavera.
Vista da qui, la Cina appare ancor più debole di quanto dicano i dati ufficiali.
Insomma, i segnali di "stretta globale del credito" si stanno estendendo progressivamente: da dollaro/euro a dollaro/periferie, dollaro/emergenti, e dollaro/merci.
Tornano a risentirne le Borse, che vivono la seconda settimana consecutiva di perdite, e che stanno frenando da un mese.
Qui però la sbandata è ancora modesta rispetto al lungo rialzo.
E anche stavolta, venerdì un rimbalzino attenua qua e là le perdite peggiori.
Aspettiamo di vedere almeno due settimane filate di perdite senza pause, e vediamo che la frenata raggiunga allarmi sostanziali, prima di dire che le Borse stiano davvero cominciando a scontare una stretta del credito.
I danni, come al solito,. sono minori sui mercati più "mediatici" e
"cari al cuore della politica", e più gravi su Banche e settori sensibili ai tassi:
• il Dow Jones (17010, -0.60%) ha frenato di nuovo sui massimi recenti, ma resta altissimo.
Una correzione verso 16500 inquieterebbe gli operatori, ma solo sotto 16500 e attaccando 16000 la Borsa sarebbe seriamente danneggiata.
[Ricordo la mia opinione per il lungo termine: non valeva nemmeno 12000. Quando cede, ci rivediamo lì. Non c'è fretta].
• I settori "sensibili ai tassi" della Borsa americana divergono:
• ancora pessimi i fondi immobiliari (REIT invariato a 294.20), che sono affondati fino all'allarme da crollo di 290, poi lì reggono da otto giorni. Da seguire , già in allerta.
• Invece le Utilities (+1.38% a 555.49) hanno appena appena cominciato a rallentare. Sotto 540 la frenata diventerebbe rilevante, ma l'allarme ribassista arriverebbe solo sotto 520.
• Non è ancora grave, ma continua, il rallentamento di Francoforte (-3.11% a 9196): ricade verso 9200/9000 dove già in primavera e a Ferragosto aveva minacciato di fermare il rialzo e ricadere. Allarme per una crisi acuta sotto 9200/9000.
Il problema maggiore a Francoforte è che sono già di nuovo pessime le
• Banche tedesche (-4.48% a 87.16): annullano il rimbalzo che cercava di sottrarle agli allarmi da crollo visti durante l'estate (90), e venerdì, da poche ore, li ripetono. Per
ora di pochi centesimi, ma un attacco a 83/80 sarebbe molto grave.
• Londra (-1.83% a 6528) è messa peggio delle altre Borse maggiori già dai mesi scorsi, quando scontava un immediato rialzo dei tassi inglesi. Ma anche il recente rinvio di quel rialzo, e la conseguente svalutazione della sterlina, non le danno tregua: in settimana va a intaccare 6500, allarme ribassista importante, poi regge nel pomeriggio di venerdì grazie ai dati USA. A rischio: allarme a 6500 e allarme rosso a 6300.
• Milano (-2.86% a 20201) ancora regge sopra 20000/19000.
Attenzione, sotto 19000 avrebbe spazio per perdere ampiamente.
• Il Nikkei giapponese frena solo marginalmente (-3.21% a 15709), "grazie", come al solito, allo yen debole, e tiene ampiamente sopra 15000 (primo segnale di "inquietudine") e a maggior ragione sopra 14000 (allarme ribassista).
Se però lo valuto in dollari, togliendogli l'"effetto yen", sta già frenando seccamente.
Comode, le svalutazioni...
Se non avessero conseguenze...
[Ma si capisce o no, che la "stretta del dollaro" che sta colpendo i mercati è figlia del "dollaro facile" che negli anni scorsi "salvava la situazione" e "conteneva ogni crisi"?
E si capisce che va sempre a finire così?
Che una moneta svalutata vede i suoi tassi decollare, o addirittura una "stretta" reale provocata da inceppamento del sistema bancario?"].
A proposito di "inceppamento del sistema bancario": ci risiamo con l'Argentina.
Quindi: le Borse maggiori risentono ancora solo marginalmente della tensione al rialzo sul dollaro.
Ho commentato invece prima le Borse emergenti, già più fragili.
E i tre "punti deboli" di Londra, delle Banche tedesche e dei fondi immobiliari USA sono importantissimi per lo scenario economico e sistemico.
Infine:
una "stretta monetaria americana che diventi globale", una carenza globale di liquidità (la carenza di capitali c'è già) deve vedersi prima o poi nei tassi d'interesse a lungo termine rilevati sul mercato dai titoli di Stato.
I tassi invece fino a fine Agosto fa erano addirittura in calo (rialzo dei bond, calo dei tassi).
Poi in settembre per un paio di settimane i bond hanno frenato, e i tassi hanno smesso di scendere.
Per la prima volta da qualche mese, con questo movimento, i bond hanno cominciato a avallare l'ipotesi di un vero e proprio ciclo rialzista dei tassi.
Questa correzione però non è stata così robusta da sfuggire alla dinamica che ha dominato l'ultimo anno (gli ultimi anni, in realtà.
Ma l'ultimo in particolare, nel quale le pressioni al rialzo sui tassi erano ormai chiare e accettate anche dalle Autorità monetarie):
appena le Borse e le materie prime cedono, i tassi rallentano il rialzo (e i bond salgono) "sperando" - ecco la solita solfa - che
"economia debole" significhi "denaro meno caro".
Così accade da quindici giorni: Borse e commodities in frenata attenuano il rialzo dei tassi e il ribasso dei bond.
Il problema nascerà quando avremo economia lenta e credito scarso e caro, e dollaro forte.
E i mercati si ricorderanno che sì, è vero, succede - anzi, succede sempre...
... che è proprio durante le frenate economiche che i soldi scarseggiano, e quindi rincarano.
Anche questa settimana come la precedente vede però i bond ancora in rimbalzo, quindi i tassi ancora quieti:
T-Bond americani +1.16% a 139.22, rendimento 3.12%.
Rimbalzano e quasi annullano la netta frenata del mese scorso (141Æ137).
Hanno retto prima di sfondare 137/135 (netto allarme al ribasso)
e mantengono quindi un assetto "da rimbalzo".
Niente ribasso conclamato per ora, ma il recupero dei mesi scorsi ha stallato proprio davanti ai livelli (142) che avrebbero annullato del tutto il tonfo dell'estate/autunno 2013.
Già così quindi la frenata è significativa: i bond non riescono a mettere fine all'ampia correzione innescata dalle prime avvisaglie di rialzo dei tassi USA.
Il prossimo passaggio importante sarebbe: un netto ribasso dei bond che indicasse che il rialzo dei tassi USA è addirittura imminente. Cioè, che le Borse non possono più evitare di tenerne conto.
Per quello, occorre prima un netto calo sotto 137/135, poi un attacco pesante a 134.50/134, e poi ripetere l'affondo sotto 131 che avevano già tentato a Natale.
Da lì, inizierebbe un vero e proprio ciclo rialzista poliennale dei tassi USA.
Da seguire con attenzione.
Bund tedeschi +0.25% a 149.82, rendimento 0.93%.
Rimbalzano e annullano la modesta sbandata del mese scorso (152Æ148), che si è fermata appena prima del primo serio allarme al ribasso (147).
Per hanno solo rallentato il recente, esagerato rialzo.
Già questo smentisce le attese di un ulteriore massiccio allentamento monetario europeo.
Poi, c'è da calcolare il nuovo tonfo delle Banche (forti detentrici di bond. Se i loro portafogli si stessero davvero apprezzando in modo credibile, non perderebbero il 5% alla settimana al primo alito di vento).
E infine è rilevante il fatto che i Bund avessero rallentato a fronte non solo di un calo dei tassi a breve,
ma anche a fronte di ipotesi di acquisto di bond europei (che dovrebbero sostenere i bond).
Guarda caso, proprio su questo punto Draghi in settimana ha raffreddato le aspettative dei commentatori più illusi.
La periferia europea non risente per ora gravemente del fatto che Draghi calma le attese di "allentamento quantitativo".
BTP italiani +0.42% a 130.72, rendimento 2.31%.
Arrivano a annullare la sbandata di settembre, hanno solo rallentato il rialzo.
Allerta se li rivediamo sotto 130.
Gli OAT francesi (+0.26% a 143.88, rendimento 1.27%) appena appena rallentano il rialzo a fine settimana, in risposta alle polemiche franco/tedesche (annuncio unilaterale della Francia di voler rinviare la riduzione del deficit, reazione negativa tedesca).
Solo un attacco degli OAT sotto 143 indicherebbe che i mercati hanno davvero smesso di aspettarsi sostegni ai bond dalla Banca centrale europea, e considerino i titoli di Stato in balìa dei mercati.
L'euribor tre mesi future giugno 2015 ha rallentato il calo da un mese, rimbalzicchia ma non mostra seri segni di tensione, anzi: quota 0.070% contro 0.081% dello spot.
Resto indebitato a tasso fisso a lungo termine in euro.
Questa lettera verrà aggiornata fra una settimana o dieci giorni. Se da qui alla prossima lettera sarà necessario correggere nettamente qualche indicazione, invieremo dei brevi messaggi.
Se il lettore desidera spiegazioni, messe a punto o indicazioni pratiche su singoli punti di questa lettera, grafici o documenti relativi alle analisi può chiederli in qualsiasi momento e li riceverà a giro di fax o di e-mail. Ugualmente può segnalare se desidera che valute, indici, commodities, tassi, titoli, fondi, indicatori non trattati in questo numero della lettera vengano
aggiunti nei numeri successivi.
Qualsiasi operazione finanziaria verrà intrapresa in seguito a libero giudizio del lettore, e a suo pieno rischio e profitto.
Gli autori della “John Galt Financial Newsletter” non svolgono attività di gestione o collocamento di prodotti finanziari.
I prezzi e i valori citati o usati per rappresentazioni grafiche sono ricavati da banche dati ufficiali o ritenute professionalmente affidabili ma non sono garantiti da John Galt Financial Newsletter.
“The John Galt Financial Newsletter, 1957" e "The John Galt Political Newsletter, 1946" sono prodotti dell’intelletto indipendenti e non rappresentano necessariamente i punti di vista dello Ayn Rand Estate né dello Ayn Rand Institute.
Gli abbonati a questa newsletter non acquisiscono nessun diritto di riproduzione o diffusione del suo contenuto, nemmeno a titolo gratuito.
Tutti i diritti sono riservati agli autori, rappresentati da:
CONSILIA Group, 6 Dyer’s Buildings, London EC1N 2JT.