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The John Galt Financial Newsletter, 1957 Fax:

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The John Galt Financial Newsletter, 1957

Fax: +44-207-9766106 E-mail: johngalt@jgline.com 7 dicembre 2014 – Il dollaro e lo yen alla prova dei decenni.

SOMMARIO Euro a 1.2283 contro dollaro e 149.23 contro yen. Oro 1,192.35, rame 6515, indice GSCI 475.83, greggio 65.84. T-Bond 142.97, rendimento 2.97%.

Euribor tre mesi 0.09%, rendimento Bund a 10 anni 0.78%. Dow Jones 17959.

Dopo le materie prime [30 novembre], continuo la rassegna dettagliata e concreta dei singoli mercati. Oggi tocca alle monete [domenica prossima, tassi e Borse]:

vediamo uno per uno tutti i cambi più significativi, e con l'occasione do anche gli obiettivi di prezzo per il 2015.

Del resto la "notizia della settimana" riguarda proprio le monete.

In una settimana tutto sommato anodina, e che prosegue i temi e i movimenti delle scorse settimane (petrolio in netto ribasso che spedisce su livelli da crollo l'indice delle materie prime, ma non riesce a affondare il rame e l'oro, lasciando quindi alte o in recupero le Borse),

l'unico momento di "eccitazione", che provoca ampie sbandate dei mercati fa seguito alla "delusione" inflitta agli operatori dalla Banca centrale europea.

Draghi "rassicura", indica nuvole cupe all'orizzonte che garantiscono che "farà tutto il necessario", ma non agisce concretamente acquistando titoli di Stato. A me sembra ovvio così, ma gli operatori e i Governi continuano a illudersi. E quindi a deludersi, agitandosi.

L'episodio coinvolge tutti i mercati globali, poi rientra quasi interamente (ma non sui cambi dell'euro) perché i dati economici americani rincuorano gli operatori.

Come minimo mostra la persistente fortissima dipendenza dei mercati (tutti, non solo monete e tassi) dall'operato (fatti e parole) delle Autorità monetarie.

La svalutazione dell'euro e dello yen sono in questa fase (autunno/inverno) i due

"motori" dell'andamento dei mercati, perché sono gli unici due fattori che impediscono alla forza del dollaro - che è diffusa e anzi si accentua - di venire interpretata come un sintomo di stretta monetaria globale e quindi come il prodromo di una recessione globale.

Sull'equivoco della "benefica debolezza" dello yen e dell'euro [quest'ultima, parzialmente svuotata di senso appunto da Draghi] si mantiene quindi sui mercati il tono che avevamo ricavato domenica scorsa dall'analisi delle materie prime:

che la forza del dollaro abbia alcune connotazioni deflattive è evidente meno chiaro è che questo sia evidente agli operatori e che abbia conseguenze immediate.

Lo scenario resta quindi ancora "misto": lo slittamento dall'"euforia da stimoli monetari" verso una "stretta creditizia e monetaria del dollaro" continua ma lentamente.

Anche se lento, questo scenario di "dollaro forte" mi basta e avanza per tenere posizioni operative: * scariche sulle materie prime * rialziste sul dollaro * senza investimenti su debiti a medio e lungo termine * indebitate a lungo termine a tasso fisso in euro * scariche sulle Borse.

(2)

INDICE

TEORIA, POLITICA E METODO

Analisi delle notizie della settimana 3 Se voi foste nei panni di Schaeuble...

LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO

A brevissimo/breve termine (giorni/settimane/mese) 3 Draghi "delude"?

A medio termine (tre/sei mesi) 3, 6

I SINGOLI MERCATI E LE INDICAZIONI OPERATIVE 6

Valute 6

Dollaro USA, yen, euro, sterlina, svizzero 6 Yen e dollaro cambiano la tendenza polidecennale?

Emergenti, periferie e semidollari (norvegia, svezia, polonia,

australia, canada, sudafrica, brasile, russia, corea, singapore, cina) 15 Crescita americana e panico degli Emergenti. Perché?

(3)

SCENARI

LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO LO SCENARIO DI BREVISSIMO/BREVE TERMINE Dopo le materie prime [30 novembre], continuo la rassegna dettagliata e concreta dei singoli mercati.

Oggi tocca alle monete [domenica prossima, tassi e Borse]:

vediamo uno per uno tutti i cambi più significativi, dai principali alle periferie agli emergenti a alcuni indicatori utili che magari non seguiamo di solito (Norvegia, in relazione al petrolio).

Con l'occasione do anche gli obiettivi di prezzo per il 2015.

Del resto la notizia della settimana riguarda proprio loro.

In una settimana tutto sommato anodina, e che prosegue i temi e i movimenti delle scorse settimane

per capirci:

petrolio -0.47% a 65.84 (minimi a 64), che spedisce l'indice GSCI delle materie prime a 475.83 con un -1.30%

ma non riesce a affondare il rame (+1.61% a 6515),

rallenta il ribasso dell'oro (+2.14% a 1,192.35) tenendolo appeso a 1200,

e tiene quindi forti o almeno in recupero le Borse (Dow Jones +0.73% a 17959, Banche tedesche +1.31% a 89.21, ancora in preallarme),

l'unico momento di "eccitazione", che provoca ampie sbandate dei mercati

(le chiusure settimanali così quiete nascondono il fatto che per esempio l'oro ha rivisto sia 1220 sia 1185, il dollaro sia 1.23 sia 1.2450, i BTP italiani sia 133 sia 135... "quiete", mica tanto...)

è quello seguito alla "delusione" inflitta agli operatori dalla Banca centrale europea.

Draghi rassicura, mostra nuvole cupe all'orizzonte che garantiscono che "farà tutto il necessario", ma non agisce.

Ossia: non dichiara possibili, tantomeno imminenti, manovre di

"allentamento quantitativo" [acquisto di titoli di Stato e obbligazioni stampando moneta].

(4)

Non capisco come abbiano fatto a restare "delusi" i commentatori, quando sono settimane che (non solo) i tedeschi ripetono che la manovra è fra l'"illegale" e il "politicamente inopportuno",

e quando tutti sanno che, diversamente che in America, in Europa essa comporterebbe un trasferimento di rischi fiscali fra Stati, inaccettabile per chiunque, Italia compresa.

Diciamo che l'Irlanda vada daccapo in crisi, la BCE compra titoli irlandesi, svaluta l'euro, l'inflazione coinvolge l'Italia, intanto la BCE richiede ricapitalizzazione perché le perdite sui titoli irlandesi bruciano capitale,

all'Italia viene chiesto di versare capitale alla BCE per coprire le perdite.

Il Governo italiano mette tasse sugli Italiani per pagare?

Sì? Sicuri?

Mah...

Già fate le rivolte (comprensibilmente) contro "l'austerità voluta da Bruxelles".

Immaginate se le tasse servissero per un trasferimento diretto, non all'entità sovranazionale europea, ma a un altro Stato.

Dai...

Salvini sembrerebbe Schaeuble.

L'episodio coinvolge tutti i mercati globali, poi rientra quasi interamente (ma non sui cambi dell'euro) perché i dati economici americani rincuorano gli operatori.

Tornerò sul tema "dati economici americani" domenica prossima, parlando in dettaglio delle Borse e dei tassi.

Ma come minimo mostra la persistente fortissima dipendenza dei mercati (tutti, non solo monete e tassi) dall'operato (fatti e parole) delle Autorità monetarie.

La svalutazione dell'euro e dello yen sono in questa fase (autunno/inverno) i due "motori" dell'andamento dei mercati,

perché sono gli unici due fattori che impediscono alla forza del dollaro - che come vedremo nelle prossime pagine - è diffusa e si accentua,

di venire interpretata come un sintomo di stretta monetaria globale e quindi come il prodromo di una recessione globale.

Sull'equivoco della "benefica debolezza" dello yen e dell'euro [quest'ultima, parzialmente svuotata di senso appunto da Draghi]

si mantiene quindi sui mercati il tono che avevamo ricavato domenica scorsa dall'analisi delle materie prime:

(5)

che la forza del dollaro abbia alcune connotazioni deflattive è evidente

[picchiata del GSCI, oro debole, mercati emergenti in difficoltà, adesso addirittura segnali di tensione sistemica sulle Banche australiane - ne parlerò in dettaglio nelle prossime pagine],

meno chiaro è che questo sia evidente agli operatori e che abbia conseguenze immediate.

Lo scenario resta quindi ancora "misto",

lo slittamento dall'"euforia da stimoli monetari" verso una "stretta creditizia e monetaria del dollaro" continua ma lentamente.

Poi, dentro questo "lentamente" ci sono la picchiata del greggio o la crisi finanziaria russa (tassi al 10% pronti a andare al 14% per cercare di salvare il rublo),

ma il profilo della "crisi da stretta monetaria americana del 2015"

è ancora lento.

Basta e avanza per tenere posizioni operative:

• scariche sulle materie prime

• rialziste sul dollaro [oggi fornisco dettagli sui vari cambi]

• senza investimenti su debiti a medio e lungo termine

• indebitate a lungo termine a tasso fisso in euro.

• La meno ovvia, e quella che - Banche e emergenti a parte - ha meno riscontri dall'andamento dei mercati fino a oggi:

posizioni scariche sulle Borse.

Ma non basta ancora per vedere tutte queste posizioni convalidate dai mercati.

Mi fermo qui: andiamo a vedere le singole valute.

Tornerò sullo scenario generale dopo la rassegna sui tassi e sui titoli di domenica prossima.

(6)

I SINGOLI MERCATI E LE STRATEGIE OPERATIVE

MONETE

IL “NODO” DOLLARO/YEN/EURO (Dollar index spot +1.1% dalla settimana precedente a 89.33, dollaro/euro +1.4% a 1.2283, yen/euro -0.97% a 149.23, oro +2.14% a 1,192.35, oro/yen +4.79% a 4658, oro/euro +3.59% a 970.73, oro/lira 60430).

Finita la lunga stagione della "inflazione e svalutazione di tutti insieme" (una manovra che peraltro è riuscita a yen e dollaro, ma era fallita all'euro), i mercati continuano a guardare alle monete ancora con occhi "inflazionisti":

euro e yen continuano a svolgere il ruolo degli "inflazionisti" e perdono ampiamente,

mentre il dollaro si sta, sì, rafforzando contro tutte le altre monete (adesso anche contro asia periferica, yuan incluso),

ma ancora non abbastanza da inquietare seriamente Borse e materie prime industriali.

Vedi l'analisi di domenica scorsa e i commenti (un intero numero dell'"Economist"...) sul calo del greggio visto in chiave reflattiva: stessa quantità di soldi, meno soldi spese in benzina, più soldi spesi in auto, viaggi e merci trasportate.

Insomma: "vabbe' il dollaro sale ma non è perché stia restringendo il credito. Sale perché euro e yen scendono. Il saldo è quindi ancora reflattivo, con monete complessivamente deboli e abbondanti".

La realtà, se guardiamo alcuni mercati "secondari" che hanno notevole rilevanza di indicatore economico (canada, australia, brasile, svizzero, won coreano...) e politico (rublo, ancora svizzera...), è meno chiaramente "reflattiva" e "liquida",

e sembra che sia invece proprio il dollaro a salire schiacciando gli altri,

per una forza propria che significa, dopo anni in cui immense quantità di dollari sono state stampate, che il credito così generato sta aumentando di costo, o sta cominciando a contrarsi.

Cioè, che è cominciata una stretta globale del credito.

Quale delle due interpretazioni prevale sui mercati?

La risposta a questa domanda, cerchiamola prima di tutto nei fatti, poi li commenteremo.

Riprendo la rassegna dallo yen, perché il suo crollo ha dominato questi ultimi mesi, e perché la polidecennale crisi giapponese,

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incluse le manovre sullo yen, ha molto da insegnarci per capire il presente [vedi analisi del 2 Novembre]:

lo yen a medio termine continua il suo ribasso (un mini-crollo) degli ultimi quattro mesi:

dollaro/yen (+2.35% a 121.46) arriva a attaccare anche 120.

Questo porta le perdite recenti al 18.5%, le perdite dell'anno al 25%

e la correzione dai massimi, dov'è cominciata la Abe-manovra di stimolo monetario due anni fa, al 55%.

Il calo non accenna a rallentare, gli ultimi giorni sono anzi molto pesanti.

In caso di reazioni "tecniche" alla rapidità del calo, solo correzioni di dollaro/yen sotto 117 avrebbero rilevanza anche solo di breve e breve/medio termine, quantomeno frenando il ribasso dello yen.

E fino a 113 l'intera manovra di svalutazione dello yen resterebbe intatta.

Fin dove?

Appunto l'attacco a 120 è rilevante: a 120/122 lo yen comincia a annullare il rialzo provocato dalla crisi bancaria e economica globale del 2007/2009.

Sotto, comincerebbe addirittura un ribasso poliennale (verso 140).

Da 120 a 125 affronta l'"esame tecnico" per quel ribasso.

Cioè, fra 120 e 125 lo yen testerà quanto sia credibile, fra gli operatori, oggi, l'ipotesi di un suo crollo incontrastato.

Sorveglio con attenzione questo passaggio.

A oggi, non sono convinto che lo yen sia destinato a svalutarsi così ampiamente. 120/125 sono ostacoli storici.

Ma ho detto che oggi avrei solo verificato le mie opinioni con i fatti, invece di formularle o elaborarne altre.

Quindi, mi limito a registrare che la fine d'anno vedrà questo difficile passaggio sullo yen, che in ogni caso per ora resta debolissimo.

Che si tratti di debolezza specifica dello yen, e non principalmente di forza del dollaro, è abbastanza evidente su oro/yen (+4.79% a 4658), che torna a avvicinare i massimi recenti,

e che potrebbe puntare (teniamolo d'occhio, sarebbe un segnale importante) verso i massimi assoluti di 5000.

Mentre l'oro è fiacco contro dollaro e perfino contro euro, l'oro fortissimo contro yen effettivamente avalla attese di svalutazione conclamata dello yen.

(8)

Dollaro/yen sopra 122 e che attacca 125 con oro/yen in decollo verso 5000 sarebbe un segnale di possibile crollo dello yen.

Delle conseguenze sull'Asia parleremo poi. Esse limitano

"politicamente" la libertà di movimento dello yen.

Infine, yen/euro (-0.97% a 149.23) segue palesemente, e passivamente, il calo di yen/dollaro, frenato dalla parallela (e minore) debolezza dell'euro.

Sul fatto che l'euro non riesca a scendere quanto lo yen, dopo tre quasi-crisi debitorie in quattro anni e tassi zero, pur partendo da livelli non galattici (lo yen partiva dai massimi storici), tornerò in sede "teorica".

Questo squilibrio resterà.

Quindi non ricavo i possibili obiettivi di lungo termine dello yen/euro direttamente da questo cross-rate, ma dalle due componenti da cui deriva:

dollaro/yen, con suoi due possibili obiettivi, ho detto prima, a 122/125 e 140,

e dollaro/euro, diretto verso 1.20/1.18 nell'ipotesi minima immediata, e 1.10 in caso di "svalutazione aggressiva dell'euro".

Le due ipotesi mi danno possibili obiettivi per yen euro,

"intermedio" a 145/150 - e quasi ci siamo - e "minimo" a 155/160.

Le ipotesi "minime" sono "tecnicamente" sensate, ma economicamente inverosimili: l'euro, svalutandosi, porterebbe al 70% il suo rialzo contro yen?

Mi riesce difficile crederlo. Su quali basi?

Inoltre - ma non voglio addentrarmi di nuovo nell'argomento in dettaglio, solo accennarlo - mentre lo yen, nonostante decenni di deflazione, è ormai da anni una moneta di finanziamento speculativo globale, e quindi soggetto, in caso di una stretta globale del credito, casomai a chiusure di posizioni, ricoperture, e quindi acquisti, tanto che in tutte le crisi deflattive è salito rapidamente, l'euro è in questo momento quasi per definizione (così mi dicono) "la moneta che non viene usata per erogare credito".

Discuterne ci porterebbe troppo lontani dall'obiettivo di oggi (verificare i dati di fatto attuali),

ma ne parlo perché, nonostante questi obiettivi teorici favolosi, preferisco continuare a raccomandare di

* non comprare yen, certamente, e non cambiare in yen i dollari che possediamo - lo faremo più avanti,

* continuare a usare il dollaro e non lo yen per proteggere importazioni da Asia verso Eurolandia,

* ma non uso lo yen per finanziamenti e non ci speculo al ribasso.

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Le reazioni rialziste dello yen alle situazioni di crisi del credito sono sempre improvvise, fortissime e rapide.

Sapendo che proprio una stretta del credito è la "minaccia globale"

oggi (così mi dicono tutti coloro che implorano Draghi da mattina a sera, così mi dice Krugman, così mi dice il "Sole XXIV Ore"),

io, speculazione contro la moneta che storicamente sale di più appena le Banche annaspano (2008/2009, +50% prima che ci fosse il tempo di dire "tsunami"), non ne faccio.

Dallo yen passiamo allora al dollaro.

Un lungo capitolo, che occuperà quasi interamente il resto di questo numero, e che comincia, per continuità con dollaro/yen, dal

dollar index (+1.1% a 89.33), cioè dal cambio del dollaro contro la media delle monete dei suoi partner commerciali, calcolata in laboratorio ma trattata anche come future e quindi piuttosto sensibile ai mercati. E' un cambio lento, pesante, poco volatile, che si muove in ritardo rispetto agli eventi sui singoli cambi, e quindi ci aiuta a smussare le euforie e i panici occasionali.

Pesantemente influenzato da dollaro/yen, il dollar index è in deciso rialzo ormai da 83/85, e sta avvicinando 89/90:

a 90 passa la media dei prezzi degli ultimi cinque anni.

Il dollaro viaggia da undici anni sotto questa media.

Cioè: per undici anni è stato "più debole di quanto è per lui normale essere", e ha trascinato la media, ovviamente, al ribasso (da 95 a 90).

Se trovasse la forza di salire sopra 90/95, quindi di invertire il suo atteggiamento, e si trovasse contro tutti i maggiori partner commerciali a essere "più forte di quanto è stato storicamente",

segnalerebbe forza quantomeno "tecnica" in modo molto chiaro.

Ci faccio attenzione: ci sta arrivando molto in fretta, e la stessa importanza di questo segnale lo rende difficile da superare, e potrebbe respingere il dollaro (per di più, lo farebbe in corrispondenza di importanti ostacoli reali contro yen, euro, oro).

E se la media del dollar index storicamente tende a scendere, ci sono ragioni sostanziali. Il dollaro è storicamente debole, e le Autorità monetarie vogliono che lo sia.

Hanno talmente riempito le Università di gente convinta che il dollaro debba scendere, che nessun economista di meno di 50 anni di età si ricorda che esiste, e a cosa serva, l'eventualità opposta (un dollaro forte con tassi alti).

Quindi: il rialzo del dollar index è rapido, probabilmente sovraesteso "tecnicamente", e difficilmente arriverà a 90/95 con lo slancio necessario per andare oltre subito e facilmente.

Ma se la domanda era "il dollaro sta salendo?"... be', sì, diamine,

(10)

Guardo dollar index e oro insieme: sganciamento definitivo da 1200 e attacco a 90/95, simultanei, sarebbero un segnale di forza specifica del dollaro: reale, e ampiamente distribuita su vari fronti commerciali.

Dollaro/euro (+1.4% a 1.2283):

A breve: anche qui, l'equivoco può riguardare forse l'origine del movimento (svalutazione "benefica e reflattiva" dell'euro o forza

"restrittiva e deflattiva" del dollaro?), ma il rialzo è indubbio.

Il dollaro sgancia, dopo due mesi di tentativi, 1.25, e attacca il prossimo obiettivo di 1.22/1.20.

Chiude sui minimi della settimana, lasciandosi alle spalle venerdì un rimbalzino, fatto giovedì, da 1.23 a 1.2450, con il quale aveva risposto malamente alla "rigidità" di Draghi [vedi "scenario"].

Cosa se ne deduce?

che dollaro/euro è sceso quando ha percepito una minore intenzione di Draghi di stampare euro, e è risalito quando commentatori e politici hanno ricominciato a tirare la giacchetta a Draghi e a chiedergli di svalutare.

Visto così, è "euro debole".

L'altra spiegazione del dollaro forte di fine settimana, ossia i discreti dati economici USA, va nella stessa direzione:

"economia liquida, USA che producono e esportano", va in direzione opposta a "dollaro forte perché Banche chiudono finanziamenti".

Sottende uno scenario espansivo, o quantomeno equilibrato.

Quindi, abbiamo ancora, su dollaro/euro, uno scenario "misto":

* tecnicamente e operativamente, il dollaro è forte.

* quanto al significato economico, non è però un dollaro "da crisi acuta globale in cui i capitali si rifugiano sul dollaro".

Quindi:

* operativamente, assistiamo all'attacco a 1.20: vale qui lo stesso discorso che ho fatto per il dollar index a 90: 1.20 è la media mobile a 5 anni dei prezzi del dollaro, ed è in calo quasi ininterrotto da 20 anni.

Passarla (1.20 poi conferma a 1.18) cambierebbe l'impostazione

"tecnica" di lungo termine del dollaro, cioè il modo in cui gli operatori lo considerano quando non hanno idee precise da attribuirgli.

Torneremmo agli anni 90 e a un pregiudizio favorevole al "dollaro come alternativa all'Europa" (anni '90: l'"euro" scese da 1.50 a 0.80: come vedete, 1.20 potrebbe essere solo l'inizio, se Eurolandia davvero decidesse di svalutare e inflazionare, o ricadesse in una crisi debitoria acuta).

(11)

E' un passaggio difficile, e credo che richiederà anche l'altra componente: ossia, un dollaro che scarseggia sullo sfondo di tassi in rialzo, o di credito poco disponibile.

Non fa molta differenza quanto all'operatività su dollaro/euro [sono completamente investito sul dollaro e completamente indebitato in euro, sopporto correzioni se il dollaro non passa 1.20 al primo tentativo. Non passo queste posizioni su yen/euro per i morivi detti prima],

non cambia gli obiettivi (1.20/1.18, con oscillazioni fra lì e 1.25, in uno scenario ancora incerto, 1.10 anche rapidamente se l'euro cede),

ma fa differenza quanto allo scenario economico.

Allora, andiamo a cercare altre risposte più precise sui cambi periferici e emergenti.

(12)

ALTRE MONETE MAGGIORI Sterlina inglese (Sterlina/dollaro -0.47% a 1.5580, Sterlina/euro +0.93%

a 0.7884):

la sterlina sta completando la correzione del "rally perché noi alzeremo i tassi prima del dollaro" ("e invece correggiamo perché il dollaro minaccia di stringere molto di più e non dobbiamo darci una calmata"), che aveva dominato il 2013 e il primo semestre dell'anno:

da 1.68 (con una breve puntata a 1 .70/1.72) torna, per l'ennesima volta negli ultimi cinque anni, verso 1.55.

Intorno a 1.55 la sterlina oscilla, fra 1.50 (1.48) e 1.60 (1.65) ormai dall'immediato "dopocrisi" nel 2009.

E lì oscillava, relativamente stabile, anche negli anni precedenti la breve sbornia euforica del 2004/2007 (la ricorderete, con una sterlina oltre i 2 dollari).

Quindi la sterlina sta tornando su livelli "neutri", qui quali potrà assestarsi.

Ricadendo da una netta sopravvalutazione, invece di fermarsi subito sui livelli medi potrà estendere il calo fino ai minimi (1.50) della fascia in cui oscilla appunto da anni.

In assenza di una crisi deflattiva conclamata, 1.55/1.50 erano e restano quindi gli obiettivi del ribasso per medio/lungo termine.

Nel caso, invece, di una accentuazione "da stretta monetaria" del rialzo del dollaro, la perdita di 1.50 potrebbe avviare un ribasso poliennale verso 1.45/1.40.

Per adottare questi obiettivi preferisco attendere una svolta sostanziale dello scenario, con rialzo dei tassi e cedimento della Borsa inglese.

Operativamente: se esportatore verso UK, avevo venduto sterline contro dollaro, tengo le posizioni.

Sterlina/euro (+0.93% a 0.7884): forza del dollaro e debolezza della sterlina si bilanciano, lasciando sterlina/euro sostanzialmente piatta ormai dall'estate intorno a 0.80/0.78.

Da un lato, qui la sterlina sfoga i residui della sua "forza"

euforica dei primi mesi dell'anno,

dall'altro, vedo confermata la mia attesa che il passaggio di 0.80 (l'obiettivo che ci eravamo dati per il rialzo della sterlina), invece di segnare un decollo "tecnico", ha visto cominciare la correzione di sterlina/dollaro.

In assenza di una crisi acuta sull'euro, non mi aspetto un decollo di lungo termine della sterlina.

(13)

Sbandate di breve/medio termine dell'euro sono però sufficienti a mandarla verso 0.75.

Operativamente: ho coperto le importazioni da UK con acquisti di dollari, a partire da 0.80 e per sei mesi/un anno, e tengo queste coperture almeno per il tempo necessario a valutare la gravità dell'impatto sull'euro del "dollaro forte".

Preferisco tenere dollari che sterline, a questo scopo.

Franco svizzero (+0.11% dalla settimana precedente a 1.2023 contro euro):

A medio termine: resta forte, mantiene il decollo (lento) oltre 1.2150 e verso 1.20, con il quale si è fatto bellamente beffe delle minacce delle Autorità monetarie.

La Svizzera ha "fissato" un "pavimento" a 1.20 per il franco, ma il sottinteso era che il franco non salisse oltre 1.20 allo scopo di scendere poi almeno verso 1.23.

1.20 doveva essere una soglia per scoraggiare la speculazione e mandarla a giocare altrove, provocando un calo del franco,

e si è invece ridotto a un'"ultima linea di difesa" che il franco continua a sfidare.

Appunto, le difese istituzionali (per settimana prossima ci si aspettano nuovi interventi, verbali e non solo) rendono molto improbabile un rialzo oltre 1.20, ma le possibilità di calo sono limitatissime.

Attenzione: in caso di crisi acuta sull'euro, e di abbandono delle difese istituzionali, la forza che sta mostrando lo manderebbe facilmente a 1.10.

Operativamente: non uso il franco per finanziamento: la carry trade sul franco sarebbe rischiosa, in uno scenario di stretta del credito, quanto quella sullo yen.

Corona svedese (-0.46% a 8.79 contro euro):

Merita una citazione perché il cedimento del petrolio la sta sostanzialmente indebolendo anche contro un euro di per sé debole.

Dopo un 16% di calo in pochi mesi la corona ha regalato fin troppo all'euro. Ha spazio "tecnico" ancora fino a 7.30/7.60.

Dopodiché, 1) l'euro è a rischio e con ragioni sostanziali, 2) le quotazioni scontano un taglio dei tassi del quale non sono convinto, 3) delle prospettive del ribasso del greggio abbiamo parlato a parte.

Se diventa un crollo che coinvolge tutte le materie prime per lungo termine, stroncherà l'euro, peggio della corona.

Quindi: sorveglio le condizioni di mercato quando la corona toccherà 7.30/7.60, e lì (importatore da Norvegia) comprerei qualcosa.

(14)

Se l'euro sarà ancora sotto pressione, comprerò corone contro dollaro.

Rivedrò questa impostazione solo il calo del petrolio porterà a un calo duraturo di tutte le materie prime.

In quel caso la corona avrebbe, effettivamente, un lungo rialzo poliennale da correggere. Ma questa svolta è prematura.

Corona svedese (invariata a 9.28 contro euro):

Mantiene il lento calo (in realtà, una correzione da un lungo e ampio rialzo) innescato dal calo dei tassi con il quale, quest'estate, si era "protetta" da un'attesa svalutazione dell'euro.

Come la corona norvegese [vedi], anche la svedese ha quasi raggiunto livelli (i prezzi medi degli ultimi quindici anni) sotto i quali avrebbe bisogno di nuovi temi economici per scendere ulteriormente e ampiamente contro un euro così fiacco.

Ha spazio quindi verso 9.50/9.70, ma lì mi aspetto che si stabilizzi (a quei livelli: acquisti per gli importatori da Svezia).

(15)

SEMIDOLLARI

Dollaro australiano -2.07% a 0.8316, dollaro canadese 1.1435, invariato.

A medio termine: in deciso ribasso.

L'australiano ha appena ripreso rapidamente il ribasso dopo una pausa di quasi due mesi, il canadese è più lento ma non aveva mai seriamente fermato il calo,

entrambi hanno passato nelle scorse settimane decisivi segnali di ribasso per lungo termine:

da segnalare, fra l'altro, che oltre alla consueta correlazione australia/materie prime, che ha avviato il ribasso,

seguendo il copione storico di "semidollari rafforzati dalle fasi inflazionistiche del ciclo economico, e viceversa",

adesso sta entrando in gioco un tema nuovo: a avviare l'ultimissima sbandata dell'australiano (sotto 0.86 verso 0.83) sono stati dubbi sulla tenuta (o quantomeno sulla necessità di ricapitalizzazione) delle Banche australiane.

Dai temi prettamente ciclici stiamo passando al tema del rischio sistemico.

Importante.

A lungo/lunghissimo termine: dopo lunghi rialzi nel 2009/2010, paralleli e collegati a quelli delle Borse e delle materie prime, i semidollari prima si sono fermati per due anni e infine lo scorso anno hanno cominciato a invertire la tendenza e a dare veri e propri segnali di ribasso, e implicitamente di recessione globale.

Dall'estate e soprattutto nelle ultime settimane stanno confermando in pieno questi segnali,

cedendo rispettivamente: l'australiano sotto 0.85 (che rende definitivo l'allarme di 0.90/0.88) e il canadese sotto 1.14 (che conferma l'allarme di 1.10/1.12).

In uno scenario deflattivo (oro e materie prime, mercati emergenti, in ribasso)

il dollaro australiano ha obiettivi di lungo termine a 0.70, mentre il dollaro canadese ha obiettivi a 1.20/1.40.

Operativamente: non ho australiani né canadesi, né per investimento né per copertura commerciale. Posizioni commerciali coperte da vendite a termine a uno/due anni.

(16)

MONETE “EMERGENTI”

Il tonfo del petrolio ha rilanciato la "crisi emergente" con cui il 2014 era cominciato.

Anzi, che aveva dominato l'inizio di quest'anno [vedi analisi del 26 gennaio 2014], salvo poi venire "risolta" da stimoli monetari alla vigilia dell'estate.

Ma il nuovo tonfo delle materie prime rilancia in pieno un problema che abbiamo incontrato spesso negli ultimi anni:

un po' d'inflazione fa certamente salire, all'inizio, il prezzo delle materie prime,

e gonfia nominalmente il PIL dei Paesi importatori di materie prime (innanzitutto gli USA).

Fin qui, ci siamo.

Ma come mai, poi, la stessa espansione monetaria

* continua a alimentare la crescita del PIL americano [vedi i dati recenti] e quindi teoricamente la domanda di commodities,

* però i prezzi delle materie prime scendono

* ma soprattutto: a prezzi decrescenti delle materie prime...

... non aumenta la domanda dai Paesi in crescita verso i Paesi emergenti?

Intendo: se la creazione di moneta e credito è il "motore"

dell'espansione economica

- come tutti mi ripetono fino alla nausea, tanto che vedi la reazione isterica dei mercati in questi giorni appena Draghi ha osato negare una immediata dose di inflazione -

se il PIL americano cresce, e se l'unico limite all'attività industriale sono i soldi per comprare risorse,

un calo del prezzo delle materie prime dovrebbe far aumentare la domanda, illimitatamente.

O no?

O c'è un altro limite che adesso mi sfugge?

(E non ditemi che "il limite è la domanda finale", perché l'aumento dell'occupazione crea aumento della domanda finale).

I Paesi esportatori di materie prime dovrebbero ancora essere sostenuti dalla forte crescita americana.

Cala un po' il prezzo ma vendono di più.

(17)

E incassano una moneta estera più forte, e quindi più utile per pagare salari, energia, costi, infrastrutture, consumi. Sì, consumi:

chi ha introiti e riserve in una moneta forte può sempre decidere di trasferire parte di quel potere d'acquisto ai salari e rilanciare i propri consumi, se gli serve.

O no?

A meno che.

A meno che

1) in presenza di debiti (o in carenza di capitali), quello che importa non è quanta merce vendi, né quanto valgono i soldi che ricavi in quantità di merce, ma quanta moneta ricavi in termini nominali,

e

2) a meno che i mercati non abbiano dubbi sulla solidità della crescita americana.

Allora sì.

Non credo che l'inflazione possa davvero continuare a alimentare l'attività economica USA,

quindi non basta un calo dei prezzi per continuare a vendere materie prime all'America,

quindi vendo monete, Borse e bond emergenti.

La crisi "emergente" è un importante indicatore del ciclo economico.

Rand sudafricano (-2.34% a 11.35 contro dollaro):

a medio termine: da un paio di mesi ha rallentato leggermente il crollo (8.5Æ11.50 da gennaio) sui minimi dell'anno,

ma resta debolissimo e le ultime settimane/giorni sono pesanti.

Anche se 11.50 dovesse continuare a reggere (pausa nel crollo delle commodities), non mi fiderei di rimbalzi che non agganciassero almeno 10.80/10.50 (il minimo per legittimare anche solo una pausa).

Per lungo termine: il rand ha ripreso il suo lentissimo ma inesorabile ribasso di lunghissimo termine (da 4.00/6.00 verso 10 e poi 12).

Operativamente: non ho investimenti in rand, tengo swappati i ricavi da export verso Sudafrica e soprattutto i crediti.

Real brasiliano (-0.94% a 2.589 contro dollaro):

(18)

Mini-panico in occasione delle elezioni, poi reazione

"tecnica", poi nomine ministeriali di moderati "per rassicurare i mercati"... niente, il real riprende a scendere.

A medio termine: ha ripreso il ribasso dopo una pausa/rimbalzino estivo, peggiorando ampiamente i minimi della primavera e dando, sotto 2.40, segnali di possibile (conferma sotto 2.60) ripresa del ribasso di lungo/lunghissimo termine.

2.60 è un fortissimo ostacolo, qui può avvenire una pausa (accennata dieci giorni fa),

ma se Borsa e bond confermano il reale può puntare a 3.00 nel 2015 e 4.00 successivamente.

La Borsa è debole ma non ancora in picchiata; a 51993 non intacca ancora 50000 (allarme rosso, con obiettivo immediato a 45000 poi crollo di lungo termine)

I titoli di Stato (Bond A, 103.75) sono invece decisamente deboli peggiorano i minimi recenti.

Per lungo e lunghissimo termine il real sta invertendo un rialzo (meglio: un recupero, dopo il tonfo degli anni '90) che era durato un decennio (2000Æ2008, da 4.00 a 1.50).

Quando lo scenario globale diventerà nettamente deflattivo, mi aspetto che ceda verso 3.00 poi 4.00.

Per dichiarare iniziato un ribasso poliennale mi serve il cedimento di 2.40 e la piena conferma di uno scenario di ribasso delle materie prime e delle Borse [vedi la rubrica sul Bovespa].

Operativamente: non ho investimenti in reais e ho già venduto i ricavi da export.

Rublo russo (-6.91% a 53 contro dollaro):

Qui i temi monetari e economici si saldano con la geopolitica (e sono evidenti le "voglie" russe di rivalersio su quel fronte):

a medio termine il rublo continua il crollo, negli ultimi giorni rallenta leggerissimamente, ma sostanzialmente solo per fattori "tecnici" (il tonfo è ormai quasi verticale).

Inoltre sono attese misure difensive da parte della banca centrale.

Fra queste (eccoci) ulteriori rialzi dei tassi ufficiali (possibile a breve il 13.5%).

E: in termini nominali la Borsa non è ancora nel panico (10270, occorre che cali sotto 9300 per attirare vendite anche in moneta locale).

Quindi: l'impatto sulla moneta c'è già stato, amplissimo, e può esaurirsi o rallentare.

(19)

Adesso il problema sono però debito, tenuta del sistema bancario e reazioni geopolitiche/militari.

Per lungo/lunghissimo termine: il rublo ha ripreso, con una rapidissima crisi, il suo calo poliennale - che aveva fermato per qualche anno dopo il 2008 approfittando della "crisi del capitalismo" (... cosa mi è toccato leggere, per anni... e da che fonti!).

A breve/medio il ribasso è sovraesteso, ma la debolezza di fondo è innegabile e il cedimento del rublo sotto 40 lo ha restituito al gruppo - cui legittimamente appartiene - delle

"monete deboli a periodico rischio di crisi sistemica".

Obiettivi a medio/lungo e lungo (50) già raggiunti, quindi possibili rimbalzi/pause, ma non lo tocco nemmeno con le pinze.

A proposito di "possibili reazioni geopolitiche della Russia", e di impatto creditizio e economico della crisi del rublo,

lo zloty polacco (+0.55% a 4.159 contro euro) non registra ancora tensioni legate alla crisi alle sue porte: cala contro dollaro in proporzione al resto del Mondo,

e contro euro recupera addirittura le minime perdite del paio di mesi scorsi.

Sta prevalendo a breve/medio termine l'attesa di tassi polacchi divergenti da quelli euro, che tende a rafforzare lo zloty.

Non si sgancia però da 4.15/4.20 (intorno a cui gira dall'estate scorsa), e non si vedono ancora minacce di rialzo (verso 4.00).

Al di là dei rischi legati al caso-Russia, anche se tensioni sui tassi lo mandassero verso 4.00 dubito che andrebbe poi oltre:

nel momento in cui il rialzo dei tassi fosse globale, e con i mercati emergenti globalmente sotto tiro, dubito che diventerebbe fortissimo (oltre 4.00).

Lo seguo con attenzione, ma per adesso non compro zloty.

Sempre specifica la situazione dell'Asia periferica, che però, pur mantenendo la sua forza specifica e non rimanendo coinvolta da crisi paragonabili a quella russa, sudafricana o brasiliana, negli ultimi mesi ha perso però la sua "immunità" alla forza del dollaro:

Won coreano (-0.53% a 1,113.96 contro dollaro):

A medio termine: arretra dai massimi: non mi sbilancio più di così con le definizioni: il calo, pur ampio, del won coreano, da 1020 a 1080 era servito soltanto per frenare un rialzo euforico contro dollaro,

(20)

da 1080 a 11000/1120 ha appena appena accennato a un possibile appiattimento della moneta coreana,

e solo da pochissimi giorni un attacco a 1120 suggerisce che il won potrebbe fermare il rialzo di fondo,

che in definitiva dura da 20 anni.

Di "ribasso", quindi, qua parleremo solo dopo ulteriori eventi e verifiche.

Non mi aspetto movimenti rapidissimi, il tempo di valutare lo scenario ci sarà.

A breve/medio, vediamo innanzitutto se sotto 1120 il won avrà la forza di provare un ancora modesto affondo verso 1180/1200.

(Per stime commerciali prudenziali per il 2015, potete tenere 1180/1200 come margine di sicurezza).

Solo la perdita di 1180/1200 renderebbe il won davvero

"debole" contro dollaro (rischi quindi a 1300/1400 in uno/due anni).

Fra la situazione attuale e quello scenario ci sono ancora troppi passaggi intermedi.

La Borsa coreana (1987) peraltro regge (allarme solo sotto 1900).

Non avevo comprato won in occasione della leggera euforia dei mesi scorsi, a causa dei miei dubbi sulla Cina (l'ultima volta che fu coinvolto in una crisi globale, il won arretrò dai massimi in modo violento),

ma non ho urgenza di vendere (esportatori).

Rivedrei questa posizione attendista in caso di crollo dello yen o di crisi cinese: questi due fattori potrebbero trainare al ribasso l'intera Regione.

Importatori: tengo dollari USA a copertura del rischio/euro.

dollaro di Singapore (-1.46% a 1.323),

era più debole del won coreano già nei mesi scorsi, e accelera più vistosamente il calo, ma anche nel suo caso è

"arretramento dai massimi", non "crollo conclamato".

Il calo sotto 1.30 sta fermando però il rialzo di fondo (poliennale) del dollaro di Singapore, e un attacco a 1.35 (difficile, richiede una sostanziali crisi nella Regione) comincerebbe a indebolirlo per lungo termine (obiettivi 2015/2016 a 1.50).

Aspetto questi segnali (soprattutto 1.35, con Borsa sotto 3000/2700).

(21)

Non ho dollari di Singapore, non ho ancora urgenza di vendere (esportatori).

Rivedrei questa posizione attendista in caso di crollo dello yen o di crisi cinese: questi due fattori potrebbero trainare al ribasso l'intera Regione.

Importatori: tengo dollari USA a copertura del rischio/euro.

Yuan cinese (6.152 contro dollaro):

La Cina è impegnata da un lato in un rimbalzo/rialzo di Borsa che comincia a avere connotazioni da "bolla speculativa"

(anche se solo da quindici giorni, 2600/2700 è arrivato a frenare un ribasso che durava da cinque anni - ma di questo parlerò domenica prossima. Oggi comincio a dire che Hong Kong non segue minimamente il rally),

dall'altro, ultimamente ha incassato dati economici meno che tiepidi, tali da far allentare il credito a una Banca centrale finora orientata in tutt'altra direzione.

Il risultato, per quanto ci interessa oggi, è uno yuan che

* è ancora forte sul cambio spot (6.152), ma rallenta il rallyno degli ultimi mesi (rimbalzo dalla crisi "emergente" di inizio anno e addirittura tentativo di avvicinare 6.10/6.00.

Assurdo).

* e sul cambio a termine (1510.00) non segnala più forza, e comincia a poter avvicinare livelli (attenzione: "comincia".

Ne parliamo sotto 2500) indicativi di qualche "voglia" di svalutare lo yuan.

Qualche pressione in quella direzione c'è: a cominciare dallo yen debole, e dalle continue "ricadute" delle Autorità nella tentazione di "dare un aiutino" a qualche amico in difficoltà.

La Cina però prende seriamente la necessità di ri-orientare la sua economia verso le esigenze interne, e meno verso le esportazioni.

Non è quindi interessata a una svalutazione rapida.

Il fatto che lo yuan rallenti il rialzo è già rilevante.

Tengo -2500 del cambio a termine (6.30 dello spot) come segnale di allerta in caso di debolezza più accentuata dello yuan.

Solo prezzi a un anno sotto -5000 e spot sotto 6.60 segnalerebbero "yuan debole".

Non imminente.

Yuan/euro (7.610): la specifica "debolezza" dello yuan è irrilevante davanti alla svalutazione dell'euro.

(22)

Lo yuan sale contro euro anche sopra i massimi del 2012 (7.70) nonostante non sia di per sé fortissimo. "Tecnicamente"

minaccia un decollo di lungo termine verso 7.00.

Ma il lavoro lo fa tutto l'euro. I suoi problemi, non quelli cinesi, decideranno il prezzo di yuan/euro.

Quindi: seguo la situazione europea, e uso acquisti di dollaro/euro per coprire i rischi di importazione.

(23)

Questa lettera verrà aggiornata fra una settimana o dieci giorni. Se da qui alla prossima lettera sarà necessario correggere nettamente qualche indicazione, invieremo dei brevi messaggi.

Se il lettore desidera spiegazioni, messe a punto o indicazioni pratiche su singoli punti di questa lettera, grafici o documenti relativi alle analisi può chiederli in qualsiasi momento e li riceverà a giro di fax o di e-mail. Ugualmente può segnalare se desidera che valute, indici, commodities, tassi, titoli, fondi, indicatori non trattati in questo numero della lettera vengano

aggiunti nei numeri successivi.

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