LUNED 7 Ì SETTEMBRE 2020 21,00
Perugia Chiostro della
Basilica di San Pietro
Orchestra da Camera di Perugia
Enrico Bronzi, violoncello
Fabio Ciofini, organo
La nuova Orchestra da Camera di Perugia nasce dalla pluriennale esperienza di giovani musicisti umbri nella diffusione della cultura musicale, soprattutto in relazione alle produzioni musicali rivolte ai giovani delle scuole. La collaborazione fra strumentisti attivata all’interno del progetto “Musica per crescere”, della Fondazione Perugia Musica Classica, ha portato alla volontà di creare un complesso di archi e fiati in grado di estendere l’impegno nella diffusione musicale in sede concertistica, e di mettere al servizio degli enti di produzione musicale umbri e italiani una nuova formazione che può contare su professionalità consolidate dalla collaborazione con alcune delle migliori orchestre nazionali (Accademia di Santa Cecilia, Orchestra del Teatro alla Scala, Orchestra della Toscana, Camerata Strumentale “Città di Prato”, etc.) e da una attività solistica di alto profilo. Fra i musicisti che danno vita all’Orchestra da Camera di Perugia figurano inoltre alcuni dei migliori talenti delle ultime generazioni, vincitori di concorsi nazionali e internazionali e di prestigiose borse di studio, come quelle conferite dal Premio
“Leandro Roscini”, destinato appunto a sostenere i giovani musicisti umbri.
Il debutto della formazione avviene nel settembre del 2013 con il Progetto “Penderecki 80”, presentato alla Sagra Musicale Umbra, al Ravello Festival e all’Emilia Romagna Festival, per celebrare l’ottantesimo anno di età del compositore polacco Krzysztof Penderecki, che per l’occasione ha diretto musiche da lui composte. Il concerto tenuto ad Assisi di questo programma è stato trasmesso integralmente da Radio Vaticana. Da quel momento l’attività dell’Orchestra è divenuta subito piena di impegni, portando la compagine a collaborare con importanti maestri, solisti e complessi corali (Giovanni Sollima, Nicola Piovani, Paolo Fresu, Wayne Shorter, Enrico Bronzi, Jonathan Webb, Uri Caine, Gary Graden, Filippo Maria Bressan, Stefan Milenkovich, Hugo Ticciati, Quincy Jones, John Patitucci, Fabio Ciofini, Andrea Oliva, Francesco Di Rosa, Danilo Pérez, Gregory Porter, Danilo Rea, Ares Tavolazzi, Rita Marcotulli, Gino Paoli, Corrado Giuffredi, Marco Pierobon, Brian Blade, Mark Milhofer, Daniela Dessì, Fabio Armiliato, Desirée Rancatore, Bruno Canino, Gemma Bertagnolli, Kremena Dilcheva,
Thomas Indermühle, Karl-Heinz Schütz, Coro da Camera della Filarmonica Estone, Coro S:t Jacobs di Stoccolma, Coro del Maggio Musicale Fiorentino, Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Coro della Cappella Musicale Papale di San Francesco, etc.) e ad esibirsi stabilmente in prestigiosi Festival e Rassegne (Umbria Jazz16, 17, 18 & 19, Umbria Jazz Winter #23, Umbria Jazz Spring 2017-2018, Sagra Musicale Umbra 2014-2019, Expo Milano 2015, Kusatsu Music Festival-Giappone 2014-2019, Amici della Musica di Perugia 2015- 2019, Festival delle Nazioni 2014). Dal 2015 al 2017 la formazione ha collaborato con il direttore d’orchestra Nil Venditti, e per due anni consecutivi (2015 e 2016) si è esibita per Radio 3 Rai, con due concerti trasmessi in diretta nell’ambito di “Radio 3 Europa”/Umbria Libri. Nel 2019 si è esibita per la prima volta a Napoli (l’Ass.
“Alessandro Scarlatti”) assieme al violinista Hugo Ticciati e al chitarrista partenopeo Aniello Desiderio e a Ravenna (Ravenna Musica, Stagione 2019) assieme al violinista Stefan Milenkovich.
L’Orchestra ha riscontrato molto successo con il programma
“Altissima Luce” (Laudario di Cortona), in collaborazione con Paolo Fresu, l’arrangiatore e bandoneonista Daniele di Bonaventura e il Gruppo vocale Armoniosoincanto. Il programma è stato eseguito nel 2016 sia a Umbria Jazz che per la Sagra Musicale Umbra, e successivamente a Terni (Umbria Jazz Spring), a Torino (Narrazioni Jazz), a Roma (Notte Sacra, Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola), Milano (Jazzmi, Hangar Bicocca), a Cortona (Festival di Musica Sacra), all’Aquila (Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli”) e ad Alghero (Jazz Alguer). La collaborazione con Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura è proseguita nel 2019 con una nuova produzione, “Two for Tree”, eseguita per la Sagra Musicale Umbra a Norcia e a Perugia in collaborazione con l’Associazione “Alberi Maestri” e ripresa da Umbria Jazz 20.
Sono di recente uscita le incisioni discografiche dei Concerti per flauto di Mozart (Camerata Tokyo) con Karl-Heinz Schütz, primo flauto solista dei Wiener Philharmoniker, e di “Altissima Luce” per l’etichetta Tŭk di Paolo Fresu.
Violoncellista e direttore d’orchestra, Enrico Bronzi è nato a Parma nel 1973 ed è stato ospite delle maggiori sale da concerto d’Europa, USA, America Latina e Australia, tra cui Carnegie Hall e Lincoln Center di New York, Filarmonica di Berlino, Konzerthaus di Vienna, Mozarteum di Salisburgo, Filarmonica di Colonia, Herkulessaal di Monaco, Filarmonica di San Pietroburgo, Wigmore Hall e Queen Elizabeth Hall di Londra e Teatro Colón di Buenos Aires.
La sua ricca esperienza da solista l’ha portato a imporsi in importanti concorsi internazionali e collaborare con grandi artisti come Martha Argerich, Alexander Lonquich, Gidon Kremer, e complessi quali il Quartetto Hagen, la Kremerata Baltica, Camerata Salzburg e Tapiola Sinfonietta.
L’attività da solista di Enrico Bronzi si affianca a quella, altrettanto intensa, con il Trio di Parma, ensemble che ha fondato nel 1990 (e presente per la prima volta nella programmazione di Perugia già nel 1993) e si completa e arricchisce con la didattica. Dal 2007, infatti, è professore all’Universität Mozarteum Salzburg.
Enrico Bronzi non è solo un attivissimo musicista, ma anche un divulgatore in ambito musicale. La sua capacità di trasmettere in modo semplice (ma non banale) l’amore e la comprensione della musica è l’elemento che lo contraddistingue, con l’obiettivo di dare a un pubblico sempre più ampio strumenti per favorire un ascolto consapevole della musica e favorire una crescita culturale. Questa sua vocazione la trasporta anche nei Festival dei quali è stato direttore artistico: il Festival internazionale di musica di Portogruaro, che ogni anno porta grandi artisti della musica classica nella piccola cittadina veneta; la storica e prestigiosa Società dei Concerti di Trieste; e la rassegna musicale internazionale “Nei Suoni dei Luoghi”, che promuove annualmente nuove generazioni di musicisti.
Da novembre 2018 è direttore artistico della Fondazione Perugia Musica Classica.
Fabio Ciofini ha studiato organo, pianoforte e fortepiano al Conservatorio di Perugia rispettivamente con Wijnand Van de Pol, Maria Flaminia Spaventi e Claudio Veneri e clavicembalo presso la Scuola di Musica di Fiesole con Alfonso Fedi. Ha continuato i suoi
studi in Organo presso il Conservatorio di Amsterdam con Jacques Van Oortmerssen ottenendo nel 1999 il “Post-Graduate” in musica barocca. Nel 1995 è stato nominato Organista titolare presso la Collegiata di S. Maria Maggiore in Collescipoli sull'organo barocco Willem Hermans (1678). Tiene regolarmente concerti e masterclass in Italia, Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone ed è sovente ospite dei più importanti Festival di musica antica: Lufthansa Festival, Oude Muziek-Utrecht, Vantaa Baroque Festival, Javea, Spagna (International Baroque Music Festival), California State University of Chico, Arizona State University of Phoenix e Washington State University of Seattle (masterclass di organo), Oundle International Festival, England (masterclass di organo), Conservatori di Pamplona, Banska Bvstrika e altri ancora. Ha registrato e suonato in diretta radiofonica per le più importanti radio nazionali europee (BBC, ZDF, YLE, RAI etc).
Le sue interpretazioni della musica antica e barocca riscuotono larghi consensi. Fabio Ciofini è attivo anche come direttore e concertatore.
Incide per la Bottega Discantica-Milano, per la Loft Recordings- Seattle, la Brilliant Classics (Amsterdam) e Glossa (Madrid). È direttore dell’Accademia Hermans, con la quale ha lavorato con i più grandi solisti: il violinista Enrico Gatti, il soprano Roberta Invernizzi, il fortepianista Bart van Oort (con il quale ha inciso i Concerti KV 466 e 467 di Mozart per pianoforte e orchestra, giudicato dalla critica
“eccezionale” - 5 stelle, rivista Musica) etc. Il suo disco dell’opera IV di Corelli registrato con I’Ensemblc Aurora (Glossa) ha vinto il
“Diapason d’oro” e il Premio della “Deutschen Schalllplattenkritik".
insegna tastiere storiche presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali
“G. Briccialdi” di Terni. Dal 2010 è Direttore Artistico della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli di Solomeo. Di recente è stato nominato Direttore Artistico del Festival Segni Barocchi di Foligno.
George Frideric Handel Halle 1685 - Londra 1759
Concerto [n. 13] in fa maggiore per organo e orchestra, “Il cucù e l’usignolo”
Larghetto - Allegro - [Organ ad libitum] - Larghetto - Allegro 12’ ca Franz Joseph Haydn
Rohrau 1733 - Vienna 1809
Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello e orchestra Hob. VIIb:2 Allegro moderato - Adagio - Rondò. Allegro
25’ ca Wolfgang Amadeus Mozart
Salisburgo 1756 - Vienna 1791
Sinfonia n. 30 in re maggiore, K. 202
Molto allegro - Andantino con moto - Menuetto & Trio - Presto 18’ ca
George Frideric Handel
Concerto in fa maggiore per organo e orchestra, “Il cucù e l’usignolo”
“Un tocco fine e delicato, dita volanti e una brillante esecuzione dei passaggi più difficili [...] Quando eseguiva un concerto per organo, normalmente il suo metodo era quello di cominciare coi Diapason suonando un movimento in stile di voluntary che soggiogava l’orecchio col suo incedere lento e solenne. Grande cura aveva dell’armonia, che era espressa nella maggior pienezza possibile. I passaggi erano concatenati con arte stupenda, sì da conferire al tutto una perfetta intelligibilità, ma dando nello stesso tempo un’impressione di grande semplicità. A questo tipo di preludio seguiva il concerto vero e proprio, eseguito con uno spirito e con una sicurezza che nessuno ha mai provato a eguagliare”.
È la testimonianza dello storiografo John Hawkins nel 1776, ricordando l’amico Handel nell’atto di esibirsi nei suoi Concerti per organo e orchestra a Londra. Il “sassone” - cittadino britannico dal 1727 - era residente a Londra dal 1711 e per oltre un quarto di secolo aveva deliziato gli appassionati del teatro lirico con ben 28 opere, dal Rinaldo del 1711 al Serse del 1738.
Ma nei primi anni ’30 il pubblico londinese - esasperato dai recitativi interminabili in lingua straniera - iniziò a voltare le spalle all’opera italiana, e Handel ebbe la felice intuizione di preparare degli “oratori”
in lingua inglese su soggetti sacri, ottenendo un successo sempre crescente tra il 1732 e il 1736 con lavori come Esther, Deborah, Athalia e Alexander’s Feast. E a ornamento delle serate, iniziò a eseguire dei Concerti per organo e orchestra tra un atto e l’altro, pagine che nel giro di pochi anni costituirono una delle attrattive principali degli oratori, dei virtuosismi strumentali che rispecchiavano quelli vocali degli evirati degli anni precedenti (quei “costosi canarini” - come li bollò il drammaturgo Colley Cibber - con i quali l'irascibile Handel finì immancabilmente per litigare). Da questa consuetudine nacquero le pubblicazioni dell’editore John Walsh: i sei Concerti op. 4 del 1738;
altri sei Concerti - tra cui il Concerto odierno - senza numero d’opera nel 1740 (ma quattro erano trascrizioni dei Concerti grossi op. 6); e altri sei Concerti op. 7 nel 1761, due anni dopo la morte del musicista,
sorta di “pot pourri” assemblato liberamente dall’editore tra movimenti originali e arrangiamenti ripresi da altri brani strumentali.
Il Concerto di questa sera, generalmente catalogato come il “n. 13”, deve la sua fama al sottotitolo “Il cucù e l’usignolo” - una trovata dell’editore Walsh nel 1761 - che descrive con umorismo i deliziosi cinguettii del secondo movimento (Allegro), riservati per la maggior parte all’organo. Da documenti dell’epoca, sappiamo che il Concerto venne eseguito per la prima volta durante la prima esecuzione dell’oratorio Israele in Egitto nell’aprile 1739. La forma del Concerto ricalca quella in quattro movimenti del concerto grosso corelliano, piuttosto che quella tripartita di Vivaldi: un Larghetto introduttivo che richiama l’attenzione del pubblico, un primo Allegro per i volatili, un secondo Larghetto (in tempo di “siciliana”, 6/8) e un Allegro conclusivo di grande vitalità. Ma Handel era Handel, e non rinunciò a frequenti momenti di improvvisazione: congedati il cucù e l’usignolo - e prima del secondo Larghetto - si limitò a scrivere, a modo di promemoria, le parole “Organ ad libitum”, invito molto gradito da Fabio Ciofini questa sera.
Franz Joseph Haydn
Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello e orchestra
La vasta produzione strumentale e vocale di Haydn - sinfonie, quartetti, trii e sonate, ma anche messe, oratori e opere teatrali - ha avuto la tendenza di distrarre l’attenzione dell’ascoltatore dai suoi Concerti per strumento solista, un numero pur corposo di oltre venti pagine. Se gran parte dei lavori per fortepiano furono create per uso personale, quelli per violino e per violoncello vennero destinati agli eccellenti strumentisti - tra i quali il violinista pesarese Luigi Tomasini - che all’epoca fecero parte dell’orchestra di corte di Esterháza, ove Haydn rimase al servizio come Kapellmeister per quasi trent’anni, dal 1761 al 1790.
I Concerti per violoncello - quelli perlomeno di sicura autenticità - sono due, scritti a distanza di vent’anni per le prime parti dell’orchestra, il primo per Joseph Weigl intorno al 1763 e il secondo, quello odierno in re maggiore, per Anton Kraft nel 1783. Pubblicato
nel 1804, il manoscritto andò smarrito, e la paternità del brano fu attribuita più volte allo stesso Kraft - compositore anch’egli - per oltre un secolo e mezzo, finché l’autografo non venne alla luce nel 1951.
Per inciso, è opportuno ricordare che, come strumento, il violoncello si era imposto soltanto nei primi decenni del Settecento (prendendo il posto del violone e della viola da gamba) e che la sua letteratura era ancora molto limitata, se si eccettuano i Concerti di Vivaldi a Venezia e quelli di Boccherini nella lontana Spagna. Esperto violinista, ciò nondimeno Haydn si fece consigliare nella scrittura anche dallo stesso Kraft, noto in maniera particolare per la sua grande abilità nel registro acuto (qualità che si noterà vent’anni più tardi anche nel Triplo Concerto di Beethoven, destinato a sua volta a Kraft, trasferitosi a Vienna dopo lo scioglimento dell’orchestra di Esterháza).
Rispetto al primo Concerto, che aveva ricalcato forme barocche e
“ritornellate”, con i suoi contrasti tra soli e tutti, il secondo Concerto presta più attenzione alla forma-sonata, con due temi esposti dall’orchestra nell’Allegro moderato iniziale che vengono subito elaborati con grande virtuosismo - con numerose note doppie - dal solista, il primo nel registro più acuto, il secondo in quello grave (e con l’indicazione “Sulla corda G”, sicuramente richiesta dal puntiglioso Kraft).
È il solista a presentare il motivo principale dell’Adagio successivo, in la maggiore, sorta di rondò “in miniatura”: tre esposizioni del tema da parte del violoncello, intervallate da due episodi intermedi (il secondo migra brevemente in minore), il tutto di una grande cantabilità, a ricordarci che il 1783 fu anche l’anno dell’opera teatrale maggiore di Haydn, l’Armida.
E quindi il delizioso Rondò finale (Allegro) in un danzante 6/8, dal sapore vagamente popolare, il cui tema è introdotto subito dal solista.
Al centro del movimento, Haydn modula a re minore per un lungo episodio virtuosistico (con passaggi per terze e per ottave), prima dell’animata conclusione.
Da quasi settant’anni, il Concerto - “ripulito” da quelle accrezioni pseudo-romantiche accumulatesi nel corso degli anni - è rientrato nel repertorio di ogni violoncellista di spessore, e le cadenze di questa sera sono dello stesso Enrico Bronzi.
Wolfgang Amadeus Mozart Sinfonia n. 30 in re maggiore K. 202
All’ascoltatore generale sono familiari le ultime sei o sette Sinfonie di Mozart - dalla Linz, la Haffner e la Praga, fino al grande trittico finale del 1788 - mentre gli sarà meno nota quella lunga serie di “Sinfonie”
(dette “salisburghesi”) alle quali il musicista si dedicò negli anni giovanili, sin dal periodo passato a Londra - all’età di soli otto anni - sotto l’occhio benevolo di Johann Christian Bach. Sinfonie tra virgolette, perché all’epoca - e fino ai tempi di Rossini - il termine era spesso sinonimo dell’“Ouverture all’italiana”, una breve pagina tripartita (veloce-lento-veloce), che era solita introdurre un’opera teatrale.
Tuttavia, a metà degli anni ’70 del Settecento, la forma strutturale della Sinfonia era in uno stato continuo di evoluzione e di
“codificazione”, grazie in gran parte al lavoro instancabile di Joseph Haydn alla corte di Esterháza, il quale nel 1774 completò la sua Sinfonia n. 60. E possiamo immaginare che il fratello di Joseph, Michael - presente a Salisburgo dal 1762 e futuro Hofmusikus e Konzertmeister della corte - abbia tenuto Mozart al corrente delle pagine più recenti del fratello. Poco per volta, da una pagina in tre movimenti la Sinfonia si stava ampliando in una in quattro tempi, con l’inserimento di un Minuetto - che con Beethoven diventerà uno
“Scherzo” -, generalmente a precedere il movimento conclusivo.
È con la Sinfonia n. 29 K. 201 (aprile 1774) che notiamo l’inclusione di un Menuetto, ed è un’innovazione continuata da Mozart nella pagina immediatamente successiva, l’odierna Sinfonia n. 30 in re maggiore, portata a termine appena un mese più tardi, il 5 maggio 1774.
L’attenzione del musicista diciottenne alle regole tecniche dell’epoca - il contrasto tra i due temi della forma-sonata e il loro trattamento contrappuntistico - è ineccepibile. Motivi vigorosi e concisi, come quello “marziale” del Molto allegro iniziale (in un tempo ternario, 3/4, inconsueto per un movimento introduttivo), si alternano ad altri più lirici, come il secondo tema - dal sapore di un Ländler popolare - in la maggiore, tonalità in cui si svolge il movimento successivo Andantino con moto, quasi una “Gavotta”, quando tacciono i fiati e gli ottoni.
L’elegante Menuetto è intercalato da un breve Trio dai ritmi sincopati, nuovamente per i soli archi, mentre lo scattante Presto finale riserva più di una sorpresa: due “esclamazioni” dissonanti all’inizio della seconda parte, e una Coda deliziosa che, contro tutte le aspettative, si spegne in piano. Movenze di danza - il Ländler, la Gavotta, il Minuetto, la Contraddanza - che fanno il loro ingresso nel regno della Sinfonia
“da concerto”.
Oltre agli archi, l’organico della Sinfonia n. 30 prevede due oboi, fagotto, coppie di corni e di trombe e timpani.
Per motivi che ignoriamo, passarono altri quattro anni prima che Mozart rimise mano al genere della Sinfonia: la n. 31 - priva di un Minuetto - verrà preparata nel giugno 1778 appositamente per i gusti
“galanti” di un pubblico parigino, mentre la strada verso la piena maturità verrà aperta dalla Sinfonia detta “Linz” nel 1783.
Andrew Starling
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