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STEATOSI EPATICA E STEATOEPATITE NON ALCOLICA

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INTRODUZIONE

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Capitolo 1

STEATOSI EPATICA E STEATOEPATITE NON ALCOLICA

1.1 Steatosi epatica: caratteristiche e fisiopatologia

Nel fegato di un soggetto normale i grassi presenti costituiscono circa il 20% del suo peso: di questi il 5% è rappresentato da grassi liberi, principalmente trigliceridi, mentre il resto è formato da lipidi di membrana. Quando la quantità di grassi supera il valore fisiologico si possono manifestare anomalie e disfunzioni a livello epatico.

La steatosi è una delle patologie epatiche più diffuse ed è caratterizzata da un accumulo di grassi liberi che causa una serie di danni nel fegato e può portare a necrosi e apoptosi cellulare (Brunt E. M., 2001).

nel fegato può avvenire in forma macrovescicolare o microvescicolare, pertanto si possono distinguere due tipi di steatosi.

Nella steatosi macrovescicolare, che è la più comune, i grassi sono inizialmente contenuti in vescicole localizzate sulla superficie sinusoidale di una lamina di epatociti, successivamente le vescicole si ingrandiscono e si fondono in un unico globulo che può dislocare lateralmente il nucleo e le altre strutture cellulari.

Queste alterazioni si per

coinvolgere infine la zona 2 e la zona 1.

Questo tipo di steatosi può essere favorita da diverse condizioni: consumo eccessivo di alcol, obesità, by-pass digiuno-ileale o gastroplastica, malattie metaboliche, altre patologie quali AIDS o epatite cronica da HCV, dimagrimento rapido, utilizzo di alcuni farmaci (Sanyal A. J., 2002).

Il consumo eccessivo di alcol è uno dei fattori che più comunemente si associano alla steatosi epatica, ma in questi casi generalmente la patologia regredisce entro 4 settimane dalla sospen

importante fattore di rischio: circa il 90% dei soggetti fortemente obesi (peso corporeo che eccede del 70% rispetto al peso ideale) presenta infatti steatosi epatica. Anche in questo caso le alterazioni epatiche sono benigne, non progressive, ed un calo del peso corporeo è solitamente accompagnato dal miglioramento del quadro

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Il by-pass digiuno-ileale e la gastroplastica, interventi praticati nel trattamento

pensa che la malnutrizione proteico-

proliferazione batterica nel segmento intestinale escluso, possano svolgere un ruolo nella patogenesi.

Nel caso del by-pass digiuno-ileale, la condizione è reversibile ripristinando la continuità con il segmento intestinale escluso.

Anche malattie metaboliche come diabete mellito di tipo 2, dislipidemie, ipertrigliceridemia, galattosemia, intolleranza al fruttosio e malattie metaboliche

steatosi.

Altre condizioni predisponenti sono la presenza di patologie come AIDS ed epatite cronica da HCV, dimagrimento rapido e utilizzo di farmaci come metotrexato, amiodarone, tamoxifene e glucocorticoidi.

La steatosi microvescivolare è caratterizzata dalla presenza di accumuli di grasso sotto

che è localizzato centralmente.

Ognuna delle due forme di steatosi può avere una propria eziologia ed una propria prognosi, anche se non sono rari quadri clinici in cui le due siano associate. In generale la macrovescicolare è per lo più benigna e determinata da molti fattori, mentre la microvescicolare è meno frequente e ha una prognosi peggiore perché comporta disfunzione mitocondriale e profonde alterazioni metaboliche (Burt A. D. et al., 1998).

Come detto, le cause dello sviluppo della steatosi epatica possono essere molto diverse fra l

possono essere distinte tre grandi categorie:

1- steatosi epatica da aumentato apporto di grassi 2- steatosi epatica da ridotto smaltimento di grassi

3- steatosi epatica da aumentata sintesi endogena di grassi.

Le steatosi da aumentato apporto di grassi solitamente si sviluppano negli individui che assumono una dieta iperlipidica oppure a seguito di un incremento della mobilizzazione degli acidi grassi non esterificati, che può essere dovuto a diversi fattori come

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Gierke.

Le steatosi da ridotto smaltimento di grassi possono essere causate da ipossia, dieta ipoproteica, difetti nella sintesi delle apolipoproteine, eccesso di niacina, carenza di colina o di vitamina B12, diabete e by-pass digiuno-ileale.

Infine, le steatosi da aumentata sintesi endogena di grassi possono essere favorite o eccessivo di alcol (steatosi alcoliche).

La steatosi non è sempre associata ad un danno epatico grave, però in una piccola

un processo infiammatorio (steatoepatite) associato a tutta una serie di lesioni epatocitarie.

ssere innescata da abuso di alcol e quindi si parla di steatoepatite alcolica (ASH), oppure da cause diverse per cui si parla di steatoepatite non alcolica (NASH) (Scaglioni F. et al., 2011).

1.2 Steatosi epatica non alcolica (NAFLD) 1.2.1 Epidemiologia e storia naturale

Le steatosi epatiche non alcoliche (NAFLD- non alcoholic fatty liver diseases) sono un gruppo di patologie che si accomunano per la presenza di steatosi epatica in assenza di un consumo eccessivo di alcol e rappresentano la forma più comune di malattia epatica (Ludwing J. et al., 1980). Stimare la vera prevalenza e incidenza della NAFLD è complesso perché è una patologia spesso asintomatica e perché mancano metodiche diagnostiche accurate e non invasive (Lam B. and Younossi Z. M., 2010). La prevalenza della NAFLD può essere valutata attraverso tre tipi di studi:

1- Studi autoptici sulla popolazione generale, che non sempre consentono di discriminare tra NAFLD ed altre patologie che possono provocare lesioni epatocitarie simili (AFLD) (Sanyal A. J., 2002).

2- Studi ecografici condotti sulla popolazione generale, che permettono di identificare un sovraccarico di grasso intraepatico ma non consentono di fare diagnosi di NASH (Sanyal A. J., 2002).

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3- Studi bioptici che si avvalgono di indagini istologiche eseguite in pazienti che presentano un aumento cronico delle transaminasi in assenza di altra diagnosi (Sanyal A. J., 2002).

Studi autoptici mostrano che la prevalenza delle NAFLD nella popolazione generale dei paesi industrializzati varia dal 20% al 25%, studi ecografici mettono in evidenza invece che la prevalenza della steatosi è compresa tra il 15% e il 60%. La NAFLD può colpire individui di qualsiasi età, ma con maggior frequenza insorge intorno ai 40 anni negli uomini e ai 60 anni nelle donne (Ruhl C. E. and Everhart J. E., 2003).

Mentre inizialmente sembrava essere maggiormente affetto il sesso femminile, studi recenti hanno descritto che la prevalenza della NAFLD sia pari o addirittura maggiore negli uomini rispetto alle donne (Clark J. et al., 2002; Shifflet A. and Wu G. Y., 2009). I dati epidemiologici sembrano evidenziare un incremento dei casi tra i bambini, in A., 2005; Vajro P. et al., 2012).

La storia naturale della NAFLD ha iniziato a risultare anni.

Nella maggior parte dei casi non progredisce verso una malattia epatica avanzata e sembra che il rischio di progressione dipenda dal sottotipo istologico di steatoepatite.

Generalmente infatti, nei pazienti con una blanda steatosi, la malattia segue un decorso -2% di sviluppare cirrosi epatica entro 15-20 anni. La NASH rappresenta una condizione molto più grave poiché in grado di progredire verso cirrosi, insufficienza epatica ed epatocarcinoma con un rischio che varia dallo 0% in 5 anni al 12% in 8 anni (Dam-Larsen S. et al., 2004; Adams L. A. et al., 2005).

Da alcuni studi emerge che i pazienti affetti da NAFLD solitamente presentano un rischio maggiore di mortalità rispetto a pazienti che non sono affetti da questa patologia (Ong J. P. et al., 2008; Ong J. P. and Younossi Z. M., 2007) e che tale rischio è da associarsi alla sindrome metabolica e insulino-resistenza, condizioni che molto spesso accompagnano la NAFLD (Ong J. P. and Younossi Z. M., 2007).

Da molti studi risulta che, rispetto alla popolazione generale, per i soggetti affetti da olica (Adams L.

A. et al., 2005): questo rischio è dovuto alla presenza di fattori collegati allo sviluppo della sindrome metabolica come ipertensione e insulino-resistenza; pazienti nei quali la NAFLD è associata al diabete mellito di tipo 2 hanno maggior rischio di mortalità

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correlata a disfunzioni epatiche, rispetto agli altri soggetti affetti da NAFLD (Rafiq N.

et al., 2009); pazienti in cui la NAFLD è progredita verso la cirrosi hanno la stessa percentuale di rischio di sviluppare carcinoma epatocellulare dei pazienti con cirrosi sviluppata con diversa eziologia.

1.2.2 Patologia e progressione del danno epatico

Nel 1998, sulla base dei dati clinici e sperimentali disponibili, è stato proposto un modello di patogenesi della NAFLD definito two hits model (Day C. P. and James O.

F. W., 1998). Esso descrive la patogenesi come articolata in due fasi, in cui la prima

livello cellulare, infiammazione e fibrosi. Il secondo step si ha per presenza di stress ossidativo, perossidazione lipidica ad esso associata ed azione di citochine pro-

-resistenza, gli diposo e lo stress del reticolo endoplasmatico, che può essere associato al secondo step di patogenesi e determinare danno epatico.

di morte cellulare epatocitaria, caratterizza la fase avanzata di steatosi epatica non alcolica (NASH) (Feldstein A. E. et al., 2003).

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Insulino-resistenza e steatosi Il primo step,

lipolisi ed il rilascio di acidi grassi liberi nel fegato (Figura 1), è dovuto ad una combinazione di fattori genetici ed acquisiti. Il ino-resistenza gioca un ruolo fondamentale in questa fase perché è una caratteristica che si riscontra

sempre nei casi recettori specifici presenti sulla

membrana plasmatica delle cellule: a livello molecolare sono glicoproteine eterotetrameriche, costituite

hanno sul lato citosolico un dominio dotato di attività tirosin chinasica (Marino-Buslje C. et al., 1999). Il legame insulina-recettore dà il via ad di diverse proteine bersaglio: le subunità una auto-fosforilazione su alcuni residui di tirosina del dominio

citosolico che del recettore e crea siti di

legame per proteine che si associano

ina (IRS). Una volta associatasi, la IRS viene fosforilata su molti residui di tirosina, creando siti di legame per proteine con -3 chinasi (PI3K) e la proteina legante i recettori dei fattori di crescita (

importanti vie di trasduzione del segnale: la via Grb2-Sos-Ras-MAPK e la via PI-3k- PkB (Akt). La condizione di insulino-resistenza è dovuta

produrre i suoi effetti biologici a livello cellulare, di tessuto e di organo e può essere causata da vari fattori come

o della quantità di tr

di acidi grassi liberi. Questa resistenza primaria porta ad iperinsulinemia ed è associata

grassi (obesità viscerale o intraddominale), ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, incremento delle LDL (low density lipoprotein), diabete mellito di tipo 2, ipertensione arteriosa, resistenza dei t Chitturi S. et al., 2002; Pagano G.

et al., 2002) -resistenza correla

con la severità del danno epatico in pazienti con diabete mellito di tipo 2 (Matteoni C.

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A. et al., 1999). Alcuni autori dimostrano che la presenza del diabete può essere utile per identificare pazienti affetti da steatosi epatica non alcolica (Angulo P. et al., 1999), a -resistenza giochi un ruolo patogenetico nello sviluppo della NAFLD (Medina J. et al., 2004). Sono stati descritti alcuni meccanismi implicati -resistenza che includono sia fattori acquisiti sia fattori ereditari (Maddux B. A. et al., 1995; Reynet C. and Kahn C., 1993) (Figura 1). É stato

cronica della chinasi

ne pro-infiammatorie, determina insulino-resistenza (Yuan M. et al., 2001).

iamenti mediati da nsulina IRS-1, distruggendo così il

signaling ina al suo recettore (Yuan M. et al.,

2001). attivato da due tipi di stimoli: il primo è rappresentato da un incremento dello stress ossidativo epatico determinato da varie cause tra cui un aumento acidi grassi liberi (FFA) a livello di mitocondri, perossisomi e/o microsomi (attraverso il complesso del citocromo P450); tale aumento è il risultato di alcol o di

alcuni farmaci, o di -ossidazione degli

acidi grassi. Il secondo tipo di -

, che

Inoltre, la stimolazione da par -1 può essere

-terminale della chinasi c-Jun e da varie isoforme della protein chinasi C (Neuschwander-Tetri B. A. and Caldwell S., 2003).

I dati sperimentali un ruolo di fondamentale

-resistenza provengono da studi condotti su topi knock-out per ,

dieta ricca di grassi (Uysal K. T. et al., 1997). É da n

TN el tessuto adiposo in pazienti con NAFLD, dove i (Crespo J. et al., 2001). insulina si sviluppa inizialmente a livello del tessuto adiposo (insulino-resistenza periferica) dove promuove la degradazione dei

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trigliceridi in FFA, che sono poi rilasciati nel circolo sanguigno e trasportati al fegato; il loro accumulo è sufficiente per determinare insulino-resistenza epatica (Jensen M. D. et al., 1989). Nei soggetti in sovrappeso che vanno incontro ad una perdita di peso rapida e sproporzionata si osserva un fenomeno simile (Wanless I. R. and Lentz J., 1990).

Diversi studi hanno messo in evidenza che il tessuto adiposo viscerale e centrale rivestono un ruolo di maggiore importanza rispetto a quello periferico nel rilascio di FFA e nella formazione del fegato steatotico (Chitturi S. et al., 2002; Marchesini G. et al., 2001). La causa potrebbe essere una minore secrezione di leptina e il fatto che il grasso derivante da questi tessuti ha accesso diretto al fegato, attraverso il sistema portale (Arner P., 1998).

e dello stress ossidativo in alcune patologie epatiche è la dieta (Mezey E., 1998). Solitamente, la dieta dei pazienti affetti da NAFLD è ricca di grassi insaturi e colesterolo, ma povera di grassi polinsaturi, fibre, vitamine C ed E. Gli elevati livelli di grassi insaturi nella dieta

sono collegati ad una bass elevati di trigliceridi

postprandiali e ad altri aspetti della sindrome metabolica (Musso G. et al., 2003).

Livelli troppo elevati di FFA possono essere dannosi per il fegato ed indurre diversi processi che comprendono la sintesi de novo di cerammide, che può causare apoptosi, lo forilazione intracellulare, e la perossidazione lipidica. In condizioni normali il fegato è in grado di far fronte alla tossicità indotta dagli FFA promuovendo la loro esterificazione a -ossidazione o la sintesi ed il rilascio di VLDL. Il recettore nucleare

in questi processi po i

FFA ed i loro metaboliti sono ligandi di questo fattore di trascrizione) e induce un

aumento del -ossidazione mitocondriale (Galli A.

et al., 2001). Alcuni studi (Berson A. et al., 1998; Kaplan L. M., 1998) hanno messo in

1- incr i FFA e della formazione di trigliceridi,

2- incremento della glicolisi e della sintesi degli acidi grassi, 3- inibizione della -ossidazione,

4- ridotto rilascio di trigliceridi sottoforma di VLDL.

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L, diminuisce in caso di NAFLD (Musso G. et al., 2003), inoltre, i pazienti affetti da tale patologia mostrano ipertrigliceridemia in situazioni di digiuno e postprandiali e ciò comporta un maggiore accumulo di grassi a livello epatico. Queste alterazioni del metabolismo lipidico contribuiscono a trasformare un fegato sano in uno steatotico, che sarà particolarmente suscettibile a diventare resistente al

2001).

Progressione del danno epatico e sviluppo della steatoepatite non alcolica (NASH)

In una minoranza dei casi di NAFLD si ha la progressione alla seconda fase della

patologia, nella quale si lesioni istologiche

caratterizzate da flogosi, necrosi epatocellulare e fibrosi: le lesioni sono simili a quelle della malattia alcolica del fegato (AFLD- alcoholic fatty liver diseases), ma si presentano in assenza di un consumo eccessivo di alcol. La steatosi sensibilizza gli

epatociti o frequente di morte

cellulare (Rashid A. et al.,1999; Unger R. H. and Orci L., 2002). Studi autoptici mostrano come la prevalenza della NASH nella popolazione generale dei paesi industrializzati vari dal 2 al 5%, con una distribuzione differente tra obesi e normopesi:

3% nelle persone senza sovrappeso e 15-20% nelle persone obese (Sanyal A. J., 2002).

La NASH, pur avendo un decorso clinico generalmente asintomatico, può evolvere verso cirrosi ed insufficienza epatica. Da qui la necessità di eseguire una biopsia epatica sia per la definizione diagnostica che per la valutazione della potenziale progressione della malattia. Si può dire che la NASH sia la complicanza necroinfiammatoria della steatosi semplice e possiamo così riassumere le principali caratteristiche istologiche che la contraddistinguono:

1- Steatosi. Affinché possa essere fatta diagnosi istologica di steatoepatite, la steatosi deve interessare almeno il 10% degli epatociti. Essa è tipicamente macrovescicolare e nei casi più severi può associarsi a steatosi microvescicolare, con piccole gocce disposte perinuclearmente. La steatosi può essere diffusa o interessare la sola zona pericentrale.

Il grado di steatosi in genere è più marcato rispetto alla forma alcolica e correla con della circonferenza addominale (Kral J. et al.,

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1993; Bellentani S. et al., 1994)

2- Flogosi. Costituita da cellule mononucleate e neutrofili, in genere è di grado lieve;

sede intralobulare anche se nella forma infantile può essere situato negli spazi portali (Brunt E. M., 2001). A livello portale si possono evidenziare lipogranulomi, espressione di una risposta tissutale alla presenza di lipidi.

3- Necrosi epatocitaria. Si può sviluppare in due forme distinte:

a) degenerazione balloniforme, causata da un accumulo di matrice endocellulare che determina il rigonfiamento degli epatociti i quali presentano un citoplasma finemente granulare;

b) degenerazione acidofila, caratterizzata dalla presenza di corpi acidofili che derivano dalla morte apoptotica degli epatociti e composti da frammenti di

citopl . I corpi di Mallory,

di più frequente riscontro nella forma alcolica, si evidenziano anche nella NASH con una frequenza variabile dal 9 al 90% delle biopsie (Matsuzawa Y. et al., 1995). I corpi acidofili sono in genere presenti a livello della zona 3 del lobulo e azione chemiotattica nei confronti dei neutrofili, che di conseguenza di accumulano attorno alle cellule interessate (processo di Frequentemente si riscontra la presenza di nuclei glicogenati nella NASH, mentre sono rari nella forma alcolica (Ludwing J. et al., 1980;

Matsuzawa Y. et al., 1995; Nieves D. J. et al., 2003). I mega-mitocondri, con inclusioni cristalline, di cui non è ancora noto il significato, non presentano valenza diagnostica (Bugianesi E. and Vanni E., 2002).

4- Fibrosi. In un fegato normale è presente poco tessuto connettivo, che si distribuisce soprattutto nelle aree portali e nelle pareti delle vene centrolobulari. Inizialmente la fibrosi si localizza proprio a livello di alcune aree portali, dove si ha un aumento della deposizione di collagene. Nel corso del processo fibrotico si ha il coinvolgimento di un

i ponti con creazione di collegamenti tra diverse zone portali e tra zone portali e centrolobulari. A stadi avanzati si ha la

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formazione di numerosi setti e noduli, che provocano la perdita della struttura del tessuto (tipico della cirrosi) (Ishak K. et al., 1995; Goodman Z. D., 2007).

Sono pochi gli studi a lungo termine che ci permettano di definire la storia naturale della NASH ma sappiamo che essa non può essere considerata una patologia benigna come la steatosi semplice, poiché possiede una tendenza alla progressione verso la cirrosi e

pazienti ed in un altro 15% si osserva un quadro di cirrosi; al momento della diagnosi, quindi, il 36% dei pazienti con NASH presenta già una evidenza istologica di malattia epatica severa (Matsuzawa Y. et al., 1995; Nieves D. J. et al., 2003). Le cause che determinano la progressione del danno epatico non sono state ancora completamente chiarite, ma si sa che stress ossidativo e citochine pro-infiammtorie rappresentano i principali effettori della seconda fase di patogenesi (Figura 2).

É stato suggerito che nello sviluppo della NASH possa essere coinvolta anche una predisposizione genetica (Larter C. Z. et al., 2010).

Figura 2: Fattori che promuovono la progressione da steatosi a NASH (Medina J. et al., 2004).

Stress ossidativo e perossidazione lipidica

La perossidazione lipidica mediata da ROS (reactive oxygen species) riveste un ruolo fondamentale nella patogenesi della NASH ed è responsabile della maggior parte delle

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quantità di FFA a livello epatico, soprattutto sotto forma di acil-CoA, porta - ossidazione degli acidi grassi, con aumento dei l

P., 2002). Gli FFA incrementano anche

CYP4A e CYP2E1, responsabili della produzione di ROS tramite disaccoppiamento del ciclo ossidativo (Robertson G. et al., 2001; Chalasani N. et al., 2003; Leung T. M. and Nieto N., 2012). Il quindi i suoi livelli di espressione sono più elevati in caso di insulino-resistenza periferica (Weltman M. D. et al., 1998).

La formazione dei ROS in un mezzo ricco di grassi induce perossidazione lipidica e lo sviluppo di un danno a livello delle membrane plasmatiche, degli organuli intracellulari, del DNA mitocondriale e degli elementi della catena respiratoria (Hruszkewycz A. M., 1988). I livelli dello stress ossidativo sono incrementati dai prodotti finali dello stress ossidativo stesso, in quanto questi sono in grado di attivare la sintesi, mediata da NFkB, che va a formare perossinitrito (Garcia-Monzon C. et al., 2000). I prodotti finali della perossidazione lipidica, 4-idrossi-2-nonenale (HNE) e malondialdeide (MDA), possono legarsi covalentemente alle proteine epatiche formando degli addotti in grado di innescare una risposta immunitaria potenzialmente dannosa (Albano E. et al., 2005).

HNE e MDA possono poi stimolare la sintesi di proteine della matrice extracellulare (ECM) da parte delle cellule stellate epatiche (HSC) (Zamara E. et al., 2004), possono favorire la formazione dei corpi di Mallory e stimolare la chemiotassi dei neutrofili.

Dagli studi condotti in modelli animali e in pazienti affetti da NAFLD emerge come i mitocondri rappresentino la più importante sorgente intracellulare di ROS nella NASH (Pessayre D. and Fromenty B., 2005). La disfunzione mitocondriale rappresenta un

rossidazione lipidica comporta alterazioni a livello della catena di trasporto degli elettroni, generando

(Pessayre D. et al., 2002)

fosforilazione ossidativa, risulta incrementata: questa proteina riduce la sintesi dei ROS, ma diminuisce anche i livelli di ATP, rendendo così la cellula più sensibile agli insulti esterni (Rashid A. et al., 1999), facilitando apoptosi e necrosi epatocellulare.

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Alcuni autori dimostrano che gli individui malati di NAFLD presentano disfunzioni mitocondriali (Sanyal A. J. et al., 2001; Perez-Carreras M. et al., 2003) attribuibili agli effetti sul mitocondrio, fornendo in questo modo un modello di cross-talk che per la NAFLD può mettere

pro-infiammatorie. Dagli studi di Furukawa e collaboratori (2004) risulta che nei casi di obesità lo stress ossidativo possa derivare dalla massa di tessuto adiposo a causa di un

incremento de NADPH ossidasi, con conseguente aumento di

anione superossido, e di essione dei geni antiossidanti (Furukawa S. et al., 2004). Gli autori concludono quindi che in pazienti con sindrome metabolica i ROS prodotti dal tessuto adiposo contribuiscono allo stress ossidativo sistemico, incrementando anche quello epatico.

Stress del reticolo endoplasmatico Il reticolo endoplasmatico (RE)

membrana raggiungono il corretto folding, grazie alla presenza di particolari proteine dette chaperones. Questo processo è di fondamentale importanza nella biochimica delle proteine pertanto il reticolo endoplasmatico è altamente sensibile alle alterazioni lulare. Fattori come stress (mancanza di nutrienti, infezioni virali), , o accumulo di proteine non ripiegate correttamente, provocano una risposta cellulare detta stress

trascrizione e chinasi (Ron D., 2002). I fattori di trascrizione che vengono attivati portano ad un aumento della sintesi lipidica (attraverso la via di SREBP) e alla trascrizione d

il rilascio della caspasi 12 proapoptotica dal suo inibitore TRAF2 è indotto dalla risposta allo stress del reticolo endoplasmatico. La risposta quindi è caratterizzata da un incremento della sintesi lipidica, apoptosi e insulino-resistenza indotta da JNK,

caratteristiche tipiche de sta correlata allo stress del

RE possa giocare un ruolo nella NAFLD è ancora indiretta, ma deriva da almeno due osservazioni indipendenti. Innanzitutto, lo stress del reticolo endoplasmatico è ritenuto

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un importante meccanismo coinvolto nello sviluppo di malattie epatiche indotte d col (Lluis J. M. et al., 2003). Inoltre è stato dimostrato che lo stress del RE è una -resistenza e sviluppo del diabete (Ozcan U. et al., 2004).

La causa specifica dello stress del reticolo endoplasmatico nei soggetti obesi non è ancora chiara, ma questo aspetto della patologia offre una connessione tra obesità, steatosi ed apoptosi epatocitaria e sarà importante approfondirlo con ulteriori studi.

Citochine

Le citochine pro-infiammatorie rivestono un ruolo di primaria importanza nella patogenesi della NASH e sono in grado di produrre tutte le sue tipiche caratteristiche fili (IL-

-6, IL- -resistenza epatica e sistemica associata alla NASH (Arkan M. C. et al., 2005).

NFkB

Alla famiglia NFkB (Nuclear Factor-Kappa B) appartengono una serie di fattori di trascrizione coinvolti principalmente nella risposta immunitaria, infiammatoria e in quella indotta da stress, implicati nella formazione delle sinapsi neuronali e nella regolazione di processi quali apoptosi e proliferazione cellulare (Baldwin A. S. jr., 1996). Tutte le proteine della famiglia contengono un dominio di omologia conservato, il dominio Rel, responsabile della dimerizzazione e del legame alla specifica sequenza consenso a livello del DNA. I membri di questa famiglia di proteine possono essere divisi in due gruppi in base alla presenza o meno del dominio di trans attivazione, necessario per il legame al DNA. Le proteine prive di questo dominio, come p50 e p52, per agire da fattori di trascrizione devono eterodimerizzare con quelle che lo presentano, come RelA (p65), RelB e c-Rel. I diversi membri formano omo- o etero-dimeri con funzioni ed attività trascrizionali differenti (Baldwin A. S. jr., 1996; Ghosh S. et al., 1998). Tra i target di questi fattori troviamo geni che codificano per chemochine, citochine, molecole di adesione cellulare, apoptosi e fattori di crescita.

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Con il termine NFkB ci ri -p65 che rappresenta il maggior complesso Rel/NFkB presente in molti tipi cellulari. In condizioni fisiologiche NFkB è sequestrato nel citoplasma dalla proteina inibitoria IkB

(inhibitor kappa B) che ne previene la . In

seguito a stimolazione, la proteina IkB inibitoria viene rapidamente fosforilata dal complesso chinasico IkB (IKK) e diventa substrato per ubiquitinazione e conseguente degradazione proteosomica. NFkB, libero, può a questo punto traslocare nel nucleo ed attivare la trascrizione di specifici geni target, ad esempio quelli che codificano per citochine proinfiammatorie (Figura 3) (Bellezza I. et al., 2010).

Figura 3: Modello di regolazione di NFkB (Bellezza I. et al., 2010).

in condizioni di stress ossidativo (Nagai H. et al., 2002).

suo recettore TNF-R1 dà avvio a varie cascate apoptotiche (Ding W. X. and Yin X. M., 2004). Per prima cosa, attraverso la via di DISC (death-inducing signaling complex) il legame TNF -TNF-R1 attiva la caspasi 8, che espleta la propria azione proteolitica su

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stabilizzare Bax, altro membro proapoptotico, che agisce permeabilizzando la membrana mitocondriale esterna e portando al rilascio del citocromo c dallo spazio intermembrana al citosol. Questo meccanismo innescato dalla via di DISC comporta un parziale blocco nel flusso di elettroni a livello della catena respiratoria e un incremento nella formazione dei ROS da parte dei mitocondri (Kirkland R. A. et al., 2002) che

della membrana mitocondriale interna. Attraverso questo fuoriescono dal mitocondrio anche altri fattori che inducono apoptosi, che nel citosol vanno ad attivare la caspasi 9 e dare avvio alla cascata apoptotica.

Il -TNF-R1 attiva inoltre la sfingomielinasi acida (ASMasi), che produce cerammide dalla sfingomielina, il maggior sfingolipide di membrana (Ding W. X. and Yin X. M., 2004)

- ra del poro MPT mediata da stress ossidativo (Mari M. et al., 2004).

Sorgenti intra- Tra le sorgenti intra- Kupffer.

Da uno studio di Feldstein e collaboratori, condotto su pazienti affetti da NAFLD, è -

, 2004). Questo pathway coinvolge la traslocazione di Bax nei lisosomi con conseguente destabilizzazione lisosomiale e rilascio nel citosol della catepsina B, una cistina proteasi lisosomiale, che

-6, IL- alimentati con una dieta ricca di lipidi (Cay D. et al., 2005).

Cay e collaboratori hanno osservato che le cellule di Kupffer, i macrofagi residenti nel fegato, sono attivate nel fegato di topi alimentati con una dieta iperlipdica, suggerendo che questi tipi cellulari specializzati possono rappresentare una fonte di citochine pro- infiammatorie nella NAFLD (Cay D. et al., 2005). Lo stimolo che li attiva è ancora

(18)

macrofagi (Cay D. et al., 2005).

Citochine prodotte dagli adipociti nella NAFLD

Negli obesi il tessuto adiposo è caratterizzato dalla presenza di uno stato di infiammazione cronica, dovuta a infiltrazione di macrofagi (Weisberg S. P. et al., 2003), e questo suggerisce che possa essere

pro-infiammatorie in condizioni di obesità (Wellen K. E. and Hotamisligil G. S., 2003).

Come per il fegato

a livello del tessuto adiposo, e non è ancora chiaro se la produzione di citochine pro- infiammatorie da parte di questi macrofagi sia sufficiente ad esercitare effetti endocrini

sul fegato. L di citochine pro-infiammatorie

gen portare ad una riduzione nella secrezione di

, una adipocitochina. Essa è una molecola anti-steatotica sia nel muscolo che negli epatociti e questa attività potrebbe

derivare d chinasi AMP dipendente (AMPK)

(Yamauchi T. et al., 2001); svolge anche effetti anti-infiammatori probabilmente

sopprimendo la . Nei pazienti

livello epatico sono ridotti, rispetto ai livelli in pazienti affetti da steatosi semplice (Hui J. M. et al., 2004; Kaser S. et al., 2005).

Si può riassumere quindi

ROS giochi un ruolo importante nella patogenesi della NASH.

Accumulo di ferro L

della NASH. Diversi studi hanno dimostrato una stretta

quantità di ferro intracellulare, sindrome metabolica (Fargion S. et al., 2001; Chitturi S.

and George J., 2003) e malattia epatica avanzata (Ludwing J. et al., 1997).

della cellula i livelli di Fe2+ devono essere mantenuti bassi perché questo ione interviene in particolari reazioni, come la reazione di Fenton, che portano alla formazione di specie

(19)

reattive

aumento dello stress ossidativo.

Predisposizione genetica

Molti studi presenti in letteratura individuano tutta una serie di fattori ereditari che contribuiscono ad aumentare la predisposizione a sviluppare la NASH. Tra i più diffusi ci sono alterazioni a carico dei geni implicati in processi come la determinazione della zione o il loro rilascio nel torrente circolatorio, la regolazione dei livelli del ferro a livello epatico o la sintesi di citochine (Valenti L. et al., 2002; Sazci A. et al., 2008; Anstee Q. M. et al., 2011).

Meccanismi di fibrogenesi

Tra i vari meccanismi che inducono un danno epatocitario ce ne sono alcuni che portano

matrice extracellulare come meccanismo di risposta al danno.

epatociti riveste un ruolo centrale nella progressione verso la NASH, ad essa è stato attribuito anche un ruolo nello sviluppo di fibrosi a livello epatico (Feldstein A. E. et al., 2003). Attualmente si ritiene che le cellule di Kupffer e le HSC abbiano attività fagocitaria nei confronti degli epatociti che stanno andando incontro ad apoptosi, con rado di attivare le HSC stesse (Fadok V. A. et al., 1998; Canbay A. et al., 2003). Lo sviluppo della fibrosi sarebbe dovuto anche a

mediatori non necro- -resistenza, come la

stimola direttamente la produzione

nelle HSC (Fadok V. A. et al., 1998) ed è coinvolta nello sviluppo della fibrosi epatica in modelli animali di NASH (Leclercq I. A. et al., 2002). Anche la ridotta produzione di

poiché questa esercita potenti effetti anti-fibrotici (Paradis V. et al., 2001).

e -resistenza possono avere un

ruolo fibrogenico diretto, infatti alcuni studi dimostrano come la sintesi del fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF), indotta dalle HSC, sia stimolata dal glucosio e Inoltre, il CTGF risulta maggiormente espresso nel fegato di pazienti con NASH e questa maggiore espressione correla con il grado

(20)

della fibrosi (Paradis V. et al., 2001). Un ruolo pro-fibrogenico diretto attivato dalle HSC è stato dimostra Bataller R. et al., 2003) e la norepinefrina (Oben J. A. et al., 2003), che sono secrete dal tessuto adiposo e si ritrovano ad alti livelli nel siero dei pazienti obesi.

Eccessiva proliferazione dei batteri intestinali

eccessiva proliferazione batterica in sede insorgenza di

un danno epatico (Solga S. F. and Diehl A., 2003), poiché i batteri intestinali possono incrementare lo stress ossidativo epatico. Questo può avvenire attraverso due meccanismi principali: aumentando la produzione endogena di etanolo o attraverso il rilascio del lipopolisaccaride (LPS) (Solga S. F. and Diehl A., 2003). Questi due fattori stimolano la produzione di citochine pro-infiammatorie con

dipendente (Chitturi S. and Farrell G., 2001), con le cellule di Kupffer come principali Poiché il è implicato nella patogenesi della NASH,

meccanismo protettivo per questa patologia (Pessayre D. et al., 2002).

1.3 Trattamenti classici per NAFLD e NASH

Lo scopo principale nella cura di NAFLD e NASH è quello di prevenirne la progressione a cirrosi ed insufficienza epatica (Ludwing J. et al., 1980). Nei casi in cui NAFLD o NASH sono provocate da fattori ben precisi

farmaci o la presenza di altre patologie, la fase più

importante del della

causa. Invece, nelle forme primarie di NAFLD e NASH, risultanti da un processo

nsulino-resistenza che ssi a

livello epatico, i pazienti presentano spesso varie componenti della sindrome metabolica associata ad un incrementato rischio di morbidità e mortalità cardiovascolare. In questo caso il trattamento deve avere lo scopo sia di diminuire il rischio cardiovascolare che di prevenire la progressione della malattia epatica. Fortunatamente, la maggior parte dei trattamenti mirati a ridurre la mortalità cardiovascolare in pazienti con sindrome metabolica possono essere benefici anche per la NAFLD (Cortez-Pinto H. et al., 2006).

(21)

Fino ad oggi non sono ancora stati approvati agenti terapeutici per il trattamento di steatosi e steatoepatite non alcolica, ma la maggior parte degli sforzi clinici è diretta al trattamento dei componenti della sindrome metabolica, quali obesità, diabete, ipertensione e dislipidemia. Altri sono rivolti verso specifici pathway coinvolti nella

patogenesi della NAFLD, come lo stress -

di citochine pro- (Lam B. and Younossi Z. M., 2010).

Obesità

La misura terapeutica con il miglior potenziale per il trattamento della NAFLD è la perdita di peso attraverso cambiamenti nelle abitudini alimentari associati ad attività fisica costante. Tuttavia il solo esercizio fisico e una dieta ipocalorica possono portare ad una perdita di peso limitata e spesso risulta

ottenere una diminuzione più marcata

sono due farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) che vengono utilizzati proprio per tale scopo. è un inibitore della lipasi enterica che induce una normalizzazione dei livelli delle transaminasi, riducendo steatosi epatica ed attività infiammatoria; il sibutramine invece è un inibitore del reuptake di serotonina e norepinefrina: promuove la sazietà ed incrementa il dispendio energetico stimolando la termogenesi (Ioannides-Demos L. L. et al., 2011).

Insulino-resistenza

L -resistenza è un fattore chiave nello sviluppo della patologia epatica, pertanto è stata rivolta particolare attenzione alla ricerca di composti che funzionassero da sensibilizzatori di tale ormone. I tiazolidinedioni (TZD) sono agonisti del recettore PPAR- -ossidazione degli acidi grassi epatici, diminuiscono la lipogenesi epatica e

epatico (Oh M. K. et al., 2008). La seconda generazione di tiazolidinedioni, pioglitazone e rosiglitazone sono ampiamente usati,

e diminuiscono i livelli sierici delle transaminasi (Aithal G. P. et al., 2008; Ratziu V. et al., 2008). Un altro farmaco utilizzato è la metformina che migliora la resistenza genesi epatica, la lipogenesi, degli acidi

grassi, ei lipidi nel siero.

Sembra che questo farmaco sia ben tollerato dai pazienti con NASH e che

(22)

effettivamente ne migliori i livelli sierici -resistenza (Bugianesi E. et al., 2005; Loomba R. et al., 2008).

Dislipidemia

La dislipidemia occupa un ruolo rilevante nella NAFLD: risulta di grande interesse lo studio del potenziale terapeutico di agenti in grado di abbassare il livello dei lipidi in circolo e a livello cellulare. Tra questi si possono ricordare le statine, farmaci ipocolesterolemizzanti che riducono la sintesi del colesterolo idrossimetil- glutaril-coenzima A reduttasi epatica (HMG-CoA reduttasi), ritenute utili per i pazienti che presentano patologie epatiche (Lewis J. H. et al., 2007). Alcuni lavori presenti in letteratura hanno anche valutato il potenziale terapeutico di altri agenti, come i fibrati e gli acidi grassi omega-3. Le fibre possono essere efficaci nel trattamento della NASH

poiché attivano PPAR- -C e ad un decremento

dei livelli di trigliceridi, LDL e VLDL (Fernandez-Miranda C. et al., 2008). Il trattamento con gli acidi grassi omega-3 invece può essere utile nel miglioramento delle caratteristiche biochimiche e radiologiche della NAFLD, anche se non sono stati esaminati i cambiamenti a livello istologico (Zhu F. S. et al., 2008; Cussons A. J. et al., 2009).

Stress ossidativo

Per far fronte allo stress ossidativo sono disponibili numerosi antiossidanti con potenziali effetti benefici per le patologie epatiche. Il loro potenziale terapeutico è dovuto al fatto che prevengono o riducono la formazione dei ROS, molecole che causano danno diretto a livello cellulare e attivano citochine pro-infiammatorie.

più studiato è sicuramente la vitamina E, che

il fattore di crescita che promu . In

altri studi vengono prese in considerazione altre sostanze ad azione antiossidante, come la betaina, la S-adenosilmetionina (SAM), la N-acetilcisteina (NAC) -tocoferolo.

I primi due presentano attività citoprotettiva, anti-apoptotica e anti-

al., 2007) e, come emerge da studi su animali modello, la S-adenosilmetionina ha anche proprietà anti-steatogeniche (Kwon do Y. et al., 2009). La N-acetilcisteina presenta effetti benefici in modelli animali di NAFLD, poiché aumenta i livelli del glutatione

(23)

epatico, che attenua lo stress ossidativo le citochine pro- -tocoferolo è un antiossidante che migliora la biochimica del fegato e le lesioni istologiche della NASH inibendo l

et al., 2001).

Citochine pro-infiammatorie

-infiammatoria attivata dai ROS e promuove necroinfiammazione, fibrogenesi ed apoptosi. É stato dimostrato che la pentoxifillina, un derivato della xantina, igliora le caratteristiche istologiche in modelli animali di NASH (Yalniz M. et al., 2007); nei pazienti con NASH diminuisce significativamente i livelli delle citochine pro-infiammatorie (Duman D. G. et al., 2007), i livelli delle transaminasi, e migliora il quadro clinico di steatosi e di infiammazione lobulare (Satapathy S. K. et al., 2007).

Apoptosi

L a progressione da NAFLD a NASH.

I patwhay intracellulari correlati alla cascata apoptotica sono innumerevoli, per cui esistono molti possibili target terapeutici. Anche se sono in atto vari studi sugli inibitori

sono sconosciuti (Lam B. and Younossi Z. M., 2010). Vari ricercatori hanno valutato la

presunti effetti citoprotettivi ed immunomodulatori.

(24)

Capitolo 2

MODELLO SPERIMENTALE DI NAFLD NEL RATTO

2.1 Induzione di NAFLD nel ratto con dieta iperlipidica e somministrazione di streptozotocina

Appropriati modelli animali di steatosi sono uno strumento essenziale per lo studio dei meccanismi di sviluppo della NAFLD e per testare potenziali terapie per questa patologia. I modelli più utilizzati sono i modelli nutrizionali che possono prevedere High fat diet, HFD), una dieta ricca di grassi e priva di metionina e colina (Methionine and choline deficient, MCD) (Yoshioka S. et al., 2010), una dieta ricca di colesterolo (Jeong W. I. et al., 2005) o una dieta ad alto contenuto di saccarosio e fruttosio (Kawasaki T. et al., 2009).

trattamento che induce diabete di tipo 2. É ormai universalmente accettata la presenza di una correlazione tra diabete mellito di tipo 2 e NAFLD, sebbene sia ancora in dubbio la precisa relazione di causalità tra le due patologie (Lockman K. A. and Nyirenda M. J., 2010). -resistenza rappresenta un fattore importante nello sviluppo della NAFLD, così come la presenza di steatosi epatica è frequente in soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2. É anche noto che i due processi si potenziano a vicenda (Figura 4), ma attualmente non è chiaro quale dei due insorga prima nel tempo (Larter C. Z. et al., 2010).

(25)

Figura 4: interazione tra steatosi e insulino-resistenza (Larter C. Z. et al., 2010).

Sono molte le strategie possibili da utilizzare per generare modelli animali di diabete mellito (Chatzigeorgiou A. et al., 2009): ci sono approcci genetici, approcci chimici, alcuni sono specifici per indurre diabete di tipo 1 (Type 1 diabetes mellitus, T1DM), altri per indurre il tipo 2 (Type 2 diabetes mellitus, T2DM), altri ancora possono essere usati per indurre entrambi i tipi di diabete variando alcuni parametri del trattamento.

antineoplastico usato nel trattamento chemioterapico del cancro al pancreas, la cui tossicità è diretta principalmente verso

con una dose più o meno elevata è possibile distruggere parzialmente o completamente la popolazione di cellule e quindi provocare rispettivamente diabete di tipo 2 o di tipo 1.

A fine esplicativo introduciamo due studi relativi al modello di induzione di steatosi epatica con HFD e streptozotocina in ratti (Wang S. et al., 2011; Sharma A. K. et al., 2011).

Nel lavoro di Wang e collaboratori sono stati creati dei modelli animali di patologia metabolica (T1DM, steatosi epatica e T2DM/steatosi) allo scopo di studiare come

funzione mitocondriale. Inizialmente 34 ratti Sprague-Dawley sono stati suddivisi in

(26)

due gruppi sperimentali sottoposti a dieta standard o dieta iperlipidica (60% di energia derivante da grassi). Dopo 5 settimane di dieta i ratti di ciascun gruppo sono stati ulteriormente suddivisi in due gruppi e destinati a trattamenti diversi per ottenere un totale di 4 gruppi di trattamento: gruppo di controllo sottoposto a dieta standard e somministrazione di veicolo (n=8), gruppo T1DM sottoposto a dieta standard e ad una singola somministrazione di STZ a dose elevata (55 mg/kg) (n=6), gruppo HFD sottoposto a dieta iperlipidica e somministrazione di veicolo (n=6), gruppo T2DM sottoposto a dieta iperlipidica e ad una singola somministrazione di STZ a dose bassa (35 mg/kg) (n=6). Dopo 14 settimane è stato eseguito il sacrificio degli animali. Il modello sperimentale (Figura 5)

-dipendente.

La presenza di steatosi è stata confermata sia nel gruppo trattato con la sola dieta iperlipidica che in quelli a cui era stata somministrata la STZ, sebbene nel gruppo T1DM il grado di steatosi sia inferiore. La conferma a livello epatico è stata fornita dal quadro istologico, che ha messo in evidenza la presenza di un massiccio accumulo di grasso negli animali appartenenti ai suddetti gruppi.

Figura 5: disegno sperimentale (Wang S. et al., 2011).

Un altro studio interessante è quello condotto da Sharma e collaboratori (2011), in cui è flavonoide presente nel pompelmo, nei confronti dei processi di insulino- -pancreatica e steatosi epatica in ratti in cui è stato indotto diabete di tipo 2, ottenuto con dieta iperlipidica e STZ (40 mg/kg).

In questo lavoro i ratti sono stati suddivisi in 6 gruppi sperimentali: gruppo di controllo a dieta standard, gruppo di animali diabetici di controllo (trattato con dieta iperlipidica e

(27)

somministrate concentrazioni crescenti di naringina, ed infine un gruppo di animali diabetici trattati con rosiglitazone. Inizialmente gli animali sono stati assegnati alla dieta (standard o HFD). Dopo 10 giorni di dieta i ratti sono stati sottoposti ad iniezione con STZ o veicolo a seconda del gruppo di appartenenza; al 14° giorno è stata accertata la presenza di diabete nei ratti trattati con streptozotocina e al 15° giorno è stato intrapreso il trattamento con naringina o rosiglitazone (Figura 6). Anche in questo studio la

quale risulta essere presente un fenomeno infiammatorio e steatosi macrovescicolare con forte accumulo di lipidi.

Figura 6: disegno sperimentale (Sharma A. K. et al., 2011).

Sulla base di queste ed altre evidenze è stato allestito il nostro disegno sperimentale, che sarà meglio descritto nel capitolo dei materiali e metodi.

(28)

Capitolo 3

ENZIMI DEL DRUG METABOLISM

3.1 Generalità

Ciascun organismo è quotidianamente esposto ad una vasta varietà di composti esogeni definiti xenobiotici tra i quali si ritrovano sia molecole di sintesi che di origine ambientale come pesticidi, farmaci, metaboliti secondari delle piante ed inquinanti

ambientali. allo scopo di eliminare questi composti

potenzialmente dannosi, si è sviluppato un sistema di reazioni metaboliche di biotrasformazione che converte gli xenobiotici in prodotti maggiormente polari e quindi più facilmente eliminabili . Vi sono pertanto tutta una serie di enzimi implicati nella biotrasformazione (o metabolismo degli xenobiotici o drug metabolism) i quali svolgono un ruolo di primaria importanza nel favorire la detossificazione o eliminazione di sostanze potenzialmente pericolose. Questi enzimi sono presenti in e, reni, milza, cuore, cervello) ma sono particolarmente abbondanti a livello epatico, dove confluisce la maggior parte della circolazione sanguigna derivante dal tratto gastrointestinale, il principale punto di ingresso per le sostanze esogene. Le sostanze xenobiotiche possono entrare in contatto con il nostro organismo attraverso diverse vie (orale, respiratoria o cutanea) e vanno incontro ad un differente processo metabolico in relazione alle loro caratteristiche chimiche. Le sostanze idrosolubili non vengono modificate e sono eliminate facilmente soprattutto con le urine e le feci ma anche

sudore. Per le molecole liposolubili invece risulta semplice assorbimento ma più complessa escrezione, per cui devono subire opportuni processi di biotrasformazione che consentano di modificare la loro natura da liposolubile ad idrosolubile.

Le reazioni di biotrasformazione che possono interessare tali sostanze liposolubili si suddividono in tre classi:

1- Reazioni di fase I o di funzionalizzazione, che trasformano il composto liposolubile in un metabolita idrosolubile tramite lo smascheramento di un gruppo funzionale polare

(29)

COOH) e amminico (-NH2). Dunque si possono avere reazioni di ossidazione, idrolisi, riduzione, dealogenazione, aromatizzazione e monoossigenazione. I prodotti derivanti da tali reazioni possono essere subito escreti, se sufficientemente polari, oppure proseguire la biotrasformazione ad opera delle attività catalitiche di fase II.

2 - Reazioni di fase II, generalmente reazioni di coniugazione, sono la glucuronazione, la solfonazione, la metilazione, acetilazione e la coniugazione con glutatione e amminoacidi, catalizzate da enzimi che rendono il metabolita idrosolubile e quindi facilmente eliminabile. Le reazioni di fase II possono avvenire indipendentemente da quelle di fase I e non è indispensabile la sequenzialità dei due tipi di reazioni.

3 - Reazioni di fase III, che sono meno note e comprendono reazioni intestinali e citoplasmatiche in grado di sovvertire completamente i processi di fase I e II e le reazioni di trasporto extracellulare. Queste ultime sono catalizzate da proteine transmembrana che agiscono da pompe in grado di trasportare composti metabolizzati (e non) al di fuori della cellula, diminuendone la concentrazione intracellulare (Orellana M. et Guajardo V., 2004).

Gli enzimi di fase I e II non sono coinvolti solo in processi di detossificazione o bioinattivazione, ma anche in reazioni di bioattivazione. Queste possono determinare essendo di per sé nocive, possono essere trasformate in molecole tossiche, mutagene o cancerogene.

3.2 Fase I: sistema citocromo P450 e DT-diaforasi Citocromo P450

Tra i sistemi enzimatici di fase I, il sistema monossigenasico del citocromo P450 ha un ruolo predominante nella detossificazione e bioattivazione sia di sostanze endogene che esogene (Rayan D. E. et Lewin W., 1990). Il nome citocromo P450 (CYP) deriva dalle caratteristiche spettrali di questa superfamiglia di enzimi perché, nella loro forma ridotta e complessata con il monossido di carbonio, presentano un massimo di assorbimento alla lunghezza d'onda di 450 nm, anziché a 420 nm come avviene per tutte le altre emoproteine. Questa proprietà spettrale è dovuta alla presenza di una cisteina-tiolata legata al gruppo eme quando il citocromo P450 è nella sua forma nativa e ristico picco a 450 nm e acquista un massimo di assorbanza a 420 nm. Per la loro fondamentale

(30)

importanza nel metabolismo di sostanze esogene ed endogene, le isoforme di citocromo P450 sono presenti in tutti gli esseri viventi. Nei procarioti questi enzimi si trovano liberi nel citosol, mentre negli eucarioti sono associati alla matrice fosflolipidica del reticolo endoplasmatico liscio e della membrana mitocondriale interna: in queste sedi

NADPH-citocromo P450-reduttasi.

Negli animali il sistema citocromo P450 è particolarmente abbondante a livello epatico, dove ad oggi sono state identificate più di 200 isoforme diverse che, pur appartenendo ad un'unica superfamiglia genica, differiscono per alcune caratteristiche quali struttura primaria, peso molecolare, proprietà spettrali specificità di substrato, chimica e stereochimica dei prodotti. Queste isoforme possono essere espresse costitutivamente o essere indotte da varie molecole naturali o di sintesi, possono essere specie-specifiche, sesso-specifiche o tessuto specifiche, possono anche essere sovraespresse in condizioni fisiologiche o patologiche (ad esempio digiuno o diabete). Ulteriori differenze si notano nella regolazione della loro espressione che può avvenire a vari livelli: per modulazione trascrizionale o traduzionale, a livello post-trascrizionale o post-traduzionale, per processi di stabilizzazione dell'mRNA (come accade per il CYP1B1) o della stessa proteina (come per il CYP2E1) (Rayan D. and Lewin W., 1990; Kato R. and Yamazoe Y., 1992).

Per quanto riguarda la struttura, il citocromo P450 è dotato di un gruppo prostetico: una ferroprotoporfirina IX inserita in una tasca idrofobica o in una depressione sulla superficie dell'apoproteina. Associata al citocromo P450 la NADPH-citocromo P450 reduttasi, una flavoproteina che catalizza il trasferimento di elettroni dal coenzima ridotto (NADPH) al citocromo P450 attraverso i coenzimi flavinici FAD (flavinadenindinucleotide) e FMN (flavinmononucleotide). Inoltre, un secondo elettrone può essere trasferito, almeno in alcune forme di citocromo P450, tramite la NADPH- citocromo b5 reduttasi e il citocromo b5. Nonostante l'esistenza di forme multiple di citocromo P450, il meccanismo di monoossigenazione sembra essere lo stesso per tutte le isoforme di CYP, da quelle batteriche a quelle di mammifero (Porter T. D. and Coon M. J., 1991). Per quanto riguarda la NADPH-citocromo P450-reduttasi è stata evidenziata una singola forma e si ritiene che questo enzima intervenga nel mediare la riduzione di più forme del citocromo P450. Nella reazione di monoossigenazione

(31)

catalizzata dal sistema del P450, un

:

RH + O2 + NADPH + H+ ROH + H2O + NADP+

(con RH si indica il substrato e con ROH il substrato idrossilato).

In Figura 7 è illustrato il ciclo monossigenasico con i suoi passaggi fondamentali:

Figura 7

Le isoforme di citocromo P450 possono essere coinvolte in numerosi tipi di reazioni, sia ossidative che riduttive (Backes W. L. et al., 1993) quali idrossilazioni, epossidazioni, perossidazioni, idrolisi, dealchilazione di gruppi alchilici legati ad eteroatomi, rottura degli esteri, deidrogenazioni.

Nomenclatura del CYP

La superfamiglia dei P450 è suddivisa in famiglie, sottofamiglie e singole isoforme. Per le varie isoforme viene utilizzata una nomenclatura basata sull'omologia della sequenza amminoacidica, che permette di identificare in maniera univoca una specifica forma isoenzimatica, ma non dà alcuna informazione sulle sue proprietà catalitiche. Due proteine che appartengono alla stessa famiglia possono essere regolate in modo diverso e possedere una differente specificità di substrato. Appartengono alla stessa famiglia (indicata con un numero arabo) le isoforme con omologia di sequenza superiore al 40%, alla stessa sottofamiglia (indicata con una lettera maiuscola) quelle con identità

(32)

maggiore del 55%, le singole isoforme della sottofamiglia vengono indicate con un numero arabo (Nebert D. W. et al., 1991) (Figura 8).

Figura 8: nomenclatura.

leliche di uno stesso gene, quindi è stato deciso di considerare due alleli dello stesso gene quando questi codificano per proteine che hanno una sequenza amminoacidica divergente meno del 3% (Nelson D. R. et al., 1996). Le famiglie indicate con un numero che va da 1 a 51 sono proprie degli animali, quelle da 51 a 70 dei funghi, da 71 a 99 si ritrovano nelle piante, mentre la famiglia 100 e le superiori sono specifiche dei batteri. Fino ad oggi sono state descritte circa 200 famiglie di CYP, di cui 15 presenti in tutti i mammiferi.

Ciascuna specie di mammifero possiede un alto numero di geni codificanti per 15 diverse isoforme. Nel genoma di ratto sono stati identificati e sequenziati 84 geni, 103 nel topo e 57 nell'uomo (http://drnelson.utmem.edu/CytochromeP450.html). Le famiglie maggiormente studiate fino ad ora sono le prime quattro e, prevalentemente nei mammiferi, le prime tre sono implicate soprattutto nel metabolismo degli xenobiotici, la quarta metabolizza sia sostanze esogene che endogene, e le altre famiglie, indicate con un numero superiore a 4, metabolizzano soprattutto molecole endogene (Ortiz de Montellano P. R., 1995).

Il CYP1A1 e il CYP1A2 (appartenenti alla famiglia 1) sono altamente inducibili da idrocarburi policiclici aromatici (PAHs) come il 3-metilcolantrene o il benzo[a]pirene

(presenti ad esempio -naftoflavone

(presente nelle piante), e da idrocarburi aromatici polialogenati come la diossina. Queste sostanze attivano tali isoforme, che a loro volta li metabolizzano in composti cancerogeni. Ad esempio alti livelli di CYP1A2 sono correlati con un maggior rischio di comparsa del cancro al colon e, poiché tale forma isoenzimatica è fortemente indotta

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