Capitolo 7
Conclusioni
Lo studio degli oggetti ornamentali neolitici rinvenuti in Abruzzo si è basato sostanzialmente su due tipi di indagine, una di carattere tecnologico e l’altra di carattere socio-culturale.
Per l’indagine tecnologica sono state utili l’analisi microscopica ed una breve sperimentazione che è consistita in operazioni di foratura e taglio di alcune
conchiglie. I risultati di queste operazioni permettono di riferire le tracce osservate sui campioni ad azioni specifiche, di stabilire il modello di sospensione dei
manufatti e talvolta di individuare l’intera catena operativa che dal blocco di materia porta all’oggetto finito.
L’indagine socio-culturale è stata sviluppata osservando la distribuzione e la frequenza delle parures durante le diverse fasi neolitiche e ricercando fuori dalla regione elementi ornamentali affini a quelli di nostra indagine. Tali confronti hanno permesso di rilevare somiglianze culturali o, in alcuni casi, un contatto con popolazioni alloctone.
Le due ricerche sono strettamente correlate: la presenza o meno di elementi riferibili alle diverse fasi della catena operativa di un manufatto (indagine tecnologica) stabiliscono se la fabbricazione dello stesso avviene in situ, o se la sua provenienza è da attribuire ad un contatto con popolazioni alloctone (indagine socio-economica).
Indagine tecnologica
Le conchiglie semplicemente forate sono gli oggetti ornamentali più
rappresentativi di ogni fase neolitica. L’indagine tecnologica effettuata sui fori delle valve, generalmente localizzati nei bivalvi sull’umbone e nei gasteropodi in opposizione all’apertura naturale, ha messo in luce che le tecniche utilizzate per la perforazione sono, in ordine di frequenza, l’abrasione, la percussione e la tecnica rotativa. Se la prima è presente in ogni fase neolitica, dimostrando di essere la tecnica di maggior successo, la percussione sembra scomparire durante il
Neolitico recente. La tecnica rotativa, attestata solo sui bivalvi, è testimoniata per la prima volta su un Glycymeris riferibile alla cultura di Catignano, non compare
su elementi analizzati della fase culturale successiva, mentre viene utilizzata con la stessa frequenza dell’abrasione durante il Neolitico finale. Dallo studio dei campioni analizzati è emerso che la tecnica rotativa tende a sostituire la percussione durante le ultime fasi neolitiche.
L’abrasione e la percussione sono state utilizzate sia sui bivalvi che sui gasteropodi, anche se l’abrasione è maggiormente attestata sui primi e la percussione sui secondi.
Si ricorda che sono state utilizzate come pendente anche valve con foro causato dal prolungato spiaggiamento.
Le conchiglie modificate sono poche ma significative. Durante il Neolitico Antico si hanno tre perline discoidali provenienti da Santo Stefano per le quali in
riferimento alle dimensioni pressoché identiche si è supposta una lavorazione in serie, e due pendagli: uno ricavato dalla columella di un gasteropode da
Marcianese ed uno ricavato da un Glycymeris da Fontanelle.
Con il Neolitico Medio si assiste alla comparsa di una nuova specie conchifera e di una nuova tipologia di oggetto che comporta l’utilizzo di una catena operativa fino ad ora mai attestata: il bracciale in Spondylus gaederopus.
Con la fase Ripoli classico aumenta la diffusione del bracciale/anello, a Ripoli, i rinvenimenti frequenti di valve con ampio foro sul dorso e di frammenti di
anellini in Glycymeris lasciano pensare che la catena operativa di questi manufatti sia uguale a quella nota dei bracciali in Spondylus. Il Glycymeris non è l’unica conchiglia utilizzata nella fabbricazione di questi oggetti, in quanto frammenti di un bracciale ed una piastrina forata in Triton sono stati rinvenuti nei livelli Ripoli rispettivamente delle grotte S. Angelo e Piccioni. Dal rimontaggio dei frammenti di Grotta S. Angelo si è riusciti ad individuare la catena operativa dell’oggetto, che è consistita nel tagliare l’apice e l’apertura naturale della conchiglia sfruttando l’ampiezza del suo ultimo giro di spira. I bracciali/anelli sembrano poi scomparire con il Neolitico recente, anche se ricordiamo l’assenza di una documentazione precisa sulle numerose parures in conchiglia provenienti dal villaggio di Ripoli durante tutte le sue fasi.
Molto meno utilizzati sono i denti, rappresentati in ordine di frequenza dalla zanna di Sus, dal canino di carnivoro e dal canino atrofico di cervo (un solo esemplare non analizzato). Le prime, utilizzate durante tutte le fasi neolitiche, sono per la maggior parte dei frammenti privi di foro e poco elaborati che lasciano
dubitare sulla loro effettiva funzione, mentre zanne forate presentano quasi sempre una estesa levigatura che attesta la funzione di pendaglio.
I canini di carnivoro, maggiormente concentrati durante il Neolitico Antico, sono in tutti i casi forati alla radice per essere sospesi come pendenti.
La tecnica utilizzata per perforare tutti gli esemplari in dente è la tecnica rotativa. Gli oggetti in osso non presentano forme elaborate fino al Neolitico Medio, quando nel villaggio di Ripoli fanno comparsa alcuni pendagli di forma articolata. Fanno eccezione la perlina discoidale in osso che sembra ricavata dal taglio di un osso cavo appartenente ad un volatile ed il supposto amo bifido di Santo Stefano (Neolitico Antico). Per il secondo oggetto, unico rinvenimento in Italia, si è supposta la funzione di amo in quanto la scanalatura presente alla base delle due punte sembra funzionale all’avvolgimento del filo. La sospensione del manufatto, con le punte rivolte verso l’alto, sarebbe stata funzionale alla cattura del pesce. Gli oggetti in osso sono in tutti i casi forati tramite tecnica rotativa.
Gli oggetti in pietra non sono molti e si dividono in ciottoli di forma curiosa semplicemente forati e per i quali è sempre difficile stabilire l’effettiva funzione e manufatti in pietra che invece sono modificati e levigati. I primi sono peculiari delle grotte e presenti, anche se con scarsi elementi, in tutti i periodi. I secondi trovano maggiore diffusione con il Neolitico Medio, quando la circolazione degli anelloni diventa frequente.
Infatti, nel villaggio di Ripoli, la presenza di anelloni e di pietre con abbozzi di foro su entrambe le facce suggerisce che la fabbricazione di questi manufatti sia avvenuta in situ.
Indagine socio-culturale
L’esame delle parures della Ceramica Impressa rivela la predominanza di oggetti poco elaborati, con semplice perforazione, rispetto alle altre categorie di manufatti. Le conchiglie semplicemente forate sono gli elementi più utilizzati, con il Glycymeris che spicca sia per numero di rinvenimenti, sia per distribuzione. Il Cardium, la Columbella rustica ed il Dentalium sono abbastanza numerosi ma limitano la loro presenza al solo villaggio di S. Stefano (eccetto il Dentalium presente con un frammento alla Grotta Continenza). Molto poche sono le conchiglie che hanno subito la modificazione della valva. Il dente è discretamente utilizzato, anche se in quantità molto minori rispetto alla conchiglia. Esso è
costituito in maggior parte dalle zanne di Sus e dai canini di carnivoro presenti solo nel Fucino.
Molto pochi sono gli oggetti in osso e in pietra. I primi sono generalmente di forma allungata sub rettangolare, ad eccezione della perlina discoidale e del pendaglio-amo provenienti da Santo Stefano e dell’imitazione di canino atrofico di Grotta S. Angelo. I secondi presentano invece forme più articolate e diversificate.
Soltanto due sono gli oggetti in terracotta, uno di questi, il dischetto a forma di stella di Villaggio Leopardi, è unico nel proprio genere.
Un aspetto che vale la pena sottolineare è la persistenza della tradizione mesolitica durante queste prime fasi neolitiche, particolarmente evidente all’interno del Fucino. Le presenze di Columbelle e di canini di carnivoro a Santo Stefano e di un canino di volpe alla Grotta Continenza testimoniano questo aspetto che peraltro trova riscontro nell’arcaicità delle industrie litiche dei due siti.
D’altra parte, la presenza delle perline discoidali (tre in conchiglia ed una in osso), del pendaglio o amo bifido e dell’accettina con abbozzo di foro provenienti da S. Stefano, dei due dischi forati e dei due vaghi cilindrici in pietra levigata
provenienti rispettivamente da Grotta dei Piccioni e da Villaggio Rossi testimonia invece una cultura pienamente neolitica.
Gli oggetti di Santo Stefano, il sito che ha restituito il numero più elevato di
parures, sembrano attestare una compenetrazione fra caratteri mesolitici e
pienamente neolitici, lasciando pensare che l’area dove sorgeva il villaggio fosse stata luogo di contatto tra le ultime comunità di cacciatori-raccoglitori fucensi ed un gruppo di neolitici proveniente dal meridione, e forse dalla costa.
La provenienza costiera del gruppo neolitico potrebbe spiegare l’elevata quantità di conchiglie rinvenute in questo sito, elementi che testimoniano un legame con il mare che da Santo Stefano dista più di 150 km.
La cultura di Catignano conta pochi elementi ornamentali, tuttavia molto significativi.
Persiste la tradizione del Glycymeris, l’unico genere conchifero semplicemente forato presente, mentre compare per la prima volta lo Spondylus gaederopus, utilizzato per i bracciali di Catignano e Villa Badessa. L’elevata quantità di frammenti di questo tipo di manufatto durante le fasi V.B.Q. delle Arene Candide
ha lasciato pensare che i due rinvenimenti abruzzesi siano di importazione ligure (Borrello Micheli 2005).
Tra i pochissimi oggetti in dente e osso, trova significato il frammento di anellone in osso di Catignano, che ha i suoi unici confronti con due esemplari provenienti dalla Grotta dell’Orso di Sarteano.
Gli oggetti in pietra sono molto significativi, in quanto manifestano la comparsa di un nuovo tipo di manufatto e di una nuova materia prima: l’anellone e la steatite. L’anellone in calcare di Villa Badessa si è ipotizzato abbia provenienza settentrionale in quanto molto diffuso in Italia del Nord già a partire dal Neolitico Antico, mentre per i frammenti di vago cilindrico e bracciale di Catignano si è supposta una provenienza dall’area emiliana (atelier di vaghi a Benefizio) o dall’area tosco-laziale (atelier di bracciali a Casa Querciolaia).
Gli oggetti ornamentali sembrano confermare un’affinità tra le comunità di Catignano e quelle con Cultura a linee incise tosco-laziale, già emersa nelle strutture abitative rinvenute a Casale del Dolce.
Con la cultura di Ripoli si assiste ad un grande aumento di oggetti ornamentali rispetto alla cultura precedente.
La conchiglia è il materiale più utilizzato e rappresentato da diversi generi.
Tra le conchiglie semplicemente forate il genere più rappresentativo e diffuso resta il Glycymeris, seguito dalla Patella e dall’Arca noae rinvenute soltanto a Ripoli.
Le conchiglie modificate registrano la comparsa di una nuova specie: la Charonia
lampas. Con questo grande gasteropode sono stati prodotti una piastrina forata ed
un bracciale frammentario per i quali si è supposta una provenienza dal finalese ligure soprattutto in riferimento all’atelier di tali monili presente nei livelli V.B.Q. delle Arene Candide. La Charonia con apice asportato e foro vicino al margine e la piastrina di Charonia con tracce di ocra che in origine costituiva un bracciale sono stati rinvenuti rispettivamente sul piano dei circoli di Grotta dei Piccioni ed in una delle buche di Grotta S. Angelo. Se i circoli di Grotta dei Piccioni erano stati interpretati come strutture adibite all’espletamento dei riti e dunque collegabili alla sfera cultuale, maggiori dubbi lasciavano invece le buche di Grotta S. Angelo. Un’ipotesi suggestiva che riguarda questi rinvenimenti è che siano offerte lasciate da comunità che frequentavano la grotta. Tale suggestione darebbe così una continuità cultuale alle buche di Grotta S. Angelo, che durante la cultura
dell’Impressa hanno restituito numerosi resti di pere e mele selvatiche interpretati come offerte in riferimento allo stadio immaturo dei frutti ed all’associazione con cereali.
Meno significativi sono gli oggetti in dente, dove si osserva ancora la predominanza della zanna di Sus. Si ricorda il canino atrofico di cervo rinvenuto alla Grotta dei Piccioni che richiama forse alla precedente condizione delle comunità di cacciatori-raccoglitori.
Tra i pochi oggetti in osso spiccano l’imitazione di canino atrofico di cervo ed i due bottoni che sembrano anticipare i bottoni a V di Grotta dei Piccioni (Cremonesi 1976).
Un’ipotesi sulla presenza dell’imitazione del canino atrofico è proposta da Radmilli, che evidenzia l’associazione di questo elemento alla mancanza del cervo nei resti di pasto della grotta, probabilmente poiché l’animale aveva acquisito col tempo una valenza totemica.
Anche gli oggetti in pietra non sono numerosi, tuttavia si ricorda i due pendagli con solcature su una faccia e con spirale incisa sull’altra, ed i sette anelloni fabbricati in situ del villaggio di Ripoli.
Per i primi si è anche supposta un’ipotesi funzionale, in quanto le solcature presenti su una faccia sono molto simili a quelle rinvenute su blocchi di eclogite utilizzati per la fabbricazione di asce-accette nel sito dell’Età del bronzo di Balm’Chanto. Il buon numero di anelloni dimostra che questo tipo di oggetto non è più importato come nelle fasi precedenti bensì assimilato e riprodotto.
Le fasi recenti della Cultura di Ripoli dimostrano un discreto aumento di oggetti ornamentali rispetto al periodo precedente che però è influenzato dall’elevato numero di conchiglie provenienti da Fossacesia, sito molto vicino al mare.
Le conchiglie forate sono il Glycymeris, la Patella ed il Cardium mentre le conchiglie modificate contano un solo elemento frammentario.
Gli oggetti in dente, osso, pietra e terracotta sono complessivamente 9 ai quali però si dovrebbero aggiungere gli elementi di Ripoli in dente ed osso non recuperabili. Tra questi manufatti meritano di essere ricordati il pendaglio frammentario con incavo che separa il foro dal resto del corpo che dimostra un’evoluzione del gusto verso forme più articolate ed il frammento di anellone in roccia sub vulcanica di Fossacesia che è stato sicuramente importato.
La terracotta, con la quale è stato fabbricato il pendaglio triangolare di Fossacesia, è fra tutti il materiale meno utilizzato per la confezione di parures neolitiche. Probabilmente, l’utilizzo che se ne faceva per la produzione di vasi ha connesso il suo impiego ad un ambito funzionale e quotidiano, mentre l’oggetto ornamentale, con tutte le sue implicazioni, richiedeva lo sfruttamento di un materiale più “pregiato”.
Il Neolitico finale è un periodo in cui l’adorno del corpo sembra perdere di significato, in quanto nonostante i siti riferibili a questo periodo siano molto pochi, l’unico elemento presente è un Glycymeris forato all’umbone proveniente dall’abitato poco scavato di Piano d’Orta.