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In merito all'azione di riduzione - Judicium

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Academic year: 2022

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(1)

A

NTONIO

M

ONDINI

In merito all'azione di riduzione

( *)

Il contributo fa il punto sulla azione a tutela della legittima. Con ampi riferimenti alla dottrina e alla giurisprudenza, ne vengono esaminati i vari aspetti: la forma con cui si introduce, la legittimazione, le condizioni di proponibilità, gli oneri di allegazione e di prova che essa comporta, le cause estintive.

Particolare attenzione è poi dedicata agli effetti dell'esito positivo dell'azione sia quanto al legittimario pretermesso sia quanto ai rapporti tra il legittimario e il terzo beneficiario della disposizione lesiva e il di lui avente causa. Sotto quest'ultimo profilo, che involge l'esame della connessa azione di restituzione, viene infine analizzato il caso problematico concernente le liberalità non donative.

Sommario: 1. Lineamenti dell'azione di riduzione - 2. La "forma" della domanda e la competenza - 3. La legittimazione attiva - 4. La legittimazione passiva - 5. Le condizioni dell'azione - 6. Oneri di allegazione e di prova - 7. L'azione di riduzione e l'acquisto della qualità di erede - 8. Le modalità della riduzione e l'effetto dell'azione di riduzione. L'azione di riduzione e l'azione di restituzione - 9. L'estinzione dell'azione di riduzione - 10. La riduzione delle liberalità non donative 1. Lineamenti dell'azione di riduzione

L'azione di riduzione (artt. 554 e 555 c.c.) è lo strumento per mezzo del quale l'erede legittimario tutela il proprio diritto alla quota del patrimonio ereditario riservatagli dalla legge contro disposizioni testamentarie o atti di liberalità posti in essere dal de cuius eccedendo i limiti della quota disponibile

(1)

. L'azione mira a far accertare la lesione della quota di legittima

(2)

e a far dichiarare inefficaci, nei limiti di quanto necessario a reintegrare la riserva, le disposizioni lesive

(3)

.

Si tratta di un'azione personale con cui il singolo legittimario fa valere, nei confronti del beneficiario dell'atto lesivo, il diritto ad una quota astratta dell'eredità

(4)

, non di un'azione reale con cui si faccia valere un diritto sui beni di cui il defunto abbia disposto in violazione della legittima

(5)

.

L'azione di riduzione ha effetti reali retroattivi nel senso che la pronuncia di inefficacia dell'atto lesivo ha effetto nei confronti sia del beneficiario della disposizione lesiva che dei suoi aventi causa.

Ottenuto mediante il positivo esperimento della azione (impugnatoria) di riduzione il riconoscimento di una quota astratta del patrimonio ereditario, il legittimario può proporre contro il beneficiario della disposizione lesiva o contro gli aventi causa dal beneficiario (secondo la disciplina dell'art. 561 e dell'art.

563 c.c.), un'azione (condannatoria) di restituzione per ottenere uno o più beni specifici.

2. La "forma" della domanda e la competenza

La riduzione deve essere chiesta in modo espresso

(6)

in forma di domanda e non può essere fatta valere in forma di eccezione

(7)

.

È possibile per l'erede legittimario che abbia proposto un'azione finalizzata allo scioglimento della

comunione ereditaria e che si sia visto opporre l'esistenza di un testamento che lo escluda dalla

successione, chiedere "la riduzione delle disposizioni testamentarie sul presupposto che queste siano

lesive dei suoi diritti di riservatario" e in tale ipotesi, "l'attore in sostanza si limita a ridurre la sua

domanda, indirizzandola, non più al conseguimento della quota spettantegli secondo le norme della

(2)

successione legittima, bensì al conseguimento della quota di riserva, che non cessa di essere quota ereditaria della stessa natura di quella che spetterebbe al coerede secondo legge e che è soltanto quantitativamente più ristretta, con la conseguenza che la immutazione del petitum può configurarsi come una riduzione di domanda, consentita in ogni stadio del processo, e non come mutatio libelli che postuli la necessita di promuovere un diverso e separato processo"

(8)

.

La domanda deve essere proposta davanti al giudice competente per territorio secondo i criteri dettati dall'art. 22 c.p.c. ovvero, in alternativa, dagli artt. 18 o 19 c.p.c.; non si applica invece l'art. 21 in quanto l'azione di riduzione non è un'azione relativa a diritti reali su beni immobili.

Le cause di riduzione per lesione di legittima sono attratte alla competenza del Tribunale in composizione collegiale ai sensi dell'art. 50 bis, n. 6, c.p.c.

(9)

.

3. La legittimazione attiva

I soggetti a cui spetta promuovere l'azione sono individuati dall'art. 557 del codice.

In primo luogo, i legittimari: il coniuge, i figli, gli ascendenti del de cuius (art. 536 c.c.).

In secondo luogo, gli eredi e gli aventi causa dei legittimari, sempre che questi ultimi siano chiamati all'eredità e abbiano dichiarato di volere conseguire la legittima

(10)

; in caso di preterizione, l'azione di riduzione spetta invece esclusivamente al legittimario leso e non anche ai suoi eredi o aventi causa

(11)

. Ai sensi del comma 3 dell'art. 557, non possono chiedere la riduzione né possono profittarne i donatari e i legatari; peraltro ove essi siano anche legittimari, possono senz' altro agire in quanto tali.

Ai sensi dello stesso comma, non possono chiedere la riduzione né profittarne i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto a riduzione ha accettato con beneficio di inventario.

La norma si spiega piamente con il considerare che i creditori del defunto possono soddisfarsi solo sul patrimonio del debitore defunto e non su beni che al momento della apertura della successione non fanno più parte del patrimonio relitto (perché donati o fatti oggetto di legato o compresi in un lascito ereditario accettato con beneficio di inventario) e che, causa del beneficio di inventario, non tornano a farne parte neppure ove siano recuperati per il tramite dell'azione di riduzione (al patrimonio del legittimario)

(12)

.

La legittimazione ad avanzare domanda di riduzione spetta infine ai creditori personali del legittimario in via surrogatoria

(13)

.

L'esperimento dell'azione è peraltro condizionato a ciò che il debitore-legittimario sia rimasto inerte

(14)

e non abbia invece rinunciato all'eredità in modo espresso o per fatti concludenti, così come, per esempio, compiendo atti esecutivi sulle disposizioni lesive.

È controverso se resti allora ai creditori di agire in revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., contro la rinuncia

(15)(16)

.

4. La legittimazione passiva

(3)

La legittimazione passiva spetta ai beneficiari delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive (artt. 554 e 555 c.c.).

Sono passivamente legittimati anche gli eredi dei beneficiari

(17)

; gli aventi causa dai beneficiari sono invece legittimati passivi non della azione di riduzione ma della azione di restituzione secondo le regole dettate dagli artt. 561, 562 e 563 c.c. Essi possono essere tuttavia citati come parti secondarie nel giudizio di riduzione, affinché la sentenza faccia stato anche nei loro confronti ed eviti eccezioni rispetto alla domanda di restituzione.

5. Le condizioni dell'azione

Due, ai sensi dell'art. 564 c.c., sono le condizioni dell'azione.

In primo luogo occorre che il legittimario, qualora agisca contro un soggetto non chiamato all'eredità, accetti l'eredità con beneficio di inventario

(18)

.

La condizione non si applica al legittimario che (dopo la redazione dell'inventario) sia decaduto dal beneficio

(19)

.

La necessità del beneficio è stata variamente spiegata in dottrina.

Per la tesi più accreditata, l'accettazione con beneficio di inventario è richiesta al fine di tutelare i terzi estranei dal pericolo di occultamento o sottrazione di beni ereditari e quindi dal rischio di subire una riduzione non giustificata

(20)

.

È per questo che la condizione è soddisfatta in caso di decadenza dal beneficio (perché una volta redatto l'inventario, i donatari e i legatari sono salvaguardati) e perché non è richiesta ove l'azione sia diretta contro i chiamati all'eredità (perché questi possono di loro iniziativa promuovere la redazione dell'inventario)

(21)

.

Secondo la giurisprudenza, l'onere di accettazione con beneficio di inventario è giustificato: "1) dall'esigenza di porre il convenuto in grado di conoscere l'entità dell'asse ereditario, esigenza maggiormente avvertita per il terzo, in quanto si presume che il coerede possa accertarsi dell'entità dell'asse con mezzi diversi dall'accettazione del beneficiato; 2) dalla "ratio" di evitare il contrasto logico insanabile tra la responsabilità "ultra vires" dell'erede per il pagamento dei debiti e dei legati, il suo obbligo di rispettare integralmente gli effetti degli atti compiuti dal defunto - quindi, anche delle donazioni - e l'azione di riduzione della liberalità; 3) dalla volontà del legislatore di non sacrificare il terzo a vantaggio dei creditori del defunto, i quali, invero, ai sensi dell'art. 557, terzo comma, cod. civ., non approfittano della riduzione solo se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato l'eredità con il beneficio d'inventario"

(22)

.

Merita precisare che l'accettazione con beneficio è qualificata dalla legge come condizione dell'azione:

come tale dovrebbe poter sopravvenire nel corso del giudizio; in realtà, si tratta di elemento meglio qualificabile come condizione di ammissibilità dell'azione o come presupposto processuale:

l'accettazione con beneficio di inventario deve infatti necessariamente precedere la proposizione

(4)

dell'azione dato che questa vale come accettazione pura e semplice dell'eredità ai sensi dell'art. 476 c.c.

(23)

.

A questo proposito si osserva che il legittimario che agisce in riduzione senza aver accettato con beneficio di inventario o aver perfezionato la procedura di inventario nei termini di legge, non può avvantaggiarsi dell'accettazione beneficiata effettuata da un altro legittimario: l'efficacia espansiva dell'accettazione fatta da uno degli eredi con beneficio di inventario rispetto agli altri, di cui all'articolo 510 cod. civ., "non opera a favore di chi, mediante accettazione espressa, tacita o presunta, abbia già acquistato la qualità di erede puro e semplice al momento di detta accettazione beneficiata"

(24)

.

L'art. 564 c.c. impone poi al legittimario di imputare alla sua porzione legittima le donazioni ricevute e i legati di cui sia stato beneficiato e, qualora si tratti di legittimario che succede per rappresentazione, anche le donazioni e i legati fatti al proprio ascendente.

Questa condizione non si applica se il donatario o il legatario sono stati espressamente dispensati dalla imputazione

(25)

e così pure se il legatario ha rinunciato al legato

(26)

.

Va poi tenuto presente che ove vi siano state donazioni ad eredi collatizi, e salvo che vi sia stata dispensa da collazione, l'azione di riduzione è inutile, essendo la collazione sufficiente al fine di far conseguire al coerede la porzione legittima: ne consegue che in tal caso la domanda di riduzione deve ritenersi improponibile

(27)

.

Il difetto delle condizioni dell'azione può essere rilevato d'ufficio anche in grado di appello o di rinvio

(28)

.

6. Oneri di allegazione e di prova

Il legittimario che agisce in riduzione ha l'onere di allegare e provare la propria qualità di erede necessario, l'avvenuta lesione della legittima, (l'esistenza de)gli atti da ridurre, precisandone l'ordine cronologico

(29)(30)

.

Allegare la lesione della legittima implica definirne il valore e a tal fine occorre individuare il patrimonio relitto specificando che non vi sono altri beni oltre quelli che formano oggetto dell'azione

(31)

, individuare le disposizioni lesive da riunire fittiziamente, cioè contabilmente, al patrimonio relitto (art.

556 c.c.), precisare le donazioni e i legati ricevuti e per cui non vi sia stata dispensa (art. 564, comma 2, c.c.). La dimostrazione della lesione avviene a mezzo di deposito di una consulenza di stima.

In tema di onere della prova, occorre dare conto di come lo stesso si conforma in caso in cui l'azione di riduzione sia proposta contro una donazione dissimulata da una apparente compravendita.

Si ipotizza una donazione dissimulata valida giacché ove la donazione dissimulata sia invece nulla, come

segnatamente avviene ove non siano rispettati i requisiti di forma richiesti dall'art. 782 c.c. e dall'art. 47

della legge 16 febbraio 1913, n. 89 recante norme sull'ordinamento del notariato e degli archivi

notarili

(32)

(così come in caso di simulazione assoluta), una volta dimostrata la simulazione, il bene risulta

non essere mai uscito dal patrimonio ereditario e quindi l'azione proposta è in realtà una petitio

ereditatis e non vi è spazio per la riduzione

(33)

.

(5)

Se, dunque, l'erede legittimario agisce per la simulazione del contratto di vendita e in riduzione contro la donazione dissimulata (valida), egli, in quanto agisce a tutela di un diritto suo proprio e non subentrando in una posizione giuridica del de cuius non incontra i limiti probatori ai quali quest'ultimo sarebbe assoggettato, previsti dagli artt. 1417 e 2722 c.c.

(34)

, e può dunque dare dimostrazione della esistenza del contratto dissimulato non solo mediante il documento che incorpora la controdichiarazione ma anche mediante testimonianze e presunzioni

(35)

, interrogatorio formale

(36)

. Occorre tuttavia, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, che l'erede agisca specificamente per la simulazione e, nello stesso tempo, per la reintegrazione della legittima

(37)

. Deve peraltro richiamarsi l'avviso a mente del quale è da presumersi che nel caso in cui il legittimario agisca per far valere la simulazione relativa di un atto posto in essere dal de cuius avente tutti i requisiti di validità dell'atto dissimulato, l'azione sia proposta in funzione unicamente della proposizione - anche in separato giudizio - dell'azione di riduzione(38)

(39)

.

7. L'azione di riduzione e l'acquisto della qualità di erede

È discusso se con l'(utile) esperimento dell'azione di riduzione il legittimario preterito acquisti la qualità di erede.

Una tesi è in senso negativo sul triplice rilevo che, in base all'art. 457 c.c., l'eredità si devolve per legge o per testamento, che le norme in favore dei legittimari non prevedono un terzo tipo di successione (essendo volte unicamente a limitare le facoltà dispositive del de cuius in modo da garantire il diritto del legittimario ad una quota netta del patrimonio ereditario) e che, nel caso di preterizione, l'eredità non si devolve per legge in quanto le disposizioni sulla successione legittima sono messe fuori gioco dalla sussistenza di clausole testamentarie e/o di atti di liberalità che esauriscono il patrimonio del defunto e non si devolve per testamento in quanto il testamento ha, per il legittimario, una portata non attributiva ma escludente (di preterizione)

(40)

.

Per una seconda tesi, il legittimario diviene, per effetto specifico dell'azione di riduzione, non erede ma chiamato all'eredità; come tale può poi accettarla o non e può accettarla puramente e semplicemente ovvero con beneficio di inventario.

Per una terza tesi infine, all'esito positivo dell'azione consegue, in forza delle norme sulla successione necessaria, l'immediato acquisto dello status di erede

(41)

.

Quanto alla responsabilità per debiti ereditari sopravvenuti, la stessa è esclusa seguendo la prima tesi, è solo eventuale seguendo la seconda tesi, potrebbe essere limitata secondo la terza tesi spettando al legittimario, malgrado la immediatezza dell'acquisto della posizione di erede, il diritto di manifestare (entro 40 giorni dal giudicato sulla sentenza di riduzione) la volontà di avvalersi del beneficio di inventario

(42)

.

La giurisprudenza, sia pure pronunciandosi sulla questione solo incidentalmente, talvolta afferma che il legittimario preterito che abbia esercitato con successo l'azione di riduzione diviene erede

(43)

, più spesso qualifica il legittimario vittorioso come chiamato all'eredità

(44)

.

8. Le modalità della riduzione e l'effetto dell'azione di riduzione. L'azione di riduzione e l'azione

di restituzione

(6)

Quanto alle modalità della riduzione, le disposizioni testamentarie si riducono proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari; le donazioni - che "non si riducono se non dopo aver esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento" (art. 555, comma 2, c.c.) - sono ridotte per ordine cronologico (art. 559 c.c.)

(45)

.

La ratio della regola relativa alle modalità di riduzione delle disposizioni testamentarie è preservare la proporzione originaria tra le disposizioni ridotte. Il criterio proporzionale è derogabile dal testatore mediante espressa dichiarazione di volontà; allora la disposizione preferita non si riduce se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari (art. 558, comma 2, c.c.).

La ratio delle regole relative alle modalità di riduzione delle donazioni è salvaguardare il principio di irrevocabilità delle donazioni stesse: ove si riconoscesse al testatore il potere di rendere suscettiva di riduzione una donazione non lesiva della legittima, mediante un atto testamentario o un atto di donazione successivo, il principio potrebbe essere indirettamente intaccato.

Le regole sono pertanto inderogabili.

Complessivamente questo sistema di regole è dettato considerando che le disposizioni testamentarie hanno contemporaneamente effetto dalla apertura della successione e quindi dopo il momento in cui hanno effetto le donazioni e per questo deve ritenersi che la lesione della legittima sia stata causata dalle disposizioni testamentarie; pertanto, solo se la lesione permane dopo la riduzione di tali disposizioni è possibile passare alla riduzione delle donazioni

(46)

.

L'azione di riduzione produce l'effetto di rendere inefficace, relativamente al legittimario attore, l'atto lesivo della riserva.

L'effetto si concretizza in modo diverso a seconda che la lesione esaurisca o non la legittima giacché, nel primo caso, la disposizione lesiva è totalmente inefficace e il legittimario recupera interamente il bene o i beni ereditari salva l'eventuale necessità di un'azione restitutoria per riottenerne il possesso

(47)

, nel secondo caso, la disposizione testamentaria a titolo universale, il legato o la donazione, sono inefficaci solo in parte e si crea una comunione tra legittimario e beneficiario della disposizione lesiva; la comunione può essere sciolta mediante un'azione di divisione e questa, trattandosi di legati o di donazioni, avviene con le modalità di cui all'art. 560 c.c.

(48)

.

La disposizione prevede, ai commi primo e secondo, che, se possibile, la restituzione deve avvenire in natura, cioè separando una parte materiale della cosa, altrimenti il bene torna all'eredità e quindi al legittimario (con obbligo di questi di pagare al legatario o al donatario una somma proporzionale alla quota del valore del bene non lesiva della legittima) ove il beneficiario abbia nell'immobile un'eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile (intendendosi per "eccedenza" la parte ridotta) mentre, nel caso in cui il legatario o il donatario non abbia un'eccedenza maggiore del quarto della disponibile, il bene resta al beneficiario del legato o della donazione, salvo il loro obbligo di reintegrare il legittimario mediante una somma di denaro di valore corrispondente alla legittima

(49)

.

Le regole che precedono trovano applicazione se il legatario o il donatario non sono anche legittimari.

(7)

In caso contrario, essi possono, ai sensi dell'ultimo comma della disposizione in esame, ritenere tutto il bene, a prescindere dalla divisibilità, purché il relativo valore non superi l'importo della porzione disponibile e della quota cui essi hanno diritto come legittimari

(50)

.

Tutto questo qualora il bene sia rimasto presso il beneficiario dell'atto dispositivo (non sia stato cioè ceduto a terzi) e libero da ipoteche (legali o volontarie), diritti reali minori, diritti personali di godimento e da altri pesi (oneri reali, i vincoli dipendenti da sequestro o pignoramento).

Altrimenti la sentenza di riduzione è il presupposto per l'esercizio, nei confronti degli aventi causa dal legatario o dal donatario

(51)

, dell'azione di restituzione, secondo la disciplina contenuta negli artt. 561 (per l'ipotesi di beni ancora di proprietà del beneficiario ma gravati da pesi) e 563 c.c. (per l'ipotesi di beni ceduti a terzi)

(52)

.

Ai sensi del primo articolo, per l'opponibilità dell'azione di riduzione agli aventi causa dal legatario o dal donatario e quindi per poter ottenere la restituzione dell'immobile o del bene mobile registrato libero da pesi e ipoteche, occorre che la riduzione sia domandata prima che siano decorsi vent'anni dalla trascrizione della donazione. L'articolo fa salvo il disposto dell'art. 2652, n. 8, c.c. Il termine ventennale è sospeso alle condizioni di cui al comma 4 dell'art. 563

(53)

.

In forza dell'ultimo comma dell'art. 561, al legittimario spettano i frutti del bene oggetto di restituzione, fino dal giorno della domanda di riduzione e poiché dal giorno della domanda cessa la presunzione di buona fede del beneficiario, al legittimario spetta anche il rimborso del valore per eventuali deterioramenti subiti da quel bene.

Il legittimario che debba sopportare (la persistenza de)il peso del diritto del terzo, ha diritto ad essere compensato dal legatario o dal donatario per il minore valore conseguito, sempre che la domanda di riduzione sia proposta nei dieci anni dall'apertura della successione

(54)

.

Ai sensi dell'art. 563 c.c., per poter chiedere la restituzione agli acquirenti dal donatario occorre che la riduzione sia domandata prima che siano decorsi vent'anni dalla trascrizione della donazione e che il legittimario abbia infruttuosamente escusso il patrimonio del donatario

(55)(56)

.

L'azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente deve essere esperita seguendo il modo e l'ordine stabilito per l'azione proposta nei confronti del donatario.

Il terzo ha facoltà di liberarsi dall'obbligo di restituire il bene in natura pagandone al legittimario il valore

(57)

.

È discusso se la norma si applichi anche agli aventi causa dell'erede testamentario e del legatario -

oppure se l'estensione non sia consentita, con la conseguenza che il legittimario vittorioso in riduzione

può sempre agire direttamente contro il terzo avente causa dall'erede o dal legatario senza onere di

previa escussione del dante causa e senza che possa essergli opposta la facoltà di alternativa all'obbligo

restitutorio: alla tesi ampliativa

(58)

, basata sulla ritenuta identità di situazioni, si contrappone chi sostiene

che la norma, di natura eccezionale, è riferibile solo alle alienazioni anteriori alla apertura della

successione e quindi solo a quelle compiute (prima di quel momento) da donatari giacché la sentenza di

(8)

riduzione ha effetto dal momento della apertura della successione e le liberalità lesive della legittima sono inefficaci ed inopponibili al legittimario a far data dalla sentenza di riduzione

(59)

; alla tesi predetta si contrappone altresì chi ritiene che il legatario e l'erede non sono, rispetto al legittimario, nella stessa posizione del donatario perché quest'ultimo, essendo la donazione necessariamente anteriore all'apertura della successione, non può stabilire se la disposizione di cui viene a beneficiare lede o non la legittima mentre gli eredi e legatari sono subito in grado di stabilirlo, e quindi si giustifica che la norma ponga una particolare tutela solo per il donatario alienante e non anche per eredi e legatari; in senso contrario alla tesi estensiva si fa altresì valere che la restituzione contro gli aventi causa dal donatario deriva dall'alienazione di un bene che non è stato interamente acquistato da quest'ultimo in quanto oggetto di un atto compiuto dal donante eccedendo i limiti della disponibile

(60)

.

Dall'art. 562 c.c. si desume che al legittimario che non possa più agire nei confronti del terzo proprietario è dato di rivolgersi al donatario per essere indennizzato, così come espressamente previsto dall'art. 561 c.c. per il legittimario leso dalla presenza di pesi o ipoteche.

Ai sensi del comma 4 dell'art. 563 c.c. è fatto "salvo il disposto del numero 8) dell'articolo 2652".

Ai sensi del comma 4, inoltre, il termine ventennale stabilito dal primo comma del medesimo art. 563 c.c. e quello di cui all'art. 561, comma 1, sono sospesi nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione

(61)(62)(63)(64)

.

In merito al coordinamento tra il termine ventennale dalla trascrizione della donazione (trascorso il quale senza che sia intervenuta o sia stata rinnovata l'opposizione, l'azione restitutoria è preclusa) e la clausola che fa salvo l'art. 2652, n. 8, se la successione si apre dopo oltre venti anni dalla trascrizione della donazione, prevale l'art. 563 c.c., se la successione si apre quando non sono ancora decorsi dieci anni dalla trascrizione della donazione, si applica l'art. 2652, n. 8).

Discusso è invece come il coordinamento avvenga se la successione si apre tra i dieci e i venti anni dalla trascrizione della donazione.

Secondo una parte della dottrina

(65)

, il richiamo all'art. 2652, n. 8) consente al legittimario di prevalere sempre a patto che la domanda di riduzione sia trascritta entro il decennio dalla apertura della successione, sebbene siano trascorsi oltre venti anni dalla trascrizione della donazione

(66)

, secondo altri, il terzo fa sempre salvo il proprio diritto se la trascrizione della domanda di riduzione, benché effettuata entro i dieci anni dall'apertura della successione, avviene oltre vent'anni dopo la trascrizione della donazione

(67)

.

9. L'estinzione dell'azione di riduzione

L'azione di riduzione si estingue per rinuncia e per prescrizione.

La rinuncia è l'atto unilaterale con cui il legittimario si priva del potere di far valere la lesione della

legittima.

(9)

La rinuncia all'azione di riduzione da parte di uno o più dei legittimari non incide sulla individuazione della quota di riserva spettante agli altri (sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione)

(68)

.

La rinuncia non può essere validamente espressa fino a che il de cuius è in vita sia perché fino ad allora il diritto del legittimario non è attuale sia perché la rinuncia anticipata violerebbe il divieto di patti successori (art. 458 c.c.).

La rinuncia può essere espressa o tacita.

La rinuncia alla riduzione è distinta dalla rinuncia all'eredità giacché con la prima il legittimario che sia stato chiamato all'eredità perde solo il diritto di ottenere la quota di riserva ma non modifica in alcun modo la delazione ereditaria; per questo e perché il requisito di forma previsto dall'art. 519 c.c. in riferimento alla rinuncia all'eredità è giustificato dall'importanza dell'atto e dall'esigenza di garantire i terzi di fronte a una tale modifica, la rinuncia alla riduzione non è soggetta al requisito di forma

(69)

. La rinuncia alla riduzione può, secondo una tesi, essere espressa mediante la rinunzia all'opposizione

(70)

. In senso contrario tuttavia si osserva che, finché vive il donante, il futuro legittimario non può rinunciare all'azione di riduzione onde, fino a quel momento, l'effetto abdicativo è comunque escluso e che il decorso del termine ventennale ha il limitato effetto di impedire al legittimario leso di ottenere la restituzione del bene, e non di impedirgli di agire in riduzione verso il donatario per ottenere l'equivalente in danaro del bene gravato da pesi o alienato al terzo

(71)(72)

.

La rinuncia è irrevocabile; anche sotto questo profilo rileva la differenza tra rinuncia all'azione di riduzione e rinuncia all'eredità, talché alla prima non è estensibile la regola prevista dall'art. 525 c.c.

Oltre che per rinuncia, l'azione di riduzione si estingue per prescrizione

(73)

. Il termine è decennale.

Quanto alla decorrenza, in caso di lesione causata da un atto donativo, la decorrenza è legata alla data di apertura della successione.

Con riguardo al caso di lesione determinata da una disposizione testamentaria a titolo universale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenute a dirimere il contrasto tra la tesi per cui il termine doveva essere fatto decorrere dalla data di apertura della successione non rilevando né l'eventuale ignoranza dell'esistenza di un testamento né la circostanza che il testamento olografo non fosse in possesso del legittimario

(74)

e la tesi per cui il termine doveva essere fatto decorrere dalla pubblicazione del testamento perché dalla pubblicazione discende una presunzione iuris tantum di conoscenza delle disposizioni in esso contenute e pertanto solo da tale data, salvo prova contraria, i legittimari sono in condizione di fare valere il loro diritto

(75)

, hanno precisato che la decorrenza va ancorata alla "data di accettazione dell'eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima"

perché è in questo momento che si perfeziona la lesione

(76)

.

(10)

Resta il caso in cui la lesione della legittima sia causata da legati.

Sono prospettabili tre soluzioni: che il termine decorra dalla apertura della successione, che decorra dalla pubblicazione del testamento, che decorra dal momento in cui il legatario fa valere il suo diritto verso l'onerato ossia dal momento in cui il legatario richiede il possesso della cosa o l'adempimento della prestazione oggetto di disposizione in suo favore

(77)

.

A favore della prima soluzione si è tratto argomento da ciò che così come, ai sensi dell'art. 480 c.c., il diritto di acquistare l'eredità si prescrive immancabilmente entro dieci anni dalla apertura della successione, nello stesso termine deve immancabilmente prescriversi anche il diritto di agire in riduzione posto che l'esperimento dell'azione di riduzione costituisce esercizio del diritto di acquistare l'eredità.

Nel caso in cui lo status di filiazione legittima o naturale, che attribuisce la qualità di legittimario, risulti da apposita sentenza successiva alla morte del de cuius è dal passaggio in giudicato della sentenza che decorre il termine di prescrizione.

Per interrompere la prescrizione occorre agire in giudizio

(78)

; un atto di costituzione in mora, ai sensi dell'art. 2943, comma 4, c.c., non può essere utilizzato nel caso di specie perché non si è in presenza di un diritto di credito e di un'obbligazione ma di un diritto potestativo (il diritto di chiedere la riduzione delle disposizioni lesive) al quale corrisponde la soggezione della controparte all'iniziativa del legittimario

(79)

.

10. La riduzione delle liberalità non donative

In forza dell'art. 809 c.c., oggetto di riduzione possono essere sia le donazioni dirette di cui all'art. 769 c.c. sia altri atti di liberalità.

Questi ultimi costituiscono una categoria ampia caratterizzata dalla idoneità funzionale a determinare l'effetto dell'arricchimento del beneficiato senza altro interesse per il disponente che quello di realizzare tale effetto

(80)

; può trattarsi di condotte materiali, di atti negoziali unilaterali o di contratti

(81)

.

Elemento che connota le liberalità non donative, anche ove realizzate attraverso procedimenti negoziali, è quello per cui le stesse non mostrano la, non lasciano traccia formale della, propria causa liberale.

Il ché rende difficile ricostruire il patrimonio relitto e, da un lato, può consentire al legittimario di sottrarre beni in effetti a lui donati dalla imputazione ex se, dall'altro, giustifica una particolare attenzione per il terzo avente causa dal beneficiario di una donazione indiretta nel rapporto con il legittimario che intenda agire in restituzione

(82)

.

Quali esempi di liberalità non donativa integrati da mere condotte possono ricordarsi quello consistente

nella realizzazione di una costruzione o del piantamento di alberi su terreno di proprietà di un terzo in

modo che questi acquisti per accessione la proprietà della costruzione o degli alberi, o quello

dell'esecuzione di lavori di miglioramento, ristrutturazione, ampliamento dell'edificio altrui

(83)

, o, ancora,

quello della condotta di chi, acquistando un bene, ometta di fare la dichiarazione di sussistenza dei

(11)

presupposti per escluderlo dalla comunione legale (art. 179, lett. f), c.c.), così da determinare (a beneficio del coniuge) la caduta in comunione legale del bene stesso.

Integrano liberalità non donative negoziali o contrattuali, sempre che trovino la loro causa concreta nell'arricchimento del beneficiario

(84)

, ad esempio, la rinuncia ad un diritto

(85)

, l'assunzione di un'obbligazione di non fare, il mandato ad amministrare senza obbligo di rendiconto e, secondo una tesi non incontroversa, anche l'accollo

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e il comodato

(87)

.

Tra le liberalità non donative sono definite donazioni indirette quelle nelle quali lo scopo liberale è attuato attraverso operazioni di collegamento tra due negozi di cui l'uno, normalmente produttivo degli effetti propri del tipo cui appartiene, l'altro, accessorio ed integrativo del primo, con il quale le parti piegano quegli effetti verso lo scopo ulteriore - lo scopo liberale - perseguito

(88)

.

Tra i molti schemi utilizzabili possono annoverarsi il contratto di assicurazione per sé o a favore di terzo

(89)

, la cointestazione di titoli

(90)

, la cointestazione di conti correnti, con firma e disponibilità disgiunte, o di libretti al portatore, su cui, per spirito di liberalità, siano versate somme che, all'atto della cointestazione, o dell'apertura del libretto, risultino essere appartenute a uno solo dei cointestatari

(91)

, il mandato ad amministrare con obbligo di trasferire il ricavato della gestione ad un terzo beneficiario

(92)

, il contratto atipico di mantenimento e la rendita vitalizia

(93)

, il negozio ad attribuzioni corrispettive in cui vi sia una voluta e notevole sproporzione tra le attribuzioni e tipicamente la vendita ad un prezzo di molto inferiore rispetto a quello effettivo

(94)

.

L'ipotesi di liberalità non donativa più ricorrente è quella che si attua attraverso la c.d. intestazione di beni in nome altrui.

Sotto questa dizione sono ricompresi "tutti quegli atti di liberalità con i quali il donante, con l'accordo del donatario, intende far conseguire a quest'ultimo gratuitamente e in via diretta (cioè senza passare attraverso il patrimonio del donante) la proprietà (o, per ipotesi, la titolarità di un diritto reale minore) di un bene che un terzo pone in vendita"

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: può trattarsi di un contratto stipulato dal donante con il terzo con effetti a favore del beneficiario (art. 1411 c.c.); può trattarsi di un contratto di acquisto in cui il donante agisce in rappresentanza del beneficiario e paga il prezzo con denaro proprio; può trattarsi, ancora, di un preliminare concluso dal donante e poi dal donante ceduto al beneficiario dopo che il primo ha provveduto a pagare il prezzo o di un contratto preliminare con clausola "per persona da nominare", seguito da definitivo stipulato dal beneficiario con denaro del donante o con denaro derivato da un mutuo contratto dallo stesso beneficiario ma poi rimborsato dal donante.

Di fronte a queste ipotesi, nelle quali ciò di cui si impoverisce il donante (il denaro) non è quello di cui si arricchisce il beneficiario (il bene acquistato con quel denaro), sorge la questione di stabilire cosa debba considerarsi donato e quindi cosa possa essere oggetto di riduzione e di restituzione.

La questione ha importanza nel rapporto tra legittimario e beneficiario ma soprattutto nel rapporto tra legittimario e terzi aventi causa dal beneficiario.

Fino al 1992, in giurisprudenza all'orientamento secondo cui oggetto della donazione indiretta è il

denaro si è affiancato l'orientamento opposto; il contrasto rispecchiava quello presente in dottrina

(96)

.

(12)

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con riguardo al caso in cui un soggetto aveva messo a disposizione del beneficiario la somma necessaria all'acquisto di un immobile, hanno affermato che, quando sussista un collegamento funzionale tra la consegna e l'impiego del denaro per l'acquisto, "si ha donazione indiretta del bene stesso e non del danaro"

(97)

.

L'affermazione, sebbene resa in riferimento all'oggetto della azione di collazione, è stata per lo più interpretata in senso estensivo con riferimento cioè all'oggetto della donazione indiretta in generale e quindi, segnatamente, ai fini delle azioni di riduzione e di restituzione

(98)

.

Sotto il profilo del rapporto tra legittimario e beneficiario, la soluzione adottata dalle Sezioni unite comporta, in virtù della applicazione dell'art. 809, c.c., che il beneficiario è soggetto agli effetti della riduzione con riguardo all'immobile e quindi al relativo valore reale al momento della successione

(99)

e non, come secondo la soluzione opposta, al valore nominale

(100)

.

Sotto il profilo del rapporto tra legittimario e avente causa dal donatario indiretto, la pronuncia delle Sezioni Unite ha aperto il problema del bilanciamento tra la tutela dell'interesse dell'uno a recuperare il bene e la tutela dell'interesse dell'altro alla stabilità dell'acquisto (specificativo dell'interesse più generale alla sicurezza degli acquisti).

La dottrina maggioritaria si è orientata nel senso della retroattività reale dell'azione di riduzione anche per le donazioni indirette e ciò, essenzialmente, sul rilievo per cui l'estensione operata dall'art. 809 c.c.

delle regole sulla riduzione delle donazioni anche alle liberalità non donative, non potrebbe non riguardare anche le regole sulla restituzione di cui agli artt. 561 e 563 che fanno parte della stessa disciplina

(101)

.

A seguire questa tesi, la stabilità dell'acquisto del terzo e della circolazione giuridica è resa precaria.

La dottrina minoritaria, critica della lettura estensiva data della pronuncia delle SS.UU. e delle conseguenze che se ne sono tratte quanto alla esperibilità dei rimedi recuperatori nei confronti (anche) del donatario indiretto e quindi, a maggior ragione, del suo avente causa, ha seguito diversi percorsi.

Da un lato, si è detto che per le donazioni indirette non possono valere il principio dell'inefficacia retroattiva reale della vicenda acquisitiva, conseguente alla sentenza di riduzione, né il principio della restituzione in natura conseguente al fatto che, per effetto dell'esperimento vittorioso della riduzione, viene meno il titolo di acquisto del beneficiario (onde - seppur solo per ciò che concerne l'attore - il bene rientra retroattivamente nel patrimonio del de cuius) e viene poi meno, "a cascata", il titolo di acquisto del terzo; tali principi non possono valere perché, a differenza di quanto avviene nelle donazioni contrattuali, ove esiste un rapporto diretto tra donante e donatario, nelle donazioni indirette un rapporto analogo non esiste dato che tra donante e beneficiario sta il terzo dal quale questi acquista il bene con denaro del donante.

Quindi: "nelle liberalità indirette il gratificato acquista il suo diritto con un titolo che rimane del tutto

insensibile alla riduzione"; e, se resta pienamente efficace il titolo del beneficiario, risultano inapplicabili

le disposizioni (art. 561 e 563 c.c.) sulla restituzione posto che queste si rapportano alla regola resoluto

jure dantis resolvitur et jus accepientis

(102)

.

(13)

Per altra impostazione, il principio della efficacia retroattiva reale della sentenza di riduzione vale anche per le donazioni indirette ma, ove si tratti di queste ultime, l'azione di riduzione colpisce non l'intero atto ma la clausola con cui si producono gli effetti donativi in favore del beneficiato: venuta meno (non l'efficacia del titolo di acquisto del bene in favore del beneficiato ma solo) l'efficacia "dell'accordo interno tra solvens e donatario" (ad esempio: se il de cuius paga il prezzo del bene acquistato dal beneficiario, la clausola, tra de cuius e beneficiario, relativa al pagamento del prezzo), il legittimario può pretendere (non di recuperare il bene in natura, dal beneficiario o dal terzo avente causa dal beneficiario ma) la restituzione del denaro

(103)

.

Secondo un'ulteriore prospettazione, considerato che attraverso l'esercizio vittorioso dell'azione di riduzione il legittimario acquista la qualità di erede ed è in forza di questa qualità che può avvantaggiarsi dell'effetto recuperatorio dell'azione, nel caso di donazione indiretta, la "riattrazione" del bene donato nel patrimonio del de cuius non può riguardare l'immobile giacché l'immobile, in realtà, non ha mai fatto parte del patrimonio del de cuius ma deve riguardare il denaro giacché è questo che costituiva elemento di quel patrimonio

(104)

.

A queste posizioni va affiancata quella di chi, concentrando l'attenzione non sulla natura, sull'oggetto e sugli effetti dell'azione di riduzione, ma specificamente sull'esigenza di stabilità dei trasferimenti immobiliari

(105)

sottesa alle norme in tema di restituzione, ha affermato che, per le donazioni indirette, il principio della reintegrazione della quota in natura opera con riferimento al donatario ma, a differenza di quanto avviene nelle donazioni dirette, non opera con riferimento al terzo al quale il bene sia stato alienato dal beneficiato

(106)

. E non opera perché mentre il terzo acquirente da donatario diretto può sempre accertare dai registri immobiliari che il titolo di acquisto del proprio dante causa è soggetto a riduzione e quindi, nel momento in cui acquista, è o può essere consapevole della precarietà del proprio acquisto, il terzo avente causa dal beneficiato da donazione indiretta non può che fare affidamento sulla natura onerosa del titolo del proprio dante causa.

Da qui la meritevolezza di una maggiore protezione del terzo e, per converso, l'inevitabile riduzione della tutela del legittimario.

Sulla questione è intervenuta la prima sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 12 maggio 2010, n. 11496 così massimata: "Nell'ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l'acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all'azione nell'ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 cod. civ.), poiché l'azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l'acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell'imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito"

(107)

.

Secondo la Corte, quindi, ove la lesione della legittima sia la conseguenza di una liberalità atipica e ciò

che è uscito dal patrimonio del de cuius non è ciò che è entrato nel patrimonio del beneficiario, fermo

restando che l'oggetto della liberalità è ciò che è entrato nel patrimonio di quest'ultimo, la tutela del

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legittimario non può avere natura reale ed effetto recuperatorio ma si attua riconoscendo al beneficiario un credito pari al valore economico dell'arricchimento.

La sentenza, che è riferibile anche al beneficiario immediato della donazione indiretta

(108)

, realizza in questo modo, con l'escludere l'applicazione delle norme di cui agli artt. 561 e 563 c.c., un contemperamento tra tutela dei legittimari e salvaguardia del diritto del terzo, dando stabilità e certezza al sistema dei traffici giuridici.

(*) L’ articolo è stato pubblicato in Famiglia e Diritto, 2015, 12, 1158. Il testo riproduce, con aggiunta di note essenziali, la relazione svolta nella seconda giornata del convegno di studio sul tema "Riflessioni sulla successione necessaria", organizzato dalla A.I.A.F., Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, Sezione Toscana, con il patrocinio del Consiglio notarile di Lucca, dell'Ordine degli Avvocati di Lucca e della Provincia di Lucca, in Lucca, 13 novembre e 11 dicembre 2014.

(1) Sul fondamento del diritto del legittimario, v., per tutti, M. Bianca, La famiglia e le successioni, II, Milano, 2005, 669, il quale parla di inderogabile esigenza di solidarietà tra i membri più stretti della famiglia.

(2) Deve trattarsi di lesione quantitativa; una lesione puramente qualitativa non rileva. In questo senso, v. Cass., sez. II, 12 settembre 2002, n. 13310, in CED Cassazione; Cass. 9 febbraio 2005, n. 2617, in CED Cassazione; Cass. 12 settembre 2002, n.13310, in Nuova Giur. civ. comm., 2003, 4, 644; Cass. 28 giugno 1968, n. 2202, in Il Foro Pad., 1969, I, 1000, con nota di L.D.

Cerqua, secondo la quale ultima "Il principio dell'intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni di qualunque natura, purché compresi nell'asse ereditario". Sul punto, v. diffusamente, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, VII ed., Torino, 2014, 180-182. Valorizza invece la lesione qualitativa G. Bartolini, Effetti dell'azione di riduzione nei confronti dei terzi acquirenti degli eredi o legatari, in Studi su argomenti di interesse notarile, Roma, 1970, VII, 101.

(3) Cass. 27 ottobre 2008, n. 25834: "Gli atti di liberalità soggetti a riduzione non sono affetti da nullità o annullabilità ma sono, invece, validi, anche se suscettibili di essere resi inoperanti, ed inefficaci in tutto o in parte, nei limiti in cui ciò sia necessario per l'integrazione della quota di riserva, attraverso l'esercizio del diritto potestativo dell'erede legittimario di chiederne la riduzione", in Riv. not., 2009, parte 2, 1625, con nota di F. Ungari Trasatti, La natura delle disposizioni lesive della legittima.

(4) Né dal lato attivo né dal lato passivo sussiste un litisconsorzio necessario. V. Cass. 13 dicembre 2005, n. 27414, in CED Cassazione: "L'azione di riduzione della disposizione testamentaria lesiva della quota di legittima ha natura personale, e, pertanto, nel relativo giudizio, non debbono essere convenuti, come litisconsorti necessari, tutti i legittimari, essendo necessaria la sola presenza in causa della persona che ha beneficiato della disposizione testamentaria che si assume lesiva";

conforme Cass. 20 dicembre 2011, n. 2777, in CED Cassazione. La pronuncia di riduzione non ha effetto riguardo alle quote di legittima di altri legittimari e non vincola il giudice chiamato a decidere di altre domande proposte da altri legittimari. Cass.

3 settembre 2013, n. 20143, in CED Cassazione: "In tema di successione necessaria, il diritto alla reintegrazione della quota, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell'analogo diritto degli altri legittimari, spettando a ciascuno di essi solo una frazione della quota di riserva, sicché il giudicato sull'azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno dei legittimari - se non può avere l'effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante agli altri che abbiano preferito, pur essendo stati evocati nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivi - non preclude ad altro legittimario di agire separatamente, nell'ordinario termine di prescrizione, con l'azione di reintegrazione della quota di riserva per la parte spettantegli".

(5) La domanda deve pertanto essere proposta contro il titolare della posizione giuridica contestata e non contro l'attuale titolare del bene che fu donato o legato. L'azione "non può essere paralizzata dall'eccezione di maturata usucapione ventennale del bene opposta dal donatario, in quanto [...] [avendo] natura personale, non mira a rivendicare il bene posseduto dal beneficiario dell'atto di liberalità, ma soltanto a far valere sul rispettivo valore le ragioni successorie spettanti al

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legittimario preterito, con la conseguenza che l'eccezione del convenuto non avrebbe altra funzione che quella di ribadire l'esistenza del dominio che è presupposto della domanda" (Cass. 19 ottobre 1993, n. 10333, in Vita Not., 1994, 2, 1, 784).

(6) Cass. 30 giugno 2011, n. 14473, in CED Cassazione: Il legittimario che agisca per conseguire la legittima ha l'onere di proporre, "sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal de cuius"

(nel caso di specie, l'attore si era limitato ad un generico riferimento all'azione di riduzione, aveva poi dedotto che un atto di vendita posto in essere dal de cuius dissimulava una donazione, ma non anche che tale presunta donazione fosse lesiva della propria quota di legittima). In particolare, l'azione di riduzione non può essere ritenuta implicitamente inclusa in quella di divisione essendo la prima radicalmente diversa dalla seconda perché diretta al soddisfacimento dei diritti del legittimario indipendentemente dalla esistenza di una comunione ereditaria che si voglia sciogliere. In questo senso (Cass. 10 novembre 2010, n. 22885, in CED Cassazione e Cass. 29 marzo 2000, n. 3821, in Riv. Not., 2001, 2, 700, la quale ne fa derivare la conseguenza per cui, proposta in primo grado una domanda di divisione, è preclusa la proposizione in appello della domanda di reintegra della quota di riserva, in quanto domanda nuova).

(7) Cass. 5 dicembre 1974, n. 4005, in Giur. it., 1976, I, 349: "Il solo mezzo della legge conferito al riservatario per fare salva la sua quota di eredità, lesa dal de cuius, è la particolare azione di riduzione, avente carattere personale, subordinata, per il suo esercizio, a determinate condizioni (art. 564 c.c.) e che trova la sua regolamentazione negli artt. 553 ss. c.c. Trattasi di tipica azione che, involgendo il compimento di particolari attività (determinazione della porzione disponibile; determinazione della quota spettante a ciascun erede ecc.) e producendo rilevanti effetti giuridici, deve essere proposta in modo esplicito. La riduzione delle disposizioni testamentarie non può essere fatta valere mediante la proposizione di un'eccezione, potendo l'attribuzione della quota dei beni ereditari dalla legge riservata al legittimario essere conseguita solo dopo l'esperimento vittorioso dell'azione di riduzione".

(8) Cass. 17 settembre 1963, n. 2564, in Foro it., 1963, I, 2093.

(9) Non così invece la causa di restituzione proponibile contro gli aventi causa del soggetto beneficiato da una disposizione lesiva.

(10) Cass. 30 ottobre 2008, n. 26254, in CED Cassazione: "A norma dell'art. 557, primo comma, cod. civ., l'azione di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima, avendo natura patrimoniale, può essere proposta non solo dai legittimari ma anche dai loro eredi o aventi causa dal momento che il carattere personale dell'azione non incide sulla trasmissibilità del diritto ma esclusivamente sull'accertamento della lesione che deve essere limitata alla quota di colui che agisce". Tra gli aventi causa dei legittimari si annoverano il legatario del diritto di legittima o l'acquirente dell'eredità di cui all'art. 1542 c.c.

(11) Cass. 20 settembre 1963, n. 2592, in CED Cassazione: "L'azione di riduzione non può che essere promossa dai legittimari pretermessi, i quali sono i necessari attori nei confronti di siffatta azione, mentre niuna veste hanno per agire gli eventuali loro aventi causa a titolo particolare".

(12) In altri termini: il recupero avviene al patrimonio del legittimario; patrimonio che, in forza del beneficio di inventario, è distinto dal patrimonio del de cuius.

(13) Ove il legittimario abbia accettato l'eredità in modo puro e semplice i creditori ereditari sono ammessi a domandare la riduzione (in via surrogatoria) o a profittarne in quanto creditori anche personalmente dell'erede.

(14) Art. 2900 c.c.: "Il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare". Quanto al carattere non personale del diritto alla legittima, v., Trib. Novara 18 marzo 2011, in Notariato, 2013, 6, 655, che in motivazione richiama i precedenti conformi di Trib. Lucca n. 864 del 2 luglio 2007, in Giur. Merito, 2008, 3, 738; Tribunale Pesaro n. 604 del 11 agosto 2005, in Le corti marchigiane, 2007, 2-3, 541 e Trib.

Cagliari 14 febbraio 2002, in Riv. Giur. Sarda.

(16)

(15) In senso positivo, v., con ampia motivazione, Trib. Novara 18 marzo 2011, cit., ove si precisa anche che la revocabilità della rinuncia del legittimario all'azione di riduzione è possibile attraverso il rimedio di cui all'art. 2901 c.c. e non attraverso il rimedio dell'art. 524 c.c. posto che questo riguarda la diversa ipotesi della rinuncia all'eredità e non è estensibile alla rinuncia alla riduzione in quanto norma eccezionale; favorevoli all'esperibilità dell'azione revocatoria, in dottrina, tra altri, L.

Ferri, Dei legittimari, Libro II - Art. 536 - 564, in Comm. del Codice Civile, dir. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, 200; V.R.

Casulli, voce Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, 1061. In senso negativo, Cass. 19 febbraio 2013, n. 4005, in Foro it., 2013, I, 2245, con nota di R. Brogi, così ufficialmente massimata:

"Non è ammissibile l'azione ex art. 2901 cod. civ. rispetto ad atti che si sostanziano nella rinuncia ad una facoltà, per effetto della quale non resta modificato, né attivamente né passivamente, il patrimonio del debitore e che, pertanto, anche se dichiarati inefficaci nei confronti del creditore, non consentirebbero il conseguimento dello scopo cui è preordinata l'azione stessa, secondo la "ratio" assegnatale dal legislatore. (Nel caso di specie, è stata ritenuta inammissibile l'azione revocatoria rispetto all'atto di adesione al legato in sostituzione di legittima e di rinuncia all'esercizio dell'azione di riduzione per lesione di legittima, atteso che, sostanziandosi l'atto di disposizione nella rinuncia ad una facoltà, l'eventuale accoglimento dell'azione, con la dichiarazione di inefficacia dello stesso, non consentirebbe al creditore di soddisfare le proprie ragioni, restando i beni nella proprietà dei soggetti individuati dal "de cuius", sino al positivo esperimento dell'azione di riduzione, che presuppone la rinuncia al legato"); in dottrina, ancora in senso negativo, Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, 489 ss. Propendono invece per l'impiego dell'art. 524 c.c. C. Grassi, Rinuncia del legittimario pretermesso all'azione di riduzione e mezzi di tutela dei creditori: revoca della rinuncia ed esercizio in surroga dell'azione di riduzione, in Famiglia, 2004, 1193; M. Perreca, Considerazioni minime sugli strumenti di tutela dei creditori del legittimario verso la rinunzia tacita alla legittima, in Riv. Giur. Sarda, 2003, 324, nota a Trib. Cagliari 14 febbraio 2002, n. 625; A. Bigoni e F. Giovanzana, La tutela del creditore personale del legittimario tra surrogatoria, revocatoria ed art. 524 c.c., nota a Tribunale Novara 18 marzo 2011, cit., in Notariato, 2013, 6, 655.

(16) Le questioni di cui si tratta non possono porsi che per il legittimario non pretermesso (giacché questi non può accettare né rinunciare).

(17) Cass. 19 dicembre 1975, 4193, in CED Cassazione: "Qualora il soggetto che il de cuius abbia istituito, per testamento, suo unico erede, sia, a sua volta, deceduto lasciando più coeredi, la domanda di riduzione delle disposizioni contenute nel suddetto testamento deve essere necessariamente proposta, da parte di colui che si ritenga leso nel suo diritto alla quota di riserva, nei confronti di tutti i successori universali dell'erede originario" e ciò sul presupposto che la disposizione lesiva non può che essere inefficace o mantenere efficacia nei confronti di tutti coloro che subentrano nella unitaria posizione del beneficiato.

(18) La condizione non riguarda il legittimario pretermesso giacché questi fino all'esito del giudizio di riduzione è escluso dalla successione e quindi non può accettarla.

(19) La decadenza ha luogo nelle ipotesi previste dagli artt. 493 e 494 c.c. Come precisato da Cass. 9 agosto 2005, n. 16739, in CED Cassazione, l'ipotesi in cui alla dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario non segua la effettiva redazione dell'inventario non è un'ipotesi di decadenza ma di mancato perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva delineata dall'art. 484 c.c.

(20) Così M. Bianca, La famiglia e le successioni, II, Milano, 2005, 694. V. nello stesso senso, G. Cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Utet, Torino, 1985, 5, 414 s., al quale si rinvia anche per un esame critico tanto della tesi minoritaria (sostenuta da A. Cicu, Successione legittime e dei legittimari, Milano, 1972, 284) secondo cui la ratio della condizione starebbe nell'esigenza di evitare che della riduzione possano beneficiare i creditori ereditari, quanto della affermazione contenuta nella Relazione del Ministero di Grazia e Giustizia, al progetto definitivo del codice civile, Roma, 1937, 88, 47, secondo cui la condizione sarebbe imposta dalla inconciliabilità logica tra azione di riduzione e responsabilità illimitata per i debiti ereditari.

(21) M. Bianca, La famiglia e le successioni, II, Milano, 2005, 694.

(22) Così Cass. 19 ottobre 2012, n. 18068, in Foro it., 2013, I, 945. Con questa sentenza la Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 564 c.c. nella parte in cui non prevede che il legittimario che non abbia accettato con beneficio di inventario possa comunque agire in riduzione, anche nei confronti di terzi (non coeredi ma)

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a conoscenza, in qualsiasi modo, della effettiva consistenza del relictum, in riferimento agli artt. 2 e 3 e 24 Cost. La Corte ha motivato la propria decisione richiamando la ratio della norma ed evidenziando che la circostanza per cui i terzi possono avere consapevolezza della entità del patrimonio del de cuius, in quanto circostanza di fatto, non vale a giustificare la richiesta di una pronuncia di costituzionalità.

(23) Cass. 19 ottobre 2012, n. 18068, cit., che parla espressamente di "condizione di ammissibilità" dell'azione; Cass. 9 luglio 1971, n. 2200, in Foro it. Rep., 1972, voce Successione ereditaria, n. 47.

(24) Cass. 9 febbraio 1982, n. 782 in CED Cassazione; conforme, Cass. 12 ottobre 1955, n. 3051.

(25) Sul modo di intendere il qualificativo "espressa", v., con riferimento alla clausola nella quale il donante dichiari che la donazione è fatta sulla disponibile, Cass. 6 giugno 1983, n. 3852, secondo cui "la dispensa dall'imputazione ex se deve essere espressa e, quindi, occorre che la volontà di dispensare dall'imputazione sia deducibile con certezza dal contesto della disposizione, senza possibilità di equivoci sul significato sia logico che letterale dell'espressione usata, restando conseguentemente esclusa l'utilizzabilità di elementi extracontrattuali e la desumibilità di una volontà in tal senso per implicito dalle disposizioni del donante. Discende che non può ravvisarsi una dispensa dalla imputazione alla legittima nella dichiarazione del donante che la donazione viene da lui fatta sulla disponibile"; in senso opposto, Cass. 26 novembre 1971, n. 3457: "il donante o il testatore che intenda dispensare dall'imputazione ex se non e tenuto ad adoperare formule sacramentali, essendo sufficiente che la sua volontà in tal senso risulti compiutamente dal contesto dell'atto, mentre è inibito, per identificarla, il ricorso ad elementi extratestuali. Una dispensa dall'imputazione ex se può, peraltro, ravvisarsi nella dichiarazione del donante che la donazione viene da lui fatta sulla disponibile". Le sentenze sono reperibili in CED Cassazione. La dispensa può essere oggetto di una specifica disposizione del testamento o del contratto di donazione.

(26) La rinuncia al legato è condizione per l'azione promossa dal legittimario che sia stato beneficiato da un legato in sostituzione di legittima. La rinuncia deve intervenire prima o contestualmente alla domanda di riduzione (Cass. 22 luglio 2004, n. 13785, in Giust. civ., 2005, 1, 2691) e non è implicita nella proposizione di questa (Cass. 15 marzo 2006, n. 5779, in Riv. not., 2007, 2,198, con nota di G. Musolino). Sulla forma della rinuncia al legato immobiliare, v. Cass., sez. un., 29 marzo 2011, n. 7098, in Riv. not., 2011, 5, 2, 1207, con nota di R. Ucci, secondo cui, "in tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell'art. 551 cod. civ. un legato avente ad oggetto un bene immobile, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350, primo comma, n. 5, cod. civ., risolvendosi la rinuncia in un atto dismissivo della proprietà di beni già acquisiti al suo patrimonio;

infatti, l'automaticità dell'acquisto non è esclusa dalla facoltà alternativa attribuita al legittimario di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima, tale possibilità dimostrando soltanto che l'acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del beneficiario, che, qualora riguardi immobili, è soggetta alla forma scritta, richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari".

(27) Cass. 6 marzo 1980, n. 1521, in Vita Not., 1980, 1, 179: "L'azione di riduzione contro il coerede donatario, coniuge o discendente del de cuius, presuppone che questi sia stato dispensato dalla collazione, giacché, in caso contrario, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione spettantegli sull'eredità, senza necessità di ricorso alla specifica tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima".

(28) Cass. 6 giugno 1968, n. 1701, in Foro it. Rep., 1968, voce Successione ereditaria, n. 75; Cass. 27 novembre 1957, n. 4499, in Foro it. Rep., 1957, voce Successione ereditaria, n. 139, tutte aventi riguardo alla accettazione con beneficio di inventario.

(29) Sulla necessità della precisazione dell'ordine cronologico v. Cass. 29 ottobre 1975, n. 3661, in CED Cassazione.

(30) Al fine della prova della esistenza di tali atti occorre depositare i contratti di donazione o la copia del testamento contenente le disposizioni lesive; più complessa è la prova ove si tratti di liberalità dissimulate o di donazioni indirette, giacché, dovendosi allora dimostrare la vera natura dell'atto o gli effetti del meccanismo indiretto, diviene spesso necessario avvalersi di testimonianze o presunzioni.

(31) Per Cass. 17 ottobre 1992, n. 11432, in CED Cassazione, il legittimario deve anche dimostrare "l'inesistenza nel patrimonio del de cuius di altri beni oltre quelli che formano oggetto dell'azione di riduzione, giacché, in conformità del

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