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Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell’infanzia. Il registro italiano

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Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell’infanzia.

Il registro italiano

RIASSUNTO

L’ipoglicemia è una frequente anomalia endocrino-metabolica in età pediatrica, soprattutto nel periodo neonatale, ed è particolar- mente temibile per le conseguenze sul sistema nervoso centrale.

Le cause di ipoglicemia sono numerosissime e comprendono condizioni transitorie, malattie metaboliche e patologie endocrine congenite. L’iperinsulinismo congenito dell’infanzia (congenital hyperinsulinism of infancy, CHI) è la causa più comune di ipo - glicemia persistente in età pediatrica ed è dovuto a un’inappropriata secrezione di insulina a fronte di bassi livelli di glicemia. È un’entità eterogenea dal punto di vista clinico, gene- tico e istologico. Una diagnosi tempestiva e una pronta istituzio- ne della terapia sono necessarie per evitare che gravi e ripetute ipoglicemie provochino danni cerebrali irreversibili. Mutazioni a carico di 7 diversi geni possono causare CHI; la maggior parte dei casi è dovuta a mutazioni a carico dei geni che codificano per le subunità dei canali del K+ATP-dipendenti. Nonostante i pro- gressi nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base di questa patologia e nella diagnostica delle forme diffuse verso le focali, grazie alla PET con 18-fluoro DOPA, molto è ancora da fare per migliorare la prognosi dei pazienti affetti da CHI.

È stato recentemente istituito il Registro Italiano Iperinsulinismo Congenito dell’Infanzia (RICI) con l’obiettivo di migliorare la conoscenza e la gestione di questa rara e complessa malattia.

SUMMARY

Hypoglycaemia due to congenital hyperinsulinism of infancy. The italian registry

Hypoglycaemia is a frequent metabolic disorder in pediatric age particularly in the newborn period, with major consequences on central nervous system. Among the causes of hypoglycaemia are included transient conditions due to metabolic adaptation after birth, inborn errors of metabolism, hormonal disorders.

Congenital hyperinsulinism of infancy (CHI), the most frequent cause of persistent hypoglycaemia in children, is due to inappro- priate insulin secretion at low blood glucose levels. It is an het- erogeneous entity in terms of clinical presentation, genetics and histology. Prompt diagnosis and therapy are necessary to avoid that serious and recurrent hypoglycaemia causes irreversible brain damage. Mutations in 7 different genes can be responsi-

C. Ingegnosi

1

, M. Crapanzano

1

, S. Di Candia

2

, P. Sogno-Valin

2

, M.C. Proverbio

3

, C. Battaglia

3

,

I. Zamproni

4

, S. Mora

4

, V. Guardabasso

5

, S. Bianca

6

, A. Salvatoni

7

,

M. Caruso-Nicoletti

1

1Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Catania, AOU Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania; 2Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano; 3Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche, Università degli Studi di Milano; 4Laboratorio di

Endocrinologia Pediatrica, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano;

5SIS, AOU Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania; 6Genetica Medica, ARNAS Garibaldi Nesima, Catania; 7Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi dell’INSUBRIA, Varese-Como

Corrispondenza: prof.ssa Manuela Caruso-Nicoletti, Centro di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Catania, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, via Santa Sofia 78, 95123 Catania

G It Diabetol Metab 2011;31:88-96 Pervenuto in Redazione il 03-01-2011 Accettato per la pubblicazione il 03-03-2011 Parole chiave: ipoglicemia, iperinsulinismo, beta-cellule pancreatiche, mutazioni, geni Key words: hypoglicaemia, hyperinsulinism, pancreatic beta-cells, mutations, genes

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ble of CHI; the great majority being mutations of the genes cod- ing for the subunits of ATP sensitive K+ channels. Despite major progresses in the understanding of molecular mechanism underlying this condition and in the diagnosis of diffuse versus focal forms, thanks to 18-fluoro DOPA PET, most needs to be done to improve the prognosis of CHI patients. Recently the Italian Registry for Congenital Hyperinsulinism of Infancy has been instituted with the aim of implementing knowledge and management of this rare and complex disease.

Ipoglicemia in età pediatrica

L’ipoglicemia è una della più comuni anomalie endocrino- metaboliche in età pediatrica, particolarmente temibile per le conseguenze a livello del sistema nervoso centrale. Tale patologia si manifesta per lo più nel periodo neonatale e nel corso del primo anno di vita. L’incidenza varia tra 1 e 4/1000 nati vivi ed è superiore in gruppi di neonati ad alto rischio. Il mantenimento dell’omeostasi glicemica dipende dall’intake di nutrienti (carboidrati e substrati neoglucogenetici), dall’at- tività del sistema enzimatico epatico deputato a gluconeoge- nesi e glicogenolisi, dall’utilizzazione di altri substrati e dall’ef- ficienza del sistema endocrino (insulina, glucagone, GH, cor- tisolo, adrenalina) responsabile della mobilizzazione dei sub- strati, della loro utilizzazione e riconversione. Nelle prime 72 ore di vita l’efficienza di questi meccanismi non permette un adeguato mantenimento dell’omeostasi glucidica: alla nasci- ta la glicemia scende sino a raggiungere i 50 mg/dl, per risa- lire a circa 70 mg/dl a 72 ore di vita nel neonato a termine.

Si considera pertanto patologica una glicemia ≤ 40 mg/dl nelle prime 24 ore di vita, ≤ 45 mg/dl dopo le 24 ore. I livel-

li sono più bassi nei neonati pretermine e piccoli per l’età gestazionale (small for gestational age, SGA). In epoca post- natale viene considerata ipoglicemia un valore di glicemia plasmatica < 50 mg/dl1-3. Le sindromi ipoglicemiche posso- no essere classificate in base all’età di comparsa (neonato, prima infanzia, età successive), alla relazione temporale con il pasto (ipoglicemia a digiuno o spontanea e ipoglicemia postprandiale o reattiva), alla presenza o meno di chetone- mia, alla presenza o meno di epatomegalia, o alla causa patogenetica. Le ipoglicemie neonatali possono essere transitorie se si risolvono entro la prima settimana di vita, persistenti se si prolungano oltre. Le ipoglicemie neonatali transitorie sono le forme più frequenti in assoluto; si distin- guono in forme associate a carenza di substrato e/o aumen- tato consumo e forme associate a iperinsulinemia. La classi- ficazione riportata in tabella 1 è basata sull’età di esordio e sul meccanismo patogenetico.

La causa più frequente di ipoglicemia persistente a esordio nel neonato o nella prima infanzia è l’iperinsulinismo conge- nito dell’infanzia. La forma che si presenta con maggiore fre- quenza nella fascia di età successiva è invece l’ipoglicemia chetotica idiopatica che esordisce solitamente tra i 18 mesi e i 5 anni e si risolve spontaneamente entro gli 8-9 anni. In questa forma di ipoglicemia, le crisi ipoglicemiche compaio- no quasi sempre dopo il digiuno notturno e in concomitanza con episodi febbrili. Sono più spesso bambini di basso peso, con scarso appetito e storia di vomito frequente. Al momen- to dell’ipoglicemia si osservano: chetonuria, chetonemia, insulina soppressa, bassi livelli di alanina. Si ipotizza un difet- to transitorio in uno dei passaggi del catabolismo proteico o della deaminazione ossidativa degli aminoacidi o del meta- bolismo dell’alanina4.

Tabella 1 Classificazione delle ipoglicemie in età pediatrica.

Ipoglicemie neonatali Ipoglicemie nel bambino Ipoglicemie transitorie (< 7 giorni) Iperinsulinismo congenito

Associata a mancanza di substrato (neonati, Deficit ormonali pretermine, SGA, gemelli, distress respiratorio, Glicogenosi

infezioni, anomalie del SNC) Galattosemia; intolleranza al fruttosio Associata a iperinsulinemia (figli di madre diabetica, Disordini della gluconeogenesi

neonati con eritroblastosi fetale) Disordini della beta-ossidazione degli acidi grassi Ipoglicemie persistenti Disordini della chetogenesi

Iperinsulinismo congenito Disordini congeniti della glicosilazione Disordini della gluconeogenesi Difetti della catena respiratoria mitocondriale

Deficit ormonali Ipoglicemia chetotica

Disordini della beta-ossidazione degli acidi grassi Ipoglicemia nel diabete

Glicogenosi tipo I Ipoglicemia factitia (sindrome di Münchausen) Disordini della chetogenesi

Galattosemia Leucinosi

Intolleranza al fruttosio

Disordini congeniti della glicosilazione (CDG) Tirosinemia di tipo I

Difetti della catena respiratoria mitocondriale

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Iperinsulinismo congenito dell’infanzia

Con il termine di iperinsulinismo congenito dell’infanzia (CHI) ci si riferisce a un gruppo eterogeneo di malattie, differenti dal punto di vista clinico, genetico e anatomopatologico, e che dovrebbe essere più correttamente definito “inappro- priata secrezione di insulina”; infatti i pazienti affetti non pre- sentano necessariamente livelli circolanti di insulina elevati in assoluto, ma livelli inappropriati rispetto ai valori glicemici5,6. Questa malattia rappresenta una delle condizioni più impe- gnative da affrontare per il medico che si prende cura del giovane paziente, infatti, le persistenti e ricorrenti ipoglicemie possono essere causa di handicap neurologico e, in alcuni casi, l’evoluzione verso un diabete iatrogeno è inevitabile.

L’incidenza di queste due complicanze (circa 50% dei pazienti) si è solo leggermente ridotta negli ultimi vent’anni, il che sta a indicare che la corretta gestione e il corretto tratta- mento di questa malattia sono ancora un problema7-9.

Epidemiologia

CHI è una malattia rara e i dati epidemiologici sono carenti.

Sono state descritte forme sia sporadiche sia familiari. Le forme sporadiche hanno un’incidenza di 1:20-50.00010. È stata riportata un’incidenza di 1:20.000 in Kuwait11, di 1:27.000 in Irlanda12, 1:40.000 in Finlandia13e 1:50.000 in Olanda14. Tuttavia, in alcune comunità isolate in Finlandia13e in popolazioni Arabe con elevato livello di consanguineità10 sono state riportate incidenze pari a 1:3000 e 1:2300, rispet- tivamente. Il rapporto dell’incidenza maschi/femmine è di 1,2:1 nella forma diffusa e 1,8:1 nella forma focale. Mentre in passato si riteneva che la forma diffusa rappresentasse la maggior parte dei casi, casistiche recenti suggeriscono che la forma focale possa essere presente sino al 70% dei casi15. Poiché le basi genetiche sono marcatamente eterogenee e molti difetti genetici sono ancora da individuare, non si può escludere che diverse popolazioni presentino, oltre che una diversa incidenza, anche una diversa frequenza e distribuzio- ne delle varie forme genetiche, che a loro volta si rifletteran- no in una diversa frequenza e distribuzione di fenotipi clinici.

Genetica

Nei pazienti affetti da CHI sono state evidenziate mutazioni in 7 geni diversi, ed è stata dimostrata un’ereditarietà di tipo sia autosomico recessivo sia dominante.

Circa il 50% dei casi è causato da mutazioni dei geni (ABCC8 e KCNJ11) che codificano per SUR1 e Kir6.2, le subunità costituenti il canale del K+ ATP-dipendente nelle beta-cellule pancreatiche (HI-KATP). L’identificazione di queste mutazioni e la caratterizzazione dei loro effetti hanno fornito nuove importanti informazioni sulla struttura e fun- zione di questo canale dal ruolo così cruciale16. I canali del K+ATP-dipendenti rappresentano uno strumento di colle- gamento tra l’attività elettrica e lo stato metabolico della cellula, agendo come sensori della concentrazione dei nucleotidi intracellulari. Il canale del potassio è un comples-

so funzionale costituito da una subunità, SUR1 o recettore per le sulfoniluree, che conferisce al canale sensibilità nei confronti degli effetti stimolatori (per es. le sulfoniluree) o ini- bitori (per es. il diazossido, DZ) e da una subunità, Kir 6.1 che determina le proprietà biofisiche del canale, tra cui la selettività al K+. Il metabolismo del glucosio, aumentando il rapporto ATP/ADP, inibisce i canali e quindi la fuoriuscita di K+, a questo consegue la depolarizzazione della membrana cellulare e l’apertura dei canali del calcio; l’afflusso di Ca+ all’interno della cellula determina il rilascio di insulina per esocitosi (Fig. 1). Sono state descritte mutazioni inattivanti recessive e dominanti a carico del gene ABCC8 (circa 150 mutazioni) e del gene KCNJ11 (circa 25 mutazioni). Le mutazioni che portano a una perdita di funzione dei geni codificanti le subunità per il canale del K+se recessive in omozigosi sono responsabili di forme di iperinsulinismo severo a esordio precoce in epoca neonatale, non respon- sive al DZ; le mutazioni recessive in eterozigosi composta e quelle dominanti determinano dei quadri clinici meno gravi17,18. HI-ATP si può manifestare come una malattia dif- fusa (Di-HI) coinvolgente tutto il pancreas o come un’iperplasia adenomatosa localizzata o una forma focale (Fo-HI). Le forme, diffuse e focali, hanno lo stesso locus genetico, ma modalità di trasmissione diverse. Sebbene siano state descritte delle mutazioni di tipo autosomico dominante, Di-HI origina prevalentemente da una mutazio- ne a livello dei geni codificanti il canale del K+ (ABCC8 e/o KCNJ11) a trasmissione autosomica recessiva. Le forme di Fo-HI invece, originano da una mutazione con trasmissione di tipo non mendeliano. Una mutazione paterna ereditata a carico di ABCC8 o KCNJ11 è ridotta allo stato di emizigosi da una seconda mutazione, di tipo somatico, a livello di una piccola regione di 11pl5.1-p ter e a volte di tutto l’allele materno del cromosoma 11. Il risultato è una perdita di ete- rozigosità (loss of heterozygosity, LOH) a livello delle aree di

Figura 1Ruolo del canale del potassio ATP-dipendente nel regolare il rilascio di insulina.

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adenomatosi iperplastica focale a carico del pancreas19,20. Fino al 1997, si pensava che Di-Hi fosse la causa principale di iperinsulinismo congenito, mentre adesso si sa che le forme focali, Fo-HI, potrebbero essere la causa principale di HI-ATP e arrivano a percentuali del 70%15.

Se nel 90% dei casi può essere identificata una forma diffu- sa o focale, una piccola parte di pazienti invece presenta un’istopatologia atipica, con un’eterogeneità a livello delle isole pancreatiche caratterizzata da zone iperfunzionanti e zone ipofunzionanti19.

Circa il 5% dei pazienti affetti da CHI presenta mutazioni domi- nanti nel gene che codifica per la glutammato deidrogenasi (GLUD1), enzima mitocondriale responsabile della conversio- ne reversibile del glutammato ad α-chetoglutarato (HI-GDH).

La mutazione del gene è responsabile di un’aumentata affini- tà dell’enzima per il suo substrato; l’incremento di α-chetoglu- tarato è responsabile dell’incremento del rapporto ATP/ADP e quindi dell’inibizione del canale K+ATP-dipendenti. I pazienti con queste mutazioni presentano, di solito, un’ipoglicemia relativamente lieve, responsiva alla terapia farmacologica e associata a un’iperammoniemia asintomatica21-23.

La glucokinasi rappresenta un enzima chiave del metaboli- smo del glucosio, il cui tasso di fosforilazione a opera dell’en- zima, nella prima tappa della glicolisi, è proporzionale alla concentrazione stessa di glucosio e svolge un ruolo cruciale nella secrezione di insulina. Il gene della glucokinasi (GCK), oltre alle mutazioni loss of function responsabili di diabete neonatali se presenti in omozigosi e di MODY 2, se presenti in eterozigosi, può presentare mutazioni dominanti gain of function che provocano rarissimi casi di iperinsulinismo con- genito (HI-GCK)24,25.

Recentemente sono stati descritti alcuni casi di iperinsulini- smo congenito associati a mutazioni nel gene (HADH) che codifica per l’enzima L-3-idroacil-CoA deidrogenasi (HADH o SCHAD = short chain L-3 hydroxyacil-CoA deidrogenase) che catalizza la penultima tappa della beta-ossidazione.

HADH sembra essere un regolatore negativo della secrezio- ne di insulina, ma l’esatto meccanismo con cui queste muta- zioni provocano ipoglicemia da iperinsulinismo congenito (HI-SCHAD) non è noto26,27.

In passato era stata descritta in più elementi di alcune fami- glie una sindrome singolare caratterizzata da ipoglicemia con iperinsulinismo conseguente all’esercizio fisico (HI-EI), recen- temente è stata identificata la base molecolare di questa forma in mutazioni dominanti del gene SLC16A1 che codifi- ca per l’MCT1 (monocarboxilate transporter 1); la mutazione determina un’aumentata espressione del gene nella beta- cellula con conseguente aumento dell’up-take del piruvato e del rilascio di insulina stimolato dal piruvato28,29.

Infine, sono stati recentemente riportati casi di macrosomia e ipoglicemia iperinsulinemica, transitori o permanenti, asso- ciati a mutazioni del gene HNF4α che codifica per il fattore di trascrizione hepatic nuclear factor 4α che, oltre a essere coinvolto nello sviluppo e nella funzione di fegato e pancreas, nella beta-cellula regola diversi geni che controllano la secre- zione di insulina stimolata dal glucosio. Mutazioni eterozigoti del gene sono responsabili del MODY 1; a oggi non è anco- ra stato chiarito come mutazioni eterozigoti dello stesso gene siano responsabili di CHI30.

Nonostante questo panorama genetico già discretamente eterogeneo, in circa il 50% dei casi non viene individuata un’eziologia genetica precisa, suggerendo la possibilità di altri loci di malattia18,31,32.

La tabella 2 riassume le cause genetiche di CHI.

Clinica

L’esordio della malattia si verifica quasi sempre in epoca neo- natale, a volte nel corso del primo anno di vita, raramente nel bambino più grande. L’inappropriata secrezione di insulina è responsabile di grave, a volte incontrollabile, ipoglicemia. La

Tabella 2 Cause genetiche dell’iperinsulinismo congenito dell’infanzia (CHI).

Gene Proteina Meccanismo Trasmissione

ABCC8 SUR1 (recettore 1 della sulfonilurea) Difettoso funzionamento della subunità

AD/AR SUR1 del canale del K+

KCNJ11 Kir6.2 Difettoso funzionamento della subunità

AD/AR Kir 6.2 del canale del K+

Mancata inibizione della produzione di α-chetoglutarato con conseguente GLUD 1 Glutammato deidrogenasi incremento del rapporto ATP/ADP AD

e quindi dell’inibizione del canale K+ATP-dipendente

GCK Glucochinasi Aumento dell’affinità della GCK AD

per il glucosio

HADH L-3-idroacil-CoA deidrogenasi Sconosciuto AR

SLC16A1 Monocarboxilate transporter 1 (MCT1) Aumentata espressione di MCT1 AD

HNF4A Hepatic nuclear factor 4 α Sconosciuto AD

AD, autosomica dominante; AR, autosomica recessiva.

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sintomatologia è caratterizzata da convulsioni, coma e, nei casi più gravi, morte neonatale. Le convulsioni da ipoglicemia sono una tipica modalità di presentazione, altri sintomi pos- sono essere cianosi, ipotermia, ipotonia, inappetenza, letar- gia, apnee, tremori, nervosismo, tachicardia, pallore, sudora- zione, irritabilità. La difficoltà nel riconoscere e trattare pronta- mente l’ipoglicemia nel neonato o nel lattante può determina- re danni cerebrali irreversibili con successivo ritardo dello svi- luppo psicomotorio, ritardo mentale, epilessia. Sono state descritte complicanze neurologiche nel 25-50% dei pazien- ti33. Obiettivo della gestione del bambino con CHI è quindi una diagnosi precoce, una pronta istituzione della terapia e un adeguato follow-up al fine di prevenire i danni cerebrali e garantire uno sviluppo psicomotorio normale.

Diagnosi

La valutazione laboratoristica dell’ipoglicemia si basa sulla determinazione di un certo numero di parametri metabolici che possono essere indicativi del corretto funzionamento o meno dei diversi meccanismi deputati al mantenimento del- l’omeostasi glucidica; spesso tali parametri sono diagnosti- ci solo se valutati durante la crisi ipoglicemica. È di fonda- mentale importanza ottenere un campione di sangue al momento dell’ipoglicemia, per la determinazione di: pH ematico, glicemia, insulina, lattato, 3-idrossi-butirrato, GH, cortisolo. Nelle urine verrà ricercata la presenza di chetoni, sostanze riducenti e verrà studiata l’aciduria dicarbossilica.

Altri esami utili per la diagnosi differenziale sono: acidi gras- si liberi, glicerolo, aminoacidi, piruvato, carnitina libera ed esterificata, C-peptide, glucagone3,34. Nel caso non fosse stato possibile valutare il quadro metabolico in corso di ipo- glicemia è necessario ricorrere al test del digiuno. Il test al glucagone è di indubbia utilità per valutare la riserva epatica di glicogeno e porre diagnosi differenziale tra forme dovute a glicogenosi, difetti della gluconeogenesi, ipoglicemia che- totica idiopatica e CHI35,36. Poiché la prognosi, riguardo ai danni neurologici che possono avere questi bambini, è cor- relata alla severità e alla durata soprattutto dei primi episodi ipoglicemici, questo implica la necessità di una diagnosi rapida di queste condizioni e di un management ottimale.

Oggi vi è accordo generale su quali siano i criteri diagnosti- ci per CHI:

glicemia di laboratorio < 50 mg/dl;

aumento dell’insulinemia e del C-peptide al momento dell’ipoglicemia; con valore di glicemia di 40 mg/dl l’insulinemia dovrebbe essere < 5 µU/ml, nei soggetti iperinsulinemici è superiore a 10 µU/ml;

assenza di chetoni durante l’ipoglicemia;

livelli inappropriatamente bassi di acidi grassi liberi;

necessità di apporto di glucosio maggiore di 6-8 mg/kg/min per mantenere livelli glicemici > 50 mg/dl;

incremento della glicemia ≥ 40 mg/dl dopo somministra- zione di glucagone9,34.

Posta diagnosi biochimico-metabolica di CHI, oggi è indi- cato cercare conferma mediante l’esame genetico con la ricerca di mutazioni dei geni SUR1, KYR6.2, GLUD1, GCK, HADHSC, HNF4A, SLC16A1, pur tenendo presente che a

oggi solo nel 50% dei casi si individua una mutazione.

Altra tappa fondamentale dell’iter diagnostico è la distinzio- ne tra forma focale e forma diffusa che riveste una valenza clinica importante. Pazienti con una forma focale infatti, pos- sono essere curati con una pancreasectomia parziale.

Invece, in caso di Di-HI non responsivo al trattamento farma- cologico, è necessario ricorrere a un’asportazione del 95%

del tessuto pancreatico, con conseguente diabete e neces- sità di terapia insulinica e con enzimi pancreatici. Le metodi- che adottate fino ad alcuni anni fa per differenziare le forme focali da quelle diffuse preoperatoriamente consistevano in metodi invasivi: il sampling pancreatico; la risposta insulinica acuta (AIR) alla tolbutamide37,38. Il sampling venoso pancrea- tico percutaneo consiste nella cateterizzazione per via trans- epatica delle vene pancreatiche, nel prelievo di sangue da ognuna di esse per il dosaggio della glicemia e dell’insuline- mia e nella dimostrazione della presenza di aree di secrezio- ne di alti livelli di insulina accompagnati da bassi livelli di gli- cemia. Questo metodo prevede che la terapia venga sospe- sa nei giorni precedenti e che la glicemia venga mantenuta al di sotto dei 54 mg/dl. Come risultato si potrà verificare o l’esistenza di una disregolazione globale della secrezione di insulina (Di-HI) o invece di una o più aree affette (Fo-HI). Il sampling è quindi una procedura tecnicamente non sempli- ce e rischia di esporre i piccoli pazienti a ipoglicemie prolun- gate. Il test della risposta insulinica acuta all’infusione endo- venosa della tolbutamide (antagonista dei canali del potassio ATP-dipendenti) si basa sul fatto che il pancreas normale (quiescente), che si ritrova nelle Fo-HI al di fuori delle lesioni, può essere ancora stimolato a produrre insulina per azione del farmaco, diversamente da quanto ci si attende di osser- vare nelle forme in cui è affetto tutto il tessuto pancreatico38. Tuttavia, uno studio recente effettuato su bambini che sono poi andati incontro a intervento chirurgico dei quali è pertan- to nota l’istologia, ha evidenziato che il test alla tolbutamide è quasi sempre positivo (90%) per le lesioni focali, ma con- trariamente alle aspettative, anche molti pazienti (più del 50%) con una forma diffusa hanno presentato una risposta positiva. Questo reperto è stato messo in relazione con l’osservazione che alcune mutazioni recessive a carico dei geni del canale del potassio ATP-dipendente appaiono giu- stificare la coesistenza di una marcata risposta al DZ e della capacità dei canali di essere stimolati dalla tolbutamide39. Anche questa metodica quindi è invasiva e non del tutto informativa. Recentemente questi metodi sono stati sop- piantati dalla TAC/PET con 18-fluoro-DOPA. La PET viene comunemente utilizzata per identificare tumori neuroendocri- ni funzionanti e si è ipotizzato di utilizzarla per identificare le lesioni nelle forme di Fo-HI utilizzando la 18F-di-idrossi-feni- lalanina, un aminoacido marcato con F1840. La capacità di captare la L-DOPA e di trasformarla in dopamina è correlata con l’attività della decarbossilasi degli aminoacidi aromatici e risulta aumentata nelle aree pancreatiche interessate da iper- funzione, rispetto alle aree con normale funzionamento. La tecnica consiste nell’iniezione endovenosa di 18F-L-DOPA (dose media di radioattività iniettata 4,2 MBq/kg di peso cor- poreo ± 1,0 SDS) e nell’esecuzione, dopo 45-65 minuti dal- l’iniezione del radiotracciante, di una scansione PET toraco-

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addominale (con modalità di acquisizione tridimensionale).

La metodica si è rivelata estremamente sensibile, oltre che poco invasiva, e permette al chirurgo di eseguire una rese - zione limitata alla zona interessata41,42(Fig. 2).

Terapia

Un’ipoglicemia acuta grave è un’urgenza medica, e il tratta- mento consiste nel fare risalire in tempi brevi i livelli glicemici e stabilizzarli; questo comporta l’infusione per via endoveno- sa di glucosio al 10% alla dose di 6-8 mg/kg/min, precedu- ta da un bolo alla dose di 200 mg/kg se il paziente è sinto- matico, e modificando successivamente la velocità e la con- centrazione dell’infusione allo scopo di mantenere i livelli di glicemia nel range di normalità. Il CHI richiede quasi sempre un aumento della velocità di infusione endovenosa di gluco- sio sino a valori ≥ 15 mg/kg/min. Questo elevato fabbisogno di apporto di glucosio in fase diagnostica è un criterio di sospetto di CHI e può richiedere il posizionamento di un catetere venoso centrale per la somministrazione di una soluzione glucosata ipertonica al 15-20%. Inoltre, se l’ipoglicemia non risponde al glucosio per via endovenosa, in attesa di definizione diagnostica, possono essere aggiunti farmaci come idrocortisone o glucagone.

Nel trattamento del CHI ci si avvale di terapie il cui target sia l’inibizione del rilascio di insulina o la mobilizzazione di gluco- sio epatico. I farmaci di prima scelta sono quelli che posso- no essere somministrati per via orale, seguiti in seconda bat- tuta da quelli somministrabili endovena o sottocute7,43. Il diazossido (DZ) è il farmaco di prima scelta nel trattamen- to del CHI; viene somministrato per via orale, la dose è gene- ralmente calcolata in base al peso corporeo e varia da 5 a 15

mg/kg/die in 2-3 somministrazioni. Il DZ agisce legandosi alla subunità ABCC8 del canale del K+ ATP-dipendente e quindi aumentando la probabilità di apertura del canale, con conseguente iperpolarizzazione della membrana e inibizione del rilascio di insulina. Ci sono pareri discordanti riguardo alla frequenza con cui i pazienti rispondono completamente a questo farmaco, la letteratura, infatti, riporta tassi di succes- so variabili dal 15 al 60% o più. Queste differenze riflettono la diversa selezione di casi candidati al trattamento, l’efficacia delle diverse dosi in vivo e la nota eterogeneità nella biologia molecolare, nella genetica e nell’istopatologia riscontrata nel CHI. Nella pratica clinica, il tasso di risposta al DZ viene limitato dal livello di tolleranza clinica, che dipende dalla gravità degli effetti collaterali che questo farmaco può comportare. Principali effetti indesiderati sono la ritenzione di liquidi (edema dei piedi, delle mani e del viso), che nei bam- bini piccoli può causare insufficienza cardiaca, e ipertricosi su braccia, gambe, dorso e viso che compare nella quasi totalità dei pazienti trattati.

Dimostrato il collegamento fra la perdita dei canali K+ATP- dipendenti e l’aumento della secrezione insulinica, questo ha suggerito la possibilità che gli inibitori dei canali del Ca2+ vol- taggio-dipendenti possano essere un valido aiuto nel tratta- mento del CHI. L’efficacia della nifedipina è stata documen- tata a partire del 1996; essa ha il vantaggio, rispetto al DZ, di modulare direttamente gli eventi molecolari alla base della secrezione insulinica, può essere assunta oralmente alla dose di 0,25-2,5 mg/kg al giorno, tuttavia pochi pazienti sono responsivi, il monitoraggio pressorio è imprescindibile e l’esperienza clinica appare attualmente limitata.

L’octreotide è un octapeptide, analogo della somatostatina, potente inibitore dell’ormone della crescita, del glucagone e

Figura 2 Immagini TC/PET con F-DOPA in 2 pazienti con iperinsulinismo congenito dell’infanzia; a sinistra forma diffusa, a destra forma focale.

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dell’insulina e agisce attraverso una modulazione multifattoria- le a livello beta-cellulare. Questa induce un aumento del potenziale di membrana beta-cellulare che previene l’influsso di calcio nella cellula e conseguentemente il rilascio di insulina.

Per ottenere questo effetto la somatostatina agisce a vari livelli attivando diversi canali del potassio, fra cui quelli ATP-dipen- denti in maniera indipendente dal potenziale di membrana44. La secrezione insulinica viene inibita anche attraverso mecca- nismi diversi rispetto alla modulazione del potenziale di mem- brana e a valle rispetto all’influsso di calcio, riducendo i livelli plasmatici di cAMP e interagendo direttamente con il mecca- nismo di esocitosi6. Viene somministrato per via sottocutanea alla dose di 2-10 mg/kg/die. L’uso degli analoghi della soma- tostatina è gravato da effetti collaterali tra cui: soppressione della secrezione di GH, del TSH e dell’ACTH, steatorrea, cole- litiasi, distensione addominale e rallentamento della crescita.

La terapia farmacologica del CHI è limitata dal fatto che nes- sun farmaco usato nella pratica clinica è specifico per l’inibizione del rilascio insulinico, e il glucagone, utilizzato per i suoi potenti effetti di mobilizzazione del glucosio epatico, indu- ce anche il rilascio di insulina. Inoltre il DZ, ma in parte anche gli altri farmaci utilizzati nella terapia del CHI, agiscono a livello del canale del potassio ATP-dipendente e richiedono quindi l’integrità della funzione del gene ABCC8; tuttavia, la correla- zione tra difetto genetico e responsività alla terapia farmacolo- gica è ancora da chiarire45,46. Recentemente è stato riportato che un trattamento intensivo combinato con basse dosi di octreotide e infusione continua sottocute di glucagone, in pazienti con forma diffusa resistente al DZ può ritardare se non eliminare la necessità di un intervento chirurgico47. Nei pazien- ti non responsivi al trattamento farmacologico e che presenta- no una forma focale si procede con l’intervento chirurgico di pancreasectomia parziale che oggi, grazie alla PET con 18F- DOPA, permette una resezione selettiva e può rappresentare la terapia risolutiva. Nei pazienti con forma diffusa si effettua una pancreasectomia totale, che comporta la necessità di terapia sostitutiva della funzione esocrina del pancreas con enzimi digestivi, e nel tempo la comparsa di un diabete iatro- geno e somministrazione di insulina.

Storicamente più dell’80% dei neonati con CHI persistente sono stati trattati chirurgicamente. Oggi il trattamento com- binato con DZ e octreotide a lungo termine, o quello più recentemente proposto con octreotide e glucagone, hanno ridotto il numero di pazienti che devono essere sottoposti al trattamento chirurgico.

Il registro italiano dell’iperinsulinismo congenito dell’infanzia

Da quanto esposto si evince come l’iperinsulinismo conge- nito dell’infanzia sia una rara malattia di non facile diagnosi e gestione e presenti le problematiche comuni a tutte le malat- tie rare come: garantire un’adeguata rete assistenziale, utiliz- zare protocolli/linee guida validati, affrontare problematiche psicosociali. L’iperinsulinismo congenito dell’infanzia non compare nell’elenco delle malattie del Centro Nazionale

Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità e non gode di un’esenzione specifica per la spesa sanitaria.

Attualmente non sono disponibili dati relativi a incidenza o prevalenza in Italia. A nostra conoscenza, non sono stati pubblicati studi su numeri significativi di pazienti italiani e di conseguenza non ci sono informazioni sulla distribuzione dei casi nel territorio nazionale, frequenza delle varie forme istopatologìche, terapie e outcome. Inoltre, poco è noto in merito alle basi genetiche del CHI nei pazienti italiani e pre- sumibilmente molti dei pazienti non sono stati ancora stu- diati dal punto di vista genetico. Abbiamo quindi pensato che un’indagine su scala nazionale avrebbe permesso di ottenere un’ampia casistica e che un registro nazionale sarebbe stato lo strumento migliore per raccogliere, regi- strare ed elaborare dati sui pazienti affetti da CHI. Per tale motivo, nell’ambito di un programma di ricerca cofinanziato dal MIUR e a cui partecipano il Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, il Dipartimento di Biologia e Genetica per le Scienze Mediche dell’Università degli Studi di Milano, il Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università degli Studi dell’Insubria e il Dipartimento di Pediatria dell’Università degli Studi di Catania, è stato istituito il Registro Italiano dell’Iperinsulinismo Congenito dell’Infanzia (RICI). Lo scopo del RICI è quello di valutare l’incidenza della patologia in Italia, i protocolli di accesso alla diagnosi, le pro- cedure diagnostiche, le basi genetiche della patologia, le procedure di follow-up. Inoltre il registro è un mezzo per aumentare le conoscenze sulla storia naturale della patolo- gia in quanto consente lo sviluppo di studi combinati tra epi- demiologia e aspetti clinici, volti a evidenziare i determinan- ti eziologici e i fattori di rischio a essi associati.

Un’aggregazione nazionale di esperienze, con il necessario confronto internazionale, consente inoltre di esprimere una massa critica di ricerca utile per lo sviluppo di approcci dia- gnostici, terapie e modalità assistenziali.

Il registro è stato realizzato presso l’unità di ricerca del Dipar - timento di Pediatria dell’Università di Catania ed è attivo dal 2008. È stato creato un sito internet (www.progettorici.it), che presenta il progetto e permette la registrazione dei medi- ci. I medici registrati possono stampare dal sito i moduli per la segnalazione dei pazienti. I moduli, compilati in forma car- tacea, vengono inviati attraverso un web-fax, che archivia i documenti ricevuti in area riservata e protetta e permette la stampa presso la sede del registro. Attraverso il modulo è possibile richiedere per il paziente inserito nel registro la dia- gnosi genetica; lo studio genetico dei pazienti italiani con CHI rappresenta infatti parte fondamentale del progetto nell’am- bito del quale è stato istituito il registro. Dall’inizio dell’attività del registro sono stati individuati circa 90 pazienti, e già acquisiti i dati di 48 casi (29 maschi e 19 femmine). I pazien- ti provengono da: Lombardia, Sicilia, Campania, Emilia, Marche, Puglia, Sardegna, provincia di Trento e Bolzano.

L’età mediana attuale dei pazienti è 6 anni (range 1-35) e la durata mediana del follow-up risulta di 4,2 anni. Dati prelimi- nari suggeriscono che dal punto di vista clinico i pazienti del RICI presentano delle peculiarità rispetto a quanto si evince dalla letteratura. Lo studio genetico ha già permesso di indi-

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viduare 5 mutazioni nuove dei geni ABCC8/KCNJ11 e una rarissima mutazione del gene HADH.

Molto è ancora da fare al fine di migliorare la gestione clinica di questi pazienti e ridurre la prevalenza delle gravi complican- ze cui possono andare incontro. Tra le diverse strategie che possono essere perseguite a tal fine, un ruolo cruciale sarà sicuramente svolto dai progressi nella comprensione delle basi genetiche e nell’individuazione di nuovi loci genetici e nuove mutazioni coinvolti nel CHI. Quando l’analisi genetica potrà essere eseguita di routine, queste informazioni rivestiranno un ruolo nella fase diagnostica e nella scelta dell’approccio tera- peutico. Tuttavia, i benefici clinici delle conoscenze genetiche deriveranno dall’estensione dell’analisi genetica a grandi numeri di pazienti e da conseguenti studi di correlazione geno- tipo-fenotipo. Il progetto iniziale di ricerca delle mutazioni genetiche note nei pazienti inseriti nel registro, proseguirà con l’applicazione di tecniche di sequenziamento ultramassivo allo scopo di individuare nuovi loci di malattia.

Nonostante la comunicazione dell’istituzione del registro sia stata ampiamente diffusa attraverso comunicazioni telemati- che, e non solo, alle strutture sanitarie e alle società scienti- fiche, presso tutto il territorio nazionale, i casi, pur comin- ciando a costituire una casistica significativa, sono a oggi inferiori a quelli attesi.

In conclusione, auspichiamo di sensibilizzare e coinvolgere un numero sempre maggiore di centri e di specialisti che hanno in carico pazienti affetti da CHI, in modo da imple- mentare la casistica del RICI e contribuire significativamente al progresso delle conoscenze e della gestione di questa rara e complessa malattia.

Fonti di finanziamento

Il progetto di ricerca sull’iperinsulinismo congenito dell’infan- zia è stato finanziato dal MIUR: PRIN 2006063299.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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