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Discrimen » Gli Stati Generali dell’esecuzione penale

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Academic year: 2022

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GLI STATI GENERALI

DELL’ESECUZIONE PENALE

visti dall’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane

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Simone Bergamini Gianluigi Bezzi Fabio Massimo Bognanni Giuseppe Cherubino Roberta Giannini Davide Mosso Ninfa Renzini Cinzia Simonetti Gabriele Terranova Renato Vigna Franco Villa

© Copyright 2016 by Pacini Editore Srl

ISBN 978-88-6995-047-6

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Gloria Giacomelli

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Un’ idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione...

Giorgio Gaber - Un’idea (1972)

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Il carcere è un ozio, senza riposo, dove le cose facili

sono rese difficili da cose inutili

Frase di autore anonimo, letta sul muro di un carcere e citata dal Ministro della Giustizia alla cerimonia conclusiva degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.

(Roma, Rebibbia 18 / 19 aprile 2016)

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INDICE

Prefazione di Andrea Orlando ... p. 9

Prefazione di Glauco Giostra ... » 13

Prefazione di Beniamino Migliucci ... » 19

Introduzione... » 21

Gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale di Riccardo Polidoro ... » 29

1. L’iniziativa ... » 29

2. Una grande occasione, che non va sprecata ... » 30

3. L’obbligo ... » 32

4. La scelta dei media ... » 36

5. La chiusura dei lavori ... » 38

L’Osservatorio Carcere U.C.P.I.(il titolo dei capitoli corrisponde al nome dato al Tavolo a cui ha partecipato il componente del direttivo dell’Osservatorio) 1. Spazio della pena. Architettura e carcere-città di Simone Giuseppe Bergamini ... » 43

2. Donne e carcere di Gianluigi Bezzi ... » 47

3. Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenza di Fabio Massimo Bognanni ... » 53

4. Mondo degli affetti e territorializzazione della pena di Giuseppe Cherubino ... » 55

5. Lavoro e formazione di Roberta Giannini ... » 59

6. Istruzione, Cultura e Sport di Davide Mosso ... » 61

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8. Esecuzione Penale: esperienze comparative e Regole Internazionali

di Cinzia Simonetti ... » 71 9. Operatori penitenziari e formazione

di Gabriele Terranova ... » 83 10. Trattamento. Ostacoli normativi alla individualizzazione

del trattamento rieducativo

di Riccardo Polidoro ... » 87 11. Processo di reinserimento e presa in carico territoriale

di Renato Vigna ... » 95 12. Organizzazione e Amministrazione dell’Esecuzione Penale

di Franco Villa ... » 103

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PREFAZIONE

L’anno in cui in Italia fu approvata la riforma dell’ordinamento penitenziario, il 1975, è l’anno in cui esce in Francia, da Gallimard, il libro di Michel Foucault, Sor- vegliare e punire. Sottotitolo: Nascita della prigione. Sarà tradotto immediatamente in italiano, e pubblicato l’anno successivo da Einaudi. Perché ricordare questa cir- costanza? Non certo per rievocare nostalgicamente i fasti di un paradigma teorico e pratico di contestazione delle strategie repressive del potere, che puntava ad una radicale deistituzionalizzazione della società. Ma per mostrare quanto velocemente mutino gli orizzonti culturali e ideologici. Nulla è infatti oggi più lontano dal senso comune dell’analisi genealogica della società disciplinare che Foucault praticava, tra passione filosofica e militanza politica.

I risultati di quella stagione sono stati ovviamente molto diversi: altri hanno provato a tirarne un bilancio. Io mi limito a immaginare quale eco avrebbe avuto, in quegli anni, un’iniziativa come gli Stati Generali dell’Esecuzione penale, che abbiamo preso proprio per assicurare la più ampia circolazione ad una riflessione sulle condizioni della detenzione nel nostro Paese, su cui sarei generoso se parlassi di un’attenzione intermittente da parte dell’opinione pubblica.

La verità è che questa attenzione manca. La temperie sociale e culturale è, oggi, tutt’altra. Oggi prevalgono paure e insicurezze che si traducono in una forte richie- sta di risposte di tipo securitario. Non ho bisogno di fornire esempi di questa diffe- renza di clima. Citerò solo una vicenda, che mi pare emblematica. Mi riferisco alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Dall’entrata in vigore del decreto- legge 31 marzo 2014, n.52 – convertito, con modificazioni, con la legge 30 maggio 2014, n.81 – il giudice deve richiedere, nei casi di infermità o seminfermità mentale, l›applicazione di una misura diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudi- ziario o in una casa di cura e di custodia, eccezion fatta per i casi in cui manchi la possibilità di fronteggiare la pericolosità sociale o di fornire cure adeguate.

Si tratta, insomma, del superamento del sistema degli OPG. Quello che negli anni scorsi sembrava un traguardo lontano è stato dunque raggiunto. Si tratta un passaggio storicamente e culturalmente di grande rilievo: si abbandona un modello di cura istituzionalizzato, fondato sulla reclusione, e si adotta un nuovo paradigma, incentrato sui trattamenti personalizzati a fini riabilitativi ed inclusivi.

Ho citato prima Foucault: basterebbe ricordare la sua Histoire de la folie, e i dibattiti che allora ne scaturirono (e che in Italia portarono alla cosiddetta legge Basaglia, la 180 del 1978) per valutare il significato del decreto dello scorso anno.

Ma quale attenzione si è prestata ad essa? E con quali argomenti è stata presentata una simile riforma?

Sul carcere, sull’istituzione carceraria, non si avverte un atteggiamento molto diverso. La soluzione penale viene richiesta non in ultima analisi, ma in prima battuta, con il non infrequente corollario della richiesta di restrizione in carcere e infine dell’incrudimento della condizione carceraria. Un passo segue l’altro: più pene, più carcere, più carcere duro.

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In queste condizioni, cambiare passo e direzione è difficile, ma è quello che abbiamo provato a fare.

Poiché si trattava e si tratta di favorire non un incremento della conoscenza scientifica, ma una diversa consapevolezza di quello che avviene nelle carceri, ho pensato che non aveva molto senso limitarsi a discutere fra esperti. Non era suffi- ciente, perché gli esperti fanno ormai da molti anni questa discussione, e non han- no bisogno di ripetersela fra di loro. Manca invece un più ampio coinvolgimento della società. Manca un confronto fra tutti coloro che, nei loro percorsi di vita e professionali, si incontrano a vario titolo con la realtà dell’esecuzione penale. Per ampiezza di confronto, per larghezza di visione, abbiamo cioè provato a fare qual- cosa che non era mai stata fatta, finora. Sono sicuro che i frutti di questo lavoro si vedranno nei prossimi mesi: il Parlamento saprà farne tesoro.

Proprio nel Parlamento italiano, in occasione della relazione sull’amministra- zione della giustizia presentata alla fine di gennaio 2016, ho citato le parole pro- nunciate poco più di cent’anni fa, nel 1904, da una delle prime e più eminenti personalità del socialismo italiano, Filippo Turati.

Il suo intervento di denuncia delle condizioni della reclusione smosse i senti- menti dell’Aula, come lo stesso Presidente del Consiglio dell’epoca, Giovanni Giolitti, ebbe a riconoscere. Oggi non useremmo le sue stesse parole per descrive le carceri italiane: non parleremmo più di «cimitero dei vivi». Ma voglio qui citare per intero la frase del deputato socialista, perché essa contiene il principio che ha ispirato l’i- niziativa degli Stati Generali: «Non vi è comunicazione alcuna tra il nostro mondo e quel cimitero dei vivi che sono le carceri», diceva infatti Turati. Noi abbiamo cercato e cerchiamo di fare nient’altro che questo: ristabilire quella comunicazione.

Ancora una citazione, questa volta di Pietro Calamandrei, in un altro momento della storia d’Italia. Siamo infatti nel 1948, la guerra è finita e l’Italia è ormai una repubblica democratica. Ma il problema delle carceri ancora assilla la sensibilità dei più fini giuristi del Paese: «in Italia – scrive allora Calamandrei – il pubblico non sa abbastanza che cosa siano certe carceri italiane. Bisogna vederle, bisogna esserci stati, per rendersene conto».

Calamandrei aveva ragione: bisogna andare in carcere. E hanno ragione i radi- cali italiani, che coltivano la bella consuetudine di recarvisi nei giorni di festa. L’ho ricordato in Parlamento, in occasione della commemorazione di Marco Pannella, e voglio ricordarlo anche in questa circostanza. Il carcere – uso allora sue parole – non può essere una «struttura di persecuzione sociale» per la soluzione dei pro- blemi che la società non sa affrontare.

A piazza Navona, in occasione dell’ultimo saluto a Pannella, ho riconosciuto che quel che si è fatto in questi anni, i riflettori che abbiamo provato ad accendere sugli istituti penitenziari, per restituire alla pena il senso di umanità che la Costi- tuzione le assegna, lo dobbiamo anzitutto al leader radicale, e a Papa Francesco.

È così, ed è singolare che sulla stessa tematica si siano incontrati profili tanto distanti fra di loro: da un lato il vecchio leader radicale, libertario e anticlericale;

dall’altro il Papa cattolico, gesuita, venuto da un paese alla fine del mondo. In real- tà, la dignità dell’uomo è il principio che li avvicina. E li avvicina anche la convin- zione che essa va cercata e difesa proprio là, dove più facilmente è calpestata: nei luoghi marginali, negli angoli invisibili della società.

Bisogna dunque conoscere le carceri. Gli Stati Generali sono serviti, io cre- do, anzitutto a questo: favorire una più ampia conoscenza di cosa significa vivere

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Prefazione

nell’orizzonte ristretto di un carcere, e di come «buttar via la chiave», trascurare le esigenze dei detenuti, calpestare la loro dignità non sia solo moralmente e giuridi- camente inammissibile, ma persino controproducente, dal momento che aggrava il rischio di recidiva.

Tornano anche qui le parole di Filippo Turati: «Non è scritto in alcun libro del destino che le nostre carceri debbano essere dei semenzai di criminalità».

Vorrei far mie queste parole. Credo di poter dire infatti che dalla sentenza Torreggiani in poi qualcosa è stato fatto, per dimostrare che non c’è alcun libro del destino. In questi anni, abbiamo portato la popolazione carceraria in linea con la capacità del sistema. Non mi nascondo che vi sono ancora problemi e squilibri fra le diverse realtà della detenzione, ma il sovraffollamento carcerario, per il quale il nostro Paese era andato ignominiosamente incontro alla condanna della Corte europea di Strasburgo, non ha più i caratteri dell’emergenza drammatica che ho trovato al momento del mio insediamento in via Arenula.

Resta però che il sistema produce tassi di recidiva troppo alti: fra i più alti d’Europa. Sono troppi i detenuti che hanno alle spalle precedenti esperienze carce- rarie. È il segno che dobbiamo ripensare l’intero orizzonte della pena, e dobbiamo farlo per senso di umanità, per rispetto del dettato costituzionale, ma avendo anche la pazienza di spiegare che un carcere il quale contempli trattamenti individualiz- zati e l’utilizzo integrato di pene alternative – la direzione lungo la quale ci stiamo muovendo – non è un regalo ai delinquenti, come strillano gli imprenditori della paura, né la dimostrazione del fiacco lassismo dello Stato. È invece l’intelligente investimento di una società che decide di non trasformare il carcere in una scuola di formazione della criminalità.

Spiegare questo cammino è importante. La pubblicazione di questo volume a cura dell’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane va dunque salutata con vivo compiacimento, e la speranza che gli Stati Generali dell’Esecuzio- ne Penale si prolunghino ancora, nel dibattito pubblico e nell’impegno politico e legislativo, è da me condivisa.

M i accorgo di avere scandito attraverso date e discorsi un percorso, e deline- ato un cammino: prima l’alba del secolo ventesimo, tra miti di progresso e nuove speranze di riscatto e di emancipazione, e la denuncia di Turati sul lato in ombra della società italiana; poi la rinascita democratica del secondo dopoguerra, il clima febbrile della ricostruzione economica, politica e civile del Paese, e la preoccupa- zione di Calamandrei perché non si dimentichino e non si lascino indietro i luoghi della pena e dell’afflizione; infine, gli impetuosi anni Settanta, attraversati da pro- fonde scosse e movimenti di contestazione che, in mezzo alla violenza politica e al radicalismo ideologico, comportarono pure un avanzamento dei diritti nel nostro Paese, e tra questi quelli dei detenuti, con la riforma dell’ordinamento penitenzia- rio del 1975.

Sono trascorsi altri quarant’anni, da allora: abbiamo il dovere di segnare un’al- tra volta il cammino, e di provare a riprendere il filo di un chiaro avanzamento del nostro Paese in termini di umanità e di civiltà.

Andrea Orlando Ministro della Giustizia

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PREFAZIONE

Che l’incontro del 18 e 19 aprile nel carcere romano di Rebibbia non costi- tuisse l’evento conclusivo degli Stati generali dell’esecuzione penale, lo dimostra questa bellissima iniziativa editoriale. Le relazioni finali dei Tavoli tematici e del Comitato scientifico che in quella sede sono stati presentati, infatti, non volevano costituire un frutto, ma un seme. Gli Stati generali fallirebbero lo scopo se non andassero oltre se stessi. Ciò non significa, naturalmente, ignorare le difficoltà po- litiche e culturali, che si frappongono al pieno dispiegamento degli effetti del loro ambizioso progetto. Perché le soluzioni propugnate richiedono democratica condi- visione; le parole d’ordine, ascolto sociale: il seme ha bisogno di terra accogliente.

E temo che questa terra accogliente sinora (mi concedo il conforto dell’avverbio) ancora non ci sia.

Gli Stati generali muovevano da una diagnosi e da un’idea.

La diagnosi. Era doveroso chiedersi come mai, dopo aver introdotto ben qua- rant’anni fa uno degli ordinamenti penitenziari più avanzati del mondo, fossimo giunti a subire una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani contro Italia), per violazione dell’art. 3 C.e.d.u.

(divieto di tortura). Come mai il Parlamento stesse discutendo un disegno di legge delega intitolato «Modifiche (...) all’ordinamento penitenziario per l’effettività rie- ducativa della pena», quando la nostra Costituzione da quasi settant’anni pretende che le pene tendano alla rieducazione del condannato. Come mai oggi l’aratro della riforma insistesse sostanzialmente sugli stessi solchi aperti dalla legge peni- tenziaria di quarant’anni fa. Domande ineludibili, se si voleva evitare che il nuovo a cui si intendeva lavorare facesse la fine del vecchio. Ebbene, sembra difficilmente contestabile che la quarantennale storia del nostro ordinamento penitenziario stia a dimostrare che qualsiasi riforma meramente legislativa è destinata a rimanere in gran parte inattuata, se non vi sono persone e luoghi che sappiano accoglierla (non basta, ammoniva il sen. Gozzini, versare vino nuovo in otri vecchi). Stia a dimostrare soprattutto che, se non si riesce a contrastare la diffusa convinzione che il carcere sia l’unica risposta alle paure del nostro tempo e la corrispondente tendenza politica – elettoralmente molto redditizia – ad affrontare ogni reale o sup- posto motivo di insicurezza sociale ricorrendo allo strumento, meno impegnativo e più inefficace, dell’inasprimento della repressione penale e della restrizione delle possibilità di graduale reintegrazione del condannato nel consorzio civile, ogni innovazione normativa resterà precariamente esposta a “scorrerie legislative” di segno involutivo e “carcerocentrico”. “Scorrerie” giustificate dal potere politico con indifferibili esigenze di tutela della collettività, ma in realtà motivate dall’intento di procacciarsi facile consenso, esibendo “muscolarità normativa” per affrontare l’emergenza di turno.

L’idea. Se si voleva dunque evitare che anche la riforma legislativa in corso finisse sul telaio di Penelope, bisognava battere strade nuove. Gli Stati generali sull’esecuzione penale hanno inteso appunto far ricorso ad un approccio metodo-

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logicamente inedito, caratterizzato da due momenti fondamentali: una prima fase, nella quale mobilitare professionalità ed esperienze diverse che per le loro peculia- ri conoscenze potessero offrire un’attenzione multiprospettica ai temi nevralgici e qualificanti dell’esecuzione penale, al fine di svolgere analisi e di formulare propo- ste che avessero come punto di fuga ideale un modello di esecuzione penale all’al- tezza dell’art. 27 comma terzo della Costituzione; una seconda fase, volta a sotto- porre ad un riscontro democratico i risultati scaturiti dalla prima, sia per sollecitare rilievi e suggerimenti, sia per cercare di mettere al centro del dibattito pubblico il problema del carcere, promuovendo una nuova cultura sociale della pena. Per dare a quei semi un terreno su cui germogliare.

Al di là del valore e della condivisibilità delle singole proposte, è difficile di- sconoscere, anche ad un primo bilancio, che l’approccio adottato abbia conseguito risultati culturalmente molto importanti, di cui questo volume dà puntuale e indi- scutibile conferma.

Ha prodotto un patrimonio di documentazione, di indagini conoscitive con- dotte in Italia e all’estero, di riflessioni critiche, di articolate proposte normative, di indicazione di prassi virtuose e di sperimentati modelli organizzativi, che resterà quale giacimento di conoscenze e di proposte a disposizione di chiunque – politi- co, studioso, operatore – intenda promuovere cambiamenti, riflettere, intervenire in subiecta materia.

Si è inaugurato un metodo di lavoro imperniato su un network di professiona- lità, culture, esperienze e linguaggi diversi, che appare l’unico modo per affrontare un problema complesso e poliedrico come quello dell’esecuzione della pena. I contributi raccolti in questo libro ne danno vivida ed efficacissima testimonianza.

Più di duecento persone, che non avevano avuto né occasione, né intenzione di lavorare insieme hanno messo a disposizione, con generosa dedizione, le loro complementari competenze, trovando l’esperienza così proficua e stimolante che, pur dopo la consegna delle Relazioni finali, continuano a consultarsi e a progettare iniziative comuni. Ed è ragionevole ritenere che la rete delle conoscenze e delle interrelazioni sia destinata ad ampliarsi e ad essere replicata.

Gli Stati generali hanno anche ispirato un’iniziativa, unica nella storia peniten- ziaria, di detenuti che, organizzati anch’essi intorno a Tavoli tematici e coordinati da un professionista esterno nel ruolo di “facilitatore”, si sono confrontati, hanno discusso ed hanno elaborato un interessante documento di riflessioni critiche e proposte (Convegno tenutosi presso la Casa di reclusione di Opera, a Milano, il 7 novembre 2015 su “La pena vista dal carcere, riflessione dei detenuti sui temi degli Stati generali sulla Esecuzione penale”).

Ma il conseguimento dell’obbiettivo finale – il radicale cambiamento della cul- tura sociale della pena – avrebbe richiesto e richiede il contributo determinante dei mass media, come viene fatto opportunamente osservare più volte in questo volume. È fondamentale che gli operatori dell’informazione abbiano la piena con- sapevolezza dell’insostituibile funzione che potrebbero svolgere in questo settore.

È con particolari aspettative, quindi, che il lavoro dei Tavoli e del Comitato è sta- to offerto alla loro attenzione, perché essi avrebbero gli strumenti, per capacità comunicativa e potenzialità diffusiva, di far capire come sia socialmente ottusa, oltreché costituzionalmente inaccettabile, l’idea che il carcere sia una sorta di buio caveau, in cui gettare e richiudere monete che non hanno più corso legale nella società sana e produttiva. Come sia fallace la diffusa convinzione che un maggior

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Prefazione

tasso di carcerazione produca più sicurezza sociale, essendo vero al contrario che l’espiazione extracarceraria della pena riduce notevolmente il tasso di recidiva.

Come sia miope la convinzione che la vittima del reato riceva tanto più rispetto e risarcimento morale, quanto più ciecamente afflittiva sia la pena per il suo so- praffattore. Come sia importante promuovere un’assunzione di responsabilità del colpevole che lo sospinga a condotte materialmente e psicologicamente risarcitorie nei confronti di chi il torto ha subito. Come sia socialmente proficuo (sia in termini economici, che di minor recidiva) ricorrere, quando ne maturino i presupposti, alle misure di comunità per proiettare l’autore del reato in una dimensione di riparato- ria operosità. Come la giustizia riparativa non sia un modo di abdicare al compito di rendere giustizia, ma un tentativo di sostituire al grossolano rammendo con cui la pena riduce lo strappo del tessuto sociale provocato dal reato una paziente e delicata opera di ritessitura dei fili relazionali tra il reo, la vittima e la società.

Dobbiamo purtroppo riconoscere che sino ad ora è mancato questo supporto dei mezzi di informazione, indispensabile affinché penetri nell’opinione pubblica un diverso modo di percepire il senso e il fine della pena. È possibile, ed anzi fortemente auspicabile, che l’enorme lavoro “istruttorio” degli Stati Generali par- torisca innovazioni legislative ed organizzative, ma il libro della riforma sarebbe facilmente scompaginato dalla prima folata emergenziale, se non potesse contare sulla robusta rilegatura di un sentire sociale nuovo e sintonico. Per questo, ed op- portunamente, Riccardo Polidoro nel suo contributo ripete con forza che nessuno stabile obbiettivo sarà conseguito «senza una campagna d’informazione», senza che

« si coinvolgano le scuole, le università, si entri nelle case con l’immenso potere dei mass media ». I segnali, va detto, non sono incoraggianti. Già non erano mancati indizi inquietanti, puntualmente sottolineati nelle pagine che seguono: dal silenzio dei mass media rispetto ad eventi simbolicamente e “pedagogicamente” istruttivi (come l’impeccabile lavoro svolto da circa cento detenuti all’expo di Milano) alla chiassosa risonanza suscitata da un fatto che avrebbe dovuto, invece, essere accom- pagnato da un rispettoso silenzio (l’idea di chiamare Adriano Sofri a coordinare il Tavolo dedicato a “Cultura e carcere”). Ma è ciò che è accaduto in occasione delle giornate di presentazione del lavoro degli Stati generali ad essere sintomaticamen- te preoccupante. L’incontro a Rebibbia annoverava un parterre (il Presidente della Repubblica, alcuni Ministri, i Presidenti delle Commissioni giustizia di Camera e Senato, il vicepresidente del Csm, la Commissaria per la giustizia della Commis- sione europea, il Procuratore nazionale antimafia, la Presidente della Rai ed altre autorevolissime personalità), che da solo avrebbe garantito larga risonanza me- diatica all’evento anche se il tema fosse stato “La dieta mediterranea”. Salvo rare eccezioni, invece, l’evento è rimasto, per così dire, al centro della disattenzione generale, a causa della sostanziale indifferenza dei mass media. Le ragioni di tale disinteresse verosimilmente dipendono dalle regole che attualmente governano il mondo dell’informazione e dalla specificità del tema carcere. Da sempre la notizia mediaticamente appetibile è una cattiva notizia; oggi deve anche superare un certo livello di decibel emotivi per essere letta o ascoltata. Persino i siti di previsione meteorologica ricorrono a locuzioni allarmistiche (ciclone Spartacus, Nerone, Pop- pea, la morsa del maltempo, codice rosso per la protezione civile) per annunciare normali peggioramenti del tempo, pur di attirare l’attenzione. L’Osservatorio di Pavia ha effettuato, su commissione dell’ordine nazionale dei giornalisti, un’analisi di alcuni programmi di intrattenimento o a metà tra informazione e intrattenimento

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(infotainment), rilevando la deprecabile tendenza a “zoomare” sul dolore delle per- sone con eccessi patemici per aumentare l’audience, tanto che lo studio è intitolato

“La TV del dolore”.

Quanto a dolore, si potrebbe pensare, il carcere è senz’altro “competitivo” e, non foss’altro per questa morbosa ricerca della sofferenza da esibire, potrebbe es- sere al centro dell’attenzione mediatica. Non è così. Non è così perché la sofferenza del condannato non ci riguarda e, pensiamo, non ci riguarderà mai; non c’è alcuna immedesimazione; si tratta di una sofferenza sacrosanta – visto che colpisce chi ha procurato ingiusto dolore – da scontare in una sorta extraterritorialità sociale, lon- tana dallo “sguardo” dell’opinione pubblica. In genere, i media si occupano di fatti che riguardano la giustizia penale solo quando sono in grado di attivare sentimenti di insicurezza, di compassione o di angoscia. Anche in tal caso, naturalmente, la cronaca ricorre a toni sensazionalistici e fortemente emotivi, rimandando un’im- magine alterata della realtà. Ma, in questa materia, lo specchio dell’informazione non si limita – come in altri casi (vedi l’esempio del meteo) – a riflettere un’im- magine distorta della realtà, bensì cambia la realtà stessa. Infatti, la frequenza e la tipologia dei fatti narrati, nonché l’enfasi e la mistificazione delle parole impiegate nella narrazione determinano mutamenti significativi della politica penitenziaria, in definitiva della qualità della vita delle persone condannate. Da un altro studio dell’Osservatorio di Pavia emerge che le nostre principali emittenti televisive de- dicano al tema della criminalità uno spazio fino a tre volte superiore a quello che gli riservano le omologhe emittenti straniere. Non è senza significato che si registri tra i medesimi Paesi presi in considerazione un rapporto sostanzialmente inverso quanto a ricorso alle misure alternative al carcere: i riflettori insistentemente punta- ti sui fatti di criminalità, evidentemente, inducono un senso di insicurezza collettiva che poi finisce per trovare espressione politica in una restrizione normativa delle possibilità di ammissione alla libertà dei condannati. Ed ancora. La periodica insi- stenza su una determinata tipologia di reati, quasi mai corrispondente ad una effet- tiva recrudescenza degli stessi, induce sovente il legislatore a draconiane risposte sanzionatorie nei confronti del reato “stagionale” di turno: sequestro di persona, estorsioni, traffico di stupefacenti, stalking, furti d’appartamento, omicidio stradale, ecc. Il ricorso ad espressioni cariche di significati emotivi, ancorché improprie e mistificatorie, s’incarica poi di completare l’opera di manipolazione dell’opinio- ne pubblica e di “corruzione” della risposta normativa. Si pensi all’espressione

“pentiti” con cui sono stati tempo addietro denominati i collaboratori di giustizia, operando una subdola traslazione concettuale: un atteggiamento processuale di co- operazione con l’autorità giudiziaria per l’individuazione di correi viene tramutato in contrassegno inequivocabile di ravvedimento etico. Ebbene, è ragionevole rite- nere che una tale traslazione non sia estranea alla scelta politica di ravvisare nella collaborazione il necessario indice di un positivo percorso rieducativo, al punto da escludere dall’accesso alle misure alternative i soggetti condannati per delitti di criminalità organizzata renitenti alla collaborazione (art. 4-bis ord. penit). Non v’è dubbio che l’atteggiamento collaborativo possa essere un importante segno della maturata volontà di scegliere la via della legalità e del reinserimento sociale, ma è del pari indubbio che vi possa essere rieducazione senza collaborazione e vicever- sa, e che pertanto sia una forzatura costituzionalmente inaccettabile stabilire una presunzione assoluta di inemendabilità per il non collaborante, assimilandolo al

“non pentito”. Ma l’esempio ancora più prossimo e più eclatante dei guasti che la

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Prefazione

corruzione delle parole può provocare ci riporta all’evento conclusivo degli Stati generali, da cui abbiamo preso le mosse.

Com’è noto, i provvedimenti di urgenza con cui si cercò di porre rimedio all’u- stionante condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, vennero disinvoltamen- te etichettati dai mezzi di informazione con il termine “svuotacarceri”. Il “messaggio”

mediatico, diretto a suscitare ansiosa attenzione, ha spacciato l’idea di una sorta di cieco “sversamento” nella società del pericoloso contenuto dei penitenziari. In real- tà, soltanto i condannati che si fossero dimostrati più meritevoli e meno pericolosi avrebbero potuto fruire di misure alternative o di contenute anticipazioni di libertà, e ciò – come studi criminologici, esperienze comparative e dati statistici attestano – avrebbe semmai indotto un significativo abbattimento dell’indice di recidiva. Ma, nell’odierna informazione fast-food, le parole-concetto contano più della realtà che rappresentano e ne segnano in qualche modo il destino: la tossina della mistificazio- ne, una volta inoculata nelle vene mediatiche, non conosce antidoto efficace. L’ansia collettiva trovò ovviamente non disinteressati paladini in Parlamento: i condannati di cui all’art. 4-bis ord. penit., ancorché meritevoli della liberazione anticipata “ordina- ria”, dovevano essere esclusi dal supplemento di premialità costituito dalla liberazio- ne anticipata “speciale”. Cionondimeno, i provvedimenti “svuotacarceri” del 2014 de- terminarono una diminuzione della popolazione penitenziaria di circa 15000 unità.

Ebbene, il Ministro dell’interno Angelino Alfano, intervenendo all’incontro di Rebib- bia, ha dichiarato che il tasso di criminalità, anche nelle sue manifestazioni più gravi (omicidi), nel 2015 è risultato il più basso dall’inizio del secolo. Una buona ragione per insistere nel ricorso alle alternative al carcere, concluderebbe la logica; nessuna ulteriore apertura, ha concluso con il ministro Alfano la politica, «perché la gente non capirebbe». Non potrebbe essere rappresentato in modo più plastico il circuito per- verso che si instaura a seguito di un certo modo di rappresentare allarmisticamente il fenomeno criminale e la problematica carceraria. Non più la fisiologica circolarità de- mocratica di una società che si dà le regole attraverso i propri rappresentanti politici e che poi, informata di come viene amministrata giustizia, sollecita il potere politico ad introdurre i cambiamenti eventualmente ritenuti necessari; ma una società che, condizionata da una rappresentazione mediatica allarmistica ed emotiva, invoca scel- te securitarie avendo presente la giustizia “percepita” e non quella reale. Lo specchio dell’informazione giudiziaria, rimandando una realtà distorta ed ansiogena, induce cambiamenti o resistenze al cambiamento sulla base di presupposti fuorvianti.

Per tradursi in un profondo cambiamento dell’esecuzione penale il grande lavoro di analisi e di proposte svolto dagli Stati generali ha bisogno, dunque, non solo di una forte determinazione politica, ma soprattutto di una “rieducazione dell’opinione pubblica”, come icasticamente da tempo auspica Riccardo Polidoro.

Nessuna importante novità legislativa farà mai presa sulla realtà, infatti, se prima le ragioni che la ispirano non avranno messo radici nella coscienza civile del Paese.

È necessario che gli operatori dell’informazione prendano consapevolezza dell’importantissimo ruolo che sono chiamati a svolgere e della loro conseguente, enorme responsabilità culturale. In questa prospettiva, stiamo cercando di organiz- zare seminari di aggiornamento permanente per giornalisti giudiziari che, replican- do il “metodo Stati generali”, mobilitino professionalità diverse per una proficua contaminazione di conoscenze e di esperienze.

Sempre in un’ottica di crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sa- rebbe auspicabile che si riuscissero a moltiplicare le occasioni in cui la collettività

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possa avvicinarsi al carcere per conoscere di quale sordida e misera materialità sia fatta la giornata del recluso, quanto disperante e demotivante sia per taluni condannati l’impossibilità di sognare un domani degno di essere vissuto. «Bisogna aver visto», ammoniva Piero Calamandrei, prima di parlare di pena e di carcere. La conoscenza avvicina sempre le persone e allontana le paure. Bisogna abbassare i

“ponti levatoi” tra collettività e carcere in modo che la società non lo percepisca più come una sorta di enclave del male e del pericolo, ma come una parte della società a cui dare (moltissimo sta già facendo in Italia il volontariato) e da cui pretendere di più (lavoro di pubblica utilità, condotte riparatorie).

L’Osservatorio carcere dell’Unione Camere penali, che da tempo svolge un’o- pera meritoria di monitoraggio, di conoscenza e di denuncia, ha di recente pro- posto al Ministero della giustizia di promuovere una campagna istituzionale (c.d.

pubblicità progresso) sul senso della pena, mostrando così di aver ben compreso che oggi giorno può essere più importante per la causa uno slogan ben riuscito o una fiction ben costruita di un articolato progetto di riforma. Un aspetto, questo, che certo può non piacere, ma che sarebbe irresponsabile ignorare. Bisogna far ricorso senza snobismi culturali ad ogni strumento utile per cercare di indurre una

“conversione” culturale nell’opinione pubblica, che la avvicini al senso e al fine costituzionale della pena, emancipandola da un approccio miopemente difensivo e securitario.

È tuttavia inutile nasconderselo: sono iniziative che devono resistere ad una forte corrente contraria, anzi che devono –  come storioni  – cercare di risalirla.

Anche per questo ho accettato volentieri l’incarico di scrivere qualche pagina di prefazione a questo bel volume a più mani: per stare insieme ad altri idealisti “ana- dromi”, che provano a risalire una corrente impetuosa, non sapendo se, unendosi, riusciranno un giorno ad invertirne la direzione, ma con la certezza che non mu- teranno mai la propria.

Glauco Giostra Coordinatore del Comitato Scientifico degli Stati generali dell’Esecuzione penale Ordinario di Procedura Penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università la “Sapienza”

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PREFAZIONE

Gli Stati Generali dell’Esecuzione penale sono stati pensati, voluti e convocati con grande determinazione dal Ministro della Giustizia, On. Andrea Orlando, nella consapevolezza che la condizione del detenuto non si possa esclusivamente ridurre ad una questione di metri di ampiezza della cella.

La sentenza Torreggiani ha tuttavia aperto una riflessione sul carcere e sulla pena detentiva che non poteva certo essere posta nel dimenticatoio. Chi sbaglia, e persino chi è in attesa di giudizio, non viene considerato per ciò che è: un essere umano. La vergogna del sovraffollamento e del degrado in cui versa la stragrande maggioranza degli istituti di pena era ignorata e trascurata da tutti. Le battaglie dell’Unione delle Camere Penali Italiane e dei Radicali poco considerate.

È triste constatare che il risveglio delle coscienze sia stato determinato dal richiamo dell’Europa. Ma tant’è. Meglio tardi che mai.

La volontà di cambiare atteggiamento verso la situazione carceraria era, però, tutta da verificare. Il nostro Paese doveva, infatti, necessariamente attenersi, per evitare condanne pesanti anche sotto il profilo patrimoniale, alle indicazioni prove- nienti dalla Corte di Strasburgo in merito alle condizioni minime di dignità dell’ese- cuzione e della permanenza in carcere, ma per nulla scontato era il desiderio della politica di affrontare un tema che non determina consenso elettorale.

Parlare di lavoro, studio, sport, affettività, maternità in carcere, salute e disagio psichico, sembrava e sembra complicato in un Paese disattento anche ai moniti del Papa, che ha voluto più volte insistere sul significato della pena, evidenziando come questa non possa mai tradursi in vendetta sociale e non debba mai allonta- narsi dalla funzione rieducativa.

L’iniziativa, dunque, è stata accolta dall’Unione delle Camere Penali Italiane positivamente, anche per la predisposizione di diciotto tavoli che dovevano appro- fondire ogni aspetto dell’esecuzione penale.

Non abbiamo, però, trascurato di ribadire che gli intenti sarebbero stati traditi, qualora alle parole e alle elaborazioni non fossero seguiti i fatti. Abbiamo, altresì, segnalato le contraddizioni di chi ritiene finalmente giusto e corretto adeguare l’i- dea di pena ai principi costituzionali e poi difende il 41 bis o l’ergastolo ostativo;

o ancora pensa che, pur se una persona è in fin di vita, non debba essere sottratta al carcere duro.

Ora si tratta di essere operativi, consci delle difficoltà rese evidenti anche dalla giornata conclusiva degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, nella quale tutti hanno inteso offrire il proprio contributo, comprese le più alte cariche dello Stato, senza che vi fosse corrispondente interesse da parte dei media.

Questo fa comprendere come la nostra società sia, purtroppo, ancora imper- meabile non solo a ragioni umanitarie e di rispetto della dignità delle persone ristrette, ma anche alle indicazioni statistiche e scientifiche che dimostrano come il carcere produca solo recidiva e, dunque, anche costi sociali, mentre le misure alternative e gli approcci risocializzanti allontanano dal crimine.

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L’emergenza carcere, intesa come sovraffollamento e pessima condizione delle strutture non è per nulla superata, come dimostrato anche dalla disomogeneità dei dati riferibili a ogni singolo istituto di pena – perché non è possibile che vi siano carceri-modello e carceri-inferno  –, così come non sono superate le carenze del personale e delle risorse necessarie all’opera di rieducazione e di recupero dei detenuti.

Le risorse per investire in personale e formazione vanno reperite e bene in- dirizzate, nella consapevole certezza che solo così si potrà dare attuazione seria e concreta alla iniziativa e valorizzare principi di civiltà giuridica affermati dalla nostra Costituzione.

Ma non basta. È necessario anche investire nella informazione: occorre rende- re partecipe l’opinione pubblica delle finalità della pena e pubblicizzare gli effetti positivi, non solo teorici, della rieducazione, non solo per il detenuto, ma anche per l’intera società.

Abbiamo avuto modo di apprezzare lo slancio sincero e l’impegno del Ministro Orlando. Sarebbe un vero peccato se il lavoro dei tavoli, magistralmente coordinato dal Prof. Glauco Giostra, non avesse seguito e si limitasse a rimanere uno studio privo di concrete ricadute sull’esecuzione delle pene detentive.

Anche con la pubblicazione di questo libro, l’Osservatorio carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane intende offrire il proprio contributo per impedire che ciò avvenga.

Beniamino Migliucci Presidente Unione Camere Penali

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INTRODUZIONE

L’espressione “Stati Generali” , nasce per la prima volta nel 1302, quando Fi- lippo il Bello prese tale inziativa per chiedere alle forze sociali la distinzione tra potere spirituale e temporale, mettendo sotto accusa papa Bonifacio VII. Ma è con la Rivoluzione Francese, che il termine assunse una vera e propria valenza politica, quando nel 1789 fu convocata l’assemblea che raccoglieva tutte le forze istituzio- nali: clero, nobiltà e terzo stato.

In epoca contemporanea il termine è molto usato e non ha sempre un signifi- cato politico. Conserva il suo significato di riunione aperta a tutti gli enti portatori di interessi rispetto ad una precisa tematica.

Gli “Stati Generali dell’Esecuzione Penale”, voluti dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, rappresentano la prima esperienza del genere in materia. Hanno coinvolto circa duecento esperti, quali componenti dei diciotto Tavoli tematici, mo- tivati solo dalla grande passione per una battaglia giusta quanto impopolare.

Per ragioni di spazio, non è stato possibile pubblicare le relazioni finali dei Tavoli e quella conclusiva del Comitato Scientifico, comunque disponibili sul sito del Ministero della Giustizia, ma ci è sembrato giusto menzionare i partecipanti, quale ringraziamento – anche a nome dell’Unione Camere Penali Italiane – per il lavoro svolto.

Comitato di esperti

Comitato di esperti per predisporre le linee di azione degli “Stati generali sull’esecuzione penale”

[d.m. 8 maggio 2015 e d.m. 9 giugno 2015 di costituzione e integrazione del Comi- tato degli esperti]

Coordinatore del Comitato

Glauco Giostra, Università Roma Sapienza Componenti

Adolfo Ceretti, Università Milano Bicocca

Luigi Ciotti, presidente Libera, associazione per la lotta alle mafie Franco Della Casa, Università di Genova

Mauro Palma, Presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzio- ne penale, Consiglio d’Europa

Luisa Prodi, presidente Seac – Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario

Marco Ruotolo, Università Roma Tre

Vladimiro Zagrebelsky, direttore del Laboratorio dei Diritti Fondamentali (LDF), Torino

Francesca Zuccari, Comunità di Sant’Egidio 

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Tavoli di lavoro

Elenco pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia Tavolo 1 - Spazio della pena: architettura e carcere Coordinatore Luca Zevi, architetto

Viviana Ballini - Progetti inclusione socio - lavorativa per detenuti ed ex detenuti Rita Barbera - Direttore istituto penitenziario Palermo Ucciardone

Simone Bergamini - Avvocato Cesare Burdese - Architetto

Franco Corleone - Garante diritti detenuti Regione Toscana

Gianfranco De Gesu - Direttore generale Risorse materiali, beni e servizi ammini- strazione penitenziaria

Corrado Marcetti - Direttore Fondazione Michelucci Giancarlo Paba - Docente Architettura Università Firenze

Mario Paciaroni - Già Procuratore capo, procura della Repubblica La Spezia Enrico Sbriglia - Provveditore dell’amministrazione penitenziaria per Veneto, Tren- tino AA, Friuli VG

Leonardo Scarcella - Architetto amministrazione penitenziaria

Mario Spada - Architetto urbanista coordinatore della Biennale dello spazio pubblico Maria Rosaria Santangelo - Docente Architettura Università Federico II Napoli Tavolo 2 - Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicu- rezza

Coordinatore Marcello Bortolato, magistrato Ufficio di sorveglianza di Padova Annamaria Alborghetti - Avvocato

Giuseppe Altomare - Direttore istituto penitenziario San Gimignano

Silvia Buzzelli - Docente di Procedura penale europea e diritto penitenziario Dipar- timento di giurisprudenza Università degli Studi di Milano Bicocca

Mauro D’Amico - Direttore del Gruppo operativo mobile e dell’Ufficio traduzioni e piantonamento dell’Amministrazione penitenziaria

Federico Falzone - Dirigente Direzione generale detenuti e trattamento dell’Ammi- nistrazione penitenziaria

Ornella Favero - Direttore rivista “Ristretti orizzonti“ e del sito www.ristretti.org Fabio Gianfilippi - Magistrato di sorveglianza di Spoleto

Alessandra Naldi - Garante diritti delle pwersone private della libertà del Comune di Milano

Silvia Talini - assegnista di ricerca in diritto costituzionale,Università degli Studi Roma Tre

Tavolo 3 - Donne e carcere

Coordinatore Tamar Pitch, docente Università degli Studi di Perugia Gianluigi Bezzi - Avvocato

Laura Cesaris - Docente di Diritto dell’esecuzione penale dell’Università degli Studi di Pavia

Ida Del Grosso - Direttore dell’istituto penitenziario femminile Roma Rebibbia Marina Graziosi - Sociologa del diritto

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introduzione

Elisabetta Pierazzi - Giudice istruttore Tribunale di Roma Donatella Stasio - Giornalista “Il sole 24 ore”

Sergio Steffanoni - Garante dei detenuti del Comune di Venezia Elena Lombardi Vallauri - Direttore istituto penitenziario di Asti Tavolo 4 - Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze

Coordinatore Emanuele Bignamini, direttore del Dipartimento dipendenze ASL 2 Torino

Virgilio Balducchi - Ispettore generale dei cappellani dell’amministrazione peni- tenziaria

Fabio Bognanni - Avvocato

Pietro Buffa - Provveditore dell’amministrazione penitenziaria Emilia Romagna Marcello Chianese - Avvocato legale di “San Patrignano“ ( ha dichiarato di disso- ciarsi dal lavoro presentato)

Alfio Lucchini - Direttore del Dipartimento dipendenze dell’ASL Milano 2 Achille Orsenigo - Psicologo

Massimo Pirovano - Responsabile della Comunità “Il Gabbiano” onlus Carlo Renoldi - Magistrato Ufficio studi del CSM

Fabrizio Siracusano - Docente di Diritto penitenziario Dipartimento di giurispru- denza Università degli Studi di Catania

Orazio Sorrentini - Direttore istituto penitenziario Busto Arsizio Grazia Zuffa - componente del Comitato nazionale per la bioetica Tavolo 5 - Minorenni autori di reato

Coordinatore Franco Della Casa, professore ordinario di diritto processuale pe- nale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Ge- nova 

Enrico Formento Dojot - Difensore civico della Valle d’Aosta Marco Rossi Doria - Insegnante

Orlando Iannace - Direttore presso il Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità

Cristina Maggia - Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Genova

Susanna Marietti - Coordinatrice nazionale Associazione “Antigone“

Vania Patané - Professore ordinario di Diritto processuale penale presso il Diparti- mento di Giurisprudenza, Università degli Studi Catania

Fabio Prestopino - Direttore istituto penitenziario Pisa

Francesca Stilla - Magistrato Ufficio del Capo dipartimento della Giustizia minorile e di comunità

Anna Ziccardi - Avvocato componente del Direttivo della Onlus della Camera Pena- le di Napoli “Il carcere possibile“

Tavolo 6 - Mondo degli affetti e territorializzazione della pena Coordinatore Rita Bernardini, già deputato

Carmelo Cantone - Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria Toscana Giuseppe Cherubino - Avvocato

Maria Gaspari - Magistrato Tribunale di Sorveglianza di Roma

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Gustavo Imbellone - Rappresentante Associazione “A Roma insieme“

Paolo Renon - Docente di Diritto processuale penale Università degli Studi di Pavia Adriana Tocco - Garante dei diritti dei detenuti Regione Campania

Lia Sacerdote - Responsabile dell’Associazione “Bambini senza sbarre“

Silvana Sergi - Direttore istituto penitenziario Roma Regina Coeli Tavolo 7 - Stranieri ed esecuzione penale

Coordinatore Paolo Borgna, procuratore aggiunto Tribunale di Torino

Marco Borraccetti - Ricercatore Facoltà di Scienze politiche Università degli studi di Bologna

Leopoldo Grosso - Vice presidente del “Gruppo Abele“

Rosanna Lavezzaro - Dirigente Questura di Torino

Elena Nanni - Commissario capo della Polizia penitenziaria

Valter Negro - Sostituto commissario Polizia di Stato – Sezione di polizia giudiziaria Procura della Repubblica di Torino

Maria Teresa Pelliccia - Funzionario del Dipartimento della giustizia minorile e di comunità

Luisa Ravagnani - Garante diritti dei detenuti del Comune di Brescia Antonella Reale - Direttore istituto penitenziario Padova

Arturo Salerni - Avvocato

Stefania Tallei - Rappresentante della “Comunità di Sant’Egidio“

Tavolo 8 - Lavoro e formazione

Coordinatore Stefano Visonà, capo dell’Ufficio legislativo Ministero del lavoro e delle politiche sociali 

Pasquale Bronzo - Ricercatore presso l’ Università degli Studi di Roma “La Sapien- za”

Giuseppe Caputo - Ricercatore

Irma Civitareale - Direttore istituto penitenziario Cassino

Riccardo Del Punta - Docente Dipartimento di scienze giuridiche Università degli Studi di Firenze

Paola Giannarelli - Architetto - Responsabile del Servizio programmazione delle politiche di innovazione e controllo di gestione Ministero della Giustizia

Roberta Giannini - Avvocato

Marcello Marighelli - Garante diritti dei detenuti del Comune di Ferrara

Luigi Pagano - Provveditore dell’amministrazione penitenziaria Piemonte Valle d’A- osta

Michele Tiraboschi - Docente Facoltà di economia Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Giovanni Torrente - Docente di diritto penale Dipartimento di Giurisprudenza Uni- versità degli Studi di Torino

Tavolo 9 - Istruzione, cultura, sport Coordinatore ad interim Mauro Palma

Demetrio Albertini - Dirigente sportivo, ex calciatore

Fabio Cavalli - Registra teatrale, rappresentante del Centro studi Enrico Maria Sa- lerno

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introduzione

Speranzina Ferraro - Direzione Generale per lo studente, l’integrazione, la parteci- pazione, la comunicazione Ministero dell’Istruzione, università e ricerca

Cristina Marzagalli - Magistrato Tribunale di Varese Davide Mosso - Avvocato

Stefano Rossi - Funzionario della professionalità giuridica pedagogica

Marcello Tolu - Responsabile Gruppo sportivo “Fiamme azzurre” dell’ Amministra- zione penitenziaria

Antonio Vallini - Docente diritto penale Dipartimento di Scienze Giuridiche Univer- sità degli Studi Firenze

Valentina Venturini - Docente di storia del teatro, Dipartimento di Filosofia, Comu- nicazione e Spettacolo Università degli Studi Roma tre

Tavolo 10 - Salute e disagio psichico

Coordinatore Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bolo- gnaAntonella Calcaterra - Avvocato

Marta Caredda - Dottoranda di ricerca in Diritto costituzionale, Università Roma Tre Angelo Cospito - Coordinatore regionale della sanità penitenziaria della regione Lombardia

Angelo Fioritti - Direttore sanitario dell’Azienda USL di Bologna Fabio Gui - Segretario generale Forum Nazionale Salute in Carcere

Luciano Lucania - Presidente 2016 - 2018 della “Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria onlus“

Paola Montesanti - Dirigente penitenziario - Direttore dell’Ufficio IV Servizi sanita- ri - Direzione generale detenuti e trattamento - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria

Felice Alfonso Nava - Responsabile U.O. Sanità penitenziaria Azienda ULSS16 Pa- dova

Gianfranco Oppo - Garante diritti dei detenuti del Comune di Nuoro

Antonella Tuoni - Direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario Montelupo Fio- rentino

Paolo Veardo - Rappresentante di “Federsanità“

Daniele Vicoli - Docente di diritto processuale penale Dipartimento Scienze giuri- diche Università degli studi di Bologna

Tavolo 11 - Misure di sicurezza

Coordinatore Nicola Mazzamuto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Mes- sinaDesi Bruno - Garante diritti dei detenuti della Regione Emilia Romagna

Alessandro De Federicis - Avvocato

Ugo Fornari - Docente di psicopatologia forense Università degli studi di Torino Michele Miravalle - Coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni detentive di Antigone

Francesco Patrone - Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma Daniele Piccione - Avvocato

Angela Anna Bruna Piarulli - Direttore istituto penitenziario di Trani

Nunziante Rosania - Direttore ospedale psichiatrico giudiziario Barcellona Pozzo di Gotto

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Massimo Ruaro - Professore a contratto di diritto penitenziario Università degli studi di Genova

Emilio Santoro - Docente di Filosofia del diritto Dipartimento di Scienze Giuridiche Università degli studi di Firenze

Tavolo 12 - Misure e sanzioni di comunità

Coordinatore Gherardo Colombo, già magistrato di cassazione

Stefano Anastasia - Ricercatore di filosofia e sociologia del diritto all’Università degli studi di Perugia

Roberto Bezzi - Responsabile dell’area educativa dell’istituto penitenziario di Mi- lano Bollate

Lina Caraceni - Ricercatore di Diritto processuale penale Dipartimento di Giuri- sprudenza Università degli studi di Macerata

Milena Cassano - Dirigente provveditorato amministrazione penitenziaria Lombar- diaGuido Chiaretti - Rappresentante dell’associazione “Sesta Opera San Fedele“

Roberto Cornelli - Ricercatore Dipartimento dei sistemi giuridici Università degli Studi di Milano Bicocca

Francesco Cozzi - Procuratore aggiunto della Procura della Reppublica di Genova Lidia De Leonardis - Direttore istituto penitenziario di Bari e Altamura

Elisabetta Laganà - Garante diritti dei detenuti del Comune di Bologna

Giorgio Pieri - Responsabile servizio carcere della “Comunità Papa Giovanni XXIII“

Ninfa Renzini - Avvocato

Rita Romano - Direttore istituto penitenziario di Eboli

Tavolo 13 - Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato Coordinatore Grazia Mannozzi, docente Università degli Studi dell’Insubria Elena Buccoliero - Dirigente servizio regionale per le vittime di reati gravi Emilia Romagna

Federica Brunelli - Docente Dipartimento di Giurisprudenza Università degli studi Milano Bicocca

Carmela Campi - Direttore istituto penitenziario Carinola

Maria Laura Fadda - Magistrato Tribunale di Sorveglianza di Milano

Benedetta Galgani - Ricercatore presso il Dipartimento di Giurisprudenza Univer- sità degli studi di Pisa

Daniela Grilli - Direttore ufficio detenuti provveditorato Marche

Maria Pia Giuffrida - Presidente “Spondé“ ONLUS, Organizzazione non lucrativa di attività sociale

Stefano Marcolini - Professore associato in Diritto processuale penale presso il Di- partimento di diritto, economia e culture Università degli Studi dell’Insubria Giuseppe Mosconi - Docente Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia applicata Università degli studi di Padova

Michele Passione - Avvocato

Pietro Rossi - Garante diritti dei detenuti della Regione Puglia

Tavolo 14 - Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali Coordinatore Francesco Viganò, docente Università degli Studi di Milano

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introduzione

Angela Della Bella - Ricercatore Dipartimento di scienze giuridiche Università degli studi di Milano

Alberto Di Martino - Garante reclusi del Comune di Pisa

Daniela Verrina - Magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Genova

Riccardo Turrini Vita - Direttore generale personale e formazione dell’amministra- zione penitenziaria

Cinzia Simonetti - Avvocato

Patrizio Gonnella - Presidente associazione “Antigone“

Maria Perna - Magistrato del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità Antonia Menghini - Ricercatrice Diritto penale Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Trento

Carla Ciavarella - Direttore istituto penitenziario Tempio Pausania Tavolo 15 - Operatori penitenziari e formazione

Coordinatore Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto Tribunale di Messina Massimo De Pascalis - Direttore Istituto Superiore studi penitenziari

Ezio Giacalone - Commissario Capo polizia penitenziaria

Mario Antonio Galati - Direttore istituto penitenziario Vibo Valentia Gloria Manzelli - Direttore istituto penitenziario Milano San Vittore Antonio Mattone - Rappresentante “Comunità di Sant’Egidio“

Silvana Mordeglia - Presidente del “Consiglio nazionale dell’Ordine degli Assistenti sociali“

Francesco Picozzi - Commissario polizia penitenziaria direzione detenuti e tratta- mento dipartimento amministrazione penitenziaria

Maria Laura Scomparin - Docente di diritto processuale penale Dipartimento di Giurisprudenza Università degli studi di Torino

Riccardo Secci - Comandate polizia penitenziaria istituto penitenziario Lecce Gabriele Terranova - Avvocato

Ione Toccafondi - Garante dei diritti dei detenuti Comune di Prato

Tavolo 16 - Trattamento. Ostacoli normativi all’individualizzazione del tratta- mento rieducativo

Coordinatore Riccardo Polidoro, responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Unio- ne Camere Penali Italiane

Maria Grazia Coppetta - Docente diritto processuale penale Università degli studi di Urbino

Giovanna Di Rosa - Magistrato Tribunale di Sorveglianza di Milano Fabio Fiorentin - Magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Vercelli Francesca Gioieni - Direttore istituto penitenziario Brescia

Lorena Orazi - Responsabile area educativa della Casa di reclusione di Padova Andrea Pugiotto - Docente diritto costituzionale Dipartimento di Giurisprudenza Università degli studi di Ferrara

Roberto Piscitello - Direttore generale detenuti e trattamento dipartimento dell’am- ministrazione penitenziaria

Agostino Siviglia - Garante dei diritti dei detenuti Città di Reggio Calabria

Armando Zappolini - Presidente “Coordinamento Nazionale delle Comunità di Ac- coglienza”

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Tavolo 17 - Processo di reinserimento e presa in carico territoriale Coordinatore Claudio Sarzotti, docente Università degli Studi di Torino Alessandro Bruni - Psicoterapeuta, psicoanalista

Cinzia Calandrino - Direttore ufficio rapporti con le regioni dipartimento dell’am- ministrazione penitenziaria

Lucia Castellano - Consigliere della Regione Lombardia

Eros Cruccolini - Garante diritti dei detenuti del Comune di Firenze

Riccardo De Facci - Rappresentante “Coordinamento Nazionale Comunità di Acco- glienza“

Daniela De Robert - Giornalista, presidente associazione “Vic-caritas onlus“

Antonietta Fiorillo - Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze Francesca Paola Lucrezi - Direttore istituto penitenziario Brescia Verziano Tommaso Minervini - Capo area giridico pedagogica Bari e Altamura Renato Vigna - Avvocato

Tavolo 18 - Organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale Coordinatore Filippo Patroni Griffi, presidente di sezione del Consiglio di Stato Vittorio Campione - Direttore della “Fondazione Astrid“

Cristina Capranica - Magistrato Tribunale per i minorenni Roma

Maria Luisa de Rosa - Magistrato dirigente dell’Ufficio del contenzioso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria

Luigi Di Mauro - Dirigente generale del personale e formazione del Dipartimento della giustizia minorile e di comunità

Eustachio Vincenzo Petralla - Dirigente dell’amministrazione penitenziaria Paolo Mancuso - Procuratore capo di Nola

Gianfranco Marcello - Direttore istituto penitenziario Ariano Irpino Valeria Procaccini - Magistrato Tribunale di sorveglianza Roma

Andrea Nobili - Ombudsman regionale con funzioni di garante dei diritti dei dete- nuti Regione Marche

Francesca Vianello - Ricercatore Dipartimento di Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata Università degli studi di Padova

Franco Villa - Avvocato

Salvatore Filippo Vitello - Magistrato Procura della Repubblica Siena

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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE

riccardo Polidoro

responsabile “osservatorio Carcere” dell’unione Camere Penali italiane

1. L’iniziativa

L’essenza e il valore politico degli “Stati Generali dell’Esecuzione Penale”, ri- salta con estrema chiarezza, nelle parole pronunciate dal Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nell’annunciare l’iniziativa:

L’articolo 27 della nostra Costituzione stabilisce che le pene non possono con- sistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla riedu- cazione del condannato. … un principio che ripetiamo spesso ma non possiamo dire che abbia ancora trovato la sua piena applicazione. Le sentenze della Corte di Strasburgo ce lo hanno ricordato e l’esperienza quotidiana di chi con difficoltà opera ogni giorno negli Istituti ce lo testimonia.

Per questo ho voluto avviare il percorso che abbiamo chiamato Stati Generali dell’esecuzione penale: sei mesi di ampio e approfondito confronto che dovrà por- tare concretamente a definire un nuovo modello di esecuzione penale e una mi- gliore fisionomia del carcere, più dignitosa per chi vi lavora e per chi vi è ristretto.

Gli Stati Generali devono diventare l’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico questo tema e le sue implicazioni, sia sul piano della sicurezza collettiva sia su quello della possibilità per chi ha sbagliato di reinserirsi positivamente nel contesto sociale, non commettendo nuovi reati.

L’articolazione che abbiamo previsto avverrà attraverso 18 tavoli tematici a cui contribuiranno innanzitutto coloro che operano nell’esecuzione penale ai di- versi livelli, dalla polizia penitenziaria agli educatori, agli assistenti sociali, a chi ha compiti amministrativi o di direzione e di coordinamento del sistema. Contri- buiranno inoltre anche tutti coloro che studiano questo sistema o che di esso si occupano su base volontaria, secondo una specificità del nostro Paese molto ap- prezzata dai nostri partner europei.

La nostra ambiziosa scommessa è che attraverso gli Stati Generali su questi temi si apra un dibattito che coinvolga l’opinione pubblica e la società italiana nel suo complesso, dal mondo dell’economia, a quello della produzione artistica, culturale, professionale.

I lavori degli Stati generali procederanno in parallelo al percorso della legge delega in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzio- natorio e alla riorganizzazione dell’amministrazione penitenziaria e dell’esecu- zione penale esterna. Una coincidenza che permetterà di arricchire di contenuti la delega e di progetti le nuove articolazioni. La sfida è quella di vedere affermato al termine di questo lavoro comune un modello di esecuzione della pena all’altezza dell’articolo 27 della nostra Costituzione: non solo per una questione di dignità e

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di diritti ma anche perché ogni detenuto recuperato alla legalità significa maggiore sicurezza per l’intera comunità.

È la prima volta, dall’entrata in vigore dell’Ordinamento Penitenziario del 1975, che un Ministro della Giustizia indica la strada per giungere finalmente al rispetto della Legge in quell’area buia e troppe volte dimenticata, della detenzione in Italia.

Le sue parole hanno una valenza politica enorme. Si chiede e si vuole un ef- fettivo cambiamento, attraverso un approccio diverso, che tenga conto dei principi costituzionali e delle indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Sono circa duecento le persone che, convocate, hanno composto i diciotto Tavoli. Scelte tra operatori penitenziari, magistrati, avvocati, docenti, garanti, rap- presentanti della cultura e dell’associazionismo civile. Nove, quelle che fanno parte del Comitato di Esperti con il compito di raccogliere e uniformare quanto prodotto da ciascun Tavolo.

Una forza lavoro, dunque, imponente e qualificata a cui vengono assegnati i temi principali che interessano l’esecuzione penale.

Una “macchina da guerra”, perché in un certo senso si era chiamati a dirimere il conflitto storico tra diritto e prassi, davvero fenomenale. Il compito assegnato era quello di scrivere e spesso riscrivere le regole dell’esecuzione penale in Italia. “Ri- scrivere” perché, su alcuni temi, l’ordinamento e il regolamento penitenziario sono già molto chiari e quello che manca è solo la concreta applicazione delle norme.

2. Una grande occasione, che non va sprecata

Gli Stati Generali sull’Esecuzione Penale rappresentano un fortissimo impul- so per modificare il sistema dell’esecuzione penale nel nostro Paese, dominato da prassi e circostanze che hanno travolto i principi costituzionali e le norme vigenti.

Il nostro ordinamento penitenziario ha superato i 40 anni. Entrato in vigore con la Legge del 1975, che recepiva i principi costituzionali del 1948, non ha mai trovato concreta applicazione in gran parte del suo testo. Sono, dunque, 68 anni che i diritti fondamentali dei cittadini detenuti restano rinchiusi nelle pagine auto- revoli della Costituzione e in quelle delle norme in materia, prigionieri dell’assenza di una cultura della pena.

Diritti che stanno scontando una lunga condanna, tormentata da voci di possi- bili mutamenti, che spesso hanno solo illuso chi subiva le ingiustizie sulla propria pelle, ma anche coloro – pochissimi – che in tutti questi anni hanno creduto che i tempi fossero maturi per il rispetto della Legge.

Un vero e proprio “ergastolo normativo”, che ha portato l’Italia a numerose condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, fino a giungere a quella umiliante inflitta con la sentenza emessa dalla medesima Corte, nella proce- dura Torreggiani e Altri contro l’Italia, adottata all’unanimità l’8 gennaio 2013, per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In questo contesto, le dichiarazioni del Ministro della Giustizia, nel novembre del 2014, che annunciavano l’iniziativa degli Stati Generali, sottolineando la neces- sità di dare voce alle soggettività che ruotano intorno al mondo penitenziario, per una “rivoluzione culturale” sull’esecuzione penale, hanno costituito un’importante novità nel tormentato mondo della Giustizia in Italia.

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Gli Stati Generali dell’eSeCuzione Penale

Giustizia che ha il primato dell’inefficienza. Si naviga a vista e spesso in dire- zione sbagliata, sulle onde di un facile consenso, che a volte fa perdere la rotta. La bussola della Giustizia non deve essere in mano all’opinione pubblica, che invece va meglio informata e soprattutto educata sui temi del processo e della pena.

L’Italia ha un Ordinamento e un Regolamento Penitenziario tra i migliori d’Eu- ropa che non trova concreta applicazione per mancanza di un reale impegno politi- co su temi che troppo spesso sono in contrasto con il comune pensiero di cittadini disinformati e culturalmente non pronti a recepire principi di civiltà e legalità.

Una corretta informazione e un sistematico insegnamento sui principali temi della Giustizia, che possano far comprendere all’opinione pubblica l’importanza di una pena scontata in maniera legale, devono essere accompagnati dalla necessità di garantire una pena che offra garanzia di sicurezza al cittadino. Il principio di

“certezza della pena”, va inteso non solo sotto l’aspetto quantitativo dei giorni, dei mesi e degli anni da scontare, ma anche sotto quello qualitativo, del percorso defi- nito “rieducativo” dalla nostra Costituzione.

Il tema centrale è, dunque, quello della certezza della pena, unitamente alla sua immediatezza. Citando Cesare Beccaria, «…. ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi».

Avvicinare i cittadini al mondo delle sanzioni è questo il primo passo da com- piere, per non commettere gli errori del passato. Far comprendere qual è il senso della pena, la sua utilità. Il carcere va indicato come luogo estremo di punizione, non l’unico. Ma se utilizzato, deve essere anche e soprattutto di recupero del con- dannato. Uno spazio del territorio, non ignorato, ma conosciuto e presente nella vita comune, come lo è l’ospedale, deputato ad accogliere i malati, o la scuola per l’istruzione. Una struttura a cui bisogna guardare con occhi diversi, con un’atten- zione maggiore preoccupandosi delle sue inefficienze.

In questa direzione alcuno sforzo è stato sinora fatto. La storia dell’esecuzione penale italiana è piena di contraddizioni e paradossi, privata di un progetto politi- co omogeneo che possa orientare stabilmente l’opinione pubblica verso il rispetto delle leggi in materia.

Da un lato, sfruttando l’onda emotiva di singoli fatti di cronaca, si cavalca il facile e miserabile consenso, emanando leggi carcerogene, con gravi pene del tutto sproporzionate rispetto all’intero sistema sanzionatorio, dall’altro, per sopperire alla palese illegalità con cui vengono ristretti la maggior parte dei detenuti, si adot- tano diminuzioni di pena che non possono trovare alcuna giustificazione, non solo per le vittime dei reati, ma per gli stessi cittadini che non si sentono tutelati.

Potrà mai comprendere il cittadino lo sconto di pena di 45 giorni (portati, per diminuire il sovraffollamento, a 75) ogni sei mesi di detenzione, previsto dalla

“liberazione anticipata”, che consente, ad esempio, al condannato a cinque anni di reclusione, di scontarne circa tre? Si dovrebbe spiegare che la norma, prevista dall’Ordinamento Penitenziario, premia il detenuto che ha partecipato ad un per- corso trattamentale, a seguito del quale la sua personalità è stata rivalutata dal Ma- gistrato di Sorveglianza e che, pertanto, non è un beneficio automatico. Ammettere anche, purtroppo, che invero alcun trattamento viene effettuato – tranne in rari casi – e che, pertanto, la norma viene costantemente tradita, in quanto la riduzione di pena viene applicata a tutti i detenuti che non hanno avuto rapporti disciplinari,

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