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TECNICHE DI REDAZIONE DEL PARERE MOTIVATO DI DIRITTO CIVILE

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6. Come scrivere un parere senza alcun precedente giurisprudenziale rinvenibile nei codici annotati.

La peculiarità di questa tipologia di parere è che il candidato si troverà a dovere risolvere una questione giuridica controversa senza l’ausilio di alcun specifico precedente giurisprudenziale. Ciò in quanto nei codici annotati non potranno rinvenirsi massime giurisprudenziali relative a casi analoghi a quello in esame.

È opportuno, quindi, per una corretta soluzione del parere, analizzare la normativa di riferimento e la giurisprudenza relativa a casi simili o analoghi.

Si potranno così elaborare soluzioni adeguatamente motivate anche sulla scorta di principi generali dell’ordinamento giuridico.

Nelle conclusioni del parere dovranno essere indicare tutte le soluzioni conseguenti alle diverse ricostruzioni interpretative elaborate, che saranno riportate sinteticamente evidenziandone all’assistito le relative conseguenze pratiche.

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6.1. Guida e svolgimento di un parere senza alcun precedente giurisprudenziale rinvenibile nei codici annotati

: traccia assegnata agli esami nel 1989.

RISARCIMENTO DEL FATTO ILLECITO - DANNO CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA - NESSO DI

CAUSALITÀ - ATTIVITÀ PERICOLOSA - COMPORTAMENTO SECONDO CORRETTEZZA - OBBLIGHI DI PROTEZIONE - INADEMPIMENTO

CONTRATTUALE

TRACCIA

Tizio, recatosi in banca per fare un versamento in contanti, è testimone di una rapina da parte di due malviventi: questi, minacciati i presenti, nel darsi alla fuga con il denaro sottratto dalla cassa, con il calcio della pistola colpiscono Tizio alla nuca, indi si allontanano indisturbati, non essendovi all’interno ed all’esterno dell’istituto, né vigilanza della polizia né misure di sicurezza anticrimine. Successivamente, Tizio si reca dall’avvocato, desiderando un parere in ordine alla risarcibilità da parte della banca del danno patito nell’occorso, facendo presente che a seguito del colpo subito accusa disturbi nervosi e continue emicranie.

Il candidato rediga tale parere, soffermandosi sugli istituti applicabili al caso di specie e …

… sull’eventuale tutela consigliabile a Tizio.

RIFERIMENTI NORMATIVI

Art. 1175 c.c. Comportamento secondo correttezza

Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.

Art. 1218. Responsabilità del debitore

Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Art. 2043. Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Art. 2050. Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose

Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua

Il fatto

Invito alla redazione di un parere motivato Linea defensionale

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natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

Art. 2051. Danno cagionato da cosa in custodia

Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

Art. 2059. Danni non patrimoniali

Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.

Art. 40. Rapporto di causalità

Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

Art. 41. Concorso di cause

Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento.

Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.

Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

Art. 43. Elemento psicologico del reato Il delitto:

- è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;

- è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente;

- è colposo, o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.

GIURISPRUDENZA RILEVANTE PER RELATIONEM Cass., n. 2555/1991

Per l’individuazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, l’inosservanza del quale, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., equivale a cagionarlo, non basta fare riferimento al

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principio del “neminem laedere” sancito dall’art. 2043 c.c., ma è necessaria una norma di legge che lo preveda specificamente, ovvero l’esistenza di particolari rapporti giuridici od ancora una data situazione in ragione della quale il soggetto sia tenuto a compiere una determinata attività a protezione del diritto altrui; situazione che, seppure sia ravvisabile nelle condizioni di pericolosità per il diritto del terzo derivata da una precedente attività lecita del soggetto cui si rimprovera di non essersi poi attivato per impedire che quella pericolosità si traducesse in una concreta lesione, non è invece configurabile quando il soggetto stesso non abbia apportato alcun contributo causale nell’insorgere delle condizioni di quella situazione.

Cass., n. 11275/2005

L’attività bancaria non è attività di natura pericolosa, intrinsecamente ed obiettivamente idonea a provocare danni a terzi. Se all’interno dei locali di una banca, al pari di qualsiasi altro luogo aperto al pubblico, può accadere un fatto criminale tra gli stessi clienti o tra i clienti e gli operatori della banca, ciò costituisce mera occasione di “rischio” per il cliente, ma non determina la “pericolosità” dell’attività bancaria nel senso di renderla intrinsecamente idonea a generare ipotesi delinquenziali, sì da rendere conseguentemente necessaria l’applicazione della disciplina della responsabilità presunta a carico di chi la esercita ex art. 2050 c.c.

SCHEMA DEL PARERE MOTIVATO

Esordio: evidenziare la natura della responsabilità della banca per i danni risentiti dai clienti nel corso di una rapina

Questioni nodali: accertare se la banca sia tenuta al risarcimento dei danni

Analisi e approfondimento della prima soluzione prospettabile:

insussistenza della responsabilità della banca

Fondamenti giuridici: argomentazione tratta dalla sentenza della Suprema Corte n. 2555 del 1991; insussistenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento in capo alla banca; applicazione dell’art. 40, secondo comma, c.p.;

insussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c.; insussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 2050 c.c.

Conseguenza: indicare l’esito cui conduce l’applicazione della soluzione prospettata al caso concreto – La banca non sarà responsabile del danno occorso al cliente.

Formulazione di una soluzione favorevole all’assistito fondata su argomentazioni logico – giuridiche con particolare riferimento alla ratio dell’istituto e alla normativa vigente: sussistenza della responsabilità della banca ex art. 2043 c.c. per l’omessa adozione di misure di sicurezza atte a salvaguardare l’incolumità dei propri clienti.

In questa parte si indicano le questioni implicate nella vicenda descritta Evidenziare le questioni principali che pone la traccia Prima soluzione prospettabile

Ragiona- mento giuridico

Possibile conseguenza

Soluzione favorevole all’assistito

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Fondamenti giuridici: omessa adozione di misure di sicurezza atte a salvaguardare l’incolumità dei propri; colpa generica.

Conseguenza: indicare l’esito cui conduce l’applicazione della soluzione prospettata al caso concreto - La banca sarà ritenuta responsabile del danno occorso al cliente.

Formulazione di una ulteriore soluzione favorevole all’assistito fondata su argomentazioni logico – giuridiche con particolare riferimento alla ratio dell’istituto e alla normativa vigente: sussistenza della responsabilità della banca ex art. 2051 c.c.

Parte motiva: inserire l’argomentazione giustificativa della posizione giurisprudenziale riportata – omessa custodia dei locali della banca; insussistenza del caso fortuito.

Conseguenza: indicare l’esito cui conduce l’applicazione della soluzione prospettata al caso concreto - La banca sarà ritenuta responsabile del danno occorso al cliente.

Formulazione di una terza soluzione favorevole all’assistito fondata su argomentazioni logico – giuridiche con particolare riferimento alla ratio dell’istituto e alla normativa vigente: applicabilità della responsabilità contrattuale alla banca Determinazione del danno: applicazione dei principi ex art. 1223 c.c.

Soluzione: Riepilogare le principali soluzioni evidenziate nel parere - Seguendo la prima linea di pensiero la banca non potrà essere considerata responsabile del fatto illecito; se, invece verranno recepite le altre soluzioni difensive sopra delineate, la banca potrà essere ritenuta responsabile o in via extracontrattuale ex artt. 2043 o 2051 c.c., ovvero in via contrattuale per inadempimento degli obblighi integrativi di protezione scaturenti dalle regole di correttezza e buona fede.

SVOLGIMENTO

Il caso prospettato richiede, per la risposta ai quesiti che suscita, l’analisi di rilevanti questioni concernenti la responsabilità della banca per i danni risentiti dai clienti nel corso di una rapina, ed in particolare la verifica della natura giuridica di tale responsabilità.

Si ritiene che, in assenza di precedenti rinvenibili nei codici annotati, la questione debba essere svolta alla luce delle regole generali di diritto.

In astratto, va evidenziato che le soluzioni delineabili nella fattispecie possono essere diverse: una prima, prende le mosse dalla sentenza della Suprema Corte n. 2555 del 1991, la quale ha affermato che per l’individuazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, l’inosservanza del quale, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., equivale a cagionarlo, è necessaria una norma di legge che lo

Ragionamento giuridico Possibile conseguenza Ragionamento giuridico

Riepilogo delle principali linee interpretative riportate e relative conclusioni Possibile conseguenza

Esordio:

Individua- zione degli istituti rilevanti nella traccia

Prima soluzione prospettabile:

insussistenza della responsabilità della banca Ulteriore soluzione favorevole all’assistito

Ultima soluzione prospettabile favorevole all’assistito

Determina- zione del danno ai fini del risarcimento

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preveda specificamente, al fine di compiere una determinata attività a protezione del diritto altrui.

È opportuno evidenziare i fondamenti logico deduttivi di tale linea di pensiero.

In primo luogo, per l’individuazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento la cui inosservanza, ai sensi dell’art. 40 capoverso c.p. equivale all’aver cagionato l’evento stesso, non basta fare riferimento al principio del

“neminem laedere” sancito dall’art. 2043 c.c., ma è necessaria una disposizione legislativa che lo preveda specificamente, ovvero l’esistenza di particolari rapporti giuridici, od ancora una data situazione in ragione della quale il soggetto sia tenuto a compiere una determinata attività a protezione del diritto altrui. Situazione che, seppur sia ravvisabile nelle condizioni di pericolosità per il diritto del terzo derivata da una precedente attività lecita del soggetto cui si rimprovera di non essersi poi attivato per impedire che quella pericolosità si traducesse in una concreta lesione, non è invece configurabile quando il soggetto stesso non abbia apportato alcun contributo causale all’insorgere delle condizioni in quella situazione.

La banca non esercita - quale sua attività istituzionale - quella di assicurare l’incolumità dei suoi clienti (ma soltanto quella economica), così come previsto all’art. 2195 c.c.

In secondo luogo, si deve fare comunque riferimento agli artt. 40 e 41 C.p., che riguardano il nesso di causalità ed il concorso di cause. Il principio della causalità materiale, regolato dal codice penale, trova applicazione anche nel campo civile, essendo comune ad entrambe le discipline l’esistenza del nesso eziologico tra l’azione o l’omissione e l’evento.

Quando l’evento dannoso o pericoloso si ricollega a più azioni od omissioni, il problema del concorso di cause trova la sua soluzione nell’art. 41 c.p.

secondo il quale, in presenza di più fatti, imputabili a più persone e succedutesi nel tempo, a tutti si deve riconoscere un’efficacia causativa ove abbiano determinato una situazione tale che, senza di essi, l’evento non si sarebbe verificato. Mentre vanno escluse le interferenze meramente occasionali, vanno invece prese in considerazione anche le condizioni simultanee, preesistenti o sopravvenute, pure se indipendenti dall’azione od omissione, a meno che le cause sopravvenute siano state da sole sufficienti a determinare l’evento. Pertanto, la causa prossima può concorrere alla produzione dell’evento anche solo in virtù di un nesso di causalità indiretto e mediato, purché vi contribuisca comunque in concreto. Tuttavia se è stata da sola, come nel caso di specie, sufficiente a determinare il fatto, assurge a causa efficiente esclusiva, perché inserendosi nella successione dei fatti viene a spezzare ogni legame tra le cause remote e l’evento stesso.

Il danno occorso a Tizio è stato provocato dai rapinatori e, quindi, l’evento dannoso è stato determinato dall’opera dell’uomo, ed i locali della banca hanno avuto il ruolo di semplice area d’azione dei malviventi.

Né può configurarsi una responsabilità da danno da custodia ex art. 2051 c.c.

da parte della banca, in quanto tale forma di illecito presuppone in modo indefettibile che sia stata direttamente la cosa in custodia a cagionare l’evento

Insussi- stenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento

Applicazione dell’art. 41, secondo comma, c.p.

Insussi- stenza dei presupposti per l’applica- bilità dell’art.

2051 c.c.

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dannoso, giusta la puntuale formula usata dal legislatore.

La norma in parola trova dunque applicazione con esclusivo riguardo ai danni che derivino dall’intrinseco dinamismo delle cose medesime per la loro consistenza obiettiva, o per effetto di agenti che ne abbiano alterato la natura ed il comportamento, e non si applica a quelli derivanti dall’azione dell’uomo.

Infine, neppure può ritenersi applicabile la disciplina della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c. in quanto i rischi cui sono esposti i clienti negli istituti di credito in relazione alle azioni di malviventi non derivano dalla natura dell’attività bancaria, potendo la stessa costituire soltanto l’occasione per tali rischi.

Conseguentemente, l’istituto bancario non è responsabile per danni subiti da Tizio nel corso di una rapina, non potendosi configurare né una omissione colposa in quanto ammessa solo nei casi esplicitamente previsti dalla legge, né come attività pericolosa l’esercizio del credito, né sussistendo un nesso di causalità fra il fatto e il danno.

Tuttavia, si potrebbe delineare una linea difensiva favore di Tizio, sostenendo la responsabilità della banca per l’omessa adozione di misure di sicurezza atte a salvaguardare l’incolumità dei propri clienti e, in particolare, per aver omesso di far vigilare l’ingresso della banca da agenti armati.

A tal proposito va osservato che la colpa va intesa in un duplice significato:

accanto ad una prima accezione di colpa c.d. specifica, che si configura quando l’agente viola una legge, un regolamento, una disciplina o un ordine, se ne accompagna un’altra, che si concreta nella violazione di una regola di diligenza, prudenza e perizia secondo le norme di esperienza che devono regolare il comportamento di chi è preposto a qualunque attività.

Pertanto, per poter stabilire se la banca possa essere ritenuta responsabile del danno subito da Tizio è necessario verificare se il comportamento della stessa, consistente nell’aver omesso ogni misura di sicurezza, possa essere qualificato negligente o imprudente alla luce del secondo dei profili sopra cennati.

Un elemento costitutivo della colpa è l’inosservanza delle regole di condotta, dirette a prevenire gli eventi dannosi involontari e, quindi, a salvaguardare i beni giuridici, orientando i comportamenti umani in modo non pericoloso.

Poiché l’agire umano può creare infinite situazioni di pericolo per gli altrui beni, l’esperienza comune e l’esperienza tecnico scientifica elaborano continue regole precauzionali atte a prevenire danni per i terzi o a circoscriverne il rischio entro limiti socialmente accettabili. Esse non sono che la cristallizzazione dei giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo. In particolare, quanto alle fonti, occorre distinguere in base allo stesso art. 43, primo comma, c.p. tra regole di condotta non scritte quali sono appunto le regole sociali (prasseologiche) di diligenza, prudenza e perizia e le regole di condotta scritte, cioè cristallizzate in leggi, regolamenti, discipline ed ordini.

Le regole di diligenza prescrivono di tenere una condotta positiva con determinate modalità (a contrario la negligenza è da intendere quale mancata adozione delle cautele imposte dalle regole cautelari, trascuratezza, mancanza

Insussistenza dei presup- posti per l’applicabilità dell’art. 2050 c.c.

Conseguenza

Altra possibile soluzione alla questione prospettata favorevole all’assistito ex art. 2043 c.c.

Colpa generica

Definizione di diligenza

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di attenzione e di sollecitudine); le regole di prudenza vietano certe azioni o modalità di esse (a contrario, l’imprudenza consiste nell’agire laddove le regole cautelari lo sconsiglino, così come nel caso di avventatezza, insufficiente ponderazione, ed implica una scarsa considerazione degli interessi altrui; invece le regole di perizia prescrivono l’osservanza di particolari regole tecniche per lo svolgimento di determinate attività (a contrario, quale inosservanza delle leges artis per ignoranza della loro esistenza, inattitudine ad applicarle o semplice in applicazione concreta, e si risolve in una negligenza o in una imprudenza qualificata, a seconda che tali regole tecniche violate prescrivano un “facere” o un “non facere”).

Ciò posto, se è vero che la banca, nella fattispecie non ha violato una legge o una norma, è altrettanto vero che essa ha comunque violato una regola prudenziale.

Nell’attuale grave situazione in cui dilaga la criminalità, potenziare i servizi di sicurezza e di vigilanza onde prevenire la rapina e garantire con tutti i mezzi possibili l’incolumità fisica degli utenti integra senza dubbio il preciso contenuto di un comportamento prudenziale che più vivamente si impone a chi è esposto ai colpi della delinquenza organizzata, come è dimostrato dalla sempre più fitta catena di rapine nei luoghi in cui convergono danaro e preziosi e, in particolare, nelle banche. Si può affermare, dunque, che, nell’attuale momento storico si comporta imprudentemente un istituto bancario che non adotti alcuna misura di sicurezza preventiva. Le forze dell’ordine non possono sempre assicurare, perché impegnate in altri compiti urgenti, la vigilanza adeguata, e pertanto le banche devono a proprie spese provvedere alle opportune cautele (istituti privati di vigilanza, mezzi tecnici) per evitare che quella attività che svolgono nel loro esclusivo interesse, si trasformi in un polo di attrazione della più pericolosa criminalità.

Quindi, sembrerebbe che la banca abbia violato il fondamentale principio del neminem ledere, avendo omesso di adottare le necessarie e idonee misure prudenziali di sicurezza per eliminare tale caratteristica che, in quanto attrae la criminalità, può rendere pericolosa la banca e provocare danni.

In tale omissione si concreta la negligenza e imprudenza, cioè la condotta colpevole dell’istituto di credito sufficiente per obbligarlo al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 2043 c.c., indipendentemente dal solidale concorso della colpa dei rapinatori.

Nella specie, senza la negligente ed imprudente condotta dell’istituto bancario l’evento di rapina e lesione non si sarebbe verificato.

La fattispecie, però, può essere anche esaminata sotto altro profilo.

Si potrebbe inquadrare la responsabilità dell’istituto bancario nell’alveo della disciplina di cui all’art. 2051 c.c. (danni cagionati da cose in custodia).

Tale ipotesi presenta l’innegabile vantaggio di richiedere solo la prova del rapporto di causalità materiale tra il fatto - rapina e la cosa incustodita (banca) e non anche la prova della condotta colposa del custode (istituto bancario) la quale sorge per presunzione.

Se i locali della banca fossero stati opportunamente custoditi (intesa la

Sussistenza presupposti dei per l’applica- bilità dell’art.

2043 c.c.

Definizione di prudenza

Conseguen- za derivante dall’applica- zione della soluzione prospettata Altra possibile soluzione alla questione prospettata ex art. 2051 c.c.

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custodia nel senso più ampio: presenza di agenti armati, vigilanza, presidi tecnici, circuiti televisivi interni, etc.), la rapina probabilmente non si sarebbe verificata e, quindi, si può intendere in senso giuridico che sussista il rapporto di causalità materiale tra l’omessa vigilanza e la rapina.

Tale collegamento causale, come detto, è sufficiente a radicare la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. e nessun’altra prova deve offrire Tizio.

La banca (custode) può liberarsi solo provando il “caso fortuito”, così come indicato dall’ultimo inciso della norma richiamata, cioè provando che la causa immediata e diretta del danno sia conseguenza di un fatto eccezionale e imprevedibile e, quindi, in grado di interrompere il detto nesso di causalità, polarizzando su di sé tutta la causalità dell’evento.

Secondo l’orientamento dominante il fatto doloso del terzo non costituisce caso fortuito e non esclude, quindi, la responsabilità del custode che non ha adottato misure adeguate ad impedire il trasformarsi della cosa in strumento di danno.

Applicando tali principi al caso in esame, la rapina (e quindi la condotta di un rapinatore) non può considerarsi, data l’attuale dilagante criminalità, fuori della normale prevedibilità, sulla esperienza dell’id quod plerumque accidit, pertanto non costituisce caso fortuito.

Di conseguenza, la responsabilità della banca convenuta per i danni riportati dall’istante va affermata ai sensi dell’art. 2051 c.c.

In ogni caso, qualora si volesse escludere l’applicabilità di detta norma, troverebbe applicazione la norma generale del neminem laedere di cui all’art.

2043 c.c.

A questo punto, al fine di delineare la migliore strategia difensiva a favore dell’assistito, appare opportuno delineare una possibile responsabilità della banca a titolo contrattuale per i danni derivati ai clienti nel corso di una rapina recatisi nell’istituto bancario per effettuare le normali operazioni.

Negli ultimi anni una parte della dottrina ha evidenziato che il rapporto obbligatorio ha un contenuto complesso: accanto all’obbligo principale di prestazione, ciascuna delle parti deve attendere anche ad una serie di obblighi di protezione i quali costituiscono obblighi accessori rispetto alla prestazione principale, non specificamente contemplati, e volti alla tutela della persona e del patrimonio dell’altra parte.

Stando a questa premessa, il debitore o il creditore che, nell’attuazione del rapporto obbligatorio cagionino un danno alla controparte dovrebbero rispondere in via contrattuale, anche se l’obbligo di prestazione sia stato esattamente adempiuto.

Le obbligazioni principali della banca scaturenti dalla stipula dei contratti bancari ed, in generale, dalle attività svolte nell’esercizio di credito sono arricchite da obblighi integrativi ed accessori di sicurezza e protezione. Tale integrazione si realizza sulla base dei principi di correttezza e buona fede.

Conseguentemente l’inadempimento, anche di questi altri obblighi, configurerebbe una responsabilità contrattuale della banca.

La relazione del Guardasigilli (n. 558) osserva in argomento: “Il codice civile, pur considerando preminente la posizione del creditore, ha ritenuto nell’art.

Altra possibile soluzione alla questione prospettata in ottica contrattuale

Obblighi di sicurezza e protezione nei contratti bancari Conseguenza derivante dall’applica- zione della soluzione prospettata

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1175 c.c., di imporgli un dovere di correttezza e di parificare la situazione, da tal riflesso a quella fatta al debitore: il debitore, per il medesimo art. 1175 c.c., è infatti tenuto a identico contegno”. Ed ancora: “La correttezza è uno stile morale della persona, che indica spirito di lealtà, abito virile di fermezza, di chiarezza e di coerenza, fedeltà e rispetto a quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra i consociati. Ma la correttezza che impone l’art. 1175 c.c. non è soltanto un generico dovere di condotta morale; è un dovere giuridico ..., di comportarsi in modo da non ledere l’interesse altrui fuori dei limiti della legittima tutela dell’interesse proprio, in maniera che non soltanto l’atto di emulazione risulta vietato (art.

833 c.c.), ma ogni atto che non implica il rispetto equanime dell’interesse dei terzi, ogni atto di esercizio del diritto che nell’esclusivo ed incivile perseguimento dell’interesse proprio, urti contro l’interesse pubblico al coordinamento delle sfere individuali” .

L’art. 1175 c.c. coesiste nel codice, con una serie di disposizioni facenti tutte riferimento alla buona fede, intesa come criterio oggettivo di valutazione del comportamento secondo quel denominatore comune di lealtà e di probità, che costituisce un’esigenza fondamentale del dovere civile (vedi gli artt. 1337, 1358, 1366, 1375, 1460 c.c. ecc.).

La correttezza e la buona fede oggettiva sono entrambi fondati sul principio di solidarietà sociale, previsto nell’art. 2 Cost. e si caratterizzano come criteri che si imperniano sulla fedeltà al vincolo contrattuale e sull’impegno ad adempiere la legittima aspettativa della controparte.

Con riferimento ai contratti relativi alle operazioni bancarie, in ragione della appetibilità di tale attività da parte di soggetti criminali, è intuitivo che la correttezza e buona fede impongano alla banca doveri di protezione ed obblighi di sicurezza da adempiere con la predisposizione di misure di vigilanza.

La natura contrattuale dei doveri di protezione è dimostrata dal fatto che essi tendono a prevenire danni derivabili dall’esecuzione dell’obbligazione principale, e che l’esistenza di un dovere generale di protezione diretto a tutelare la sfera patrimoniale del debitore è confermata dall’art. 1176 c.c., in base al quale il debitore deve usare nell’adempimento dell’obbligazione, la diligenza del buon padre di famiglia. Ciò anche a voler considerare il particolar grado di diligenza di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., che la legge richiede per l’esercizio di attività professionali come quelle bancarie.

Dalla traccia sembrerebbe desumersi una completa omissione da parte della banca nell’aver predisposto delle misure di protezione e sicurezza.

Pertanto, la banca dovrà risarcire i danni da inadempimento contrattuale.

Passando infine ad affrontare le tipologie di danno (intendendosi “danno”

come ogni pregiudizio causato ed un soggetto con riguardo al suo patrimonio, ai suoi diritti o alla sua persona) occorre valutare i criteri per determinare la sua rilevanza giuridica e il contenuto dell’obbligo di risarcimento (art. 1223 c.c.). In pratica, il codice civile ha dettato una

Correttezza e buona fede

Risarcimen- to del danno Conseguen- za derivante dall’applica- zione della soluzione prospettata

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disciplina del danno sostanzialmente unitaria, prevedendo una serie di regole relative all’an e al quantum del danno da risarcire - artt. 1223, 1226 e 1227 c.c. - che trovano applicazione sia nel caso della responsabilità contrattuale, che nel caso di quella extracontrattuale (art. 2056 c.c.).

L’art. 1223 c.c. prevede che il risarcimento del danno per inadempimento o per il ritardo deve comprendere tanto la perdita subito (il cosiddetto danno emergente), che il mancato guadagno (il cosiddetto lucro cessante). Questi due elementi del danno debbono comunque essere conseguenza dell’inadempimento. Deve sussistere, quindi, un nesso causale, cioè un rapporto di causa effetto, tra inadempimento e il danno (art. 1223, secondo comma, c.c.).

Il danno emergente (consistente nella perdita di valori economici già esistenti nel patrimonio del danneggiato) può ravvisarsi come conseguenza diretta del fatto illecito che i rapinatori hanno potuto commettere indisturbati per la mancanza di protezione anticrimine. Nel caso esaminato, il danno patrimoniale emergente potrebbe consistere nelle spese mediche e farmacologiche, nonché di terapie riabilitative per i disturbi nervosi e le continue emicranie che lo affliggono.

Il lucro cessante (ossia la mancata acquisizione da parte del danneggiato di valori economici) invece, potrebbe individuarsi nell’eventuale riduzione della capacità lavorativa e, quindi, di guadagno, proprio a seguito del fatto illecito.

Tuttavia, nella vicenda in esame non sembrerebbe configurarsi a favore di tizio il cosiddetto danno futuro, che consiste nel danno di cui si prevede con ragionevole certezza il verificarsi in un tempo successivo alla domanda di risarcimento.

Una volta accertata l’entità del danno si procede alla sua liquidazione ossia alla sua conversione in una somma di danaro mediante la determinazione del suo preciso ammontare (trasformazione del debito di valore in debito di valuta).

In proposito occorre ricordare la regola per cui deve essere sempre il creditore, in quanto danneggiato, a dimostrare l’entità del danno subito (art.

2697 c.c.). La valutazione equitativa del danno è quella che il giudice deve compiere per stabilire l’ammontare del risarcimento nei casi in cui il danneggiato non possa fornire l’esatta prova del “quantum” (art. 1226 c.c.).

La valutazione equitativa non è ammessa quando il danneggiato - provato l’an - non fornisce una prova esauriente del quantum, pur essendo tale prova possibile.

In questo caso il giudice dovrà respingere la domanda di risarcimento in base alla regola sull’onere della prova.

In conclusione, seguendo la prima ricostruzione interpretativa, la banca non potrà essere considerata responsabile del fatto illecito – il colpo in testa ricevuto - occorso all’assistito Tizio durante la rapina.

Diversamente, se verranno recepite le altre soluzioni difensive sopra delineate, la banca potrà essere ritenuta responsabile o in via extracontrattuale ex artt. 2043 o 2051 c.c., ovvero in via contrattuale per inadempimento degli obblighi integrativi di protezione scaturenti dalle regole di correttezza e buona fede. In quest’ultimo caso si potranno avanzare le richieste risarcitorie di danno emergente e di lucro cessante sopra argomentate.

Danno emergente Lucro cessante

Riepilogo delle soluzioni prospettate Liquidazione del danno

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