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Le ragioni dell’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura

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Academic year: 2022

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Risoluzione in materia di attività degli uffici giudiziari nel settore della criminalità minorile nel Distretto di Napoli.

(delibera 11 settembre 2018)

«1. Le ragioni dell’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha riservato ampia attenzione alle attività svolte dagli Uffici minorili, richiedendo al Legislatore di non procedere alla ipotizzata soppressione come attestato dalla delibera del 13 luglio 2016, nonché valorizzandone le specificità sia sotto il profilo organizzativo, come testimoniato dalla Risoluzione del 18 giugno 2018 sull’organizzazione degli uffici requirenti presso i Tribunali per i minorenni (art.

23 della circolare sull’organizzazione delle Procure del 16 novembre 2017), sia sul piano delle potenzialità degli interventi a tutela dei minori, tema oggetto della recente Risoluzione del 31 ottobre 2017 in materia di tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata.

Il focus di questo intervento è costituito invece dall’analisi delle varie forme di criminalità minorile, che richiedono l’elaborazione di nuove e più adeguate strategie di contrasto, implicanti un’osmosi tra i diversi Uffici Giudiziari e tra di essi e le altre istituzioni a vario titolo coinvolte, nonché una riflessione sull’adeguatezza dello speciale sistema normativo che regola il settore minorile.

Tutti gli Uffici Giudiziari operanti in questo ambito devono confrontarsi sia con forme più moderne di criminalità e speculari, talvolta inedite, manifestazioni di devianza minorile (così il bullismo e il cyberbullismo), sia con fenomeni delinquenziali tradizionali (così i reati di tipo predatorio, quelli di offesa alle persone e quelli di partecipazione, con ruoli per lo più esecutivi, a sodalizi malavitosi organizzati). Sussiste, dunque, sotto questo profilo una sostanziale omogeneità tra le plurime realtà giudiziarie minorili presenti sul territorio nazionale, anche se la situazione minorile partenopea presenta peculiarità e caratteristiche che ne fanno un osservatorio privilegiato per l’intervento consiliare, in considerazione dell’evidente virulenza del fenomeno, derivante dalla sua diffusività, favorita dal disagio sociale e dalla difficoltà economica che affligge ampi settori della popolazione, dalle gravi carenze educative genitoriali, che spesso favoriscono il diffondersi della sottocultura dell’illegalità, dall’innestarsi di questi fattori su un territorio caratterizzato dall’endemica presenza di un’agguerrita criminalità in diversi settori, oltre che dalla presenza capillare delle organizzazioni camorristiche che controllano il territorio urbano e della provincia.

I recenti allarmanti episodi avvenuti nell’area metropolitana di Napoli, nell’ambito di un fenomeno che presenta connotazioni allarmanti già da alcuni anni, gli indici demografici significativi di una popolazione giovane, con elevato tasso di disoccupazione, l’elevato numero di minori a “rischio devianza”, le rilevanti dimensioni degli Uffici Giudiziari, anche minorili, e i rimarchevoli sforzi organizzativi effettuati dagli stessi e dagli altri interlocutori istituzionali, suggeriscono di focalizzare il momento di analisi su tale territorio, con la prospettiva di elaborare soluzioni organizzative che possano costituire modelli anche per altri distretti, nonché di testare l’adeguatezza del sistema normativo a prevenire la devianza e a

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consentire un’efficace azione di contrasto rispetto alla sua progressione in allarmanti forme di criminalità.

2. Il metodo.

Nella consapevolezza che il fenomeno in esame interseca più piani di intervento, per la raccolta del materiale, s’è proceduto con l’audizione sia dei Dirigenti degli Uffici Giudiziari coinvolti (Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, Procuratore della Repubblica, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, Presidente della Corte d’Appello, Presidente del Tribunale e Presidente del Tribunale per i Minorenni), sia di soggetti esterni all’ambito strettamente giurisdizionale (Prefetto, Questore, Comandante Provinciale della Guardia di Finanza, Comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri1, Direttore Regionale Scolastico, esponenti del mondo associativo, religioso e sportivo, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità).

Per una più diretta osservazione della realtà penitenziaria minorile, nella data dell’8 aprile 2018, la Sesta Commissione referente, in composizione allargata e con la partecipazione del Vice Presidente e di altri Consiglieri, ha tenuto, presso l’Istituto Penale per Minorenni di Nisida, una seduta straordinaria, nel corso della quale sono state effettuate audizioni di soggetti istituzionali e di appartenenti al mondo del volontariato, laico e religioso, e si è proceduto all’incontro con una rappresentanza di giovani detenuti e detenute.

Sono stati poi acquisiti i dati forniti nel corso delle audizioni, nonché quelli richiesti dal Consiglio, afferenti al numero dei minori detenuti o affidati ai servizi e alle comunità, quelli relativi ai controlli di polizia e quelli attinenti alla dispersione scolastica, alla presenza sul territorio dei servizi sociali e ai progetti di quartiere o scolastici in corso.

Sono stati infine acquisiti i provvedimenti giudiziari maggiormente significativi in relazione al fenomeno oggetto di analisi.

3. L’analisi del fenomeno criminale.

Il coinvolgimento di minori in fatti criminali di rilevante allarme sociale non costituisce un fenomeno nuovo nel territorio del napoletano, documentando la cronaca giudiziaria la sua risalenza nel tempo, con caratteri da sempre allarmanti.

Negli anni, tuttavia, il fenomeno si è sempre più chiaramente strutturato, assumendo connotazioni che ne consentono la classificazione in tre differenziate tipologie: una criminalità che potrebbe indicarsi come “fisiologica”, sostanziantesi in condotte devianti occasionali, prevalentemente motivate da finalità predatorie, spesso generate dalla condizione di tossicodipendenza, e attuate non di rado con modalità violente; una criminalità “ patologica”, che include sia i casi di affiliazione di minori a consorterie tradizionali di camorra, anche in ragione della pregressa adesione del nucleo familiare al sodalizio, sia la formazione di nuovi gruppi giovanili, recanti i caratteri tipici dei sodalizi camorristici, con consistente presenza di minori; da ultimo, una criminalità “epidemica”, i cui tratti distintivi sono costituiti dall’operare in gruppo degli autori dei reati, anche se al di fuori dei contesti di criminalità organizzata, e dal tasso di violenza utilizzato nei confronti delle vittime, generalmente elevato (dalle lesioni all’omicidio) e, comunque, del tutto sproporzionato rispetto al movente, futile (la sottrazione di beni di modesto valore) e persino degradante a mero pretesto (così come quando vengono evocati atteggiamenti – anche solo sguardi – asseritamente provocatori)2.

1 Il Colonnello Ubaldo Del Monaco, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Napoli, impossibilitato a essere audito per ragioni di servizio, ha fatto pervenire, al riguardo, alla Sesta Commissione una nota scritta.

2 La tipizzazione riportata è quella sostanzialmente riferita, in termini più generali, dalla dott.ssa Gemma Tuccillo, Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, nel corso dell’istruttoria condotta dalla

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Gli ambiti di criminalità minorile collegati a contesti di malavita organizzata sono quelli meglio descritti e analizzati nei provvedimenti giudiziari.

Sulla base di questi, il fenomeno dell’affiliazione dei minori a gruppi camorristici tradizionali deve ritenersi una costante della loro operatività, consentendo di lucrare un duplice vantaggio: il minor costo della “manodopera” e la sua impunità o ridotta punibilità.

Rappresenta, invece, un dirompente elemento di novità l’avvento, sulla scena criminale partenopea, di gruppi organizzati, spesso contrapposti a consorterie tradizionalmente radicate nei medesimi territori, strutturati attorno a figure apicali minorenni o da poco maggiorenni, provenienti per lo più da contesti familiari o relazionali collegati o intranei a organizzazioni camorristiche.

La novità del fenomeno spiega il fatto che, solo di recente e in pochi provvedimenti, esso ha formato oggetto di analisi in sede giurisdizionale, ove si è posto in rilievo che il suo manifestarsi è ascrivibile a due fondamentali e diverse eziologie: da un canto, all’avvicendamento, con funzione di “reggenza” del gruppo, a figure apicali adulte, momentaneamente detenute o comunque lontane dai territori di riferimento per ragioni di latitanza; dall’altro, al vuoto di potere verificatosi in alcuni contesti territoriali per effetto della disarticolazione di gruppi ivi in precedenza egemoni, dovuta all’azione repressiva dello Stato.

I sodalizi protagonisti del fenomeno da ultimo indicato sono quelli affermatisi con l’utilizzo di strategie in parte innovative rispetto alle metodologia d’ordinario impiegata dalla criminalità organizzata campana.

Il modus operandi si è caratterizzato, infatti, per il rifiuto di gerarchie fondate sulla risalenza della militanza criminale, in attuazione del progetto di realizzare un radicale ricambio generazionale, con la “rottamazione” dei vecchi esponenti di vertice, per un uso smodato della violenza, ritenuto indicatore di caratura delinquenziale, nonché per il ricorso a modalità di affermazione del potere attuate innanzitutto con l’eliminazione di appartenenti a clan contrapposti.

Una dettagliata e approfondita descrizione della guerra di camorra che ha interessato taluni quartieri del centro storico della città di Napoli e che ha visto contrapposto al clan Mazzarella un cartello malavitoso, comprendente plurime consorterie, dedite, tra l’altro, anche al traffico di stupefacenti, una delle quali (il clan Sibillo) con a capo minori o maggiorenni di giovanissima età, resisi autori di efferati delitti fine (omicidi, tentati e consumati, estorsioni, tentate e consumate, illecita detenzione e porto in luogo pubblico di armi da sparo, comuni e da guerra, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti), è contenuta nella sentenza n. 2030/16, emessa il 15 giugno 2016 dal G.U.P. del Tribunale di Napoli, oltre che nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 8 maggio 2017 3.

Sul versante esterno, detti gruppi si sono caratterizzati per l’esecuzione di eclatanti azioni armate sul territorio, con finalità eminentemente dimostrative (le cosiddette “stese”4) e

VI Commissione referente presso l’Istituto Minorile di Nisida. In senso sostanzialmente analogo si è espressa anche il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Napoli, dott.ssa Patrizia Esposito, che, nel corso della propria audizione, dinanzi all’anzidetta articolazione consiliare, ha rimarcato che, per una corretta comprensione del fenomeno, vanno tenute distinte due tipologie di criminalità minorile: l’una collegata a contesti di malavita organizzata, in cui risultano inseriti in maniera stabile minori appartenenti a famiglie affiliate ad associazioni di tipo camorristico; l’altra riguardante, invece, giovani provenienti per lo più da ambienti caratterizzati da elevata deprivazione educativa

3 L’ordinanza cautelare riguarda l’omicidio di Emanuele Sibilio ed il ferimento di alcuni minorenni a lui legati:

in data 8 marzo 2018 con sentenza n. 404/18 quattro imputati dei delitti predetti venivano condannati all’ergastolo dal G.U.P. presso il Tribunale di Napoli all’esito del giudizio abbreviato.

4 Con il termine stese si intendono le scorribande poste in essere a bordo di scooter, armi in pugno, per sparare in aria o contro finestre e saracinesche dei <nemici>, tese ad affermare la supremazia sul territorio e ad incutere

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definite, in alcuni contesti giudiziari, di natura sostanzialmente terroristica, in tal modo introducendo un elemento di rottura rispetto ai modelli comportamentali della tradizionale malavita partenopea, sempre attenta a celare la propria presenza e a mimetizzarla tra le pieghe dell’esistente tessuto sociale5.

Le descritte modalità operative di tali gruppi associati, con numerosi affiliati di giovanissima età, hanno consentito, in esordio, la loro rapida ascesa sulla scena criminale, ma sono divenute, al contempo, elementi che ne hanno minato la tenuta, traducendosi nei fattori determinanti il loro rapido declino.

Per un vero, infatti, si è elevato il livello di scontro interno agli ambienti criminali, il che ha determinato perdite, anche di figure di vertice, conseguenti sia a fatti di sangue sia all’avvio di percorsi collaborativi; per altro verso, l’efferatezza dei metodi ha finito col catalizzare l’attenzione delle forze dell’ordine, dal che è conseguita un’efficace risposta repressiva dello Stato, non ostacolata, come purtroppo d’ordinario avviene nei contesti territoriali di riferimento, dal tessuto sociale circostante, spaventato dai metodi sanguinari.

Di diversa natura è invece quel tipo di criminalità minorile operativa, per lo più, nel settore dei reati di natura predatoria: in tal caso, le aggregazioni, pur frequenti, non assurgono, di norma, al rango di gruppi associati, essendo piuttosto frutto di accordi occasionali ed estemporanei, funzionali al buon esito dell’azione programmata.

La genesi di detto fenomeno prescinde, inoltre, nella quasi totalità dei casi, da velleità di controllo del territorio, dovendo piuttosto rinvenirsi nel desiderio di soddisfare bisogni materiali, per emulare modelli veicolati dai mass media.

Con riferimento a questo specifico ambito, gli accertamenti giudiziali hanno consentito di acclarare che gli autori dei reati provengono prevalentemente da periferie degradate e da contesti familiari caratterizzati da deprivazione culturale, economica e affettiva, mentre teatro delle azioni predatorie è di norma il centro cittadino, preferito perché serbatoio di facili obiettivi, spesso individuati in giovani di classi sociali abbienti, detentori dei beni di consumo maggiormente ambiti.

Nell’attualità si va infine diffondendo, con sempre maggior frequenza, una terza tipologia di criminalità minorile, per vero già conosciuta in molte realtà metropolitane: quella che associa a fenomeni predatori una violenza sproporzionata in danno delle vittime o che si estrinseca in condotte efferate a fronte di moventi futili, se non inesistenti, o in danneggiamenti con finalità vandaliche6.

La specificità di questo fenomeno è costituita dal carattere disomogeneo degli ambienti di provenienza degli autori – non sempre appartenenti ai contesti di cui si è detto – e

il terrore. Il termine <stesa> ha la sua origine proprio nella reazione che provoca in quanti, di fronte a queste manifestazioni violente, per garantirsi l'incolumità sono costretti, appunto, a stendersi a terra. Una delle prime vittime delle stese fu Petru Birladeanu, rumeno suonatore di fisarmonica, ucciso il 26 maggio 2009 nel quartiere Pignasecca, al centro storico di Napoli .

5 In tal senso si è pronunciato altresì il Questore di Napoli, dott. Antonio De Iesu, nel corso dell’audizione avvenuta in data 19 aprile 2018 dinanzi alla VI Commissione referente del Consiglio Superiore della Magistratura.

6 Un’efficace analisi di questo specifico aspetto della criminalità minorile è stata effettuata dal Colonnello Ubaldo Del Monaco, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Napoli, il quale, nella relazione inviata, ha evidenziato come autori di questi fatti siano sovente “gruppi di minorenni che, accomunati da uno stile di vita improntato all’aggressività, alla prevaricazione e all’assenza di valori etici, adottano le logiche del “branco”

per imporre la propria “supremazia” nei confronti di coetanei ricorrendo alla violenza, all’uso di armi da taglio e, segnatamente nel capoluogo partenopeo mediante l’utilizzo di armi da fuoco in quelle che vengono definite le cosiddette“stese”. Vere e proprie “spedizioni” durante le quali vengono esplosi in aria o contro edifici, numerosi colpi di arma da fuoco, dimostrazioni che possono avere scopi di varia natura: ora atti di mera esibizione di forza, anche per “vanità” o con la sola finalità di affermare la propria “credibilità” in specifici ambiti sociali, ora vere e proprie intimidazioni rivolte a gruppi avversari o persone “a vario titolo” invise”.

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dall’insussistenza di motivazioni fondanti le azioni criminose, frutto del desiderio incoercibile di trasgressione e della mancata ponderazione delle conseguenze del proprio agire.

I dati statistici relativi al settore penale minorile del territorio campano sono stati forniti dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Napoli, dott. Luigi Riello, dapprima in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, poi all’atto dell’audizione dinanzi alla Sesta Commissione referente.

Nel periodo 1 luglio 2016 – 30 giugno 2017, pur a fronte di una diminuzione del 24%

delle iscrizioni di procedimenti a carico di minorenni, è risultato superiore il numero di quelli iscritti per reati di associazione di stampo camorristico (10 a fronte degli 8 del periodo precedente) e finalizzata allo spaccio di stupefacenti (14 a fronte degli 8), nonché per reati contro il patrimonio (235 procedimenti per furto a fronte di 201 e 46 procedimenti per estorsione a fronte di 20).

Le segnalazioni relative alle cd. “stese” commesse da giovanissimi, negli anni 2016/2017, sono state 52; il modus operandi ricorrente in occasione delle rapine è quello di azioni condotte a volto scoperto, con l’uso di armi e in danno di banche, supermercati e uffici postali.

Il dato più recente è stato fornito tuttavia dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, dott.ssa Maria De Luzenbergher Milnernesheim, nel corso dell’audizione dinanzi alla Sesta Commissione referente.

È stato precisato infatti che alla riduzione delle iscrizioni, attestata dalle statistiche, non corrisponde un calo effettivo degli episodi criminosi, essendo la flessione attribuibile alla mancata denuncia delle vittime, anche in vicende gravissime, nonché a una diminuzione delle segnalazioni da parte delle forze dell’ordine; inoltre, nel recentissimo periodo, è stata registrata un’intensificazione senza precedenti dei reati contro la persona (tra novembre 2017 e gennaio 2018, sono state registrate 14 aggressioni, delle quali 7 con accoltellamenti, le altre con calci e pugni, in un caso, con l’uso di pistole, di tirapugni e di altri strumenti atti a offendere), con peggioramento del trend, già negativo, riscontrato, negli ultimi due anni, in questo settore e in quello delle violenze sessuali.

In un’ottica che travalica i confini della criminalità minorile campana, va poi dato conto dei dati forniti dalla dott.ssa Gemma Tuccillo, elaborati dal particolare osservatorio costituito dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità: tutti i reati contro la persona hanno visto, nell’ultimo anno, un incrudelimento delle modalità di esecuzione; l’atteggiamento di aggressività e di violenza è ritenuto quasi fisiologico nella perpetrazione dei delitti predatori;

sono più numerose le aggressioni rivolte ai singoli rispetto alle risse occasionali; rimane molto elevato il numero di reati legati alla tossicodipendenza.

Convergenti sono, inoltre, le informazioni relative al profilo personale dei minori coinvolti nelle diverse tipologie di criminalità descritte: contigui agli ambienti della criminalità organizzata, per ragioni di appartenenza familiare o per la provenienza da quartieri ad alta densità criminale, quelli autori di delitti riconducibili alla categoria della “criminalità patologica endemica”; provenienti da zone periferiche e degradate e inseriti in contesti familiari disgregati, con deprivazione economica e culturale, quelli autori di delitti riconducibili alla categoria della “criminalità epidemica”.

Gli aspetti afferenti al vissuto e alla personalità dei minori autori di condotte delittuose costituiscono materia di approfondimento di discipline specialistiche; nondimeno, essi non trascendono l’ambito dell’apprezzamento giudiziario, ove si considerino, da un canto, l’importanza che in esso assume il movente, dall’altro la rilevanza che riveste l’individuazione dei fattori da cui scaturisce la devianza, sia per l’adozione delle più adeguate strategie di contrasto, sia per meglio calibrare l’intervento giurisdizionale, che, nello specifico settore di interesse, deve tendere non solo alla punizione, ma altresì alla rieducazione, alla responsabilizzazione e al reinserimento del minore.

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Anche con riguardo a questo profilo conserva specifica rilevanza la già illustrata tripartizione delle forme di criminalità minorile.

Di norma, i minori affiliati alle consorterie criminose con ruoli di importanza diversificata (talvolta impiegati nello spaccio di droga o nel compimento di atti estorsivi e vandalici, talaltra coinvolti nelle dinamiche associative anche per la commissione di omicidi) e quelli che, unitamente a giovanissimi adulti, costituiscono nuovi sodalizi provengono, per estrazione familiare o per contiguità relazionali, da ambienti permeati da disvalori camorristici, tramandati di generazione in generazione acchè ne sia assicurata la perduranza.

E anche quando diversi sono i contesti di provenienza, i minori che aderiscono a queste specifiche realtà criminali hanno, per la gran parte, maturato esperienze di vita difficili, segnate da disgregazione o disagio familiare, da difficoltà economiche, da gravi forme di precarietà abitativa, da carenze culturali derivanti da discontinuità o abbandono scolastico e dalla totale mancanza sul territorio di presenze istituzionali o di centri di aggregazione sociale7.

Per i minori che subiscono la negativa influenza di tutti gli indicati fattori l’attrazione per i disvalori espressi dalla subcultura camorristica (l’importanza delle gerarchie, il facile arricchimento, l’ostilità verso le istituzioni, il rifiuto delle regole di legalità e di civile convivenza) è pressochè invincibile, consentendo essi il rapido conseguimento del potere, della leadership tra coetanei e di disponibilità economiche, spesso investite non per realizzare un effettivo miglioramento delle condizioni di vita, ma per l’acquisito di beni di consumo da ostentare in funzione di una crescita sociale solo apparente.

Per questi giovani, inoltre, l’ingresso nel circuito penale e l’esperienza carceraria, lungi dal costituire un fatto negativo, rappresentano spesso motivi di crescita del prestigio personale e del peso criminale all’interno dei contesti associativi di riferimento.

Rappresenta, invece, come anticipato, un elemento di discontinuità rispetto alla tradizionale subcultura camorristica l’allarmante propensione delle nuove leve camorristiche a un uso indiscriminato e dimostrativo della violenza, con abbandono, quindi, di quella

“prudenza” che, d’ordinario, caratterizzava l’agire delle vecchie leve.

Una plastica raffigurazione dei giovani camorristi è quella tracciata nella citata sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli, di cui, per la particolare pregnanza, si riporta il passo che segue.

“Essi si mostrano indifferenti al tradizionale concetto di “prestigio”, scaturente soprattutto da una lunga permanenza in carcere (magari al 41 bis), dall’appartenenza a famiglie tradizionalmente camorriste e dall’esperienza di vita.

I valori in cui credono i nuovi rampolli sono quelli della capacità e dell’efficienza, non necessariamente collegate ad un’età matura, all’esperienza carceraria o alla tradizione familiare.

Perfino il “look” si distingue da quello del classico camorrista, e assomiglia piuttosto ai modelli che i media sociali hanno reso “virali” in tutte le periferie lei globo, quelli – per intenderci – delle gang giovanili o dei cartelli sudamericani della droga.

Modelli e stili di comportamento che hanno preso qualcosa anche dall’emergere impetuoso dell’estremismo islamico, sebbene si tratti di una influenza che si è manifestata solo nell’aspetto esteriore (diversi imputati per un certo periodo hanno esibito una folta barba “alla talebana”, non certo sul terreno dell’ideologia e della religione. Frutto anche questo, probabilmente, del lavoro dei media sociali, seppure non possa forse escludersi un

7 In tal senso si esprime il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Napoli nel documento in data 27/02/2017 “L’inserimento in associazioni criminose per molti giovani costituisce, infatti, l’unica strada per sollevarsi da condizioni di deprivazione ed affermarsi. Per altri, invece, appare una scontata conseguenza dell’affiliazione dell’intero nucleo familiare, che li porta a crescere con un forte senso di potere e in un benessere economico che inibisce ogni possibilità di riflessione critica”.

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qualche filo più sottile ed esistenziale, che lega i giovani che scorrono in armi nelle vie del centro storico di Napoli (le “stese”), per uccidere e farsi uccidere, e i militanti del jihad.

Entrambi sono ossessionati dalla morte, forse la amano, probabilmente la cercano, quasi fosse l’unica chance per dare un senso alla propria vita e per vivere in eterno”.

Se la “criminalità minorile patologica” appare ispirata da una “progettualità”, diversamente, la “criminalità minorile fisiologica” e la “criminalità minorile epidemica”

risultano motivate, d’ordinario, dalla necessità di soddisfare bisogni contingenti, resi ancor più impellenti dal contesto di deprivazione già descritto o – il che è ancor più grave – da vacuità esistenziale.

Le motivazioni alla trasgressione minorile generate dalla condizione da ultimo indicata costituiscono oggetto di particolare attenzione da parte di numerosi esperti di discipline sociologiche e psicologiche, concordi nel ritenere che i delitti costituiscono una forma di rappresentazione del disagio giovanile e che, in relazione alla genesi della spinta criminale, il concetto di movente acquista nuovi significati e valenze, alternandosi ragioni di necessità, desiderio di arricchimento, esigenze contingenti da soddisfare ma, sempre più spesso, motivazioni legate alla noia esistenziale, alla rabbia nei confronti degli adulti o dei coetanei più agiati, al bisogno di rendere visibile la propria presenza a una società distratta, che li considera solo se e quando fanno del male8.

La risposta di medio periodo a tale realtà non può che essere quella della prevenzione, data la diffusività del fenomeno.

Il patto fra le istituzioni deve tendere a ridurre il diffuso abbandono educativo (evocato dal Presidente del Tribunale di Napoli nel corso della sua audizione), nel quale oggi versano molti minori – e non solo in specifiche aree di disagio sociale – e che è indotto spesso dalla crisi della famiglia e delle agenzie scolastiche e sociali.

4. Gli interventi istituzionali.

Si è già detto che i minori che fanno ingresso nel circuito giudiziario provengono, per la gran parte, da contesti familiari segnati da disgregazione o da gravi forme di disagio affettivo, economico o abitativo e vivono in periferie o in centri degradati, con alti tassi di disoccupazione e di dispersione scolastica, privi di presenze istituzionali deputate al sostegno delle famiglie e alla cura delle problematiche giovanili e persino di strutture che possano favorire momenti di aggregazione tra i minori.

Ampia è l’estensione del territorio campano connotato da queste caratteristiche.

Nel circondario numerose e vaste aree di disagio sono presenti, oltre che nelle “enclavi storiche” della delinquenza (tra le altre, i Quartieri Spagnoli, Forcella, la Sanità, il Vasto, il Mercato, il Pallonetto di Santa Lucia), nei numerosi quartieri della periferia urbana (Scampia, Secondigliano, Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Rione Traiano, Pianura), sviluppatisi a seguito di fallimentari politiche urbanistiche, come quella del decentramento delle famiglie disagiate del centro storico nel periodo del dopo-terremoto, non accompagnate da adeguate misure di sostegno sociale e territoriale.

Non dissimili, anche se geograficamente più distanti, sono parti di territorio di taluni comuni dell’area nord di Napoli (Casalnuovo di Napoli, Afragola, Acerra, Caivano, Casoria, Qualiano, Giugliano in Campania): “non luoghi” di una nuova e asfittica cittadinanza metropolitana, nei quali le famiglie multiproblematiche (perché disoccupate, monoparentali,

“adolescenziali”, coinvolte nel circuito giudiziario) sono destinate a una ineluttabile

8 Sul tema dei rapporti fra minori e camorra, nonchè sul più generale rapporto fra criminalità e minori nel napoletano, si veda anche la Relazione Conclusiva 2018 - Doc. XXIII N. 38 della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, ed in particolare il capitolo 4.6.2.

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esclusione sociale, dovuta alla lontananza da opportunità di aggregazione virtuosa e da riferimenti culturali.

Come emerso dall’istruttoria della Sesta Commissione referente, in tali aree, alla struttura fortemente deficitaria del contesto urbanistico ed economico si aggiunge una ridotta presenza dei servizi e delle agenzie pubbliche.

Il numero totale di assistenti sociali in servizio presso o per conto dei comuni nell’anno 2018 ammonta a 1.042 unità, per una popolazione di 5.839.084 abitanti, di cui 3.117.000 insediati nella Città metropolitana di Napoli e 966.425 nel comune di Napoli, vale a dire un assistente sociale per 5600 abitanti9.

Secondo i dati ufficiali forniti dalla Regione alla Sesta Commissione referente, fortemente disomogenea è la presenza di assistenti sociali nei diversi territori: nel comune di Giugliano, terza città della Campania, vi sono 6 assistenti sociali (a tempo determinato), per una popolazione di 124.139 abitanti (un assistente sociale per 20.600 abitanti circa ), mentre il comune di Napoli, con le sue 10 municipalità, ne conta 359, di cui 358 a tempo indeterminato (un assistente per 2600 abitanti circa).

Ancor più allarmante è la condizione dei comuni della Provincia di Napoli appartenenti alla fascia vesuviana.

Quasi l’intero territorio compreso nel circondario del Tribunale di Torre Annunziata, a eccezione dei comuni della costiera sorrentina, risulterebbe privo di assistenti sociali: Torre del Greco, Torre Annunziata, Pompei, Castellammare di Stabia, Trecase, Boscoreale, Boscotrecase, Gragnano, Agerola, Pimonte, Lettere, Casola di Napoli, Santa Maria la Carità, Sant’Antonio Abate, stando a tali dati, sono del tutto sprovvisti di assistenti sociali10.

Nella medesima condizione si trovano altresì i comuni di Arzano, di Casavatore e di Casoria, appartenenti all’area geografica a nord di Napoli.

Negli altri comuni opera, comunque, un numero di assistenti sociali del tutto inadeguato all’effettivo fabbisogno: il Questore di Napoli ha segnalato, al riguardo, che, presso le municipalità di Caivano e di Afragola, sui cui territori rispettivamente insistono il “Parco Verde” e il “Rione Salicelle”, insediamenti caratterizzati da altissima densità criminale e con elevatissimo numero di famiglie multiproblematiche, opera un solo assistente sociale.

Ne consegue la necessità che le istituzioni comunali e centrali, anche con l’adozione di misure straordinarie che comportino il superamento dei limiti finanziari, implementino gli organici del personale destinato a una funzione così rilevante, allo stato assolutamente insufficienti a fronte delle descritte emergenze, nonostante l’encomiabile impegno professionale e la dedizione di molti.

A fronte del quadro delineato, icasticamente descritto dal Procuratore della Repubblica di Napoli come di vera e propria “dissolvenza” della Pubblica Amministrazione, appare evidente che ampio è lo spettro degli interventi necessari ad arginare il fenomeno della criminalità minorile e che molte sono le istituzioni coinvolte: la scuola, gli enti e gli organi, centrali e locali, con competenze nel settore delle politiche sociali, del lavoro, dell’ordine pubblico e della sicurezza, nonchè la magistratura.

Se i contesti descritti costituiscono condizioni predisponenti i minori a scelte di devianza o addirittura di adesione alla criminalità organizzativa, ne consegue che il primo versante dell’intervento istituzionale dev’essere quello incidente sulla “prevenzione”, da attuarsi con la “mappatura” delle aree in cui più alto è il disagio minorile e la successiva strutturazione di progetti e iniziative volti a rimuovere, o quantomeno ad attenuare, l’influenza esercitata sulla scelta criminale dei singoli dai plurimi fattori indicati.

9 Dati forniti alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni dalla Regione Campania.

10 A titolo esemplificativo si consideri che presso il comune di Ercolano, secondo i dati ufficialmente trasmessi, ne sono in servizio 9.

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Una strategia di successo, nel contesto attuale e con le limitate risorse a disposizione, è possibile solo se le diverse istituzioni sapranno operare costantemente in modo coordinato, attivando strutture di rete funzionali allo scambio reciproco di informazioni utili a intercettare il disagio giovanile in vista della successiva adozione di misure idonee ad approcciarlo.

In questa prospettiva, la scuola assume il ruolo di principale “sentinella” del disagio giovanile, potendo precocemente intercettare quegli indici che preludono spesso all’ingresso dei minori in contesti criminali11.

4.1. Monitoraggio e strategie contro la dispersione scolastica.

Il primo indicatore significativo di devianza, come rilevato dal M.I.U.R., è quello dell’abbandono e della discontinuità scolastica: “L’evasione scolastica è la punta dell’iceberg di percorsi scolastici e formativi incompleti, insufficienti, inadeguati, che portano diverse condizioni di esclusione educativa, oltre che di abbandono vero e proprio, di Early school leaving, Neet, Acheviement gap, assenteismo, condizioni che portano a incubare fattori di emarginazione, devianza, esclusione lavorativa, assenza di prospettive, reclutamento precoce da parte della criminalità organizzata”.

Dalle audizioni svolte dalla Sesta Commissione referente è emerso, ancorchè in maniera empirica, che molti dei giovani coinvolti in eclatanti episodi di criminalità urbana hanno abbandonato la scuola o l’hanno frequentata in modo irregolare, dal che è logico desumere l’esistenza di un nesso tra l’abbandono scolastico e la devianza giovanile, dato ancor più significativo se letto unitamente a quello della coincidenza delle aree di maggiore dispersione scolastica con quelle che registrano più elevati tassi di criminalità minorile.

Pur a fronte dell’accertata relazione tra la dispersione scolastica e la devianza, il flusso informativo dalla scuola verso le altre istituzioni, compresa la magistratura minorile, risulta ad oggi fortemente insoddisfacente, se non deficitario.

I Dirigenti degli Uffici Giudiziari partenopei hanno segnalato, infatti, che i dati relativi alla dispersione scolastica loro forniti sono incompleti e frammentari; d’altra parte, i dati a livello regionale, pur essendo stati espressamente richiesti dal Consiglio, non sono pervenuti, la qual cosa conforta l’opinione degli operatori, che reputano insufficiente l’analisi complessiva del fenomeno e ritengono peraltro sottostimato il dato della dispersione reale, in ragione dell’inadeguatezza delle procedure di rilevamento e di segnalazione.

Solo alcuni comuni, tra i quali quello di Napoli, pubblicano on line tali dati.

Sulla base di essi, la dispersione scolastica risulta avere un’elevata incidenza in molteplici municipalità12; studi specifici relativi all’Ottava Municipalità (comprendente i quartieri di Scampia, di Piscinola, di Chiaiano e di Marianella) hanno posto in rilievo che, nel periodo 2010-2012, solo il 36% degli alunni è stato ammesso al terzo anno della scuola

11 Anche per tale ragione va condivisa la considerazione per la quale <<la dispersione, in tutte le sue forme, è una emergenza nazionale e come tale deve essere trattata; (…) è un fenomeno multifattoriale e va affrontato con una politica di ampio respiro che veda l’impegno attivo, costante e concordemente indirizzato e accompagnato nel tempo, di tutti gli attori in campo, istituzionali e non>>Analogamente è stato affermato che

<<La dispersione scolastica rappresenta una prima e fondamentale spia del disagio giovanile e delle carenze educative di determinati nuclei familiari>> (Stati Generali della Lotta alle Mafie Tavolo 10 Minori e mafie).

12 Le diverse municipalità vedono un numero di iscritti alla scuola primaria oscillante tra i 3.394 (1^ Munic.) e i 5.094 (6^ Munic., San Giovanni Barra, Ponticelli). Nella 8^ Municipalità (Scampia, Piscinola, Chiaiano, Marianella), per la scuola primaria, si sono registrate 78 inadempienze, a fronte di 155 complessive (pari all’1,85%, rispetto al dato medio cittadino dello 0,37%; per contro, vi sono casi n. 9 casi (0,18%) nella 6^

Municipalità., pur essendo quella con maggiori iscritti e caratterizzata da un territorio comunque difficile. Quasi inesistente, invece, la dispersione nelle municipalità 1^ (Chiaia, San Ferdinando – Posillipo) e 5^ (Arenella – Vomero). Occorre anche evidenziare che i dati relativi alla dispersione vanno analizzati accuratamente in quanto, accanto a 155 minori segnalati, ve ne sono 148 “rientrati” e, come tali, non bocciati, sebbene essi possano, almeno in parte, essere comunque considerati “a rischio” per l’iniziale evasione scolastica e la non assidua frequenza alla scuola dell’obbligo primaria.

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superiore, mentre gli altri implementano le fila degli “early school leavers”, diciottenni/ventiquattrenni che hanno conseguito la sola licenza media.

È quindi evidente che la realtà campana è drammaticamente lontana dal raggiungimento degli obiettivi, per l’anno 2020, dell’Unione Europea di ridurre gli abbandoni scolastici sotto la soglia del 10% e di elevare la percentuale di laureati alla soglia del 40%13.

Avuto riguardo alle finalità della segnalazione dell’evasione scolastica, appare inoltre non adeguata l’identificazione dei casi d’inadempimento o di dispersione.

Gli auditi hanno concordemente riferito che, ai fini della rilevazione, costituisce

“evasione” la sola assenza prolungata per cinque giorni continuativi14, sicchè risultano escluse dalla rilevazione altre discontinuità didattiche gravi, quali le frequenze “a singhiozzo” (F.a.S.) e irregolari o l’inizio tardivo dell’anno scolastico.

A ciò aggiungasi che il farraginoso iter previsto dal Decreto Ministeriale n. 489/200115 (iter, peraltro, non sempre rispettato nel distretto del Tribunale per i Minorenni di Napoli16) determina comunque ritardi nelle segnalazioni e nel successivo intervento dei servizi sociali, nella denuncia all’Autorità Giudiziaria (spesso effettuata solo a fine anno scolastico) e nell’ammonimento dei genitori.

In definitiva, ad oggi, il raccordo tra la scuola e la magistratura minorile sconta ancora quelle criticità denunciate dal Tribunale per i Minorenni di Napoli nel lontano 1993, allorquando furono segnalati (Prot. n. 1278 Napoli, 24 settembre 1993) i frequenti inadempimenti degli obblighi di segnalazione dell’evasione scolastica e fu evidenziata l’incapacità della scuola di intercettare, con l’osservazione dei comportamenti e l’ascolto delle confidenze dei minori, i maltrattamenti, gli abusi e le altre situazioni di pericolo cui i predetti sono esposti nel contesto familiare17.

13 Nel rapporto del 2016 l’Istat segnala il forte legame in Italia tra processi di mobilità sociale e disuguaglianza:

<<Nel nostro paese le diseguaglianze si tramandano di padre in figlio, si riproducono cioè tra generazioni.

Numerosi studi hanno messo in luce, infatti, come il reddito da lavoro dei figli sia correlato positivamente con quello dei padri. Questo implica che il reddito individuale sia il risultato, oltre che del talento, dell’impegno e dell’ambizione, anche delle opportunità in termini di condizioni patrimoniali e di capitale umano e sociale offerte dalla famiglia di origine>> (ISTAT, Rapporto annuale 2016.) Le variabili considerate dall’Istat sono di diversa natura e indicano una correlazione tra reddito, possesso di una casa, titolo di studio dei genitori e dei figli. L’incidenza del titolo di studio dei genitori sul reddito è particolarmente discriminante e significativa.

<<Nonostante la povertà educativa sia presente anche tra i minori che vivono in famiglie che non sono particolarmente svantaggiate dal punto di vista economico, sociale e culturale, il fenomeno rimane sostanzialmente “ereditario”. Come in un circolo vizioso, la povertà economica ed educativa dei genitori viene trasmessa ai figli, che a loro volta saranno, da adulti, a rischio povertà ed esclusione sociale.>> D’altra parte, come riportato dal rapporto dell’OCSE Education at Glance del 2016, l’Italia si caratterizza come uno dei paesi a più bassa mobilità educativa in Europa. Soltanto l’8% dei giovani italiani tra i 25 e 34 anni con genitori che non hanno completato la scuola secondaria superiore ottiene un diploma universitario (la media OCSE è del 22%).

La percentuale sale al 32% tra i giovani con genitori con un livello d’istruzione secondario, e raggiunge il 65%

tra coloro i quali hanno genitori con diploma universitario. Sono dati allarmanti, che ci parlano, secondo l’ISTAT, di un Paese nel quale <<è la “lotteria della natura”, e non il talento, a determinare i percorsi educativi e di vita dei ragazzi>>.

14 Oltre i cinque giorni scatta l’obbligo di presentazione del certificato del medico (art. 42 D.P.R. 1967 n. 518).

15 Decreto Ministeriale 13 dicembre 2001, n. 489, “Regolamento concernente l'integrazione, a norma dell’articolo 1, comma 6 della legge 20 gennaio 1999, n. 9, delle norme relative alla vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico”, definisce modalità di vigilanza per l'adempi mento dell’obbligo di istruzione. L’art. 2, comma 3 esplicita che “i responsabili delle istituzioni scolastiche che ricevono le iscrizioni al primo anno dell’istruzione obbligatoria, entro il ventesimo giorno dall’inizio dell’anno scolastico provvedono a darne comunicazione ai comuni di residenza degli obbligati per i necessari riscontri”.

16 Ad esempio, l’Istituto scolastico segnala al comune, ma vi sono scuole superiori ove afferiscono studenti di una pluralità di comuni, con maggiori difficoltà di controllo da parte degli assistenti sociali.

17 Che “i Servizi Sociali territoriali e i Direttori e Presidi di scuole elementari e medie segnalano discontinuamente e con ritardo fatti di evasione scolastica, totale o parziale ed episodi di irregolarità nella condotta da parte di minori, attuando a volte, di loro iniziativa” accortamente ammonendo che la scuola è in grado di registrare “situazioni c.d. a rischio in cui versino i minorenni, per non dire di tutte le fattispecie di

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Nell’auspicio che in futuro siano adottate politiche di adeguamento dei programmi educativi valevoli a renderli includenti e attrattivi per i minori e che la scuola possa divenire realmente competitiva rispetto alle più facili e allettanti sollecitazioni provenienti dall’ambiente criminale esterno, il Consiglio, in ragione dell’importanza che la conoscenza dei dati relativi alla dispersione scolastica presenta ai fini del monitoraggio e della prevenzione del fenomeno della devianza minorile, rimarca la necessità che le istituzioni scolastiche assolvano con tempestività agli obblighi di segnalazione.

Ciò che è emerso dalle audizioni è innanzitutto la necessità di poter disporre, oltre che dei dati complessivi, di segnalazioni tempestive e personalizzate in relazione a ogni singolo studente che frequenti con difficoltà il circuito scolastico, e tanto al fine di poter operare con interventi specifici in ordine al contesto familiare di riferimento. Inoltre, è emersa la necessità di un’offerta formativa a misura di studente, anche con programmi di formazione professionale che abilitino alla scoperta della manualità e all’inserimento del mondo del lavoro18.

Opportunamente, quindi, il Procuratore per i Minorenni di Napoli ha di recente sollecitato la Direzione Scolastica Regionale a innovare le metodologie di rilevamento della dispersione scolastica, evidenziando che un elevatissimo numero di ragazzi abbandona precocemente gli studi e che “… questo dato, se valutato unitamente a quelli che pongono in stretta correlazione devianza giovanile ed evasione dell’obbligo scolastico, non può non allarmare i responsabili delle Istituzioni impegnate nel difficile compito educativo…”, che

“… è di tutta evidenza come la disaffezione per l’istruzione e la scuola siano spesso manifestazione di problemi familiari più profondi e della scarsa capacità dei genitori nell’esercizio della loro responsabilità sui figli…”, che “… le segnalazioni discontinue e tardive degli episodi di evasione scolastica totale o parziale da parte dei dirigenti scolastici vanificano gli interventi dell’Autorità Giudiziaria Minorile, rendendoli talvolta del tutto inutili se non addirittura controproducenti…” e che “… l’azione precoce… consente di predisporre percorsi di sostegno per la famiglia e per i genitori mentre quella tardiva rischia di essere percepita come meramente sanzionatoria a fronte di condizioni di pregiudizio per i minori ormai irreparabili…”.

Di qui la proposta dell’anzidetto Dirigente di attuare e di promuovere una più incisiva e costante collaborazione delle Istituzioni scolastiche “… anche diffondendo l’invito a tutti i dirigenti scolastici delle province del distretto (Napoli, Avellino, Benevento e Caserta) a trasmettere… , per i minori ancora in età di obbligo scolastico, quanto segue: 1) entro fine novembre gli elenchi degli alunni che risultano iscritti ma non hanno mai frequentato le lezioni e per i quali non sia stato concesso nulla osta per il trasferimento ad altro istituto; 2) entro fine maggio, gli elenchi degli alunni che si prevede non verranno ammessi alla classe successiva a causa del numero di assenze accumulate…”.

Per un serio contrasto dei fenomeni dell’evasione e della dispersione scolastica è, inoltre, necessaria un’effettiva responsabilizzazione dei genitori, cui di certo non può contribuire la mite sanzione prevista per la contravvenzione di cui all’art. 731 c.p., integrata

maltrattamenti, sottrazione e abusi in danno di minori (…) Spesso proprio nella scuola molti di tali fatti emergono o si rivelano attraverso il comportamento o gli scritti o le confidenze dei minori o dei loro genitori e parenti e troppo spesso, per non dire quasi sempre, non vengono rappresentati all'Autorità Giudiziaria, ordinaria e minorile, anche in presenza di vere e proprie ipotesi di reato, in palese violazione dell'obbligo di denuncia previsto per i Pubblici Ufficiali e per gli incaricati di un pubblico servizio dall'art. 331 del codice di procedura penale. Anche la tardiva segnalazione delle evasioni, totali o parziali, dall'obbligo scolastico vanifica gli interventi dell'Autorità Giudiziaria Minorile, rendendoli tardivi o addirittura impossibili e controproducenti”.

18 Tali indicazioni sono state fornite da Cesare Moreno, in rappresentanza dell’Associazione Maestri di Strada, e da Don Tonino Palmese, ora presidente della Fondazione Polis, già responsabile di Libera Campania.

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dall’inottemperanza al dovere di impartire, o fare impartire, ai figli un’adeguata istruzione, limitata peraltro alla scuola primaria19.

Sia con riferimento a quest’ultimo profilo che con riguardo a quello di una più ampia definizione del concetto di evasione scolastica appare necessario un intervento normativo, del quale si dirà in seguito.

A normativa vigente, invece, la soluzione alle criticità evidenziate può essere ricercata solo attraverso l’implementazione di forme di collaborazione della magistratura minorile con le istituzioni scolastiche e con i servizi sociali comunali, in una triangolare condivisione di informazione e di coordinamento di iniziative che, anche a mezzo dell’elaborazione di protocolli, miri a individuare, per un verso, modalità di comunicazione tempestiva della dispersione e metodologie di rilevazione dell’abbandono scolastico più complete (quindi inclusive anche delle altre gravi forme di discontinuità didattiche) e, per altro verso, forme immediate di intervento in ordine alle ragioni che determinano la discontinuità scolastica.

Tutto ciò per consentire di realizzare fattivamente un’azione preventiva mirata, come sollecitato, nel corso dell’audizione, dalla Presidente del Tribunale dei Minorenni, dott.ssa Patrizia Esposito, la quale ha rappresentato che la conoscenza tempestiva dei contesti familiari in crisi e delle carenze educative dei genitori nei confronti dei figli, se segnalate per tempo, possono consentire una gradualità delle misure amministrative, così da limitare gli effetti traumatici dell’intervento nei confronti dei minori.

Un’efficace politica di prevenzione della devianza giovanile richiede, inoltre, l’intensificazione degli sforzi di inclusione del minore in attività ulteriori rispetto a quelle scolastiche, in particolare, culturali, sociali e sportive.

Coerente con tale impostazione è la possibilità di stipula di protocolli tra istituzioni e associazioni che offrano a bambini e a ragazzi di età compresa tra i 6 e i 16 anni, nonchè alle loro famiglie la possibilità di svolgere una serie di attività gratuite, tra cui l’accompagnamento allo studio, i laboratori artistici e musicali, le attività motorie, la promozione della lettura, l’accesso alle nuove tecnologie, l’educazione alla genitorialità e le consulenze pedagogiche, pediatriche e legali, così come indicato anche nel Tavolo 10 del Ministero.

A tal fine è auspicabile che siano sfruttate le opportunità offerte dalla previsione di cui all’art. 11 del D.L. 20 giugno 2017, n. 91, recante “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”, conv. in L. 3 agosto 2017, n. 123, secondo la quale, onde realizzare specifici interventi educativi urgenti nelle regioni del Mezzogiorno, il Ministro dell’istruzione, individuate, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, le aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e da dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata, indice una procedura selettiva per la presentazione di progetti recanti la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, finalizzati al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce e di povertà educativa, nonché alla prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità.

Si tratta di bandi cui possono partecipare le reti di istituzioni scolastiche presenti nelle aree individuate e i partenariati con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del C.O.N.I., delle Federazioni sportive nazionali e degli enti di promozione sportiva e servizi educativi pubblici per l’infanzia, operanti nel territorio interessato.

D’altra parte, anche nel corso delle audizioni svolte dalla Sesta Commissione referente, in linea con le proposte formulate dal Tavolo 10 del Ministero della giustizia su Mafie e Minori, è emersa l’importanza di uno sforzo comune e coordinato da parte delle diverse Istituzioni, volto a realizzare centri di aggregazione culturale o polifunzionali, per contribuire a una crescita sana del minore, attraverso la sua educazione allo sport, alla condivisione degli

19 Come ribadito di recente dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Pen., III^ Sez. sent. n. 4520 del 6 dicembre 2016 – 31 gennaio 2017).

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spazi, alla gestione dei conflitti anche per mezzo della mediazione e per fornire, al contempo, sostegno alle famiglie bisognose o supplire alle carenze delle stesse.

Tale impegno tuttavia non può essere realisticamente assolto dalle sole istituzioni pubbliche.

Le audizioni di esponenti del C.O.N.I. e dell’associazionismo laico, nonché di appartenenti al mondo religioso hanno evidenziato che molti dei centri di aggregazione e di pratica sportiva fruibili nelle realtà caratterizzate da maggior disagio sono oratori o strutture essenzialmente private, queste ultime accessibili solo a una minoranza dei giovani.

L’impegno delle società sportive professionistiche e i finanziamenti previsti da leggi regionali per la promozione delle strutture sportive di base per i minori – sia laiche che religiose – sono molto diffusi nel nord del paese e del tutto carenti al sud20.

Dal che la necessità di interventi pubblici a sostegno delle famiglie bisognose, volti a favorire l’accesso dei minori alle anzidette opportunità ricreative, in un’ottica di indirizzo verso forme di impegno che distolgano dalla frequentazione di contesti criminogeni.

Per intervenire sulla totalità dei territori caratterizzati da problematicità, evitando zone d’ombra o sovrapposizioni e adoperando al meglio le risorse pubbliche e private esistenti, si richiede, in uno alla mappatura del rischio, un censimento ragionato di tutte le iniziative e gli interventi volti a favorire il coordinamento e lo scambio di informazioni e di esperienze.

Iniziative e progetti virtuosi, come quello in corso di attuazione nel quartiere Sanità, del quale ha dato conto nel corso della audizione il Prefetto di Napoli, devono, quindi, essere opportunamente devono, quindi, essere opportunamente estesi alle periferie suburbane e all’hinterland, ai quartieri difficili di tutti i comuni metropolitani, così come già s’è fatto per i cd. “Punti luce”.

4.2. Gli interventi sul piano della sicurezza urbana.

Agli interventi volti alla cura del disagio dei minori, onde prevenirne la devianza, devono però accompagnarsi rigorose ed efficaci misure di controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine, rese tanto più indispensabili dalle gravi e preoccupanti dimensioni che il fenomeno va, da ultimo, assumendo e dai connessi rischi cui si trova inevitabilmente esposta la collettività.

Va evitato, in particolare, che le più agevoli modalità di accesso al centro cittadino, lungi dal rappresentare un’opportunità d’integrazione, di confronto, di svago e di apertura sociale e culturale, si traducano di fatto in occasioni per rendere lo stesso teatro di scorribande da parte di gruppi delinquenziali minorili e di scontri violenti interni a questi ultimi.

20 Gli esponenti religiosi auditi hanno indicato come la condizione di degrado accomuni il 70/80% della diocesi di Napoli, ad eccezione di tre o quattro quartieri. Anche la condizione degli oratori e dell’accesso allo sport appare preoccupante, ha affermato don Rosario Accardo, responsabile della pastorale dello sport della diocesi di Napoli. Gli oratori censiti sono una quarantina; sebbene si ritenga che esistano 50-60 strutture “anonime” su 289 parrocchie della diocesi. Solo il 30% circa di questi oratori hanno un piccolo campetto sportivo. Nel Nord Italia le opportunità sono molto più numerose; ad esempio, le società di serie A, non solo nel mondo del calcio, ma anche nelle altre discipline sportive, finanziano lo sport di base per i ragazzi. Inoltre, le legislazioni regionali favoriscono la costruzione di impianti. La legge regionale sullo sport della Campania, n. 18/2013, riconosce il ruolo delle parrocchie e gli oratori, ma non risultano stanziati significativi finanziamenti. Peraltro, non vi è un assessore regionale dedicato allo sport. I progetti sostenuti con l’iniziativa privata non possono, però, da soli risolvere problemi che necessitano di interventi sistematici, anche in ragione del costo degli spazi da destinare a strutture sportive. Le stesse visite mediche sportive non risultano più fornite gratuitamente dall’A.S.L., mentre le assicurazioni sportive contro gli infortuni sono costose, senza alcuna distinzione di reddito. D’altro canto sono ben noti alla cronaca i casi di scuole sportive di eccellenza, che versano continuamente in condizioni di difficoltà economiche e che rischiano la chiusura, pur seguendo ed educando centinaia di minori, alcuni dei quali affidati in esecuzione penale con misure alternative (come la Judo Star di Scampia, guidata dal maestro Maddaloni e la scuola di pugilato, di antichissima tradizione e di caratura internazionale, Excelsior Boxe di Marcianise).

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Risulta pertanto indispensabile un controllo capillare del territorio, onde evitare il ripetersi di episodi di criminalità minorile, come quelli verificatisi nell’ultimo periodo, tanto nel centro cittadino (in particolare, nella zona del lungomare e della “movida”, con scontri violenti tra minori nelle ore notturne, anche con uso di armi da sparo, o con aggressioni repentine e del tutto gratuite, che hanno messo a repentaglio l’incolumità di vittime per lo più anch’esse giovanissime, come nei casi assurti di recente agli onori della cronaca nazionale), quanto nelle periferie (è il caso dell’uccisione della guardia giurata avvenuta presso la stazione della metropolitana di Piscinola)21.

È essenziale inoltre evitare che, nei quartieri a rischio, al controllo pubblico del territorio, si sostituisca quello delle organizzazioni criminali, con tutti i negativi effetti che ne conseguono, non solo sul piano generale della compromissione delle regole di legalità, ivi comprese quelle che governano le iniziative economiche, ma, ancor più, sul piano simbolico, instillandosi nelle nuove generazioni – soprattutto nei contesti in cui preponderante è la presenza di soggetti marginali – un’idea di supremazia fondata sulla prevaricazione, sul senso di impunità e di onnipotenza, richiamato dalla Presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli, e sul facile successo economico, assicurato dalle attività illecite.

Sotto questo profilo, deve segnalarsi l’importanza delle iniziative di cui ha fatto menzione il Prefetto di Napoli, quali la destinazione di 100 unità di appartenenti alle forze di polizia, deputate esclusivamente al piano Sicurezza giovani, da impegnarsi anche a presidio delle stazioni della metropolitana, nonché la proposta di utilizzare gruppi di “operatori di strada”, ognuno composto da 8/10 elementi, allo scopo di avvicinare in modo rassicurante i giovani e di disinnescare atteggiamenti diffidenti o di sfida dei predetti22.

Opportuna risulta, altresì, l’iniziativa del Procuratore della Repubblica di Napoli, che ha istituito un apposito pool di magistrati per il contrasto dei reati commessi da bande giovanili violente e che, in aggiunta e d’intesa con il Procuratore per i Minorenni, ha promosso l’istituzione di un gruppo interforze, specializzato in tale settore, pronto ad operare grazie al diretto intervento organizzativo del Capo della Polizia.

Di grande utilità nelle strategie di controllo del territorio sono poi i sistemi di videosorveglianza delle aree a rischio.

Per superare le difficoltà nel sostenerne i costi vanno considerate le nuove opportunità di finanziamento previste per i comuni che hanno sottoscritto i «patti» per la sicurezza urbana, offerte dal recente decreto del Ministro dell’interno del 31 gennaio 2018, emesso in attuazione del D.L. 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 aprile 2017, n. 48.

Ancora, a rendere maggiormente incisiva l’azione nei confronti della criminalità e del degrado nelle aree metropolitane possono valere anche gli ulteriori istituti previsti dal citato D.L. n. 14/2017, convertito nella L. n. 48/2017, che persegue la finalità di una maggiore sicurezza urbana23, da assicurarsi mediante iniziative di sicurezza integrata24.

21 Iniziative in tal senso risultano già assunte dalle forze dell’ordine, che, secondo quanto riferito dal Colonnello Ubaldo Del Monaco, hanno individuato, sulla base di un’analitica elaborazione statistica, le aree maggiormente sensibili in relazione al tasso di criminalità, suddividendo il territorio in tre macroaree, delle quali due assegnate al controllo alternato dei Carabinieri e della Polizia di Stato e una a quello della Guardia di Finanza.

22 Per i quali è indicata la possibilità di accedere, mediante fondi PON da destinarsi alle Regioni PON obiettivo 1.

23 Esplicitamente definita come << bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l'eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l'affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile>>.

24 Intesa, come l'insieme degli interventi assicurati da soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla <<promozione e all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità>> (art. 4)

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L’art. 5 prevede, infatti, la sottoscrizione, da parte del Prefetto e dei Sindaci, di patti per l’attuazione della cd. “sicurezza urbana”, volti al perseguimento di taluni obbiettivi definiti prioritari, quali: a) la prevenzione e il contrasto alla criminalità e ai disordini; b) la promozione e la tutela della legalità; c) la promozione e il rispetto del decoro urbano; d) la promozione dell’inclusione, della protezione e della solidarietà sociale.

In questo nuovo assetto, oltre a essere istituito il “Comitato Metropolitano”, sono previsti: forme di cooperazione tra Polizia locale e altre forze, incentivi per il recupero delle aree urbane degradate, inasprimenti sanzionatori nei confronti dei soggetti coinvolti nei cd.

“disordini urbani”, nonché l’estensione del potere sindacale di emanazione di ordinanze contingibili e urgenti in funzione di prevenzione e di contrasto di fenomeni criminosi o d’illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione o l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, oltre che di fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legata all’abuso di alcool o all’uso di stupefacenti.

Poiché le dinamiche delinquenziali giovanili sono, nell’attualità, esponenzialmente alimentate dall’uso distorto dei social network, strumenti capaci di un coinvolgimento immediato di un numero elevato di persone, appare utile che le forze dell’ordine si dotino di strutture investigative specializzate, deputate a operare anche su questo piano.

In questa direzione risultano efficaci le iniziative promosse congiuntamente dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, dalla Polizia di Stato, dalla Polizia Postale e dal M.I.U.R. per realizzare, nelle scuole, progetti di informazione, di sensibilizzazione e di prevenzione rispetto a fenomeni di bullismo e di cyberbullismo.

5. La risposta giurisdizionale: le sollecitazioni provenienti dagli uffici giudiziari e le proposte consiliari.

5.1. Il settore penale.

Se il versante di un impegno istituzionale ampio, con finalità di prevenzione della devianza e di recupero dei minori che hanno già fatto ingresso nel circuito giudiziario costituisce il terreno privilegiato d’intervento, nondimeno le esigenze di salvaguardia della collettività, ormai costituenti un’emergenza sociale, impongono un doveroso bilanciamento tra il primario interesse statuale al recupero del minore autore di reato e quello, contrapposto, alla tutela dei beni violati dalla condotta deviante dallo stesso tenuta.

In quest’ottica, è necessario calibrare con attenzione l’intervento giurisdizionale, tenendo conto della concreta gravità del reato e, ancor più, della personalità del minore, poiché la doverosa esigenza di rieducazione cui il processo minorile è informato non può prescindere dalla necessità di assicurare effettività all’intervento di contrasto, né può obliterare la specifica pericolosità di cui il soggetto agente risulta portatore.

Nel pieno rispetto dell’autonomia dei singoli magistrati in ordine alle scelte da compiere con riferimento alle specifiche vicende processuali, appare tuttavia ineludibile la considerazione che, a fronte di una pericolosità elevata, una troppo blanda risposta giudiziaria non sortirebbe effetti deterrenti, né esplicherebbe funzione rieducativa di sorta, contribuendo, anzi, a rafforzare nel minore autore di reato e nel comune sentire il convincimento di una sostanziale impunità.

Nell’ottica di potenziare l’efficacia dell’intervento giurisdizionale, è necessario innanzitutto modulare interventi, in primis giudiziari, capaci di far comprendere ai minori che alla commissione di gravi reati consegue una seria ed efficace risposta delle Istituzioni.

I minori, in sostanza, devono costantemente percepire la credibilità e l’autorevolezza dello Stato, non solo nella fase della prevenzione e in quella dell’assistenza e del recupero rispetto a condizioni devianti endogene, ma anche e soprattutto nel momento del contatto con la polizia giudiziaria e con la magistratura.

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