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3. IL ROMANZO 3.1 Romanzo autobiografico

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3. IL ROMANZO

3.1 Romanzo autobiografico

Come già menzionato in precedenza, con Moyenne Laurence Kiberlain dà sfogo alle vicende della sua esistenza personale, costruendo un romanzo che il lettore, solo in seguito a opportune ricerche e riflessioni, sente di poter considerare come autobiografico.

La narrazione è realizzata mediante l’uso della prima persona singolare, un je che non si riesce ad associare mai, nel corso del racconto, a un nome proprio in grado di dare alla narratrice, nonché protagonista, un maggiore spessore individuale e concreto.1 Si suppone vi sia identità tra il nome dell’autrice, che fa il suo esordio proprio con quest’autobiografia e che dunque risulta essere sprovvista di una precedente produzione di altri generi testuali, e quello non menzionato della narratrice e protagonista di cui si parla. Il caso appare indefinito e indeterminato proprio a causa dell’assenza del nome proprio della protagonista e del patto che l’autrice non stipula con il lettore, non dichiarandosi inizialmente identica alla narratrice ( e dunque alla protagonista della vicenda, poiché si tratta di un racconto autodiegetico ), né affermando la natura fittizia del racconto.2 E dal momento che nel testo non è presente nessun elemento che attesti una sorta di legame tra il je della narrazione e l’istanza dell’autore, il lettore si abbandona con fiducia alla lettura di un racconto che scoprirà essere autobiografico soltanto nel momento in cui, e qualora, nascerà in lui la curiosità di avere informazioni sulla vita dell’autrice3.

L’insolito anonimato dietro al quale si cela la protagonista, l’unica portavoce delle vicende descritte, dà luogo a una narrazione che anche per questo motivo

1

P. LEJEUNE, Je est un autre. L’autobiographie de la littérature aux médias, Paris, Seuil, 1980.

2 P. LEJEUNE, Le pacte autobiographique, Paris, Seuil, 1975. 3

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risulta essere universale: ciascun lettore può identificarsi nella storia raccontata e riconoscersi nelle situazioni vissute dalla donna, ormai divenuta adulta, che ricorda gli eventi di particolare rilevanza della sua vita. Un io discreto che, tra testimonianze e confessioni, invita il lettore a seguire il racconto da spettatore più o meno interessato e coinvolto nei fatti. Un io che con occhi nuovi tenta di ricostruire cronologicamente il proprio passato e che con il giusto distacco cerca di conferire un significato agli stati d’animo, alle paure e alle insicurezze di una donna che è ormai pervenuta a una nuova e più matura consapevolezza di sé. Esattamente come in ogni romanzo autobiografico, la protagonista di Moyenne, con lo sguardo rivolto alle stagioni della vita trascorsa, dà vita a un racconto retrospettivo che ricapitola la storia del cambiamento cui è giunta la sua personalità, accordando un senso definitivo a tutto quello che fino a quel momento le era apparso incerto, casuale e privo di logica.

Scrivere un’autobiografia, infatti, significa esternare la propria interiorità, manifestarla ad altri, rivelare le parti più profonde e segrete del proprio essere e, come in questo caso, convertire in valore sociale la portata di ogni singola esperienza che ha permesso alla protagonista di formarsi e di formare nel tempo un’opinione di sé.

Ma scrivere un’autobiografia implica in primo luogo stabilire la propria voce, scegliere il giusto tono, il ritmo e il registro con il quale si intende narrare a un pubblico ormai da secoli interessato all’esistenza privata dei singoli individui ciò che si vuole e che si può far conoscere della propria vicenda personale, in quanto non tutto può riaffiorare alla memoria, non solo poiché l’oblio talvolta ha la meglio, ma soprattutto poiché, inconsciamente, vengono nascoste infinità di situazioni e di episodi che non potranno essere facilmente disseppellite, almeno non da soli.

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Il coraggio di parlare, di scrivere di sé, nasce quando siamo disposti a usare la pazienza per rovistare nella nostra vita, quando si scopre che indagare su se stessi, oltre a offrire talvolta gioia e piacere, oltre a non essere soltanto un modo per colmare un dolore o sfuggire all’angoscia, allevia la sofferenza, dà forza; quando si decide di addentrarsi nella felicità o nel male di vivere; quando si sceglie di conoscere le parti in ombra e ignote di noi stessi. E c’è un momento, in genere nell’età adulta, in cui si avverte tale bisogno e si decide di fare un po’ di ordine dentro di sé, per ritrovare emozioni che si credevano perdute, per comprendere meglio il presente, così lasciando una traccia della propria esistenza, così attestando di aver vissuto, nonché sperimentando in questo modo il pensiero autobiografico, che richiede in primo luogo coraggio ma che al contempo procura non poco benessere, in quanto raccontarsi in prima persona, scrivere dei ricordi della propria vita passata, di ciò che si è stati e di ciò che si è fatto, può risultare essere un gioco divertente e un’esperienza inusuale grazie alla quale si perviene a una cura di sé, capace di addolcire quel “male” che ha fatto parte e che farà parte inevitabilmente della vita e che per questo non può essere espulso, ma che invece può essere sublimato in forme d’arte, come appunto la scrittura.4 Il pensiero autobiografico, infatti, oltre a mutarsi in un progetto narrativo compiuto, ovvero oltre a concretizzarsi come in questo caso in un racconto, dà un senso alla vita stessa di colui o di colei che scrive, consentendo di sentire che si è vissuto e che lo si sta ancora facendo, consentendo di non passare troppo inosservati e di non lasciarsi sommergere dal silenzio. Il pensiero autobiografico, infatti, anche qualora si volga verso un passato personale doloroso, costellato di sofferenze, di errori e di occasioni mancate, come nel caso di Moyenne, è pur sempre un patteggiamento con quanto si è stati, una riconciliazione con se stessi che procura all’autore

4 D. DEMETRIO, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano,

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sensazioni di quiete, ma non per questo di soddisfazione e di appagamento; scrivere alimenta infatti curiosità, continua voglia di mettersi in gioco, sviluppa ulteriore pensiero, conferisce l’autocompiacimento necessario per percepirsi più vitali e creativi, in quanto si è appena costruito uno spazio tutto per sé, impenetrabile agli altri5 qualora si decida di non pubblicare quanto sia stato scritto.

Il guardare alla propria esistenza come spettatori non è solamente operazione distaccata, impietosa e severa: la riappacificazione, la compassione e talvolta la malinconia che scaturiscono da questo genere di attività sono sentimenti che mitigano la soggettività e che le consentono di aprirsi ad altri e nuovi orizzonti. Quando si ripensa a ciò che si è vissuto si dà vita a una sorta di altro da sé che vediamo agire, gioire, soffrire e sbagliare, e nel quale ci riconosciamo ma che sentiamo allo stesso tempo distante, che adesso siamo in grado di giudicare, che adesso guardiamo con occhi obiettivi, imparziali. Per tale motivo il pensiero autobiografico in un certo qual modo ci auto-cura: ci converte per un lasso di tempo in terapeuti di noi stessi e ci fa sentire meglio attraverso il ri-conoscerci, attraverso il raccontarci e il raccontare, attutisce il dolore, sublimandolo in forme che hanno un altro linguaggio.

Si scrive per lo più per colmare un vuoto, per curare una ferita, per addomesticare un dolore e imparare a conviverci, per impossessarci della vita narrandola. In tal modo si perviene a un’accettazione e a una conoscenza nuova di sé, tratta dalle esperienze passate e dalla quotidianità; si entra in possesso di alcuni aspetti del pensiero fino a questo momento ignoti; si valutano e si giudicano il passato e il presente, ormai padroni di sensazioni capaci di produrre

5 D. DEMETRIO, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Milano, Raffaello

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benessere, elaborazione della sofferenza, autostima e incoraggiamento, che ci permettono di proseguire nella vita futura.6

L’autobiografia perciò non è soltanto un tornare a ri-vivere: è un tornare a crescere per se stessi e per gli altri, è un incoraggiamento a essere i protagonisti di quelle esperienze che, talvolta per fretta o noncuranza, non potevano esser vissute con la stessa intensità, e per questo essa si rivela essere un viaggio formativo e non un chiudere i conti o un mero punto di arrivo: dall’autobiografia si può ripartire, poiché evocare e ripensare consentono di guardare con occhi diversi lo scorrere dei nuovi giorni alla luce di quanto è accaduto, permettono di riflettere sull’oggi confrontando e individuando le profonde differenze con quanto è avvenuto ieri, concedono di ricollocare nel loro giusto posto le azioni e le scelte fatte, scoprendo che non andranno riposte in qualche luogo per essere dimenticate ancora, bensì per essere riutilizzate in futuro. L’autobiografia ci invita a guardarci indietro e allo stesso tempo avanti se la viviamo sia come percorso di cura, e attualmente alcune correnti della psicoterapia moderna la utilizzano per aiutare i pazienti a cogliere la propria identità ed eventualmente a modificarla attraverso la rivisitazione dei propri ricordi, sia come itinerario di apprendimento continuo. In genere chi respinge il ricordo, chi è ostile alla memoria, chi non dà importanza alla coscienza, non può apprezzare questo tipo di scrittura; ma chi, al contrario, vuole ricordare, chi coltiva il pensiero, chi è incline all’introspezione personale, la cerca.7

Il momento in cui sentiamo il desiderio di raccontarci è segno inequivocabile di una nuova tappa cui è giunta la nostra maturità, punto da cui ripartire, da cui ricominciare, adesso giunti a una maggiore consapevolezza di sé.8 Pertanto l’autobiografia può esser vista come un genere aperto, come genere della

6

D. DEMETRIO, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione.

7 Ibidem. 8

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speranza: per sua natura essa mai termina con la morte e lascia aperte mille possibilità. È vero che si scruta nel passato per conoscere chi siamo, da dove veniamo, chi ci ha aiutato a essere ciò che poi siamo divenuti, ma è pur vero che attraverso questo sguardo all’indietro, ci si apre al mondo e, come appena menzionato, ad altre e infinite possibilità.

In Moyenne si può cogliere il forte attaccamento al passato da parte della protagonista, la sua quasi ossessione verso le sue radici, verso le sue origini, il suo far tesoro di tutto ciò che è stato ricollocandolo nella giusta posizione, che le consente in questo modo di vivere in maniera più consapevole le esperienze future. Ormai pienamente adulta, con coraggio e determinazione, Laurence Kiberlain decide di ri-cominciare raccontandosi: ridimensiona il male e il dolore che un tempo le sembravano tutta la sua vita, dando loro il giusto peso. Scrivendo, Laurence si rivela a se stessa e agli altri, traendo da ciò sollievo, immergendosi di nuovo nel malessere e nella sofferenza di cui si sentiva prigioniera, ricollocando ogni azione e ogni evento al giusto posto: il suo passato resta doloroso e costellato di disgrazie, tuttavia non può essere cancellato, e solo accettandolo e affrontandolo col giusto distacco esso può rappresentare un punto da cui finalmente poter ripartire. E il romanzo si conclude con un energico grido di speranza, un forte invito per la lotta all’emancipazione di se stessi e all’affermazione della propria identità alla luce di quanto ha permesso la propria formazione, alla luce della propria storia, alla luce della propria rivisitazione personale.

3.2 Romanzo di formazione

Il romanzo di Laurence Kiberlain può essere a tutti gli effetti classificato come

Bildungsroman, come un romanzo di formazione; esso infatti descrive la crescita

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fronte alle svariate prove cui è sottoposta, il suo incontro-scontro con il mondo. Come nella maggior parte dei romanzi di formazione, inizialmente il lettore incontra un personaggio fragilissimo, completamente sopraffatto dalla propria emotività, ma che col tempo la vita condurrà a essere forte, a dominarsi, a intraprendere una lenta e salutare metamorfosi. Si può inoltre parlare di romanzo di formazione dal momento che si rende narrativamente attiva, ovvero interessante, la realtà quotidiana di una persona comune, di una persona qualunque, di una donna, e la cosa sorprende dal momento che si tratta proprio di un personaggio femminile a essere al centro del racconto.

Moyenne racconta la parabola evolutiva di una donna che, in età ormai adulta,

perviene a una tale stabilità psichica ed emotiva tale per cui è in grado di voltarsi indietro e di valutare con occhio critico le tappe principali di un’esistenza che l’ha condotta gradualmente a crescere, a superare i propri limiti e a diventare la persona di cui leggiamo il racconto, costruendo la propria identità in rapporto a un mondo percepito da lei come ostile, complicato e mostruoso: compito del romanzo di formazione è infatti quello di creare una continuità tra interno ed esterno, tra la parte più intima di sé e l’aspetto pubblico della propria esistenza, conciliando dunque autonomia e socializzazione9.

Cominciando a ripercorrere gran parte della sua esistenza dal delicato periodo adolescenziale, la protagonista del romanzo riflette sulle sensazioni e sugli stati d’animo tipici di questa età, e comuni perciò anche al lettore che, con un po’ di sforzo, ritorna con la memoria al tempo in cui ogni equilibrio era instabile e ogni situazione precaria. In linea di massima, il Bildungsroman fa si che il lettore percepisca il testo attraverso gli occhi del protagonista, colui che deve formarsi, e la lettura che ne consegue è dunque proposta anch’essa come percorso

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formativo10. Ad ogni modo il punto di partenza sembra essere sempre la gioventù, lo smarrimento, il non essere ancora adulti: elementi necessari affinché siano trovati nuovi equilibri, siano accettate nuove sfide e siano intrapresi nuovi percorsi.

Il racconto prosegue imbattendosi nella narrazione dei casi fortuiti della vita attraverso i quali la donna è riuscita ad affrancarsi, più o meno consapevolmente, da un ambiente familiare fin troppo protettivo, e si sofferma poi sugli incontri con persone che le hanno inevitabilmente cambiato la vita, sulla perdita di cari che hanno lasciato un segno indelebile in lei e che hanno dunque concorso alla formazione della sua personalità.

Trovano inoltre spazio avvenimenti come quello del matrimonio, della maternità, del divorzio e dell’handicap della figlia, circostanze che determinano cambiamenti radicali nella vita della donna e che le consentono di poter attuare nel tempo una sorta di rivoluzione in grado di ribaltare la situazione iniziale in cui si trovava a vivere, pervenendo in questo modo a una presa di coscienza che le permetterà, da questo momento in poi, di percepirsi e, di conseguenza, di affermarsi come sola e unica artefice di un futuro da lei stessa scelto e pianificato, ormai pienamente responsabile e non più in balìa degli eventi o soggetta a volontà altrui, avendo acquisito e sviluppato una certa sensibilità, avendo maturato una certa coscienza morale, avendo soprattutto imparato a bastare a se stessa.

L’intero racconto descrive il percorso vorticoso di una donna che di fronte a situazioni che la disorientano sembra perdersi; e di fatto è così: si perde ma per poi ritrovarsi, per poi finalmente conoscersi, per acquisire infine una nuova e più matura percezione di sé, di continuo perdendo lungo il cammino il significato di

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ogni cosa, ma in seguito ritrovandolo. È costretta a far fronte a circostanze spesso assurde, che le impediscono di vivere lo stesso tempo degli altri, che la isolano in una dimensione tutta sua, che la inducono a un’eccessiva attività di pensiero, la quale non fa altro che incrementare il suo stato di solitudine. Riuscire a confrontarsi con una simile realtà, a formarsi e a delinearsi in rapporto a essa, si rivela essere un’ impresa piuttosto ardua, una sfida che tuttavia la protagonista del romanzo deve accettare e che le permetterà di attuare il suo percorso di crescita, il suo personale processo di formazione, abbandonando definitivamente una situazione di stasi in cui mai niente sarebbe cambiato, in cui tutto sarebbe stato vissuto da spettatrice, passivamente, e permettendo così il costituirsi di una personalità, ciò che di fatto rende un individuo unico, diverso dagli altri, singolare e insostituibile.

Le fasi principali dell’esistenza di questa donna sono scandite dalla presenza costante di un dolore causato talora dalla malattia, talora dalla morte e da assenze ineluttabili; ad ogni modo, sarà anche tutto ciò che concorrerà alla crescita della protagonista del romanzo, e che la porterà a fortificare il proprio carattere e ad affrontare con coraggio e con determinazione le prove che la vita inesorabilmente le impone.

Con quest’autobiografia, Laurence Kiberlain dà inizio al viaggio di formazione forse più importante che le sia dato intraprendere, ripercorrendo, lungo un ideale e preciso asse cronologico, tutto ciò che ha favorito la sua maturazione, tenendo comunque sempre ben presente che non esiste una formazione definitiva all’età adulta e alla propria personalità: tale processo ricomincia ogni volta che accettiamo i cambiamenti, ogni volta che andiamo verso l’ignoto, ma anche ogni volta che scegliamo di rivivere esperienze e sensazioni non tanto per confermare le opinioni precedenti, bensì per scoprirne il lato che ci era sfuggito

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all’attenzione la prima volta.11 Si tratta dunque di un viaggio potenzialmente destinato a non avere una meta, a non finire mai, indice di vitalità, di continua voglia di mettersi in discussione da parte di chi lo intraprende. La formazione è perciò un processo che genera speranze inaspettate, e che alimenta così interiorità, anche se perennemente insoddisfatta e irrequieta. L’importante non è tanto fissare una meta, ma piuttosto poter disporre in ogni momento delle proprie energie, in modo da poterle impiegare per le mille occasioni che la vita stessa si incaricherà di offrire: è fondamentale prefiggersi obiettivi, ma anche ricordarsi semplicemente di vivere, in quanto tutto ciò in cui ci si imbatte può esser finalizzato alla costruzione della propria identità, poiché esso può esser reso significativo.

Le prove che durante il cammino il protagonista del Bildungsroman deve accettare non sono ostacoli da superare restando intatto, bensì occasioni che gli permettono di incorporare, di far proprie, le nuove esperienze, le quali saranno determinanti per la formazione della sua personalità. Ma la prova fondamentale ch’egli deve superare consiste innanzitutto nell’accettare di comprendere solo alla fine, dopo una crescita lenta e graduale, il senso ultimo della sua stessa esistenza12: è infatti solo la conoscenza di se stessi il traguardo cui può portare il processo di formazione, e con ottica retrospettiva l’autrice sembra così restituire a se stessa e al lettore il senso della vita fino a questo momento da lei condotta. Con Moyenne l’autrice si pone inoltre l’obiettivo di dimostrare che ci ricordiamo in prevalenza, e con più passione, di tutto quello che ci ha conferito una forma attraverso esperienze forti e determinanti, talvolta anche eccessivamente dure; ci dà prova che restano indelebili in noi, generalmente, le emozioni e le

11 D. DEMETRIO, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina, 1996. 12

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sensazioni avvertite in situazioni che si reputavano difficili, se non addirittura impossibili, da superare.

Con il suo romanzo, Laurence Kiberlain ci spiega che è la vita, in gran parte, a dare continue lezioni e a farci comprendere che soltanto gli incontri dai quali abbiamo imparato qualcosa sono stati la nostra personale scuola di formazione. Ad ogni modo si tratta di un progetto narrativo in cui la fine e il fine del racconto coincidono: la narrazione si arresta non appena è giunto a compimento un disegno intenzionale, un progetto che coinvolge dunque il protagonista e che determina il significato complessivo della vicenda, quando il cerchio si chiude, ovvero quando la vita trova un suo significato e quando il tempo continuerà a scorrere senza finalmente troppe scosse né mutamenti; e una Bildung è tale solo se, a un certo punto, può dirsi conclusa, ovvero solo se la gioventù trapassa in « maturità », e lì si ferma; e con essa si ferma il tempo, quantomeno quello narrativo13.

3.3 Riassunto

Il romanzo è suddiviso in otto capitoli, ciascuno dotato di un titolo, ciascuno di lunghezze differenti e in grado di scandire ulteriormente il ritmo già cadenzato del racconto, in grado di conferirgli un ordine, di indirizzare il lettore nel corso della narrazione che, seppur tendenzialmente lineare, tratta ad ogni modo argomenti toccanti, che hanno la forza di coinvolgere e di turbare anche l’animo dei meno sensibili, i quali potrebbero dunque lasciarsi disorientare. È interessante per esempio notare che il primo e l’ultimo capitolo, come a fare da cornice all’intera narrazione, siano provvisti di un titolo ciascuno, Avant e Tout

roule, che poi ricorre come una sorta di anafora, o di refrain, all’interno di

ciascuna parte, imponendo un certo ritmo della narrazione.

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L’intero racconto è descritto dalla narratrice-protagonista senza mai assumere un tono vittimistico, e si svolge in tutta la sua amarezza come una sorta di demistificazione dei luoghi comuni rassicuranti come la famiglia, tratteggiata come prigione seppur rassicurante, la scuola, luogo di sofferenze e di facili incomprensioni, l’educazione, incapace di guardare al prossimo e al presente, la società, ipocrita e chiusa in se stessa.

La protagonista inizia col raccontare parte della sua storia a partire dal critico periodo adolescenziale, descrivendo l’insolito rapporto di simbiosi e di armonia che vive con la famiglia e la sua costante paura di recare disturbo in qualunque circostanza, il suo perenne sentirsi fuori luogo, brutta, complessata, l’insicurezza che da allora porta dentro di sé e che probabilmente la induce ad avvicinarsi a ragazzi sbagliati, con i quali tuttavia ha storie lunghe, talvolta tormentate; il primo ragazzo addirittura la picchia, il secondo è un uomo molto più anziano di lei, con il quale gli amici di sempre, quelli che la reputano estremamente prevedibile, credono che la relazione non durerà, come di fatto avviene: al matrimonio di un’amica la donna incontrerà il suo futuro marito, una persona del tutto diversa da coloro che ha frequentato fino a quel momento, capace di darle nuovi stimoli, l’unico in grado di condurla verso nuovi orizzonti, capace di incuriosirla su aspetti della vita cui prima mai si sarebbe interessata, ma che tuttavia non riuscirà mai a rapportarsi con lei in maniera paritaria. Inseguendo insieme, dopo anni di libertà e di spensieratezza, il sogno di diventare genitori, in seguito a svariati tentativi ( alla fine è ricorrendo alla fecondazione assistita che la donna resterà incinta, portando in grembo, anche se solo per poco tempo, cinque feti, ridotti poi inevitabilmente a due onde evitare una gravidanza altamente rischiosa ) la coppia avrà due gemelli, uno dei quali però morirà dopo pochi giorni di vita, mentre la bambina che sopravvive sarà affetta da una particolare forma di handicap motorio, motivi che mettono in crisi i due coniugi,

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che sempre più si allontanano l’uno dall’altra. Ciò sarà in parte la molla che indurrà la donna ad allontanarsi dalla rassicurante quotidianità e a mettersi in discussione, adesso desiderosa di liberarsi da ogni tipo di legame oppressivo, da ogni tipo di pregiudizio, adesso impaziente di vivere la vita nella sua integrità ma non per questo accettandola passivamente, adesso pronta ad accogliere le sorti di un destino beffardo, che sembra accanirsi particolarmente su di lei e su tutta la sua famiglia. Poco dopo infatti la protagonista perde il padre, che fino a quel momento era stato per lei un importante punto di riferimento, affronta la fine della storia col marito e il divorzio che ne consegue, si lancia in una nuova storia con un uomo padre di tre figli, si fa carico da sola di tutte le battaglie e le difficoltà provocate dalla diversità della figlia. È soprattutto grazie a quest’ultima, grazie dunque alla forza che le conferisce il sentirsi responsabile di un’altra vita, che è intrapreso dalla donna un percorso di crescita personale che la condurrà a superare i limiti che credeva di possedere e per i quali si reputava una persona del tutto mediocre. È la storia, in primo luogo, dell’emancipazione di una giovane madre che da sola e per amore della figlia decide di affrontare un mondo e una società troppo spesso inospitali, troppo spesso ostili, nei quali è difficile trovare una propria dimensione.

Probabilmente a causa della vita che la protagonista del romanzo conduce, in cui si sente sostanzialmente sola, i personaggi che le gravitano attorno non sono poi così numerosi e, conformemente allo stile della narrazione, essi sono delineati con pochi tratti, seppur in maniera esaustiva.

Il padre è colui per il quale la narratrice spende più parole, in quanto è colui con cui ha un legame molto profondo, per il quale nutre forti sentimenti di rispetto e di ammirazione, il quale sarà preso come modello da seguire in innumerevoli circostanze, sempre presente nella sua vita, sempre pronto a sostenerla e a darle conforto. ( La figura del mentore, ovvero del maestro di vita sul cui esempio o in

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base ai cui insegnamenti il protagonista del romanzo di formazione cerca di auto modellarsi, sarebbe peculiare in realtà del romanzo pedagogico, una sorta di sottogenere del romanzo di formazione, per il quale invece la presenza di una guida non è più indispensabile, in quanto è l’esperienza diretta della vita e del mondo a fungere generalmente da scuola14; tale tratto dunque potrebbe addirittura far rientrare Moyenne nella categoria del romanzo pedagogico ). Un altro membro della famiglia con il quale si delinea un rapporto forte e sincero è la sorella, con la quale la protagonista condivide gran parte delle esperienze, con la quale vive un’enorme complicità, la quale rappresenta un’altra importante figura di riferimento. Della madre invece si sa ben poco, e se ne deduce tuttavia si tratti di una donna forte e fredda, che fatica a esternare i sentimenti che prova: durante il periodo adolescenziale, quando molti ragazzi corteggiano Laurence, quest’ultima ritiene sia la madre a pagarli affinché abbiano un simile comportamento; ma anche in futuro, quando Laurence riuscirà a vendere i suoi disegni, riterrà allo stesso modo che gli acquirenti siano stati indotti dalla madre a comprarli; inoltre durante la gravidanza della figlia, la donna manterrà un atteggiamento alquanto distaccato, quasi indifferente, e di fronte alla morte del marito, dimostrerà una lucidità e una capacità di razionalizzazione piuttosto insolite in simili situazioni.

Gli altri personaggi descritti nel corso della narrazione sono la stretta cerchia di amici con cui Laurence trascorre la prima parte della sua vita, il primo ragazzo con cui ha una storia piuttosto turbolenta, qualche collega conosciuto sul luogo di lavoro, l’uomo più anziano di lei con il quale ha una breve storia prima di incontrare il futuro marito, l’amico che diventa in un secondo momento il suo nuovo compagno, lo zio che la segue in qualità di ginecologo durante il percorso della gravidanza e che in seguito cercherà di ricoprire il ruolo del padre, e infine i

14 A. BERETTA ANGUISSOLA, L. CIRRINCIONE D’AMELIO, B. CRAVERI, B. PIQUÉ, Il romanzo

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medici e gli infermieri, gli insegnanti e gli assistenti sociali che di volta in volta si prenderanno cura di sua figlia.

Per ognuno di essi la narratrice offre anche solo poche immagini, ma cerca in ogni modo di delineare un quadro preciso in cui ogni persona che abbia fatto parte, anche se solo per poco tempo, della sua vita occupi il giusto posto, sia ricoperta del peso e del valore che merita, così da riuscire lei stessa a dare un senso alle esperienze vissute e agli incontri fatti: evocare e interpretare, alla luce di una nuova coscienza critica, fatti e personaggi di cui a suo tempo non aveva colto il significato, facendo partecipare anche il lettore, con estrema precisione, alle emozioni del passato, e incamminandosi alla ricerca di una chiave che permetta di interpretare il mondo e di scoprirne il senso15, pervenendo dunque alla sintesi conclusiva della propria maturità in modo che ogni momento passato acquisisca il proprio valore.

15 A. BERETTA ANGUISSOLA, L. CIRRINCIONE D’AMELIO, B. CRAVERI, B. RIQUÉ, Il romanzo

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