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L Imaging infrarosso intraoperatorio in cardiochirurgia. 3.1 Principi di applicazione delle tecniche di imaging infrarosso intraoperatorio.

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CAPITOLO III

Imaging infrarosso intraoperatorio in cardiochirurgia.

3.1 Principi di applicazione delle tecniche di imaging

infrarosso intraoperatorio.

L

e tecniche di imaging infrarosso intraoperatorio vengono applicate durante interventi di cardiochirurgia, principalmente di rivascolarizzazione coronarica, con l’obiettivo di valutare la perfusione dei vasi coinvolti nell’intervento stesso. I vantaggi di queste tecniche e le motivazioni per cui è preferibile utilizzarle come strumento diagnostico intraoperatorio in determinati casi sono stati definiti e spiegati nei capitoli precedenti (par. 1.1, 1.4, 2.3, 2.4).

In generale, si tratta di acquisire, tramite una termocamera opportunamente disposta all’interno della sala operatoria, immagini termografiche della zona di interesse e, con modalità differenti, presentare le immagini stesse al chirurgo, consentendogli una valutazione in tempo reale dell’intervento; la situazione ideale prevede un’elaborazione, più o meno accurata, delle immagini, in modo da fornire solo le informazioni necessarie e non l’intera sequenza di immagini acquisite.

Presentiamo ora una sintesi delle tecniche sperimentate e delle potenzialità diagnostiche della termografia intraoperatoria, partendo da una serie di studi e ricerche mirate a definire la validità di questo strumento diagnostico.

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3.2 Prime applicazioni della termografia in cardiochirurgia e

sviluppo della TCA.

Si rilevano in letteratura le prime applicazioni di questo strumento diagnostico, a livello decisamente sperimentale, al termine degli anni ’70. Un primo studio degno di nota risale al 1982 e riguarda la valutazione del flusso sanguigno durante interventi di by-pass coronarico arterioso con l’inserzione di tratti di vena safena[12]. In questo caso, venne utilizzata una termocamera realizzata con le tecnologie dell’epoca, con caratteristiche di risoluzione assolutamente scadenti rispetto a quelle citate nel cap. II: si trattava di un modello AGA thermovision 750 con risoluzione in temperatura di 0.1 °C, rilevatori a termistore raffreddati con azoto liquido e uscita registrata su nastro magnetico. La metodica consisteva quindi nell’acquisire il filmato e riproiettarlo durante l’intervento; la visualizzazione era favorita dall’iniezione di soluzione salina a diverse temperature (24 o 36 °C) per evidenziare i rami di interesse. Ovviamente la valutazione era di tipo strettamente qualitativo e i risultati dello studio si limitavano a confrontare i valori di flusso rilevati usando altri metodi (flussimetri elettromagnetici) con le distribuzioni di temperatura visionate.

Negli anni seguenti gli studi aumentarono e la tecnica termografica applicata alla cardiochirurgia nei casi di rivascolarizzazione coronarica assunse una connotazione specifica, tanto da essere riconosciuta come esame diagnostico: nasce l’angiografia termica coronarica (TCA).

L’angiografia termica coronarica (o Thermal Coronary Angiography, TCA) è quindi una tecnica diagnostica intraoperatoria, non invasiva, che si aggiunge alle tecniche già utilizzate in cardiologia (par. 1.4). La sua applicazione tipica si ha nel corso di interventi di chirurgia per l’impianto di by-pass alle arterie coronarie (tecnicamente CABG, cioè coronary artery by-pass surgery) per ottenere immagini in tempo reale rappresentanti le variazioni di temperatura sulla superficie del cuore esposto[17].

Una prima descrizione di questa nuova tecnica si rileva in una ricerca[13] del 1989, volta proprio a dimostrare la sua validità nella rilevazione delle stenosi coronariche. Viene confrontata la capacità di rilevare variazioni di flusso nelle arterie coronarie di questa nuova metodica rispetto ad una già affermata, la cine-angiografia. Si utilizza una termocamera più evoluta del caso precedente (AGA Thermovision 782), ma, soprattutto, si combina la stessa ad una unità digitale per l’elaborazione delle immagini. I risultati sono buoni, consentendo una rilevazione delle stenosi dell’85% rispetto a quelle rilevate tramite angiografia, e la situazione migliora ulteriormente operando l’arresto temporaneo del muscolo cardiaco (la difficoltà maggiore nella visualizzazione delle coronarie deriva dal loro movimento molto rapido). Anche in questo caso, come in altri studi contemporanei[14,19], si è operata l’iniezione di soluzione salina a diverse temperature per migliorare la qualità delle immagini.

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Si riferiscono altri studi a partire dagli anni ’90, con risultati analoghi ai precedenti, supportati da dispositivi più efficienti e sofisticati, soprattutto dal punto di vista dell’elaborazione delle immagini e delle risoluzioni ottenibili[15,16,18,20,23].

Tutti questi esempi di applicazione, nonostante mettano in luce le potenzialità di questi nuovi strumenti diagnostici, evidenziano la valutazione del solo aspetto qualitativo dell’analisi e i confronti con tecniche già disponibili ed affermate. Si sottolinea, quindi, la quasi assoluta mancanza di rigorosità analitica della diagnosi, affidata alla preparazione del chirurgo ed alla sua capacità di valutazione delle immagini rese disponibili con la nuova tecnica.

In anni più recenti, la tecnologia più sofisticata delle termocamere e l’introduzione di strumenti sempre più potenti per l’elaborazione delle immagini ha consentito di ottenere dati in formato digitale e di trattare gli stessi con metodiche avanzate. Si apre così la strada a una trattazione quantitativa delle grandezze in esame, quali perfusione di zone del miocardio, valori di flusso, funzionalità dei by-pass.

Durante gli interventi sulle coronarie, esiste una serie di procedure (tipicamente molto invasive) per l’impianto dei by-pass: dopo l’anestesia, il paziente viene intubato e gli viene praticata una sternotomia mediale (apertura del torace); la circolazione polmonare viene resa extracorporea, l’aorta viene chiusa e si inietta nel ramo aortico una soluzione fredda (cardioplegia) che provoca il rallentamento dell’attività cardiaca. La situazione tipica del paziente è rappresentata in fig. 3-1. La TCA viene praticata in varie fasi dell’intervento, sfruttando la presenza del fluido freddo iniettato come mezzo di contrasto. Inoltre la TCA è adottata per valutare il grado di protezione del miocardio, segnalando il raggiungimento di temperature troppo basse, che potrebbero risultare dannose per il cuore[21,22].

Fig 3- 1 Campo chirurgico nel corso di un intervento di rivascolarizzazione coronarica, dopo che è stata praticata l’apertura del torace.

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3.3 Alcuni esempi di applicazioni attuali della TCA.

Andremo ora ad analizzare in maniera più approfondita due situazioni di utilizzo delle tecniche termografiche in cardiochirurgia in tempi recentissimi: i risultati delle ricerche condotte risalgono, infatti, al 2000 ed al 2001 e possiamo considerare questi due casi un’espressione dello stato dell’arte nell’ambito dell’imaging infrarosso coronarico.

Il primo studio [24] riguarda le potenzialità della “cardiotermografia” (altro termine utilizzato per definire in generale tecniche termografiche applicate al cuore) nella valutazione degli interventi di rivascolarizzazione coronarica. Il procedimento di analisi termografica è stato applicato su 17 pazienti, sottoposti ad interventi di by-pass coronarico di cui si voleva stimare l’efficienza. Le termocamere utilizzate per l’acquisizione sono i modelli Detector Unit TH 1101 (NEC San) e Thermo Tracer TH 1100 (NBN Elektronik), con rilevatori del tipo HgCdTe operanti nel range 8-13 µm. Questi dispositivi sono stati posizionati su un tripode a bracci regolabili in sala operatoria ad una distanza di 90-110 cm dalla superficie del cuore esposto. Per evitare che la termocamera fosse posizionata in modo tale da ostruire il campo visivo dei chirurghi, si è adottato uno “specchio” IR a 45°, che ha consentito un posizionamento alle spalle del personale di sala. Le immagini risultavano così visualizzate sul display della termocamera dopo essere state elaborate elettronicamente; l’intervallo di temperatura di interesse risultava compreso tra i 30 ed i 33°C, per l’utilizzo di soluzione fisiologica salina fredda come in altri casi citati. La metodica consiste nel raffreddamento del miocardio tramite iniezione della soluzione, seguita dal progressivo riscaldamento prodotto dal flusso sanguigno riattivato dopo l’impianto del by-pass.

All’analisi in tempo reale delle immagini è seguita una fase di elaborazione successiva mediante software dedicato PicWinIris, fornito dal costruttore dei sensori (EBS-Thermography). L’elaborazione off-line consisteva nel selezionare 2 aree di interesse del miocardio (la prima soggetta all’intervento di rivascolarizzazione e la seconda di controllo), calcolando nelle aree stesse temperature massime, minime e medie e convertendo i dati ottenuti in formati di comune impiego (ASCII e xls).

Anche in questo caso i risultati della valutazione del flusso nelle aree rivascolarizzate è stato confrontato con i dati ottenuti con flussimetri elettromagnetici.

L’analisi statistica dei dati ha confermato una buona corrispondenza tra i flussi stimati e quelli reali, con il vantaggio di un’invasività molto limitata. Gli autori sottolineano come la cardiotermografia rappresenti un metodo utilissimo per la visualizzazione del tratto di vaso inserito, delle anastomosi, e della struttura della rete vascolare coronarica, nel giro di pochi secondi dall’apertura del by-pass.

Il secondo studio che presentiamo [25] è un esempio di applicazione di una metodica cardiochirurgica di minima invasività: si tratta di interventi di by-pass

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definiti con la sigla OPCABG), indicati nel caso di pazienti con elevato rischio chirurgico. In questo caso, si effettua un’interruzione del flusso cardiaco nell’arteria coinvolta nell’intervento di by-pass per un tempo variabile tra qualche minuto e oltre 10 minuti. L’utilizzo della termografia permette una rappresentazione della distribuzione di temperatura che consente la valutazione del flusso nei tratti vascolari in esame.

La termocamera usata, in questo caso, è del modello AGEMA Thermovision 900 SW/TE (FLIR Systems), posizionata in maniera simile al caso precedente; si nota l’utilizzo di uno stabilizzatore cardiaco, che serve a bloccare la zona da operare, in quanto il muscolo continua a funzionare in maniera praticamente regolare. L’acquisizione avviene in un range di 2-5.4 µm, con una risoluzione spaziale di 0.1 mm e in temperatura di 0.1 °C, rilevando le temperature del sito bloccato dallo stabilizzatore (in modo da evitare le difficoltà create dal rapido movimento del muscolo cardiaco).

La procedura è stata applicata su due pazienti affetti da gravi cardiopatie coronariche e gli autori hanno stilato un rapporto clinico esaustivo degli interventi, segnalando buoni riscontri nella valutazione del flusso tramite imaging termografico.

Un terzo esempio riguarda l’applicazione in maniera standardizzata della TCA che, recentemente, si sta effettuando in alcune cliniche del Brasile. Il primo dei riferimenti disponibili[26] è relativo ad una presentazione teorica della tecnica indicata come TACC (per la precisione termo-angio-coronarografia computerizzata, un nome differente per le metodiche già esposte).

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La TACC consiste nell’acquisizione di immagini termografiche in sala operatoria, in modo simile a quanto descritto in precedenza, mediante una termocamera (di cui viene fornita la sola risoluzione termica pari a 0.1 °C), posta ad una distanza di 1.3-1.5 m dal cuore in posizionata al di sopra del campo chirurgico (fig. 3-2). Si accenna all’utilizzo di un software dedicato, fornito dalla FLIR Systems, per l’elaborazione dei dati. In base alle informazioni fornite dalla TACC, gli autori stilano una scala di intensità per il flusso coronarico (con valori crescenti da 0 a 3) ed indicano le potenzialità di questo importante strumento diagnostico in cardiochirurgia: aumentare la qualità della chirurgia cardiaca, ottenere un aumento del successo chirurgico e una diminuzione del disagio al paziente, migliorare le tecniche operatorie riducendo i casi di reintervento.

Tutte queste considerazioni vengono riprese dagli stessi autori che riportano[27] l’applicazione in ambito clinico dell’imaging infrarosso in vari casi di intervento di rivascolarizzazione coronarica: in particolare, si citano 6 interventi di by-pass (pazienti di sesso maschile con età media 62 anni), operati negli ospedali del Paranà e di Cutiriba tra giugno e settembre 2001, con utilizzo regolare della TACC.

La termocamera utilizzata è del tipo AGEMA Thermovision 550 (FLIR Systems), con FPA di 300x256 sensori al siliciuro di platino (PtSi) raffreddati ad azoto liquido, con range frequenziale di 3.6-5 µm, risoluzione spaziale di 0.1 mm e in temperatura di 0.1°C, con una lente al germanio per la focalizzazione. Il range di temperature rappresentate è compreso tra 26.6 e 38.8 °C. L’uscita viene visualizzata su un video posto di fronte al chirurgo, che può valutare in tempo reale la situazione. Unitamente a questa rappresentazione strettamente qualitativa, si opera anche in questo caso un’elaborazione delle immagini mediante software specifico del costruttore, collegando la termocamera con un computer mediante interfaccia PCMCIA. Per evidenziare l’utilità della visualizzazione delle immagini, diamo in fig. 3-3 un esempio di immagine infrarossa del cuore, confrontata con la sua immagine realmente visibile ad occhio nudo.

Fig 3- 3 Immagini del cuore durante interventi di cardiochirurgia: a sinistra il cuore visto ad occhio nudo, a destra l’immagine infrarossa che evidenzia le arterie coronarie.

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È possibile la scelta di varie modalità di visualizzazione, con scale di colori e modalità differenti, che mettono in risalto aspetti diversi della morfologia e funzionalità dell’albero coronarico o soddisfano particolari esigenze del cardiochirurgo (fig. 3-4).

Fig 3- 4 Altri esempi di immagini termografiche del cuore, che mostrano parte della circolazione coronarica arteriosa.

Le valutazioni di flusso si avvalgono dell’iniezione di 20 ml di soluzione fisiologica a bassa temperatura (8-14 °C) per raffreddare il miocardio e, mediante l’acquisizione di 7 immagini al secondo, si possono stimare i tempi di ripristino della temperatura iniziale dovuti alla perfusione sanguigna: l’andamento della temperatura si può assumere di tipo esponenziale con diverse costanti di tempo a seconda delle condizioni di flusso[28]. Per l’esattezza, la temperatura del muscolo cardiaco, a causa della soluzione cardioplegica, è di 23-25 °C; dopo la creazione delle anastomosi e la riapertura dell’aorta ritorna a valori di 34-35 °C (minori della temperatura normale a causa della circolazione extracorporea). Inoltre, il confronto tra le distribuzioni di temperatura prima e dopo l’inserzione del by-pass consente una verifica della riuscita dell’intervento.

Da questo caso di applicazione documentata, si possono riassumere i vantaggi dell’angiografia termica coronarica:

• Localizzazione delle arterie coronarie del paziente (utile anche in caso di reintervento).

• Visualizzazione e valutazione dell’area ischemica nella parete del miocardio.

• Visualizzazione e valutazione della perfusione da cardioplegia, con garanzia di protezione miocardica.

• Valutazione della funzionalità dei by-pass inseriti, evitando possibili stenosi.

• Verifica dello stato delle anastomosi.

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Secondo gli autori, l’installazione permanente di un sistema termografico in sala operatoria cardiaca potrebbe estendere le sue potenzialità oltre la TCA, con applicazioni diverse in altri tipi di interventi sul cuore.

Figura

Fig 3- 1  Campo chirurgico nel corso di un intervento di rivascolarizzazione coronarica, dopo che è stata  praticata l’apertura del torace
Fig 3- 2 Posizionamento della termocamera all’interno della sala operatoria.
Fig 3- 3  Immagini del cuore durante interventi di cardiochirurgia: a sinistra il cuore visto ad occhio nudo, a  destra l’immagine infrarossa che evidenzia le arterie coronarie
Fig 3- 4  Altri esempi di immagini termografiche del cuore, che mostrano parte della circolazione coronarica  arteriosa

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