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Till Nowak, Salad , tecniche di computer grafica, 2006 III

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Academic year: 2021

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1. INTRODUZIONE

L’immagine di apertura, ammetto, un po’ inquietante, è un’opera di Till Nowak, un artista tedesco che crea utilizzando le moderne tecniche di computer grafica. S’intitola Salad, ed è un tributo sia all’arte di Arcimboldo che a quella del designer svizzero H.R. Giger (creatore di Alien).

Ho scelto questa immagine, poiché sintetizza quelli che saranno i due protagonisti del presente studio. Il primo, Giuseppe Arcimboldo figura prominente della stagione manierista della seconda metà del ‘500, ed eccentrico animatore culturale della corte di Rodolfo II. Egli sarà trattato da una prospettiva particolare: quella del suo rapporto con l’arte grottesca, legata all’area tematica del mostruoso e del bizzarro, all’epoca molto in voga sia in Italia che nel resto di Europa. Il secondo, H.R. Giger, sarà menzionato non come diretto continuatore dell’arte di Arcimboldo, ma come una figura nelle cui creazioni, a mio avviso, sembrano riproporsi alcune idee e temi legati al dominio del mostruoso così come lo abbiamo conosciuto in alcune opere arcimboldesche.

Parlare di Giuseppe Arcimboldi, l’istrionico personaggio che tra il 1562 e il 1587, abitò le brulicanti corti asburgiche di Vienna e Praga, servendo ben tre imperatori (Ferdinando I, Massimiliano I e Rodolfo II) è quanto mai complesso. Le motivazioni di una tale difficoltà risiedono principalmente nella vastità dell’argomento, Arcimboldo infatti non fu solo un importante

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esponente di quello che oggi viene definito comunemente Manierismo, un pittore di corte, anzi un addetto alle «attività artistiche», con compiti che spaziavano dall’esecuzione di ritratti di corte e copie di dipinti all’organizzazione di cerimonie e feste, alla progettazione e costruzione di apparati, scenografie, costumi, marchingegni e congegni di varia natura, ma anche e soprattutto un’autentica fucina di idee, d’indubbia originalità. Fu un uomo del suo tempo, con interessi poliedrici e una fantasia sfrenata. A tutto ciò si aggiunga la grande mole di studi e apporti critici da parte di svariati studiosi italiani e stranieri1, focalizzati su molteplici aspetti dell’arte arcimboldesca (da quello biografico, a quello stilistico, agli studi interdisciplinari). La complessità dell’universo che ruota attorno alla figura di questo straordinario artista, si riflette quindi anche in quella degli studi a lui dedicati.

La fama di Arcimboldo è, da sempre, legata a quelle straordinarie e bizzarre creazioni che furono le «teste composte». Si tratta di ritratti in cui l’anatomia umana ne sposa un’altra costruita con oggetti naturali e non. Bizzarrie, meraviglie, scherzi, grilli così erano definite tali opere dai contemporanei del pittore, i quali rimanevano estasiati e rapiti dall’abilità, precisione pittorica e carattere assolutamente fuori dal comune della sua pittura.

La bizzarria, la stranezza costituiva la norma presso la corte rodolfina: sia Massimiliano I che Rodolfo II furono dei cultori di oggetti, animali, piante pietre ritenute in qualche modo bizzarre, e uno dei compiti del nostro

1 Tra gli studiosi che hanno dedicato studi al pittore milanese, all’arte manierista e soprattutto

sull’ambiente della corte asburgica praghese e viennese, segnalo Thomas Da Costa Kaufmann. Tra i contributi più interessanti: Arcimboldo’s Imperial Allegories: G.B. Fonteo and the interpretation

of Arcimboldo’s paintings, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», (39) 4, 1976. L’ècole de Prague

Parigi 1985, e Arciboldo’s Serious jokes: Mysterious but Long Meaning, in The Verbal and the

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pittore era quello di rifornire la così detta Wunderkammer (camera delle meraviglie) di naturalia e artificialia di varia natura, al fine di soddisfare la sete di meraviglia e la curiosità degli imperatori rispetto a tutto ciò che non rientrava nell’ambito della normalità.

L’amore e il culto per il bizzarro, l’anormale, lo straordinario e il grottesco era poi un tratto peculiare non solo della corte rodolfina, ma di quel complesso periodo storico-artistico che fu il Manierismo. L’universo manierista era popolato da manifestazioni dell’irregolarità, della stranezza, della devianza dalle norme, regole canoni che avevano fatto da padrone in epoca umanistica. Ciò non vuol dire che il Manierismo non contemplasse l’utilizzo di regole o canoni, semplicemente ne creava di nuovi, basati su valori diversi da quelli precedenti. Nel regno dell’arte il bizzarro regnava sovrano nelle sue molteplici forme: non solo in pittura, ma anche in scultura, in architettura, in musica, in letteratura dominava l’irregolare, il curioso, il mostruoso. Arcimboldo quindi rientrava all’interno di una tendenza figurativa (e non solo) che, tra la fine del Rinascimento e l’inizio del periodo Barocco investì un po’ tutta Europa.

Esempi di una tale propensione sono davvero copiosissimi sia in territorio italiano che non: pensiamo ad esempio alle creature fantastiche del Sacro Bosco di Bomarzo volute dal duca Vicino Orsini, gigantesche, enigmatiche e capaci di affascinare l’occhio moderno quanto quello antico; o l’enorme statua dell’Appennino, eseguita dal Giambologna presso la villa Demidoff di Pratolino (Firenze), che sembra sorvegliare maestosa lo specchio d’acqua sottostante. In architettura possiamo poi pensare al portone di Palazzetto Zuccari, con il caratteristico e impressionante mascherone, o alla scalinata di Palazzo Farnese dall’originalissima forma spirale, eseguita dal Vignola presso Caprarola.

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In letteratura poi abbiamo quel complesso campionario di visioni, incubi, spettri e vicende più o meno grottesche, che sono le tragedie shakespeariane: Dall’Amleto al King Lear fino ad approdare al Macbeth, un vero trionfo di figure spettrali, incubi angoscianti e volti deformati da sentimenti contrastanti. Insomma ovunque si posi lo sguardo, il periodo manierista offre tutt’altro che prospettive lineari, visioni nitide, pensieri distesi e «belle forme». Anche gli artisti stessi che si affacciano al mondo dell’arte, sono personaggi saturnini, complessi, ripiegati in se stessi, vagamente asociali o quanto meno strani: Pontormo, dal carattere malinconico e schivo o Bronzino, riflessivo e trasognato.

La personalità di Arcimboldo non è nota per tratti di saturnismo o eccessi comuni ai suoi illustri colleghi, tuttavia dal punto di vista prettamente artistico e stilistico, essa non ha pari. Le sue creazioni hanno incantato la sofisticata corte di Rodolfo II e hanno dato vita a una «scuola» di seguaci (come Carlo Urbino) dal talento talvolta discutibile, ma che hanno contribuito a diffondere gli stilemi figurativi arcimboldeschi, fino ad arrivare alla creazione di vere e proprie arcimboldesche, opere nello stile del pittore milanese.

Uno studio dell’arte di Arcimboldo (come di qualsiasi altro artista) che sia caratterizzato da una certa serietà richiede, quale che sia il taglio che si desidera conferirgli, un’attenta contestualizzazione storico-sociale al fine di capire la temperie culturale e storica in cui tale artista si trovava immerso. Essendo tale argomento vastissimo, mi sento in obbligo di incentrare l’attenzione su alcuni aspetti specifici, lasciandone da parte altri, non meno interessanti o rilevanti.

Il primo capitolo del presente studio verterà di fatti sull’analisi del periodo storico che abbraccia gli ultimi decenni del cinquecento, prendendo

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in analisi i molteplici cambiamenti e rivoluzioni che l’hanno contraddistinto. Il secondo punto che m’interessa trattare è la figura di Arcimboldo in quanto tale, sul piano biografico, artistico, umano ma soprattutto dal punto di vista del suo inserimento nella corte rodolfina. In connessione con quest’ultimo tema, mi pare opportuno delineare anche un profilo dell’interessante personalità di Rodolfo II, al fine di comprendere i gusti, la cultura e la mentalità, che lo hanno portato a circondarsi di artisti, scienziati e uomini di cultura di prim’ordine e a fare della sua corte un centro vivissimo.

Successivamente andrò a delineare un profilo storico e tematico dell’evoluzione che il tema del grottesco ha subito nel corso dei secoli, partendo dai primi schizzi e abbozzi leonardeschi fino alla particolare forma che il grottesco ha acquisito nel Nord Europa (Fiandre e Paesi Bassi).

L’oggetto del capitolo successivo saranno le problematiche relative al rapporto di Arcimboldo con il grottesco, il mostruoso e il bizzarro, prendendo in analisi le modalità con cui egli si accosta a questo ambito senza dimenticare di menzionare i suoi modelli di riferimento: primo fra tutti: Leonardo da Vinci.

In conclusione di questo mio studio, al fine di gettare un ponte tra le prospettive aperte dall’arte arcimboldesca e quella contemporanea, vorrei dedicare un capitolo «speciale» a un artista molto singolare, a mio parere abbastanza vicino a certe tematiche arcimboldesche legate al dominio del grottesco e del mostruoso. Mi riferisco a H.R. Giger, un pittore, scultore e designer svizzero noto agli appassionati del genere fantascientifico per aver creato il visionario universo di incubi e paesaggi catastrofici del film Alien di Ridley Scott, aggiudicandosi anche l’Oscar per i migliori effetti speciali nel 1980.

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Quello che vorrei proporre non è assolutamente un paragone con l’arte di Giuseppe Arcimboldo, diversa per epoca, tecnica pittorica e ispirazione, ma semmai un timido accostamento in base ad alcune tangenze riscontrabili se non nella tecnica, nella tematica (anche Giger crea una sorta di paesaggio antropomorfico, o meglio «biomeccanico» in cui la natura viene sostituita con la terribile tecnologia delle macchine cibernetiche, fino ad arrivare al paradosso dei «biomeccanoidi» umani assimilati alle macchine). Come ho già sottolineato sopra, non si tratta di un arbitrario confronto tra due universi troppo distanti tra loro, ma un tentativo di percepire in alcuni spunti creativi dell’arte di Giger, una vibrazione che, dagli abissi del cyberpunk futuristico, risale fino a toccare le sottili corde della sensibilità manierista.

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