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Definizione di convergenzaSia

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Academic year: 2021

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(1)

6.1111 Convergenza e stabilità dei metodi alle differenze finite per e.d.p. paraboliche lineari del secondo ordine

Senza alcuna pretesa di generalità né di rigore, si danno in primo luogo alcune definizioni.

Definizione di convergenza

Sia U x t( , ) la soluzione esatta di un problema alle derivate parziali in IRt. Sia u la soluzione esatta del sistema di equazioni alle differenze finite usate per approssimare il problema

differenziale. In modo intuitivo, ci si attende da un "buon" metodo che uU quando  x, t 0. Rimane da precisare meglio in che senso u deve tendere ad U dato che si tratta due enti

matematici differenti (un vettore contro una applicazione di IRt in IR). Più precisamente, si potrà dire ad esempio che, se uin è il valore di u calcolato in corrispondenza del punto ( , )x ti n del dominio di integrazione, e se

lim ( , ) ,

x t

in

i n

u U x t i n

00

il metodo alle differenze finite si dice convergente.

Se U è il vettore generato valutando U x t( , )i n i n, , allora U u si dice errore di

discretizzazione, ed è la diretta conseguenza dell'errore di troncamento nelle formule alle differenze finite.

Definizione di stabilità numerica

Siano u la soluzione esatta del sistema di equazioni alle differenze finite ed ~

u la soluzione numerica dello stesso. Per effetto degli errori di arrotondamento (roundoff) introdotti dalla macchina, è sempre u~u. Un metodo si dice stabile se (u~u) non diverge all'aumentare del numero dei nodi di discretizzazione.

Definizione di consistenza

Uno schema alle differenze finite si dice consistente se, facendone il limite per gli incrementi finiti delle variabili indipendenti che tendono a zero, esso restituisce l'espressione differenziale che si intende approssimare.

Per inciso, tutti gli schemi che si esaminano in questo corso sono consistenti. Naturalmente, ciò che interessa è la costruzione di metodi di cui si possa provare la convergenza, dato che, alla fine, l'unica soluzione di cui si potrà disporre è quella numerica, che si spera sia prossima a quella esatta.

Non è difficile far vedere che vale il seguente

Teorema di convergenza (di Lax)

Un metodo alle differenze finite per una e.d.p. del secondo ordine lineare, che adoperi schemi consistenti, e che sia numericamente stabile, è convergente.

La stabilità numerica è legata all'amplificazione degli errori di arrotondamento (roundoff). Si supponga di eseguire un passo di integrazione lungo la variabile indipendente t , per calcolare u~n1

(2)

a partire da u~n

, e si supponga che u~n

sia noto in modo esatto (u~n un). Per effetto della lunghezza finita dei registri di macchina, u~n1 conterrà un errore rispetto ad un1:

en1u~n1un1 Si dica ~( )

Dn l'operatore che trasforma u~n in u~n1. ~( )

Dn è la versione “imperfetta” dell'operatore lineare D, poiché comprende gli effetti della lunghezza finita dei registri di macchina. La forma di D deriva dall'equazione di partenza e dallo schema alle differenze finite adottato, e può essere preso invariante nel corso del calcolo; la forma di ~( )

Dn dipende inoltre dagli arrotondamenti dovuti alla macchina eseguiti al passo n , e perciò necessariamente varierà da un passo all'altro. Si avrà:

~ ~( ) ( )

un1Dn un un1enn1

en( )n1 è l'errore al tempo n1 generato al passo ( )n . Dal momento che u~n2 dipende allo stesso modo da ~un1, si avrà:

  2 2

) (

1 1 ) 1 ( 1 ) 1 ( 2

~ ~

~ ~

n n n n nn n n

n u u e u e

u D D

L'effetto complessivo di questa ulteriore trasformazione è la trasformazione “perfetta” (cioè come se fosse operata da D) dell'errore già presente en

n

1 ( )

in en

n

2 ( )

, più la generazione di un nuovo errore en(n21), introdotto dalla applicazione di ~( )

Dn1 , cioè simbolicamente:

~ ( ) ( )

un2 un2 en2 un2enn21 enn2

e così via. In generale, se il metodo è stabile, gli errori di arrotondamento non si amplificano, quindi sia en(n21) (l'errore nuovo) che en( ,n n21 1,..., ) (l'errore conseguenza di tutti gli errori precedenti) restano piccoli rispetto alla soluzione. Se, viceversa, il metodo è instabile, gli errori si amplificano, quindi il solo errore generato al passo corrente può essere considerato piccolo, ma non l'errore conseguenza.

Si conclude quindi che per studiare la stabilità di un metodo basta esaminare il processo di trasformazione di un errore iniziale. Ci si può quindi disinteressare dell'errore generato al passo corrente, e considerare nell'analisi l'operatore “perfetto” D , che è lineare, piuttosto che l'operatore

“imperfetto” ~( )

Dn , che è non lineare e difficilmente caratterizzabile in termini di proprietà algebriche.

Si consideri quindi la presenza di un errore al tempo t0 e la sua amplificazione derivante dalla applicazione ripetuta dell'operatore D:

~ ( )

u1 D u0 e0 Du0De0 u1e1

dove la indicazione della provenienza dal tempo ( )0 in apice all'errore è stata omessa, e, ricorsivamente:

0 0 0 0  0  0

... ... n n n

n n n

u D D D D    n volte D u e D u e D u D e u e e, dato che, per definizione, è un  Dnu0, allora

(3)

en  Dne0

Per la stabilità, l'errore in norma non deve amplificarsi. Per questo è sufficiente che il raggio spettrale (modulo dell'autovalore massimo) dell'operatore lineare D sia 1. Difatti, deve essere

De e e2 (1.0)

D'altro canto, se D è una matrice normale, ossia diagonalizzabile1, il suo raggio spettrale D è uguale alla seguente norma indotta per D:

D D D

 

sup

e

e e 0

e, dato che una norma matriciale indotta è consistente con la norma vettoriale usata per definirla, vale la disuguaglianza

De D e la quale, per D  1, implica la (1.0).

Si osservi come l'idea di amplificazione numerica riferita ad un vettore (in questo caso, il vettore degli errori sulle componenti del vettore soluzione del sistema di equazioni alle differenze finite) non sia altrettanto immediata come per uno scalare. Infatti, è possibile che alcune delle componenti del vettore (anche tutte meno una!) siano amplificate senza che per questo il vettore, in norma (ad esempio, in modulo), venga amplificato. Questo rende non facilmente percepibile un

comportamento instabile. Se, però, l'operatore ed i vettori operandi sono rappresentati in un sistema di riferimento che abbia gli assi allineati con le autodirezioni dell'operatore stesso, allora l'operatore si presenta diagonale, e gli elementi della diagonale sono gli autovalori dell'operatore stesso. In questo sistema di riferimento (che non è quello in cui normalmente osserviamo il vettore soluzione) nessuna componente di nessun vettore è amplificata da un operatore stabile, dato che gli autovalori sono tutti, in modulo,  1, e la percezione di amplificazione è immediata come per gli scalari.

Si vuole ora particolarizzare l'analisi ad una equazione parabolica in IRt. Sia dato il problema

 

u

t u x

t u t u t

x u x u x

2 2

0

0 0 1 0

0 1 0

: ( , ) ( , ) , : ( , ) ( )

già visto in precedenza. Si consideri il metodo esplicito, che, per il nodo interno generico, si scrive

u u t

x u u u

in in

in in

in

1

2 1 2 1

1 Se D non godesse di questa proprietà, D sarebbe comunque un minorante per le norme indotte, ed il discorso varrebbe ugualmente.

(4)

Posto r t

x

2 , e scritte le equazioni per i nodi di bordo, si genera il seguente sistema di equazioni alle differenze finite:

u r u ru

u ru r u ru

u ru r u ru

u ru r u

n n n

n n n n

N n

N n

Nn

N n

N n

N n

N n 1

1

1 2

2 1

1 2 3

2 1

3 2 1

1 1

2 1

0 1 2

1 2

1 2

1 2 0

 

 

 

( )

( )

( )

( )

nel quale si sono evidenziati, nella prima e nell'ultima equazione, gli zeri derivanti dalle condizioni ai limiti. In notazione vettoriale si ha:

n

n Au

u 1

con A matrice quadrata di rango N  1. Nel caso particolare considerato, la matrice A è esprimibile come

T r I A

dove T è una matrice quadrata (N 1) (N1) avente la forma (detta simmetrica di Tœplitz2):

T

2 1

1 2 1

1 2 1

1 2 1

1 2 1

1 2

  

Gli autovalori di T sono disponibili in forma esatta:

s

T s

N s N

 





4sin2 2 1 2, ,..., 1

e perciò gli autovalori di A (che è un polinomio matriciale in T) sono:

s

A r s

N s N

 





1 4 sin2 2 1 2, ,..., 1 Perché il metodo sia numericamente stabile basta che sia

2DD Una matrice di Tœplitz ha ciascuna diagonale composta di elementi uguali.

(5)

1 4 2 1





r s

sin2 N

il che equivale a dover soddisfare simultaneamente le due disuguaglianze:

  











1 1 4

2

1 4 2 1

r s

N

r s

N sin sin

2

2

La seconda è sempre verificata, mentre la prima equivale a chiedere che, s, sia

r s

sin2 N 2

1 2





Conviene maggiorare il primo membro con r , il che conduce infine a stabilire che r 1

2

è la condizione di stabilità per il metodo esplicito alle differenze finite applicato all'equazione parabolica in IRt. Si ricordi che il parametro r è arbitrario, e contiene gli incrementi discreti delle due variabili indipendenti.

Si consideri ora il metodo di Laasonen

u u t

x u u u

in in

in

in in

1

2 11 1

11

2

Posto ancora r t

x

2 , e scritte le equazioni per i nodi di bordo, si genera il seguente sistema di equazioni alle differenze finite:

Bordo sinistro (i 1)

(1 2 r u) 1n1 ru2n1 u1n i2 3, ,...,N2

ruin11  (1 2r u) in1 ruin11 u1n Bordo destro (i N1)

ruNn12 (1 2r u) Nn11u1n In forma vettoriale:

IrTun1un , cioè un1IrT1un Aun

(6)

dove T è la matrice già incontrata nell'esempio precedente. In questo caso la matrice A è l’inversa di un polinomio matriciale in T. Si avrà perciò

s

A

r s

N

s N





1

1 4 2

1 2 1

sin2

, ,...,

Si vede subito che gli autovalori sono tutti reali positivi e minori dell'unità. Pertanto, lo schema di Laasonen è incondizionatamente stabile.

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