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PATOLOGIA LEGAMENTOSA DELLA CAVIGLIA: ARTROSCOPIA

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Academic year: 2022

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PATOLOGIA LEGAMENTOSA DELLA CAVIGLIA:

ARTROSCOPIA

Dr. A. Ventura – Dr. C. Terzaghi – Dr. E. Borgo*

I traumi della caviglia rappresentano un evento molto frequente nell’ambito degli infortuni legati all’attività sportiva (Tab. 1) (1), le sole distorsioni rappresentano l’11.8% di tutti gli infortuni sportivi (2).

Nel corso degli ultimi anni si è osservato un aumento delle artropatie degenerative, che occorre ricordare sono causate frequentemente dall’instabilità articolare post-traumatica indotta da “banali” distorsioni.

L'instabilità articolare rappresenta un problema per l'atleta in quanto nell'8% dei casi da luogo a recidiva nel giro di 6 mesi (3), e perché se non trattata, col tempo determina un quadro clinico evolutivo che partendo da una sinovite reattiva, si trasforma in impingement fibroso o in una reazione dell’osso subcondrale (impigement osseo) fino ad arrivare ad un vero e proprio quadro artrosico, caratterizzato da un restringimento della rima con la scomparsa della cartilagine articolare.

Le lesioni capsulo-lagamentose vengono classificate in 4 stadi:

1. non lesioni legamentose

2. lesione del legamento peroneo-astragalico-anteriore

3. lesione del legamento peroneo-astragalico-anteriore + del peroneo-calcaneare 4. lesione del legamento peroneo-astragalico-anteriore + del peroneo-calcaneare +

peroneo-astragalico-posteriore.

La sintomatologia riferita è rappresentata da dolore diffuso, limitazione della mobilità attiva e passiva e nei casi più gravi difficoltà di deambulazione.

*Clinica Ortopedica-Traumatologica – I Divisione – Centro di Traumatologia dello Sport Istituto Ortopedico G.Pini – Milano

(2)

All’esame obiettivo è possibile rilevare tumefazione, dolorabilità evocata a livello della cupola astragalica e della superficie articolare tibiale, deformità, e segni di sovraccarico delle strutture articolari adiacenti.

La diagnosi si effettua, oltre che con un attento esame obiettivo, anche con le radiografie dinamiche-funzionali, e la RMN per la valutazione di eventuali lesioni condrali associate.

Le RX dinamiche si eseguono attraverso due prove:

§ tilt astragalico

§ cassetto tibio astragalico

e devono essere bilaterali (permettono così una diagnosi differenziale con la iperlassità capsulo-legamentosa o l'insufficienza muscolare) e in massima forza sopportata dal paziente prima di avvertire dolore (15-25 KPA o 150-200 N).

Il trattamento è in relazione al grado di lesione: crioterapia, riposo, bendaggio rigido ed elastico apparecchio gessato e infine intervento chirurgico.

In letteratura sono proposte diverse opzioni chirurgiche per il trattamento delle lesioni capsulo-legamentose di caviglia (4).

Tra le diverse tecniche tese alla riacquisizione della stabilità articolare della tibio-tarsica si possono distinguere sia interventi in artrotomia che tecniche artroscopiche.

Esempi di chirurgia a cielo aperto sono l’intervento di tenodesi secondo Watson-Jones, la ricostruzione legamentosa col tendine del peroneo breve secondo Chrisman-Snook e variante di Lanzetta (5), e la riparazione del peroneo astragalico anteriore (PAA) secondo Broström (6).

Gli avanzamenti tecnologici nell’ambito dell’artroscopia, avvenuti negli ultimi 15 anni, hanno consentito ai chirurghi di intervenire nell’ambito dell’articolazione tibio-tarsica con tecniche mini-invasive in numerose patologie fino a poco tempo fa trattate esclusivamente a cielo aperto (7).

Gli interventi di capsuloplastica esterna di caviglia e di ricostruzione legamentosa con emitendine del peroneo breve, nella cura di instabilità croniche di caviglia in cui la terapia

(3)

La legamentoplastica trova indicazione nelle instabilità di 3° grado; la ritensione capsulare in artrotomia è preferibile in quelle di 2° grado.

Accanto a questi interventi di chirurgia artrotomica da qualche anno si è ricorso con frequenza progressivamente crescente a tecniche di shrinkage (letteralmente

“restringimento”) termico capsulo-legamentoso in artroscopia per la cura di quelle instabilità legate a lesioni limitate ai legamenti peroneo-astragalico anteriore (PAA) e, talvolta, al peroneo-calcaneare (PC) (7).

Il principio sul quale si basa la tecnica di shrinkage è stato utilizzato clinicamente per la prima volta nei primi anni ’90 per correggere il rilassamento del tessuto capsulare dell’articolazione della spalla.

I primi strumenti utilizzati per l’erogazione di energia termica erano strumenti laser, progressivamente abbandonati e sostituiti da apparecchi a radiofrequenza che producono calore attraverso energia elettrotermica. Questi ultimi si sono infatti dimostrati più economici, di più facile utilizzo e soprattutto associati ad un minor numero di complicanze, elemento probabilmente legato alle particolari modalità d’interazione con i tessuti dell’energia fototermica prodotta dagli strumenti laser (8).

Il principio fondamentale su cui si basa l’utilizzo di energia termica nella cura di lassità articolari è rappresentato dall’effetto del calore sulla struttura molecolare del collagene.

Diversi studi (9,10,11) hanno evidenziato che riscaldando un tessuto ricco di collagene, quale il connettivo capsulo-legamentoso, le fibre collageniche si riallineano e si contraggono. Il collagene allo stato naturale si presenta come una catena polipeptidica a triplice elica, stabilizzata da legami intra- ed inter-molecolari; applicando energia al collagene tali legami vengono disintegrati. La triplice elica così disgregata si accorcia provocando il “ritiro” del tessuto. Le medesime ricerche hanno inoltre mostrato come attraverso il controllo del tempo e della temperatura di riscaldamento si possono far ritirare le fibre senza compromettere la funzione cellulare, non intaccandone la capacità rigenerativa. In letteratura (8,9,10,11) il range termico ottimale in cui le fibre collageniche si contraggono senza subire danni organici irreversibili è quello compreso tra i 65°C ed i 75°C (8).

(4)

La scelta di stabilizzare chirurgicamente le instabilità di caviglia è legata al riscontro artroscopico, pressoché costante, di lesioni cartilaginee presenti anche in lassità lievi, quali quelle di 1° grado, associate quasi sempre ad impingement fibroso.

L'utilizzo delle MF in artroscopia ci permette, oltre all'eliminazione dell’impingement, di raggiungere la localizzazione della lesione legamentosa e di eseguire uno shrinkage lungo il decorso del PAA, in quanto è l’unico legamento intracapsulare.

Dopo questi tipi di intervento intervento, la caviglia viene immobilizzata in un tutore o in una doccia gessata per 20 giorni e quindi viene iniziato un carico progressivo. Il ritorno allo sport è previsto in tre mesi.

Nelle condizioni in cui la stabilizzazione precoce della caviglia non abbia portato ad un normale recupero e laddove le conseguenze dell'instabilità inizino a farsi sentire, si può ugualmente ricorrere ad un trattamento chirurgico in atroscopia: il debridement artroscopico.

Si esegue generalmente in anestesia loco-regionale (spinale), epidurale o generale.

Il paziente è posto in posizione supina, con anca flessa da 20° a 50° e laccio emostatico a livello della gamba. Talvolta viene utilizzato un distrattore calcaneare per detendere l'articolazione.

La via d'accesso è generalmente antero-laterale o antero-mediale, più raramente postero- laterale. Quest'ultima si utilizza solo nel caso di formazioni osteofitosiche posteriori e per l'inflow.

L'ottica viene introdotta in articolazione dal portale antero-laterale a 30° rispetto al piano passante per l'asse della gamba, e attraverso l'introduzione antero-mediale di apparecchi motorizzati, è possibile rimuovere la cartilagine necrotica, le formazioni osteofitiche, eseguire il debridement della ipertrofia sinoviale, estrarre eventuali corpi mobili liberi e ridurre l'impingement osseo.

Nei casi di rigidità grave è possibile associare la condroplastica all’artrodiatasi.

Questa metodica viene eseguita applicando il fissatore esterno, con lo scopo di mantenere la diastasi della tibio-tarsica e nello stesso tempo il movimento di flesso-estensione (12).

(5)

L'artrodesi di caviglia, per esempio, trattamento che fino a qualche decina di anni fa era appannaggio esclusivo della chirurgia open, oggi si può eseguire in artroscopia.

Mediante incisione antero-laterale e antero-mediale, si introduce l'artroscopio ed attraverso lo strumentario motorizzato si effettua un debridement ed una cruentazione della cartilagine fino all'esposizione dell'osso subcondrale.

Si esegue poi una riduzione con l'ausilio di due-tre viti cannulate che vengono posizionate sotto la guida dell’apparecchio di brillanza (13)

Il protocollo post-operatorio prevede immobilizzazione dell'articolazione in apparecchio gessato per 6 settimane e per altre 2 settimane libero ma sempre in scarico.

La fusione completa si osserva dopo 7-20 settimane.

Diversi studi dimostrano che la percentuale di buoni risultati nell'artrodesi artroscopica varia tra l'84 e il 100% (14), contro il 65-81% dell’artrodesi a cielo aperto (15).

Infatti le sole complicanze che possono accadere in questo tipo di approccio chirurgico sono rappresentate da "viti sintomatiche", dolorose, e da penetrazione della vite a livello dell' astragalo (9,5% dei casi).

In conclusione possiamo dire che il trattamento artroscopico rappresenta una valida ed efficace tecnica dignostica e chirurgica per il trattamento delle lesioni capsulo-legamentose post-traumatiche e le patologia degenerative di caviglia con interessamento della cartilagine.

Le ridotte dimensioni dell'incisione, l’ottima compliance del paziente nei confronti di un intervento poco invasivo ed il semplice decorso post-operatorio, ci permettono di trattare quelle lassità minori che in ogni caso generano disturbi gravi a distanza di tempo, e anche le conseguenze che ne derivano.

I risultati ottenuti sono totalmente sovrapponibili a quelli ottenuti con interventi molto più invasivi ed in accordo con i dati riportati in letteratura (7).

Si propone anche come nuovo ed interessante approccio nelle patologie più invalidanti.

Rimane tuttavia limitativo e non risolutivo nelle patologie con deviazioni assiali e deformità articolari.

(6)

FIGURE E TABELLE

Tabella 1.

Traumi acuti nel calcio, hockey su ghiaccio, pallavolo, basket, judo e karate.

(Tratto da: Kujala -1995- BMJ 311:1465-8)

Distretto Calcio Hockey Pallavolo Basket Judo Karate su ghiaccio

Coscia 10.6% 6.1% 2.3% 2.9% 1.9% 4.3%

Ginocchio 21.5% 17.2% 19.0% 15.8% 20.2% 11.0%

Gamba 5.9% 1.9% 1.8% 2.0% 2.0% 3.3%

Caviglia 20.8% 7.9% 31.1% 31.4% 8.3% 7.7%

Piede 7.7% 2.4% 2.9% 4.0% 5.0% 7.7%

Altri 0.6% 0.3% 0.4% 0.4% 0.2% 0.3%

Braccio

e spalla 3.0% 10.2% 9.3% 2.0% 20.0% 5.1%

Avambracci

e gomito 1.3% 4.6% 1.6% 1.3% 7.7% 3.9%

Mano

e polso 3.6% 8.2% 2.1% 2.8% 3.4% 6.0%

Dita 3.7% 8.4% 9.1% 13.1% 4.5% 9.35%

Altri 0.5% 2.1% 0.2% 0.45% 1.9% 1.1%

(7)

BIBLIOGRAFIA

1. Kujala (1995) - Acute injuries in soccer, ice hockey, volleyball, basketball, judo, and karate: analysis of national registry data - BMJ 311(7018):1465-8

2. Garrick JG (1987) - Epidemiologic of Foot and Ankle Injuries - Med Sport Sci 23:

1-7

3. Jackson - Clin. Orthop. 101:201-14 1974

4. Hierholzer G, Platzer W, Weller S - Grande atlante di tecnica chirurgica, Vol 10 – UTET

5. Lanzetta A - Manuale di traumatologia dell’apparato locomotore – Masson

6. Broström (1966) - Sprained ankles. V. Treatment and prognosis in recent ligament ruptures - Acta Chir Scand 132: 537-50

7. Oloff LM, Bocko AP, Fanton G (2000) - Arthroscopic Monopolar Thermal Stabilization for Chronic Lateral Ankle Instability: A Preliminary Report on 10 Cases - J Foot Surg 39(3): 144-153

8. Carter TR (2002) - Anterior Cruciate Ligament Thermal Shrinkage - Clin Sports Med 21: 693-700

9. Hajashi K, Markel M (1998) - Thermal Modification of Joint Capsule and Ligamentous Tissues - Oper Tech Sports Med 6: 120-125

10. Hajashi K, Thabit G, Bogdanske JJ (1996) - The Effect of non-ablative Laser Energy on Ultra Structure of Joint Capsular Collagen - Arthroscopy 12: 474-481 11. Lopez MJ, Hajashi K, Fanton GS (1998) - The Effect of Radiofrequency Energy on

the Ultra Structure of Joint Capsule Collagen - Arthroscopy 14: 495-501

12. Branca, Palma, Di Mille (1999) L’artroscopia nelle rigidità di caviglia, stato dell’arte Riv It Biol Med 19: 188-193

13. Scott SE, Ullrich P (2000) Arthroscopyc arthrodesis of the ankle joint. J Arthros Rel Res Surg 16: 21-26

14. Ogilvie-Harris DJ, Lieberman I, Fitsialos D (1993) Arthroscopically assisted arthrodesis for osteoarthrotic ankle. J Bone Joint Surg Am 75A: 1167-1174

15. Mears DC, Gordon RG, Kann SE, Kann JN (1991) Ankle arthrodesis with an anterior tension plate. Clin Orthop 268: 70-77

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