• Non ci sono risultati.

1.2. Campi elettromagnetici naturali ed artificiali. La Frequenza ed altre Proprietà fisiche delle onde elettromagnetiche. Il SAR

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1.2. Campi elettromagnetici naturali ed artificiali. La Frequenza ed altre Proprietà fisiche delle onde elettromagnetiche. Il SAR "

Copied!
285
0
0

Testo completo

(1)

C APITOLO I

(2)

CENNI SULL'ELETTROMAGNETISMO E INDAGINI ATTORNO AI RISCHI CONNESSI ALL'UTILIZZO DELLA TECNOLOGIA WI-FI

Prima di affrontare nel dettaglio la tematica, prettamente di pertinenza giuridica, relativa ai danni causati dalle radiofrequenze, ed in particolare dalle onde generate da dispositivi wi-fi, è opportuno – in via preliminare – far luce su alcuni aspetti che stanno a monte rispetto a ciò che rappresenta il fulcro di questo lavoro. Il presente capitolo ha, quindi, l'obiettivo di spiegare come l'utilizzo di apparecchiature1 wi-fi possa recare nocumento alla salute.

Per giungere, in modo graduale, alla comprensione dei pregiudizi sanitari, è indispensabile descrivere – mediante cenni di carattere scientifico – l'elettromagnetismo nel suo complesso, le radiazioni non ionizzanti e, in particolare, la tipologia di effetti provocati dalle gamme superiori di frequenza di queste ultime.

Il secondo ed il terzo paragrafo sono, rispettivamente, dedicati alla spiegazione dei profili più rilevanti – da un punto di vista tecnologico – della comunicazione “senza fili” e all'individuazione degli effetti nocivi da essa causati. Il paragrafo conclusivo, infine, riassume i principali risultati cui si è giunti nel corso di questa indagine, non mancando – tuttavia – di introdurre ulteriori elementi capaci di incidere sul giudizio in ordine all'opportunità di utilizzare la tecnologia in esame.

Come risulta evidente, l'analisi delle tematiche – di seguito – affrontate è necessaria per giungere ad una migliore cognizione di un fenomeno con cui il diritto dovrà paragonarsi sempre più negli anni a venire.

1 Si evidenzia, sin da subito, che nel prosieguo della trattazione si utilizzerà indistintamente le espressioni “pc”, “dispositivi” o “apparecchiature”, pur consapevoli che, nelle strutture pubbliche all'avanguardia, i tablet stiano divenendo gli strumenti più utilizzati.

(3)

1. L'elettromagnetismo. Radiazioni non ionizzanti e relativi effetti

1.1. Fondamenti scientifici basilari. L'interazione elettromagnetica: il range e l'intensità. Il campo elettromagnetico: il campo elettrico, il campo magnetico. La ionizzazione

Per comprendere come “funzionano” le onde elettromagnetiche – di fonte naturale o artificiale – che permeano l'atmosfera terrestre, è d'uopo iniziare da alcune nozioni fisiche.

Il campo elettromagnetico è il campo (tensoriale) responsabile dell'interazione elettromagnetica, una delle quattro interazioni fondamentali – assieme a quella gravitazionale, alla nucleare debole e all'interazione nucleare forte – ossia quelle forze della natura non riconducibili ad altre forze, che stanno alla base dei fenomeni fisici e della struttura della materia.

Le interazioni avvengono attraverso lo scambio, ossia l'emissione e l'assorbimento, di una o più particelle mediatrici di forza, dette “bosoni di gauge” – appartenenti al gruppo dei “bosoni vettori” in quanto hanno spin=12 – costituenti i “quanti” del campo che descrive l'interazione. Nello specifico caso dell'interazione elettromagnetica il mediatore assume il nome di

“fotone”, o “quanto di luce”, e può essere immaginato come il pacchetto elementare di energia che costituisce la radiazione elettromagnetica.

I due tratti più caratteristici di ciascuna interazione sono il range – o raggio d'azione – e l'intensità.

Il range è la distanza massima a cui una interazione è influente.

L'interazione gravitazionale – di cui è esempio il Sole, che esercita la sua forza anche su corpi ad esso lontanissimi – ha un raggio d'azione infinito, parimenti all'interazione elettromagnetica. Al contrario, le altre due tipologie

2 Si rileva, per completezza, che il “gravitone”, ipotetica particella elementare responsabile dell'interazione gravitazionale, per quanto non sia ancora stato dimostrano sperimentalmente, dovrebbe avere spin=2.

(4)

di interazioni, hanno raggi d'azione molto piccoli, nell'ordine di 10-15 [m]

l'interazione forte e 10-18 [m] l'interazione debole.

L'intensità, o magnitudine relativa, fornisce una misura dei rapporti di forza tra le interazioni di diversa natura. Ponendo uguale ad 1 il valore dell'interazione nucleare forte, l'intensità di quella elettromagnetica risulta nell'ordine di 10-2, 10-13 della nucleare debole, 10-39 dell'interazione gravitazionale.

Con riferimento a ciò che qui maggiormente rileva, ossia l'interazione elettromagnetica, si deve inoltre dire che la sua azione – come vi si sarà modo di approfondire nel prosieguo – si riduce rapidamente allontanandosi dalla fonte, in particolare diminuisce con il quadrato della distanza (1/r2).

L'interazione in esame è responsabile della struttura atomica e molecolare, delle reazioni chimiche e biologiche, e di tutte le forze (escluse quelle gravitazionali) suscettibili di osservazione – per esempio, le forze magnetiche –. Si manifesta tra tutte le particelle elettricamente cariche, che sono a loro volta sorgenti del campo elettromagnetico.

Tale campo si propaga nello spazio sotto forma di radiazione elettromagnetica. Si tratta di un fenomeno ondulatorio – da cui la terminologia “onde elettromagnetiche” – che non richiede alcun mezzo materiale per propagarsi e che nel vuoto viaggia alla velocità della luce.

In origine si riteneva che esistesse un'interazione elettrica e, distintamente, un'interazione magnetica. Il fisico scozzese J.C. Maxwell, con le sue equazioni (1876) – che congiuntamente alla forza di Lorentz descrivono tuttora in modo corretto il fenomeno –, dimostrò che elettricità e magnetismo non avessero vita autonoma, ma al contrario fossero l'una un aspetto inevitabile dell'altro.

Il campo elettromagnetico, dunque, è dato dalla combinazione del campo elettrico e del campo magnetico. In particolare, la radiazione elettromagnetica è originata dalla propagazione in fase del campo elettrico e del campo magnetico, oscillanti in piani tra loro ortogonali e ortogonali –

(5)

altresì – alla direzione di propagazione.

Il “campo elettrico” – rappresentato dal simbolo “E” – è un campo di forze generato, nello spazio, dalla presenza di una carica elettrica o di un campo magnetico variabile nel tempo.

Il campo elettrico si propaga alla velocità della luce ed esercita una forza su ogni oggetto elettricamente carico. Si misura in newton su coulomb [N/C], o in volt su metro [V/m].

In conseguenza alla legge di Coulomb, tra due cariche elettriche puntiformi ferme nel vuoto agisce una forza – detta forza di Coulomb, che corrisponde a quella esercitata dal campo elettrico su una carica elettrica – il cui valore è direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Ovviamente, poiché le cariche possono essere positive o negative, tale forza sarà repulsiva qualora le cariche abbiano segno uguale, attrattiva nell'altro caso.

Il “campo magnetico” – simboleggiato dalla lettera “H” – è il campo generato, nello spazio, dal moto di una carica elettrica, ossia dalla presenza di correnti elettriche, o da un campo elettrico variabile nel tempo3.

L'intensità del campo magnetico si esprime in àmpere per metro [A/m], tuttavia generalmente ci si riferisce ad una grandezza correlata, la densità di flusso magnetico o induzione magnetica “B”, misurata in tesla [T] – più spesso indicata in microtesla [µT]. Tra le due unità di misura vale la relazione: 1 T = 7.958 x 105 [A/m].

In un conduttore rettilineo percorso da corrente, l'intensità del campo magnetico è proporzionale all'intensità della corrente elettrica, risulta proporzionalmente maggiore approssimandosi alla sorgente e diminuisce in maniera proporzionale all'aumentare della distanza.

Diversamente dal campo elettrico, il campo magnetico agisce solo su

3 Con riferimento, invece, ad un campo magnetico statico le fonti sono i magneti permanenti (le calamite).

(6)

particelle dotate di carica che siano già in moto.

Un campo elettrico variabile nel tempo genera, in direzione perpendicolare a se stesso, un campo magnetico, anch'esso variabile, che a sua volta influisce sul primo. Questi campi, concatenati, determinano nello spazio la propagazione di un campo elettromagnetico, indipendentemente dalle cariche e correnti elettriche che li hanno generati. In prossimità della sorgente irradiante – cioè in condizioni di “campo vicino” – il campo elettrico ed il campo magnetico assumono rapporti variabili con la distanza e possono essere considerati separatamente, mentre ad una certa distanza – ossia in condizioni di “campo lontano” – il rapporto tra campo elettrico e campo magnetico rimane costante. In quest'ultimo caso i due campi sono in fase, ortogonali tra loro e trasversali rispetto alla direzione di propagazione dell'onda elettromagnetica piana.

Un ultimo concetto da chiarire, che sta alla base della fondamentale distinzione tra radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, è quello di

“ionizzazione”.

Come noto, l'atomo è formato da costituenti subatomici quali protoni, neutroni ed elettroni. La ionizzazione consiste nella generazione di uno o più ioni a causa della rimozione o addizione di elettroni da un atomo (o una molecola) neutro. Tale fenomeno può essere causato da collisioni tra particelle o per assorbimento di radiazioni. “Cationi” ed “anioni” sono, rispettivamente, le entità molecolari che rimangono cariche positivamente e negativamente.

All'interno dello spettro elettromagnetico, che costituisce - in funzione della frequenza e della lunghezza d'onda, come vedremo nel prossimo paragrafo – l'insieme di tutte le possibili onde elettromagnetiche, si possono distinguere due grandi zone: le “radiazioni ionizzanti” (IR) e quelle “non ionizzanti” (NIR).

Le prime – che comprendono raggi x, raggi gamma ed una parte dei raggi ultravioletti – sono dotate di energia sufficiente a poter ionizzare gli atomi o

(7)

le molecole con i quali vengono ad interagire. L'energia fotonica minima affinché una radiazione possa dirsi ionizzante è pari a 12,6 [eV]4, corrispondente a quella necessaria a ionizzare l'atomo di idrogeno.

Tutte le onde elettromagnetiche la cui energia associata non superi quella soglia sono dette radiazioni non ionizzanti. Anziché produrre ioni carichi, tali radiazioni hanno soltanto energia sufficiente per eccitare il movimento degli elettroni ad uno stato energetico superiore. L'incapacità di ionizzare la materia non deve tuttavia indurre a pensare che queste onde siano innocue, come sarà illustrato al termine del presente capitolo. Si sottolinea, infine, che, all'interno di questa seconda categoria, sono presenti radiazioni tra loro molto differenti, in termini di caratteristiche e di effetti.

Proprietà distintiva delle onde elettromagnetiche, che sta a monte, sia della distinzione tra radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, sia delle diversità all'interno di quest'ultimo genere, è la “frequenza” – di cui tra breve.

1.2. Campi elettromagnetici naturali ed artificiali. La Frequenza ed altre Proprietà fisiche delle onde elettromagnetiche. Il SAR

Quando si parla di “radiazioni” non si fa riferimento ad un fenomeno, di per sé, positivo o negativo. In effetti, anche in assenza dell'intervento dell'uomo, nell'atmosfera terrestre le onde elettromagnetiche sono normalmente presenti.

I campi naturali vengono distinti in “campi atmosferici” (per esempio, quelli generati durante i temporali), “campi terrestri” – in quanto la Terra, quale corpo avente temperatura diversa dallo zero assoluto, emette radiazione elettromagnetica – e i “campi extraterrestri”, prodotti dal Sole e dallo spazio profondo.

D'altra parte, è innegabile che, ai giorni odierni, molte sorgenti di tali

4 Elettronvolt.

(8)

campi siano di matrice artificiale. La loro presenza altera il c.d. “fondo naturale”, più precisamente “fondo elettromagnetico naturale”.

L'innalzamento dei livelli del campo magnetico è evidente se si considera che le radiazioni di origine naturale sono inferiori – eccezion fatta per i fulmini – di alcuni ordini di grandezza, a quelle prodotte da fonti artificiali.

Queste ultime si dividono in “emittenti intenzionali”, qualora l'emissione dei campi sia effetto diretto rispetto allo scopo per cui sono realizzati (ad esempio, gli impianti per le telecomunicazioni), ed “emittenti non intenzionali”, quando l'emissione dei campi è effetto secondario – ne sono prova i forni a microonde e le linee elettriche.

Prima di valutare le conseguenze che le forze elettromagnetiche generano interagendo con le strutture biologiche, è necessario soffermarsi su quali siano le Grandezze (o Proprietà) fisiche che caratterizzano le onde elettromagnetiche, principiando da quella tratteggiata al termine del paragrafo precedente.

La “frequenza”, f – o, in lettere greche, ν (ni) –, è il numero di oscillazioni complete effettuate in un secondo [s]. Si tratta di una grandezza scalare, la cui unità di misura è l'Hertz [Hz]. L'Hertz è l'inverso del secondo, per cui: 1 Hz = 1/s.

Come si è già avuto modo di anticipare la frequenza – e correlativamente la lunghezza d'onda, che è ad essa legata da una relazione ben precisa, di proporzionalità inversa – è ciò che primariamente distingue, l'una dall'altra, le tipologie di radiazioni dello spettro elettromagnetico. Segnatamente, la frequenza che traccia la linea di demarcazione tra radiazioni ionizzanti e non ionizzanti è 3,045 PHz5 - lunghezza d'onda di 10-7 m - in quanto una tale radiazione ha proprio il contenuto energetico, segnalato in precedenza, di 12,6 [eV]. Di conseguenza, le radiazioni con frequenza superiore – e lunghezza d'onda inferiore – saranno dette ionizzanti, il contrario può dirsi per quelle non ionizzanti.

All'interno di quest'ultima categoria (detta anche delle “onde radio” o

5 Il prefisso “P” di “PHz” sta per “peta” e corrisponde a 1015 [Hz].

(9)

“radioonde”), che è nel suo complesso particolarmente eterogenea, i diversi valori della frequenza permettono di distinguere delle ulteriori gamme.

Radiazioni a basse frequenze6, 3 Hz – 300 kHz, a loro volta suddivise in:

estremamente basse, super basse, ultra basse, molto basse, basse.

Radiazioni a frequenze medie7: 300 kHz – 3 MHz.

Radiazioni ad alte frequenze8, 3 MHz – 300 GHz, suddivisibile in: alte, molto alte, ultra alte9 (300 MHz – 3 GHz), super alte10 (3 Ghz – 30 GHz), estremamente alte.

Quando viene utilizzato il termine “radiofrequenza” si allude alle gamme di frequenza maggiore o, al più, uguali a quelle delle radiazioni a frequenze molto basse.

Le “microonde”, invece, hanno frequenza compresa tra le gamme superiori delle onde radio e la radiazione infrarossa – quest'ultima, che racchiude le frequenze tra 300 GHz e 400 THz, è accomunata alle prime per la sua incapacità di ionizzare la materia –. In particolare, nell'ambito delle onde radio, le microonde comprendono le frequenze tra ultra alte ed estremamente alte.

La telefonia cellulare e, soprattutto, le reti wireless – oggetto principale di questo lavoro – utilizzano proprio le ultime gamme di frequenza citate, ossia quelle ultra alte e le super alte (queste usate solo dalle reti wireless), escluse soltanto quelle estremamente alte.

Per tale motivazione, nel prosieguo, potrà essere utilizzata anche la terminologia “radiazioni a microonde” o, quando si fa riferimento ad un panorama più ampio, “radiazioni a radiofrequenza”.

6Tali tipologie di radiazioni vengono adoperate, ad esempio, nelle comunicazioni tra sottomarini, per la distribuzione di energia elettrica, nella navigazione aerea e per effettuare trasmissioni internazionali.

7 Dette frequenze sono utilizzate dalle trasmissioni radio AM, nelle comunicazioni marittime ed aeronautiche.

8 Si tratta di una gamma molto ampia di radiazioni, che spaziano dalle frequenze usate nelle trasmissioni radio FM e nelle trasmissioni televisive sino a quelle adoperate da apparecchiature con finalità pure militari (radar).

9 Si tratta, per l'appunto, delle radiazioni utilizzate nelle trasmissioni televisive, dai telefoni cellulari, nelle reti wireless (2,4 GHz) e dai forni a microonde.

10 Queste onde sono, prevalentemente, adoperate nelle reti wireless (5 GHz) e dai radar.

(10)

La “lunghezza d'onda”, λ (lambda), è la distanza intercorrente tra due massimi (o creste) o due minimi (o gole) dell'onda. La sua unità di misura è il metro [m], con relativi multipli e sottomultipli.

Si segnala fin da subito che, per le frequenze ultra e super alte, ossia quelle di cui ci occuperemo in questo studio, le lunghezze d'onda sono comprese, rispettivamente, nell'intervallo 1 m – 10 cm e 10 cm – 1 cm.

Per comprendere il rapporto tra frequenza e lunghezza d'onda è necessario riprendere il concetto di “velocità di propagazione”, v. Essa è la velocità con cui viaggia un picco dell'onda e si misura in metri al secondo [m/s]. La velocità di propagazione assume valori diversi a seconda del mezzo in cui si propaga. Nel vuoto ha un valore costante, indicato con la lettera “c”, pari a 299.972,458 [km/s] – la velocità della luce.

La relazione, di proporzionalità inversa, tra la frequenza e la lunghezza d'onda è tale per cui il loro prodotto è uguale alla velocità di propagazione.

L'uguaglianza può essere riscritta in maniera analoga prendendo, però, in considerazione il “periodo”, T.

Questo rappresenta l'intervallo di tempo in cui avviene un'oscillazione completa, ossia quello impiegato a percorrere lo spazio uguale alla lunghezza d'onda. Il periodo, che si misura in secondi [s], è, dunque, l'inverso della frequenza. Da ciò discende che la velocità di propagazione è – altresì – uguale al rapporto tra la lunghezza d'onda ed il periodo.

La c.d. “ampiezza d'onda”, A, è la distanza del massimo della cresta dall'asse di propagazione dell'onda. L'unità di misura è il metro [m].

La “energia associata”, E, rappresenta l'energia, sia elettrica che magnetica, che un'onda elettromagnetica trasporta con sé. È misurata in Joule [J]. Tale energia ha un rapporto di proporzionalità diretta con il quadrato dell'ampiezza della relativa onda. L'energia associata è, inoltre, direttamente proporzionale al valore della frequenza – rappresenta infatti il risultato della moltiplicazione di questa con la costante di Planck, h, pari a 6,625 x 10-24 [J x s].

(11)

Una grandezza strettamente connessa all'energia è la “intensità”, I. Essa corrisponde alla quantità di energia trasportata, nell'unità di tempo (cioè la

“potenza”, S), attraverso l'unità di area della superficie perpendicolare alla direzione di propagazione. L'unità di misura è il Watt su metri quadrati [W/m2], per cui si tratta dell'energia che attraversa in un secondo una superficie di un metro quadrato.

Per completezza di indagine, per quanto non sia oggetto del presente lavoro, va annoverato un altro parametro tipico delle onde elettromagnetiche, il “vettore d'onda”, k. Esso è un vettore che ha come ampiezza il numero d'onda angolare, reciproco della lunghezza d'onda, e come direzione e verso quelli della propagazione dell'onda.

Frequenza, energia associata ed intensità, al pari dell'intensità del campo elettrico e di quello magnetico, a causa dell'importanza che possiedono negli studi sui potenziali effetti dannosi e nella determinazione degli standard normativi, saranno più volte nominate nel prosieguo di questo lavoro. Oltre ai valori di tali proprietà fisiche, la “potenza” del dispositivo utilizzato – come si avrà modo di vedere in seguito11 – rappresenta un fattore che incide fortemente sul grado di pericolosità della radiazione.

Un'ultima grandezza che, seppur distinta dalle precedenti, ha particolare rilievo, è il SAR (acronimo di Specific Absorption Rate), o “tasso di assorbimento specifico”. Esso è ritenuto il parametro dosimetrico più significativo per la valutazione degli effetti nocivi derivanti dalle radiazioni elettromagnetiche comprese tra 100 KHz e 10 GHz.

La sua valutazione è particolarmente complessa, sia perché esistono più tipi di SAR – SAR medio ed una miriade di SAR localizzati –, sia perché il suo valore dipende da molti altri parametri – tra cui: la frequenza dell'onda incidente, le caratteristiche dielettriche del mezzo, il rapporto tra la dimensione del corpo irradiato e la lunghezza d'onda della radiazione.

Per il momento, è sufficiente dire che il SAR è la quantità di energia

11 V. infra 1.2.3.

(12)

elettromagnetica assorbita, nell'unità di tempo, da un elemento di massa unitaria di un sistema biologico o, il che è lo stesso – in quanto potenza=energia/tempo – la potenza assorbita per unità di massa. L'unità di misura è il Watt per chilogrammo [W/Kg].

1.3. L'interazione con la materia e le tipologie di effetti delle radiazioni non ionizzanti

Quanto fin qui detto è indubbiamente utile, ma non ha permesso di focalizzare sufficientemente l'attenzione sull'aspetto che, in quanto inerente alla salute delle persone, più rileva ai presenti fini e del quale, perciò, è necessario occuparci.

Le crescenti preoccupazioni per potenziali pericoli sanitari riguardano solo parte di ciò che, scientificamente, si intende per “campi elettromagnetici”. In effetti, raggi x, raggi gamma ed raggi ultravioletti sono astrattamente idonei ad incidere sulla salute umana, ma il termine – di recente conio – “elettrosmog” non fa riferimento ad essi. Più precisamente, per inquinamento elettromagnetico o elettrosmog, in genere, si intende il fenomeno causato dalle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti.

Si deve chiarire, dunque, che sebbene questo lavoro riguardi, per l'appunto, soltanto gli effetti causati dalle radiazioni non ionizzanti, ed in particolare dalle gamme di frequenza superiori di esse, una valutazione completa dei pericoli sottesi alle onde elettromagnetiche dovrebbe avere come referente un più ampio panorama, nel quale figurino anche le radiazioni ionizzanti – tutt'altro che innocue.

In primo luogo si deve osservare che è possibile parlare di effetti – sulla salute dell'uomo – derivanti da radiazioni elettromagnetiche, proprio in quanto queste ultime interagiscono, in qualche modo, con le strutture biologiche.

(13)

Il processo di interazione tra campo elettromagnetico e tessuto biologico si realizza attraverso due meccanismi fisici: “il trasferimento di energia” dal campo al tessuto – mediante le perdite per conduzione e le perdute dielettriche – e “l'assorbimento” di tale energia da parte del tessuto – tramite l'attivazione di fenomeni elettrochimici, strettamente correlati con il contenuto in acqua dell'oggetto biologico sottoposto a irradiazione.

Semplificando i termini della questione, si può dire che, un'onda elettromagnetica, quando incontra un ostacolo, penetra nella materia e deposita la propria energia producendo una serie di effetti diversi in base alla sua frequenza ed intensità.

Dai modi di interazione delle radiazioni con la materia dipendono gli effetti e, quindi, i rischi potenziali per gli esseri umani. L'aspetto problematico è proprio rappresentato dalla diversità di funzionamento dei meccanismi di interazione delle onde, che variano sensibilmente in relazione alla frequenza.

Possono essere individuate quattro macro gamme di campi, ciascuno generato da tipologie di onde che, in linea di massima, condividono la modalità di interazione con i tessuti biologici. Le quattro categorie, disposte in ordine crescente di frequenza, sono le seguenti: i campi statici, i campi generati da onde di frequenza estremamente bassa, quelli a frequenza intermedia e i campi a radiofrequenza e microonde.

Le radiazioni derivanti da ognuno di tali campi sono tutte, in astratto, idonee a provocare degli effetti sanitari, tuttavia – come anticipato – tali effetti sono diversi tra loro, in ragione delle differenti proprietà e dei relativi meccanismi di interazione delle onde.

Al fine di fare chiarezza ed attenuare l'allarmismo, che potrebbe discendere dalle precedenti affermazioni, è bene sottolineare che il legame tra

“interazione” ed “effetto biologico” non si pone in termini di consequenzialità necessaria (né immediata o diretta), lo stesso vale per il rapporto tra tale effetto e il “danno” (o “effetto sanitario”).

(14)

In particolare, il risultato dell'interazione è sempre una “perturbazione” – intesa come deviazione dalle condizioni di equilibrio elettrico a livello molecolare –, ma si parla propriamente di effetto biologico soltanto in presenza di variazioni morfologiche o funzionali a carico di strutture di livello superiore, sotto l'aspetto organizzativo, a quello molecolare.

Inoltre, come detto, neppure il passaggio da effetto a danno è automatico.

Questo si configura qualora l'effetto biologico superi i limiti di efficacia dei meccanismi di adattamento dell'organismo – che variano in relazione a numerose condizioni, quali, ad esempio, l'età, il sesso, lo stato di salute, il grado di attività del soggetto, la presenza di ulteriori agenti nocivi, o le stesse condizioni ambientali esterne (temperatura, umidità).

Venendo ora agli effetti – sugli esseri viventi – delle radiazioni elettromagnetiche, va detto che essi dipendono principalmente da due fattori:

la frequenza della radiazione e la modalità di esposizione. Questa è caratterizzata dall'intensità della radiazione, dalla durata dell'esposizione e varia – altresì – in relazione a quali siano le parti del corpo esposte.

La frequenza, come chiarito in precedenza, permette di distinguere tra radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. La nostra attenzione – si ribadisce – sarà focalizzata su queste ultime.

Un più rigoroso chiarimento sulla terminologia impiegata a proposito degli effetti – precisando che per “effetto” si intende una “deviazione delle condizioni dei tessuti dalla precedente condizione di equilibrio” – anche in considerazione dei cenni fatti poc'anzi, è senz'altro opportuno.

In primo luogo, e sebbene si tratti di una suddivisione più utilizzata all'interno delle radiazioni ionizzanti, si contrappongono gli effetti “diretti” a quelli “indiretti”. I primi sono associati all'interazione diretta del campo ELM con la struttura biologica umana, i secondi si riferiscono all'interazione con oggetti, posti nelle immediate vicinanze, che possiedono un potenziale elettrico diverso da quello del corpo (a tali ultimi effetti sono riconducibili, per esempio, le interferenze con i pace-maker e i problemi di compatibilità

(15)

elettromagnetica).

All'interno della categoria “effetti diretti” si trovano sia gli effetti

“termici” che quelli “non termici”.

Gli effetti termici sono connessi all'assorbimento di energia e al conseguente aumento della temperatura nel tessuto irradiato. Tali effetti sono, normalmente, provocati da esposizioni brevi, ma intense. Per poter parlare di effetti termici si deve verificare un aumento della temperatura corporea, locale o generale, maggiore o uguale di 1°C.

Gli effetti non termici o atermici, invece, non sono spiegabili con il solo riscaldamento dei tessuti, in quanto determinano effetti biologici pur in presenza di valori di SAR molto più bassi rispetto a quelli che caratterizzano gli effetti termici. Si tratta, normalmente, di esposizioni di lunga durata ma di bassa intensità. Le conseguenze di tali effetti, pur incerte sotto taluni profili e sebbene ancora oggetto di numerosi studi, sono oggi da ritenersi dannose.

Infine si distingue tra effetti “acuti” – spesso accostati agli effetti termici – ed effetti “latenti”.

I primi sono effetti “immediati”, ossia effetti che si verificano pressoché immediatamente quando si applica il campo e terminano altrettanto immediatamente – salvo eventuali conseguenze permanenti – quando lo si rimuove, ed “oggettivi”, in quanto si verificano su qualunque soggetto, salvo alcune differenze nel valore di soglia da individuo a individuo. Al più, adottando una lettura in senso ampio, gli effetti acuti possono manifestarsi dopo alcune settimane dall'assorbimento di una quantità sufficiente di radiazioni.

Gli effetti latenti, al contrario, richiedono anni per comparire, e possono manifestarsi anche dopo il termine dell'esposizione. Questi, infatti, sono cumulativi e non sembra esistere una soglia di esposizione al di sotto della quale si possa dire, con ragionevole certezza, che non c'è alcun rischio. Tale constatazione, tuttavia, non deve essere usata come pretesto per una disciplina normativa incompiuta, come invece pare accadere nel caso delle radiazioni non ionizzanti.

(16)

É opportuno rilevare che le associazioni effetti termici-effetti acuti ed effetti non termici-effetti latenti, seppure generalmente siano ritenute corrette nell'ambito delle radiazioni a radiofrequenza, non sono sempre valide nel più ampio panorama delle radiazioni non ionizzanti12.

Nei paragrafi seguenti, peraltro, si metterà in evidenza che l'identificazione tra effetti termici ed effetti acuti possa essere posta in discussione – non senza valide argomentazioni – anche nella gamma delle radiofrequenze.

Altra fondamentale distinzione, cui si è sopra accennato per spiegare il passaggio da effetto biologico a danno, è quella esistente tra effetti

“biologici” e “sanitari”.

Questo aspetto è stato più volte precisato dall'OMS, che nel suo Promemoria n.18213, definisce i due effetti nei termini seguenti:

– un effetto biologico si verifica quando l'esposizione alle onde elettromagnetiche provoca qualche variazione fisiologica rilevabile in un sistema biologico;

– un effetto di danno alla salute (id est, un effetto sanitario) si verifica quando l'effetto biologico è al di fuori dell'intervallo in cui l'organismo può normalmente compensarlo, e ciò porta a qualche condizione di detrimento della salute.

Va notato che, per lungo tempo, gli unici danni biologici universalmente riconosciuti sono stati quelli provocati dagli effetti termici delle radiazioni. Si riteneva, infatti, che gli effetti non termici – dei quali pur era accertato che provocassero effetti biologici – fossero inidonei a condurre ad esiti patologici.

12 Per le frequenze fino ad almeno un centinaio di kHz – o persino fino a 1 GHz – la densità di corrente elettrica indotta nei tessuti è, persino, il principale parametro per mezzo del quale correlare l'esposizione agli effetti biologici acuti, che si manifestano negli individui esposti. La corrente elettrica indotta è, per l'appunto, un effetto non termico che si verifica sino ad una frequenza prossima ai 10 Ghz, oltre la quale è tendenzialmente trascurabile.

13 Si tratta del Promemoria “Campi elettromagnetici e salute pubblica. Proprietà fisiche ed effetti sui sistemi biologici”.

(17)

Di recente, tuttavia, la situazione è cambiata in quanto risulta assodato che, un effetto biologico, pur non dando origine ad un danno immediato, possa integrare un processo a lungo termine idoneo, almeno potenzialmente, a cagionare un vero e proprio danno.

Il risultato combinato della difficoltà di riconoscere il giusto valore agli effetti non termici e dell'incompletezza normativa in ordine agli effetti latenti, ha fatto in modo che, per lungo tempo ed in parte tuttora, la salute umana non sia stata adeguatamente tutelata. Gli standard normativi, infatti, pur adottando valori-limite ben inferiori rispetto a quelli che potrebbero provocare effetti termici, sono stati per lo più determinati tenendo conto unicamente degli effetti diretti a breve termine.

In realtà, a ben vedere, anche la valutazione degli effetti termici derivante da esposizioni prolungate – di cui diremo tra breve – non è stata molto accorta.

1.4. Gli effetti nocivi provocati dalle radiazioni a frequenza ultra e super alta

Al di là della mera definizione degli effetti, è importante comprendere la portata del fenomeno “radiazioni non ionizzanti”, con particolare attenzione alle frequenze ultra e super alte (o microonde).

Di seguito sono riportate alcune spiegazioni esemplificative dei pericoli ad esse sottesi.

Anzitutto, e sebbene qui si tratti di radiazioni a “basse frequenze” – che ci interessano solo nella misura in cui offrono uno spunto di riflessione per i pericoli di irradiazioni di “lungo periodo” –, si nota che le potenziali conseguenze negative di esposizioni prolungate nel tempo sono state ipotizzate molti decenni fa. Alcuni studi empirici, infatti, già negli anni '70,

(18)

hanno permesso di collegare le radiazioni a 60 [Hz], dovute ai tralicci dell'alta tensione, alla comparsa di malattie tumorali14. In questo caso si parla, dunque, di effetti non termici di lungo periodo.

Con riferimento agli “effetti termici” che si manifestano nella gamma delle microonde va sottolineato che – eccettuata la possibilità di un mancato rispetto dei limiti normativi, per l'appunto stabiliti per impedire il verificarsi di effetti diretti, per lo più termici, seguenti a brevi esposizioni – il maggiore rischio deriva da apparecchi, di utilizzo quotidiano, la cui diffusione è relativamente recente (telefoni cellulari) se non proprio limitata all'ultimo decennio (dispositivi wi-fi). La peculiarità di queste strumentazioni – cui è consentito di manifestarsi a causa di una legislazione improvvida – risiede nel fatto che, pur nel rispetto dei limiti di esposizione, a seguito di irradiazioni continuate, esse possano provocare effetti termici.

Tali esposizioni, elevate e prolungate, dispiegano la propria massima pericolosità nel cagionare danni localizzati agli organi più sensibili all'ipertermia, in quanto scarsamente vascolarizzati, come i testicoli e gli occhi (in particolare, la cornea e il cristallino). In questi organi, caratterizzati dalla scarsa circolazione sanguigna, la quale favorisce la dispersione del calore prodotto, e dalla bassa conducibilità termica – fattore negativo ai fini di un'efficace dispersione del calore –, si possono verificare danni prima reversibili, poi irreversibili. Ne sono esempi estremi la sterilità e la cataratta.

La reiterazione delle esposizioni alle onde di tali dispositivi aggrava – senz'altro – gli effetti descritti.

La tecnologia cellulare – che, a causa della maggiore potenza del relativo congegno, riveste per gli effetti termici un ruolo di prim'ordine – ed il wi-fi, in sostanza, sono state disciplinati al pari di strumentazioni domestiche il cui uso è molto ridotto nel tempo o che permettono all'utilizzatore di mantenere

14 Al riguardo, nel 1979, sulla rivista USA “American Journal of Epidemiology”, è stata pubblicata una ricerca relativa alla morte di 344 bambini tra il 1950 e il 1973 per leucemia e tumori al cervello (neoplasie) a Denver, in Colorado: in essa si ipotizzava un collegamento tra la manifestazione del cancro e la prossimità di tale fonte di radiazioni.

(19)

un'ampia distanza. Al contrario, i dispositivi in esame fanno della vicinanza all'utente e dell'uso continuato proprie caratteristiche distintive.

Facendo ancora riferimento agli effetti termici, uno studio del 1996 condotto dai ricercatori della Columbia University ha inoltre dimostrato che, a seguito degli aumenti di temperatura, l'organismo produce alcune particolari proteine preposte alla difesa. La continua produzione di tali sostanze, sollecitata dal calore prodotto a seguito dell'interazione con i campi elettromagnetici, perturberebbe il complesso e delicato equilibrio cellulare, inducendo alcuni tipi di cancro – tra cui le leucemie.

L'errore di valutazione in ordine alla pericolosità delle radiazioni non ionizzanti risiede, probabilmente, nell'aver considerato i loro effetti in modo analogo a quanto fatto per le radiazioni ionizzanti. Per le radiazioni non ionizzanti, tuttavia, ad esclusione di rarissimi casi, non si può dire che gli effetti siano visibili durante o appena dopo l'irradiazione.

Quanto detto vale – oltre che per le conseguenze “non termiche”, di cui tra breve – anche per i meccanismi “termici” e per una corretta lettura dei valori del SAR; è dunque necessario attendere un certo periodo di tempo, consentendo così agli effetti di svilupparsi e manifestarsi, per effettuare un'analisi che tenga conto delle reali rischi comportati dall'esposizione15.

Alla constatazione che il pericolo sia “non immediato” va aggiunta una fondamentale caratteristica che, pur a lungo ritenuta estranea a tale categoria di effetti – e tuttora sottovalutata –, appartiene pure agli effetti termici: la possibilità di addizionarsi nel tempo. “Si dovrebbe comprendere che un 'effetto cumulativo' è l'assommarsi dei danni risultanti da esposizioni ripetute, ciascuna delle quali è singolarmente in grado di produrre un danno di esigua entità. In altre parole, una singola esposizione può produrre 'una invisibile lesione termica', che però si auto-ripara nell'arco di un periodo di tempo sufficiente, per esempio ore o giorni, e dunque è reversibile e non progredisce

15 Cfr. M. MARKOV-Y.G. GRIGORIEV, La tecnologia Wi-Fi: un esperimento senza controllo, in

“Nexus New Times”, n. 107, p 15. Per la pubblicazione in formato integrale, si veda M.

MARKOV-Y.G. GRIGORIEV, Wi-Fi Technology: an uncontrolled global experiment on the health of mankind, in “Electromagnetic Biology and Medicine” (giugno 2013, Volume 32, Issue 2, pp. 200-208).

(20)

ad uno stato permanente o semi-permanente osservabile. Se una seconda esposizione o varie esposizioni ripetute avvengono con intervalli di tempo più brevi di quelli necessari all'autoriparazione, il danno può progredire a livelli osservabili”16. L'interessante teoria riportata appartiene al dottor Michaelson ed è tratta dai verbali dell'IEEE17 – Institute of Electrical and Electronic Engineers – risalenti al 1972.

Risulta particolarmente grave che, trascorsi oltre quarant'anni da tale dichiarazione, quasi nessuno fisico-biologo, pur in presenza di effetti non altrimenti spiegabili, abbia tenuto in considerazione le parole di Michaelson e auspicato di adottare dei limiti che ne tengano conto.

Quanto sin qui detto riguarda gli effetti termici, ma – per le gamme di frequenza in analisi – le principali conseguenze negative discendono dagli effetti non termici.

Nell'ambito delle radiazioni a microonde, sugli “effetti non termici” latenti – che rappresentano l'esito dell'assorbimento di piccole dosi di radiazioni protratte nel tempo – manca un accordo comune. In passato vi è stato chi ha sostenuto l'innocuità di siffatte esposizioni e chi, invece, ha proposto l'esistenza della “malattia da radioonde”, con effetti negativi a carico del sistema immunitario e del sistema nervoso centrale18. Oggi, indipendentemente dall'opportunità di forgiare una specifica malattia per descriverne le conseguenze, è certo che gli effetti non termici comportino alterazioni a carico del sistema immunitario, endocrino e cardiocircolatorio.

Dai più recenti studi eseguiti, in particolare, emergono i seguenti effetti:

– alterazioni dell'attività enzimatica della omitinadecarbossilasi (un enzima che, quando è attivo, è associato all'insorgenza di tumori)

16 S.M. MICHAELSON (1972), Human exposure to nonioning radiant energy: potential hazards and safety standards, in Proc. IEEE, Volume 60, Issue 4, pp. 389-421.

17 Istituto degli ingegneri elettrici ed elettronici. Si tratta di un'associazione di scienziati professionisti con l'obiettivo della promozione delle scienze tecnologiche.

18 Coloro che sostenevano l'esistenza di una malattia a microonde, per mezzo di indagini statistiche, riconducevano ad essa tre possibili sindromi: la sindrome astenica (ipotensione, bradicardia, desincronizzazione dell'attività alfa nell'EEG), la sindrome astenico-vegetativa (cefalea, sonnolenza persistente, inappetenza, stanchezza profonda, disturbi sessuali, alterazioni nel sistema cortisolo-cortisone) e la sindrome ipotalamica (ischemia miocardica, ipertensione, alterazioni del ritmo circadiano).

(21)

– modifica del tenore di calcio nelle cellule (trasporto degli ioni dentro e fuori dalle cellule)

– alterazioni delle proteine della membrana cellulare e modifica del trasporto di ioni attraverso la membrana stessa (un fenomeno essenziale per le cellule cerebrali).

I meccanismi e la frequenza statistica con cui questi fenomeni microscopici possono tradursi in effetti sanitari non sono del tutto noti, ma è certo che il rischio di contrarre una patologia aumenti in soggetti particolarmente vulnerabili, come i bambini, gli anziani e le gestanti.

I danni (biologici) a cui i soggetti esposti per lungo tempo, specialmente le categorie da ultimo tratteggiate, potrebbero andare incontro sono molteplici: tumori, disturbi della funzione riproduttiva, alcune malformazioni congenite, epilessia, cefalee, degenerazioni del tessuto oculare. ed altri disturbi neurofisiologici (come amnesie o depressioni).

Tale gamma di effetti, sebbene composta da episodi patologici che non necessariamente devono comparire in modo simultaneo (ben potendo essere l'uno disgiunto dall'altro), a causa della serietà del rischio – pur non destinato a manifestarsi con una probabilità particolarmente elevata – che da essi discende, devono essere tenuti nella giusta considerazione. In particolare, non è più accettabile che la mancanza di certezze in ordine alla determinazione di limiti “assolutamente sicuri” per la prevenzione dagli effetti non termici sia utilizzata come pretesto per mantenere vigenti parametri di sicurezza principalmente – se non in maniera esclusiva – riferiti agli effetti termici.

In definitiva, sebbene la considerazione possa avere del banale, si nota che se i limiti fossero adeguati i rilevamenti dei dati statistici non indicherebbero un aumento del rischio di contrarre una – o più – delle patologie descritte, per cui, pur in assenza di spiegazioni biologiche soddisfacenti, è oltremodo opportuno rivisitare gli attuali parametri.

Si noti – inoltre – che, a prescindere dal tipo di radiazione e dalla specifica categoria di effetti, è stato scoperto dai ricercatori dell'Università dello Utah

(22)

che un cervello di un bambino di cinque anni assorbe una quantità di radiazioni almeno quattro volte maggiore rispetto al cervello di un adulto, il che potrebbe comportare il danneggiamento – sin dalla giovane età – delle cellule neuronali. Se si aggiunge che gli effetti, già di per sé non benefici, si accumulano nel tempo diventando più gravi, è facile comprendere che aumentino i rischi di insorgenza di malattie degenerative, anche in età avanzata.

Considerato che oggetto di questo studio sono le ultra e super alte frequenze, riassumiamo brevemente le tipologie di conseguenze da esse provocate.

Tali gamme di frequenza risultano pericolose sia in relazione agli effetti termici, sia agli effetti non termici.

Gli effetti termici sono generalmente ritenuti i più significativi, in termini sanitari.

Gli effetti non termici, seppur – non si nasconde – seguano meccanismi che in parte non siamo ancora in grado di comprendere, sono probabilmente19 anche più importanti, almeno per la presente indagine.

Come si è notato, gli effetti termici – quando l'irradiazione non supera limiti di esposizione stabiliti – sono gravi solo se le radiazioni sono prolungate e, ancor più, se sono pure reiterate a seguito di brevi intervalli di tempo – in questo senso, dunque, non identificandosi con gli effetti acuti in senso stretto.

D'altra parte, gli effetti non termici, nell'ambito delle frequenze considerate, possono incidere sulla salute soltanto dopo lunga latenza.

Proprio l'aspetto che caratterizza entrambe le tipologie di effetti, ossia il decorrere di un certo periodo di tempo o quantomeno la non immediatezza dell'effetto, è stato troppo a lungo trascurato.

19 In tal senso, si veda M. MARKOV-Y.G. GRIGORIEV, op. cit., pp. 13 ss.

(23)

1.5. La classificazione “2B”: un primo passo significativo

Fino a poco tempo fa, parallelamente agli interessi dimostrati dall'opinione pubblica, l'attenzione di studiosi e giuristi si è concentrata sui pericoli derivanti dall'esposizione di breve durata a radiazioni ad alta frequenza e dall'esposizione, in genere, di più lungo periodo a radiazioni a bassa frequenza, entrambe – si intende – nell'ambito delle radiazioni non ionizzanti. D'altra parte, invece, sono state messe in secondo piano le possibili ripercussioni cagionate dalla sottoposizione alle radiazioni ad alta frequenza per periodi di tempo prolungati. Tale aspetto, cui si è cominciato a dare spazio soltanto dagli anni '90 del secolo scorso, ha acquisito la dovuta risonanza negli ultimi due-tre anni, in particolare modo a seguito di una dichiarazione di una prestigiosa agenzia internazionale (IARC), che ha rappresentato un punto di svolta – seppure iniziale – nel modo di approcciarsi alla problematica.

Per facilitare la comprensione di quanto sarà detto di seguito è opportuno effettuare una puntualizzazione. La IARC (International Agency for Research on Cancer) – agenzia intergovernativa facente parte della WHO World Health Organization20– si occupa della produzione e conservazione di monografie sui rischi cancerogeni di numerose tipologie di agenti chimici e fisici. Il contenuto delle monografie incide sulla determinazione delle linee guida, in ordine alla classificazione del rischio relativo ai tumori. Gli agenti finora considerati sono stati divisi in cinque classi, all'interno delle quali il grado di rischio diminuisce progressivamente dalla “categoria 1” alla

“categoria 4”: Carcinogenic to humans (Group 1)21, Probably carcinogenic

20 In Italia nota con l'acronimo OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità.

21 “This category is used when there is sufficient evidence of carcinogenicity in humans.

Exceptionally, an agent may be placed in this category when evidence of carcinogenicity in humans is less than sufficient but there is sufficient evidence of carcinogenicity in experimental animals and strong evidence in exposed humans that the agent acts through a relevant mechanism of carcinogenicity”, WORLD HEALTH ORGANIZATION INTERNATIONAL

AGENCY FOR RESEARCH ON CANCER, “Preamble”, in IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Lyon, France, 2006.

(24)

to humans (Group 2A)22, Possibly carcinogenic to humans (Group 2B)23, Not classifiable as to its carcinogenicity to humans (Group 3)24, Probably not carcinogenic to humans (Group 4)25.

La classe di radiazioni ad alta frequenza, nel suo complesso, (e dunque non solo con riferimento agli effetti latenti, a cui si è accennato poc'anzi) non ha goduto di un'adeguata considerazione. Ciò è confermato dal fatto che l'Agenzia IARC, già agli albori del nuovo millennio, ha dedicato un volume – il volume n. 80 delle proprie monografie – all'esame della pericolosità dei campi elettrici e magnetici a frequenza estremamente bassa. Al contrario, si è

22 “This category is used when there is limited evidence of carcinogenicity in humans and sufficient evidence of carcinogenicity in experimental animals. In some cases, an agent may be classified in this category when there is inadequate evidence of carcinogenicity in humans and sufficient evidence of carcinogenicity in experimental animals and strong evidence that the carcinogenesis is mediated by a mechanism that also operates in humans. Exceptionally, an agent may be classified in this category solely on the basis of limited evidence of carcinogenicity in humans. An agent may be assigned to this category if it clearly belongs, based on mechanistic considerations, to a class of agents for which one or more members have been classified in Group 1 or Group 2A”, WORLD HEALTH ORGANIZATION INTERNATIONAL

AGENCY FOR RESEARCH ON CANCER, “Preamble”, in IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Lyon, France, 2006.

23 “This category is used for agents for which there is limited evidence of carcinogenicity in humans and less than sufficient evidence of carcinogenicity in experimental animals. It may also be used when there is inadequate evidence of carcinogenicity in humans but there is sufficient evidence of carcinogenicity in experimental animals. In some instances, an agent for which there is inadequate evidence of carcinogenicity in humans and less than sufficient evidence of carcinogenicity in experimental animals together with supporting evidence from mechanistic and other relevant data may be placed in this group. An agent may be classified in this category solely on the basis of strong evidence from mechanistic and other relevant data”, WORLD HEALTH ORGANIZATION INTERNATIONAL AGENCY FOR RESEARCH ON CANCER,

“Preamble”, in IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Lyon, France, 2006.

24 “This category is used most commonly for agents for which the evidence of carcinogenicity is inadequate in humans and inadequate or limited in experimental animals.

Exceptionally, agents for which the evidence of carcinogenicity is inadequate in humans but sufficient in experimental animals may be placed in this category when there is strong evidence that the mechanism of carcinogenicity in experimental animals does not operate in humans.

Agents that do not fall into any other group are also placed in this category.

An evaluation in Group 3 is not a determination of non-carcinogenicity or overall safety. It often means that further research is needed, especially when exposures are widespread or the cancer data are consistent with differing interpretations”, WORLD HEALTH ORGANIZATION

INTERNATIONAL AGENCY FOR RESEARCH ON CANCER, “Preamble”, in IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Lyon, France, 2006.

25 “This category is used for agents for which there is evidence suggesting lack of carcinogenicity in humans and in experimental animals. In some instances, agents for which there is inadequate evidence of carcinogenicity in humans but evidence suggesting lack of carcinogenicity in experimental animals, consistently and strongly supported by a broad range of mechanistic and other relevant data, may be classified in this group”, WORLD HEALTH

ORGANIZATION INTERNATIONAL AGENCY FOR RESEARCH ON CANCER, “Preamble”, in IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Lyon, France, 2006.

(25)

dovuto aspettare il 2012 per la pubblicazione del volume n. 102

“Radiofrequency electromagnetic fields”. Per dovere di cronaca, si rileva che i campi elettrici esaminati nel volume n. 80, hanno trovato accoglimento nella “categoria 3” (classe che decreta l'impossibilità, in base agli studi svolti, di classificazione degli agenti come cancerogeno o non cancerogeno), i campi magnetici nella “categoria 2B”, di cui diremo tra breve.

Alla base della redazione del volume n. 102 stanno gli studi condotti da IARC che, nel 2011, hanno evidenziato la possibilità di un collegamento tra l'esposizione a radiazioni a radiofrequenza e l'aumento del rischio di sviluppare “fenomeni” tumorali. A seguito, dunque, di un lungo periodo in cui era stata del tutto negata la connessione tra i due fenomeni, e di un breve intervallo di tempo in cui gli esperti hanno ammesso di non poter affermare o negare che vi siano dei collegamenti, oggi sembra potersi parlare, a pieno titolo, di effetti sanitari derivanti da radiofrequenze, sebbene vi sia ancora molto da comprendere sulle modalità in cui si manifestano.

Occorre sottolineare che le dichiarazioni di tale Agenzia – tutt'altro che prive di detrattori, i quali le ritengono eccessivamente caute rispetto ai risultati scientifici raggiunti – hanno classificato cellulari e wireless (nel complesso, le radiofrequenze) al livello “2B”, ossia questi sono stati ricondotti nel novero dei fattori “possibilmente cancerogeni”. Ciò informa sulla sussistenza di un rischio – legato soprattutto ad un uso intensivo del cellulare o del wi-fi in ambienti ristretti – ma le evidenze di correlazione, risultanti sia da studi su animali sia da studi epidemiologici sull'uomo, sono

“limitate”. La portata dell'affermazione è ulteriormente contenuta dal fatto che la correlazione sia provata esclusivamente per il glioma e il neurinoma acustico (tumore del nervo uditivo), mentre per altri tipi di tumore i dati posseduti non sono stati ritenuti sufficienti.

Sia coloro che ritengono il fenomeno più grave di quanto sia stato descritto, sia i sostenitori della parte avversa hanno sottolineato la necessità di avviare ulteriori studi – in primo luogo il nuovo studio Cosmos, che avrà una durata di 20-30 anni e coinvolgerà 250.000 cittadini europei analizzando la pericolosità di tutti i dispositivi elettronici senza fili – in modo da ottenere

(26)

maggiore chiarezza sul punto.

La classificazione nel livello “2B” – nonostante la parziale insoddisfazione di alcuni scienziati, che non ritengono sufficientemente robusta la determinazione IARC e avrebbero apprezzato un approccio più radicale, ossia l'inclusione nella categoria “Probabili cancerogeni per l'uomo (Classe 2A)” – rappresenta un buon traguardo da presidiare, congiuntamente all'adozione del principio di precauzione26, in attesa di responsi definitivi o, se non altro, meno imprecisi.

Il gruppo di lavoro – composto da trentuno scienziati provenienti da quattordici paesi diversi – che si è riunito a Lione nel Maggio 2011 per la redazione del, già citato, volume n.102 ha esaminato i risultati degli studi di cancerogenicità sull'uomo e sugli animali in relazione a diverse sorgenti di radiofrequenze27.

Il panel, come anticipato, ha incluso le radiofrequenze nella classe “2B”

(possibly carcinogenic), parlando, all'interno dei confini visti in precedenza, di “limitata” evidenza di cancerogenicità. Tale espressione, nel sistema adottato dalla IARC, è utilizzata “in presenza di associazioni la cui causalità è considerata credibile senza tuttavia poter escludere che si tratti di artefatti dovuti al caso, a distorsioni o a confondimento”28.

Nella valutazione conclusiva è stato attribuito un peso significativo ai risultati dello studio internazionale “Interphone” e del gruppo di ricerca svedese Hardell – che deve il proprio nome all'oncologo Lennart Hardell – entrambi condotti con lo strumento di indagine “caso-controllo”.

Lo studio Interphone, che ha raccolto dati in tredici paesi, ha sostenuto che l'incremento del rischio di glioma avvenisse soltanto tra coloro – ca 10%

degli utilizzatori – che avessero sopportato un livello elevato di ore cumulative di uso di telefoni cellulari. In ogni caso, l'analisi condotta da tale

26 A tale principio sarà dedicata una sezione apposita, consistente nel capitolo quarto.

27 Le fonti prese in considerazione sono le seguenti: esposizione professionale a radar e microonde; esposizione ambientale a segnali radio, tv e telecomunicazioni wireless;

esposizione personale associata all'uso dei telefoni cellulari e cordless.

28 International Agency for Research on Cancer, Preambolo alle Monografie IARC.

(27)

studio non ha evidenziato in maniera chiara la correlazione tendenziale tra intensità e durata dell'esposizione e l'aumento del rischio. Risultati analoghi sono stati raggiunti con riferimento al neurinoma del nervo acustico.

Il gruppo Hardell, invece, ha osservato un incremento del rischio di glioma e di neurinoma, anche a breve distanza dall'inizio dell'utilizzazione del dispositivo e per modeste intensità di uso cumulativo. Più precisamente, si nota che la ricerca, effettuata dal Dipartimento di oncologia dell’ospedale universitario di Örebro (in Svezia), ripropone il pericolo causato dall’esposizione alle onde elettromagnetiche prodotte dagli apparecchi senza fili. I ricercatori svedesi asseriscono che l’utilizzo, sullo stesso orecchio, di un apparecchio wireless, per un periodo di tempo superiore ai dieci anni aumenti il rischio di formazione di tumori di 3-5 volte. Lo studio29 sottolinea che il pericolo aumenti con il numero di ore di utilizzo dei dispositivi e che sia massimo per gli adolescenti.

La maggioranza dei partecipanti del panel della IARC – pur non essendo mancati pareri discordi “in grembo” alle minoranze – ha ritenuto che vi fosse una certa consistenza tra i risultati di alcune analisi, prevalentemente secondarie, dello studio Interphone e quelli del gruppo Hardell. La classificazione “2B”, in definitiva, ha rappresentato il compromesso accettabile tra le posizioni dei due gruppi di studio.

Si sottolinea che, pur riconoscendo che lo studio Interphone abbia senz'altro vagliato una più ampia casistica, questo ha qualificato come consumatori “pesanti” coloro che adoperavano i cellulari per 27 minuti al giorno – valutazione che, come è evidente, non tiene conto dell'utilizzo generalizzato che ne viene fatto – ed inoltre è stato in parte finanziato dalle ditte produttrici dei dispositivi in esame.

29 L. HARDELL, M. CARLBERG, K. HANSSON MILD, Use of mobile phones and cordless phones is associated with increased risk for glioma and acoustic neuroma, in “Pathophysiology”, April 2013, Volume 20, Issue 2, pp. 85-110. Sul punto si vedano pure studi precedenti, ad esempio M. CARLBERG, K. HANSSON MILD, Epidemiological evidence for an association between use of wireless phones and tumor diseases, in “Pathophysiology”, August 2009, Volume 16, Issue 2-3, pp. 113-122, e studi successivi, L. HARDELL, M. CARLBERG, Mobile phone and cordless phone use and the risk for glioma – Analysis of pooled case-control studies in Sweden 1997-2003 and 2007-2009, in “Pathophysiology”, March 2015, Volume 22, Issue 1, pp. 1-13.

(28)

A conferire ulteriore credito alla prospettiva sposata dal gruppo Hardell è intervenuto, nel Novembre del 2012, il portavoce della ICEMS30 (Commissione internazionale per la sicurezza elettromagnetica), Livio Giuliani: “studi internazionali hanno dimostrato un aumento anche del 200 per cento dei casi di tumore alla testa e in particolare al cervello, come il glioma, legato all'esposizione alle microonde del telefonino. Oggi è disponibile la necessaria base scientifica per stabilire una classificazione più severa dell'esposizione al cellulare come probabile cancerogeno”31. La Commissione sottolinea che tale conclusione sia giustificata da “un'evidenza basata su studi in vitro e in vivo e sulla scoperta di meccanismi biofisici o biochimici che possono essere coinvolti nell'insorgenza dei tumori”32.

La tendenza a valorizzare i risultati del gruppo di ricerca Hardell non è stata smentita dalla Cassazione. La Suprema Corte, in effetti, nella ”storica”

sentenza33 del 12 ottobre 2012 – della quale saranno messi in luce alcuni profili nel capitolo secondo – ha correttamente evidenziato che vi siano delle notevoli divergenze tra i risultati degli studi sovvenzionati dall'industria e quelli indipendenti, in ordine alla pericolosità della tecnologia cellulare. La Cassazione, in tale circostanza, non ha mancato di dare rilievo alla prospettiva accolta dai ricercatori Hardell, ossia la sussistenza di un rischio di connessione tra l'utilizzo dei telefoni cellulari e l'insorgenza di alcune patologie tumorali.

30 International Commission for Electromagnetic Safety.

31 Convegno “Campi elettromagnetici e salute: c'è il rischio di un disastro ambientale con il decreto crescita?” organizzato da ICEMS, Università Roma Tre, Università della Tuscia, Associazione A.M.I.C.A., novembre 2012, cit.

32 Ibidem.

33 Cass. civ., sez. Lavoro, 12 ottobre 2012, n. 17438.

(29)

2. La tecnologia wi-fi e i pericoli sottesi al suo utilizzo

2.1. La rete di comunicazione wireless e il protocollo wi-fi

Per evitare confusione tra i lemmi – spesso accostati o ritenuti sinonimi – wireless e wi-fi, preliminarmente, è opportuno sottolineare gli ambiti a cui ciascuno si riferisce.

Con il termine “wireless” si indica una connessione “senza fili” generica e ad essa è contrapposta la modalità “wired”, che si avvale di connessioni cablate. Tale metodo di comunicazione può essere utilizzato per mettere in collegamento tra loro più computer o altri dispositivi elettronici: tastiere, mouse, stampanti ed altre periferiche wireless sono – oggi – diffuse. La tecnologia in esame può avvalersi di connessioni non solo via onde radio, ma anche con infrarossi o laser. Le reti wireless, che servono per trasmettere dati, adoperano importanti protocolli di comunicazione. Si parla, per questo motivo, di reti cellulari (GSM, UMTS), di reti internet wi-fi, del sistema ad infrarossi (IRDA) e del Bluetooth.

Quando si utilizza il vocabolo “wi-fi” – abbreviazione di Wireless Fidelity –, dunque, ci si riferisce ad un o standard per le reti wireless. Più precisamente, si tratta di un protocollo che certifica tutti i dispositivi che possono collegarsi a reti locali senza fili in base alle specifiche IEEE 802.1134. Il wi-fi può essere definito come una particolare tipologia di trasmissione wireless ad alta velocità che, però, utilizza solo determinate bande di frequenza (2,4 GHz e 5 GHz) e opera attraverso un router, il quale permette di collegare e mettere in comunicazione tra loro diversi computer.

L'eventuale congiunta presenza di un modem – o nel caso in cui si disponga di un modem-router35 – consente ai terminali collegati alla rete locale di

34 Tali specifiche sono stabilite dal consorzio Wireless Ethernet Compatibility Alliance.

35 Un modem, infatti, si occupa di modulare e demodulare i segnali che contengono l'informazione. In particolare, esso codifica il segnale elettrico informativo da analogico a digitale in entrata al pc e da digitale ad analogico in uscita dal computer. Tale procedura si realizza lungo il doppino elettronico.

In sostanza, un modem, consente di accedere ad internet, ma ad un solo pc.

Un router, invece, ha la capacità di instradare i dati fra molteplici e differenti reti. Esso può essere utilizzato per collegare in rete più pc, anche in assenza di una connessione ad internet.

Riferimenti

Documenti correlati

Enrico Silva - diritti riservati - Non è permessa, fra l’altro, l’inclusione anche parziale in altre opere senza il consenso scritto dell’autore.. Esperienza di Young:

La prima classificazione, introdotta dall’ ITU (International Telecommunication Union), prevedeva che le bande fossero semplicemente indicate con una sigla corrispondente

[r]

● Se non siamo nel vuoto, la velocità non è c ma c/n, dove n è l'indice di rifrazione del mezzo in cui la luce si propaga... Energia del

I campi elettrico e magnetico di un’onda elettromagnetica sono perpendicolari tra loro e perpendicolari alla direzione di propagazione dell’onda; quindi, le onde

A causa della maggiore frequenza rispetto alle bande precedenti, risulta minore l'attenuazione introdotta dalla ionosfera e quindi, tramite la riflessione, ad opera

In physics, the photon (from Greek , "phōs", meaning light) is the quantum of the electromagnetic field, for instance light. The term photon was coined by Gilbert Lewis

l’immagine “dietro” uno schermo ha i contorni netti.. Ostacolo con