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MODELLIZZAZIONE ED ANALISI DEI DATI IN UN ESPERIMENTO DI

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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI BOLOGNA

FACOLT `A DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE NATURALI Corso di laurea in Fisica

MODELLIZZAZIONE ED ANALISI DEI DATI IN UN ESPERIMENTO DI

DINAMICA DELLE FRATTURE

Tesi di Laurea di: Relatore:

Enrico Lunedei Chiar.mo Prof. Giorgio Turchetti

Correlatori:

Dott. Bruno Giorgini Dott. Matteo Ciccotti Chiar.mo Prof. Graziano Servizi

Parole chiave: dinamica delle fratture, propagazione a scatti, sistemi dinamici, analisi di stabilit`a, nastro adesivo

II Sessione

Anno Accademico 2000/2001

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Ai miei genitori Clara e Renato ed a mio fratello Riccardo

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”Far uscire dei numeri sensati da un calcolatore `e, di per s´e, un’arte”

Prof. G. Servizi

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NOTE ALLA RISTAMPA

1) In questa ristampa del 29 ottobre 2002 sono stati corretti gli errori pre- senti nella versione ufficiale e nelle ristampe precedenti a questa.

2) Recentemente, grazie all’uso di un diverso algoritmo d’integrazione, ho ottenuto un risultato notevolmente pi`u affine a quello di Hong e Yue rispetto a quello presentato nella tesi; il lavoro `e tuttavia fermo, quindi non si pu`o affermare null’altro sulle caratteristiche di questo risultato, che quindi, per il momento, deve essere considerato di natura preliminare ed in attesa di ulteriori conferme.

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Ringraziamenti

Questo mio primo lavoro di ricerca, pur nell’assoluta modestia del suo valore per la scienza, `e stato per me una sfida impegnativa: per la prima volta, nel corso dei miei studi, non ho trovato innazi a me un libro od un corso in cui il lavoro di altri fosse presentato nel suo aspetto defintivo, in cui gli argomenti si susseguissero con tranquillizzante logica, una strada cio`e che altri gi`a avessero tracciato e che, per quanto impervia, basti seguire. In questo caso mi sono imbattuto in problemi aperti, sentieri incerti, tentativi falliti e presunti fallimenti che invece, risvegliati da nuova luce, tornano ad essere argomenti validi; in questi mesi si sono susseguiti momenti di entusiasmo e di sconforto, di lavoro proficuo e di risultati deludenti, di convinzione e di smarrimento, di appagamento e di noia: ma questa, mi dicono, `e la ricerca scientifica.

Per questo ora devo e soprattutto voglio ringraziare tutti coloro che hanno, in varie forme sostenuto il mio percorso formativo.

Anzitutto la squadra di lavoro. Il mio relatore, il prof. Turchetti, per aver seguito, con il suo noto rigore matematico, il lavoro complessivo, ed indicato le strade ed i metodi fisico-matematici. Il dott. Giorgini, per avermi introdotto all’argomento, fatto comprendere molti aspetti di natura prettamente fisica e per aver seguito il lavoro con entusiasmo, seppur spesso decisamente esagerato. Il dott. Ciccotti, soprattutto per le numerose spie- gazioni sempre molto chiare e spesso fondamentali per la comprensione di molti aspetti fisici. Il prof. Servizi, per avermi insegnato i linguaggi C e TEX e molti altri elementi d’informatica, nonch´e per la sua disponibilit`a

(10)

quasi divergente, nonostante l’eccessiva propensione pel ”fai da te” infor- matico che lo contraddistingue. Il dott. Bazzani, i componenti tutti del gruppo di ricerca in cui ho lavorato e la dott.ssa Morrone, del Dipartimento di Geologia, nonch´e il prof. Hong, dell’Universit`a Lehigh di Bethlehem in Pennsylvania (Stati Uniti d’America), per avermi inviato il lavoro in suo possesso sull’argomento.

Ringrazio poi tutti gli insegnanti che hanno guidato i miei studi: dalle Maestre elemtari Magnani e Ravaglia, il cui lavoro nel fornirmi le basi dell’apprendimento `e stato essenziale, ai Professori dell’Istituto Tecnico per Geometri, ove ho compiuto i miei studi superiori, che, oltre al valido in- segnamento, hanno saputo indirizzarmi verso gli studi universitari, fino ai Docenti del corso di Laurea in Fisica, per le nozioni ed i metodi che ho appreso.

Un ringranziamento va a quei compagni di scuola che all’epoca mi furono, in diversi gradi, vicini, in particolare a Luca. Un sentito grazie non pu`o certo mancare a tutti quei colleghi d’Universit`a, che hanno voluto concedermi il privilegio di poterli considerare anche amici; in particolare, e mi scuso subito con tutte e tutti coloro che certamente dimenticher`o, ricordo: Ambra, Ariane, Francesca, Helenia, Mariangela, Silvia (visto il genere dei nomi pare che abbia anch’io la mia aliquota di fortuna!).

Dulcis in fundo e prima in verit`a, ringrazio la mia famiglia: i miei genitori Clara e Renato, per aver sempre assecondato le mie scelte di studio e perch´e, senza il loro aiuto, non sarei mai giunto a questo traguardo per me importantissimo, e non tanto per l’aspetto economico, certo fondamentale, ma soprattutto per il sostegno affettivo, in mancanza del quale mai avrei potuto superare i momenti pi`u difficili della mia avventura umana e di studio; mio fratello Riccardo, che, nel suo modo peculiare, non mi ha mai fatto mancare il suo affetto; e, perch´e no, il mio cane Blacky.

A tutti costoro, e soprattutto a coloro che ho dimenticato di citare, un sincero grazie.

(11)

Indice

Indice

i

Introduzione

v

Organizzazione della tesi viii

Riassunto

ix

Capitolo I

Stato dell’arte

1

§1.1. La dinamica a scatti o fenomeno dello ”stick-slip” 1

§1.2. Elementi di dinamica delle fratture 4

1.2.1. Forze d’adesione e d’aderenza 4

1.2.2. Tasso di restituzione dell’energia meccanica e curva di dissipazione 8 1.2.3. Curva di dissipazione pei materiali visoelastici 9

1.2.4. La pelatura e la relazione di Kendall 11

§1.3. La line di frattura nel nastro adesivo 14

§1.4. Gli apparati sperimentali 17

§1.5. Il primo apparato sperimentale: trazione a motore da rotolo 19

§1.6. Il secondo apparato sperimentale: trazione a peso da rotolo 23

§1.7. Il terzo apparato sperimentale: trazione a motore da piano 29

§1.8. Sulla forza di aderenza F0 32

(12)

Capitolo II

Studio delle equazioni

39

§2.1. Introduzione 39

§2.2. Descrizione del primo apparato sperimentale 40

§2.3. Il modello di Maugis: costruzione 42

§2.4. Il modello di Maugis: analisi di stabilit`a 46 2.4.1. Determinazione del bacino d’attrazione 49

§2.5. Il modello di Maugis: il ciclo limite e la biforcazione di Hopf 53

§2.6. Il modello di Maugis: integrazione numerica 55

§2.7. Il modello di Hong-Yue: costruzione 67

2.7.1. Sistema di Hong-Yue semplificato 75

2.7.2. Prodromo alla soluzione del sistema di Hong-Yue 75

§2.8. Il modello di Hong-Yue: i risultati di Hong e Yue 77

2.8.1. Altre simulazioni 84

2.8.2. Osservazioni sul lavoro di Hong e Yue 90

§2.9. Il modello di Hong-Yue: sviluppo in (F, v, ω) 91

2.9.1. Analisi di stabilit`a 93

2.9.2. Integrazione numerica 101

2.9.3. Analisi della zona irregolare 110

2.9.4. Variante con salti 113

2.9.5. Sviluppo in (v, α, ω) 113

§2.10. Il modello di Hong-Yue: sviluppo in (F, α, ω) 114

§2.11. Il modello di Hong-Yue: sviluppo in 4 variabili 117

§2.12. Considerazioni finali sui modelli di Maugis ed Hong-Yue 118

§2.13. Descrizione degli algoritmi d’integrazione e di diagonalizzazione 122

2.13.1. Algoritmo d’integrazione 122

2.13.2. Algoritmo di diagonalizzazione 125

§2.14. Descrizione del secondo apparato sperimentale: la trazione a peso 126

2.14.1. Il caso ˙z = costante 133

§2.15. Descrizione del terzo apparato sperimentale: la trazione da piano 135

2.15.1. Sviluppo in (x, v) 140

2.15.2. Sviluppo in (F, x) 143

§2.16. Ipotesi per la determinazione di F0(v) 144

Capitolo III

Studio dei dati

147

§3.1. Il nuovo esperimento 147

§3.2. La motivazione dell’esperimento 150

(13)

§3.3. I dati sperimentali ed il loro trattamento 152

§3.4. Il periodo medio 157

§3.5. La distribuzione su livelli 162

§3.6. L’ipotesi deterministica 166

§3.7. L’ipotesi stocastica 174

Conclusioni

177

Prospettive future 179

Appendice A

Richiami matematici

181

§A.1. Sulle funzioni reali 181

§A.2. La stabilit`a non lineare 184

§A.3. Il calcolo della jacobiana e delle hessiane pel sistema (2.35) 194

Appendice B

Cenno di statistica

201

Stima della probabilit`a mediante la frequenza 201

Bibliografia

203

Altre letture: fratture, materiali e dinamica a scatti 205

Altre letture: caos e complessit`a 205

(14)
(15)

Introduzione

Lo studio dell’evoluzione delle fratture presenta svariate difficolt`a fra cui in particolare la sua essenza tridimensionale: la linea di frattura sviluppasi variando, a volte in modo difficilmente prevedibile, tanto la sua direzione di avanzamento, quanto la sua angolazione rispetto ad essa. Chiaramente lo studio semplificasi assai qualora vi sia modo di conoscere a priori tali carat- teristiche, ed ancor pi`u s’esse permangono costanti nel tempo. Quando si asporta uno strato da un rotolo di nastro adesivo, che `e un sistema viscoelas- tico, si crea una frattura fra lo strato di colla e quello di nastro sottostante, ovvero all’interno dello strato di colla stesso; tal frattura ha proprio le volute caratteristiche: si propaga sempre in una direzione nota e sostanzialmente resta perpendicolare a tal direzione. Da qui `e nata l’idea di studiare lo srotolamento del nastro adesivo come semplice modello di dinamica delle fratture. A met`a degli anni ottanta due fisici francesi, M. Barquins e D.

Maugis, hanno realizzato pi`u serie d’esperimenti su tali basi, cercando di capire come evolvesse la frattura sotto opportune condizioni iniziali, in par- ticolare come fosse legata la sua velocit`a d’avanzamento alla forza od alla velocit`a applicate alla porzione di nastro che veniva asportata. In tale lavoro essi scoprirono un fenomeno piuttosto sorprendente: la pelatura a basse velocit`a si mostrava molto regolare, ma, incrementando tal velocit`a, iniziava a manifestarsi il fenomeno oscillatorio di propagazione a scatti, che scompariva continuando ad aumentare la velocit`a di trazione. Gli aspetti interessanti dello studio divennero cos`ı due:

i) il fenomeno della propagazione a scatti, noto anche come “stick-slip”,

(16)

consistente in un moto in cui alternansi fasi lente ( nelle quali si crea un accumulo d’energia in parti del sistema ) e veloci ( nelle quali l’energia liberasi con violenza );

ii) l’esistenza d’un sistema fisico, caratterizzato da un parametro di con- trollo che, ad una variazione monot`ona di tal parametro, passa da uno stato “ordinato” ad uno “disordinato” ( per il momento a questi termini va attribuito soltanto un carattere descrittivo, non concetti di termodinamica od autoorganizzazione ) per poi tornare ad una configurazione d’“ordine”

del tutto analoga a quella iniziale.

La propagazione a scatti `e un tipo di dinamica osservato anche in altri siste- mi fisici, e che pare caratterizzare il fenomeno della fratturazione in s´e, anche ad esempio in campo geologico; nel caso del nastro adesivo evidentemente la sua comparsa `e legata alle propriet`a elastiche del polimero costituente il nastro vero e proprio, ed alle propriet`a adesive della colla.

L’aspetto (ii) `e peculiare in quanto, nei sistemi fisici ove si sia osservata una transizione verso stati meno “ordinati” al variare d’un parametro di controllo, il ritorno allo stato “ordinato”, quando possibile, `e legato ad un’inversione del verso di variazione del parametro stesso.

La spiegazione della dinamica della frattura in questo contesto si snoda quindi nella comprensione di questi due fenomeni. Se si disponesse di un modello microscopico delle propriet`a del collante e di uno sulle propriet`a del polimero, si potebbe ricercare in essi la spiegazione, sebbene senza garanzie di riuscita. Tuttavia non disponendo ( n´e all’attualit`a n´e all’orizzonte ) di ci`o, nell’ultimo quindicennio si sono susseguiti altri esperimenti e si sono sviluppate analisi teoriche per tentare di venire a capo di questi fenomeni, ma il risultato pare ancora lontano.

Dall’esperiemnto di Barquins e Maugis in poi sono stati realizzati model- li basati sulle variabili macroscopiche caratteristiche del sistema: forza e velocit`a di trazione del nastro, posizione del punto di frattura, velocit`a angolare del rotolo di nastro, velocit`a di avanzamento della linea di frat- tura. Questi modelli consistono in sistemi di equazioni differenziali ordi- narie, talora vincolati, leganti tali variabili e le loro derivate prime rispetto al tempo.

Il principale obiettivo di questa tesi `e l’approfondimento dello studio di tali sistemi, in particolare la ricerca della loro soluzione.

Il lavoro consiste anzitutto nel ripercorrere la costruzione dei modelli, ovvero la trascrizione matematica delle leggi fisiche che si presume debbano legare

(17)

le variabili, analizzando in dettaglio quali siano le approssimazioni assunte:

esse hanno gran rilevanza sulla forma delle equazioni ottenute; ponendo ordine fra queste ultime, compongonsi i sistemi.

La seconda fase del lavoro consiste nel ricercare i possibili sviluppi analitici di tali sistemi, con lo scopo di ottenerne l’aspetto migliore per svolgere le analisi formali, laddove si riveli possibile, nonch´e quello pi`u idoneo per eseguire l’integrazione numerica. Nel caso dell’apparato sperimentale in cui lo srotolamento `e attuato da un grave in caduta, il modello matematico `e costruito da zero, non essendo stato realizzato in passato.

Il successivo passo `e lo studio dei punti fissi, quando esistono, con i tradi- zionali metodi analitici, ove necessario integrati da metodi numerici ( per la risoluzione di equazioni algebriche di terzo gardo ), al fine di confermare quanto si ritrova nei lavori del passato.

Ci`o fatto si svolge l’integrazione numerica ex novo dei sistemi di equazioni, palesando i metodi utilizzati ed indicando i limiti sia di quest’ultimi, che delle soluzioni scaturitene. Si confermano le soluzioni di Barquins e Maugis sul loro modello e si evidenziano i problemi di carettere formale e logico affliggenti le soluzioni che i fisici statunitensi Hong e Yue hanno trovato per un modello da essi stessi proposto, da un lato attraverso l’esame della loro opera e dall’altro mediante nuovo lavoro: in particolare il metodo di risoluzione numerica si applica sia in modo analogo al loro, sia a nuove rielaborazioni del modello. Infine si integrano le equazioni del modello di trazione da piano.

La parte restante della tesi `e rivolta all’avvio dell’analisi di un insieme di dati sperimentali di recente raccolti, con lo scopo primario d’indagare il fenomeno dello ”stick-slip” in s´e, in particolare degli intervalli temporali che ne caratterizzano i tipici cicli.

Dapprima si evidenziano i problemi d’analisi dei dati e si espongono metodi per tentare di superarli. Quindi si mostra, in un caso, l’andamento del periodo medio dei cicli con la velocit`a di trazione e come i periodi tendano a raggrupparsi su livelli discreti. Si d`a inizio allora allo studio del susseguirsi dei diversi periodi nel corso d’ogni prova, formulando sia ipotesi determini- stiche, verificabili con metodi d’immersione, sia ipotesi stocastiche, analiz- zabili con l’ausilio della teoria dei processi markoviani.

(18)

Organizzazione della tesi

La tesi si articola in tre capitoli:

1) Capitolo I

Dopo una succinta esposizione del fenomeno della fratturazione, compare una rassegna sugli esperimenti svolti in passato ed infine si espone la deri- vazione di una espressione analitica per la forza d’aderenza.

2) Capitolo II

Anzitutto vien presentato il modello sperimentale pi`u utilizzato, vengono studiati analiticamente e numericamente i modelli matematici che tentano di descriverlo, quello di Maugis et al. e quello di Hong-Yue, e sono spiegati i metodi numerici di cui s’`e fatto uso. Due paragrafi sono poi dedicati all’esame degli altri due modelli sperimentali utilizzati, con il trattamento analitico delle equazioni riguardanteli ed un limitato calcolo numerico. Un ultimo paragrafo riguarda una possibile descrizione della forza d’adesione.

3) Capitolo III

Il nuovo esperimento vien descritto, si presentano i risultati sperimentali ed i problemi del loro trattamento, le prime emergenze dalla loro analisi e le ipotesi sulla natura del processo che ne derivano.

(19)

Riassunto

Riassumonsi qui le problematiche scientifiche affrontate ed i risultati ot- tenuti in questa tesi.

Le forze interatomiche che assicurano il legame fra due materiali sono de- scritte, a livello macroscopico, come ”forza d’adesione”; la forza, sempre macroscopica, ch’`e necessario applicare dall’esterno ai materiali per pro- durre fra essi una frattura si chiama ”forza d’aderenza”: quest’ultima `e superiore alla precedente, in quanto deve fornire sia l’energia necessaria a rompere i legami chimici di cui sopra, che quella che resta immagazzinata nelle deformazioni plastiche dei materiali stessi. Risulta che il lavoro per unit`a d’area della frattura prodotto dalla forza d’aderenza `e proporzionale alla velocit`a con cui propagasi la linea di frattura v, dacch´e scrivesi Φ(v). La forma di tal fuzione dipende dalla categoria dei materiali che si fratturano:

pei materiali viscoelastici `e mostrato un esempio della curva G = Φ(v) nella Fig.R.1, riproducente la Fig.1.7; tal Φ(v) ha tre rami: due a pendenza positiva, a velocit`a basse ed elevate, che sono i rami stabili lento ( v pic- cola ) e veloce ( v grande ), ed un terzo, a pendenza negativa, per velocit`a intermedie, che riguarda una zona il cui il moto non `e regolare.

(20)

Fig R.1 - Esempio di curva di dissipazione pel nastro adesivo

Nel caso della pelatura, tipo di fratturazione in cui un sottile strato di materiale `e asportato da un supporto massivo, se b `e la larghezza trasversale del foglio di materiale asportato, la forza di adesione si pu`o scrivere nella forma: F0(v) = b · Φ(v), ed ha quindi lo stesso andamento della Φ(v).

Nel caso di un particolare tipo di nastro adesivo questa funzione `e (1.12) rappresentata in Fig.R.2, corrispondente alla Fig.1.17.

Nello studio della linea di frattura del nastro adesivo si sono osservati tre regimi dinamici: due regolari e stazionari verificantisi nelle regioni in cui la velocit`a di trazione del nastro asportato v si trova in corrispondenza ai rami di F0(v) con pendenza positiva, ed una, quella centrale, laddove F00(v) <

0, in cui si manifesta il fenomeno di propagazione a scatti o ”stick-slip”.

Quest’ultimo `e un tipo di dinamica oscillatoria osservata in diversi sistemi fisici, che consiste nell’alternarsi di una fase di stasi (”stick”), in cui parti del sistema accumulano energia elastica, seguita da una di scivolamento (”slip”), nella quale tale energia liberasi con violenza.

Quanto or ora detto `e stato determinato negli anni ottanta dai fisici francesi Barquins e Maugis, ma la dinamica a scatti non ha a tutt’oggi

(21)

0.000 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 12.000 14.000 16.000 18.000 20.000

0.001.272.533.805.066.337.608.8610.1311.3912.66 0.001.272.533.805.066.337.608.8610.1311.3912.66

0.000 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 12.000 14.000 16.000 18.000 20.000

v (m/s)

Ff (N)

b. grafico di F0(v) per 0.00<=v<=20.00

0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 0.06 0.07 0.08 0.09 0.1

0.000.941.872.813.744.685.616.557.488.429.35 0.000.941.872.813.744.685.616.557.488.429.350 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 0.06 0.07 0.08 0.09 0.1

v (m/s)

Ff (N)

a. grafico di F0(v) per 0.00<=v<=0.10

Fig R.2 - Grafico della F0(v) definita in (1.12) fra 0 e 20 m/s

(22)

trovato adeguata descrizione n´e valida spegazione.

Lo studio della dinamica della linea di frattura nel nastro adesivo `e stato svolto facendo uso di tre apparati sprimentali ( Fig.R.3, riproducente la Fig.1.9 );

i) lo srotolamento dal rotolo originale, mediante riavvolgimento su un roc- chetto fatto ruotare da un motore,

ii) lo srotolamento dal rotolo originale, mediante le trazione prodotta da un grave in caduta,

iii) la trazione da un piano orizzontale esercitata mediante riavvolgimento su un rocchetto, fatto ruotare da un motore;

il rotolo originale `e identificato come “debitore”, mentre l’altro `e detto

“rullo avvolgitore”. Negli apparati (i) ed (iii) si realizza un esperimento “a velocit`a imposta”, in quanto `e il valore della velocit`a di trazione ad essere imposto, mentre nel (ii) l’esperimento `e “a forza imposta”.

Il pi`u utilizzato di questi `e il primo, ch’`e caratterizzato da due paramentri di controllo: la distanza fra i due rotoli e, pi`u importante, la velocit`a con cui viene tratto il lembo di nastro asportato, indicata con V0.

Gli esperimenti di Barquins e Maugis sono stati svolti con questo apparato, nel 1986, ed essi ne hanno anche sviluppato un modello teorico, detto ”mod- ello di Maugis”. Si tratta di un sistema dinamico a pochi gradi di libert`a, costituito cio`e da equazioni differenziali ordinarie fra la forza di trazione F e velocit`a d’avanzamento della frattura v:

F (t) =˙ −k · [v(t) − V0]

˙v(t) = RI2 · [F (t) − F0(v(t))] , (R.1) ove k `e la costante elastica del nastro, I il momento d’inerzia del rotolo debitore ed R il suo raggio. Tal modello prevede il moto stazionario laddove, F00(v) > 0: ivi la soluzione del sistema consiste in un avanzamento della frattura con v = V0 e F = F0(V0), cos`ı come si osserva empiricamente; le zone in cui il moto osservato sperimentalmente `e stazionario sono state cos`ı utilizzate per ottenere punti sperimentali della curva F0(v) di cui s’`e detto all’inizio: ogni punto (V0, F ) corrisponde al punto (V0, F0(V0)) pel grafico di tal funzione.

(23)

c) a)

b)

0

L

0

L

R R

Fig R.3 - Rappresentazione pittorica dei tre apparati sperimentali

(24)

Nella zona in cui il moto osservato sperimentalemte consiste nella dina- mica a scatti, opportune considerazioni teoriche hanno condotto Barquins e Maugis a descrivere la forza d’aderenza come composta da un ramo a pendenza negativa, F00(v) < 0, congiungente i due rami stabili. In questa zona il modello di Maugis fornisce soluzioni che convergono verso un ciclo limite attrattivo, realizzantesi fra il ramo lento e quello veloce della F0(v);

si `e cos`ı fatta largo l’ipotesi che i cicli di ”stick-slip” siano descrivibili, a livello mesoscopico, come cicli limite nel piano (v, F ): nei momenti in cui la velocit`a di propagazione v assume valori piccoli ( quasi-stasi ) si ha accumulo d’energia elastica, quando passa a valori pi`u elevati di circa due ordini di grandezza ( avanzamento ) si ha la liberazione dell’energia elastica ).

Ho ripercorso la costruzione di questo modello e ne ho svolto una analisi di stabilit`a e l’integrazione numerica, trovando conferma delle affermazioni di Barquins e Maugis. Due problematiche sono per`o emerse; anzitutto, al crescere di V0 nella zona irregolare si osserva che i cicli non sono pi`u contenuti nel primo quadrante del piano (v, F ): valori negativi di tali vari- abili sono privi di senso fisico in questo modello, essendo indici del fatto che si ha un allentamento del nastro libero, situazione che il modello `e intrinsecamente incapace di descrivere; ci`o rende inapplicabile in generale l’interpretazione anzidetta, in quanto sperimentalmente continua ad osser- varsi il fenomeno della propagazione a strappi per tutti i valori di V0 nella zona di moto non stazionario. In secondo luogo, il modello di Maugis `e solo fittiziamente a due gradi di libert`a: invero ne nasconde un terzo, l’angolo α. Dal modello di Hong-Yue, che ora si andr`a ad esporre, si vede che le differenze fra F ed F0, ammesse dal modello di Maugis, devono imputarsi al valore dell’angolo α: in effetti il modello `e costruito sulla tacita, e peral- tro del tutto arbitraria, assunzione che valga ˙α ∼ 0, pur essendo ammesse variazioni dell’angolo; la questione certo non `e limpida. I problemi sono quindi tali da non consentire di attribuire a questo modello il carattere di spiegazione completa del fenomeno.

Successiavamente altri sviluppi sono seguiti, ed in particolare ha visto la luce una altro modello teorico, il ”modello di Hong-Yue”, dal nome di due fisici che lo hanno proposto nel 1995. Alle variabili del modello di Maugis si aggungono la posizione angolare della frattura α e la velocit`a angolare del rotolo debitore ω. Nella sua forma semplificata il modello `e espresso dal

(25)

sistema:





F (t) = k˙ {R · senα(t) · ˙α(t) − [v(t) − V0]}

˙ω(t) = RIF (t)· senα(t)

˙α(t) = v(t)R − ω(t)

F (t)· [1 − senα(t)] = F0(v(t))

. (R.2)

Nelle zone regolari il modello di Hong-Yue fornisce risultati analoghi a quello di Maugis, mentre nella zona di propagazione a scatti il comportamento `e pi`u complicato.

I due autori affermano che esso produca cicli limite analoghi a quelli di Maugis, ma composti da pi`u sottocicli il cui numero aumenta con V0, finch´e il moto diviene caotico ( esponenti di Liapounov positivi ). Dopo aver ri- derivato il modello, ne ho svolto l’analisi di stabilit`a: laddove F00(v) > 0 si verifica l’esistenza di un punto fisso stabile per ogni valore di V0, men- tre ove F00(v) < 0 il punto fisso `e iperbolico; anche in quest’ultimo caso l’analisi suggerisce che non vi sia alcun ciclo limite. L’integrazione nume- rica ha confermato ci`o , in quanto, pur avendo svolto l’integrazione di dif- ferenti sviluppi del sistema d’equazioni, il risultato `e stato assai diverso da quello presentato da Hong e Yue: nella zona centrale la traiettoria, quando l’integrazione non si arresti per altre cause, si limita a converegere in modo molto veloce ad uno dei due punti ove vale F00(v) = 0; questi punti rappre- sentano in alcune versioni delle singolarit`a, e quindi ivi la soluzione perde senso, ma anche negli sviluppi ove non si abbia quest’evenienza la soluzione evolve da tali punti in modo da produrre una violazione delle condizioni di vincolo. In alcun caso si verifica qualche comportamento che possa essere ricondotto ad un ciclo o sia altrimenti interpretabile dal punto di vista fisico.

Avendo potuto comunicare col prof. Hong ho cos`ı scoperto che l’unico modo per ottenere dei cicli consiste nell’aggiungere al sistema d’equazioni il mo- dello di propagazione catastrofica della frattura, ossia nell’assumere che il ramo a pendenza negativa di F0(v) non venga mai percorso; ci`o si realizza imponendo che, quando v, trovandosi in corrispondenza del ramo stabile lento, ne raggiunga l’estremo destro F00(v1) = 0 subisca un salto “orizzon- tale”, praticamente istantaneo, che porti la traiettoria in prossimit`a del ramo stabile veloce, con il medesimo valore di forza F : trattasi cio`e una discontinut`a imposta alla soluzione; ovviamente un salto analogo, in senso inverso, si ha al raggiungimento del confine sinistro del ramo stabile veloce.

Con tale assunzione si ottengono dei cicli molto simili a quelli di Maugis et al., che inoltre non si richiudono dopo un solo giro nel piano (v, F ), bens`ı

(26)

si presentano composti da pi`u sottocicli, il cui numero si incrementa via via che aumenta V0, finch´e la traiettoria finisce per occupare tutta l’area della proiezione del ciclo sul piano (v, F ): l’aumento del numero di cilcli `e in accordo con le pi`u recenti osservazioni sperimentali.

Ho quindi verificato tali risultati sia utilizzando direttamente il programma di Hong-Yue, sia realizzandone uno autonomo: va detto che la soluzione appare pi`u confusa utilizzando un’espressione realistica per F0(v), in luogo di quella lineare di cui hanno fatto uso i due fisici statunitensi.

Tuttavia questi risultati non sono esenti da critiche; anzitutto dal punto di vista matematico non si ha pi`u un sistema inquadrabile nella teoria delle equazioni differenziali ordinarie, quindi le ”soluzioni” cos`ı trovate non godono pi`u di una legittimazione matematica, a meno che non si si in grado di far rientrare il modello in una diversa teoria matematica, strada fin’ora mai tentata. Sotto il profilo prettamente fisico, va detto che la scelta di inserire i salti di velocit`a non ha giustificazioni a priori, ed i cicli ottenuti, data la struttura del campo di forza, sono diretta conseguenza dell’introduzione di tali salti; l’unica via per giustificare queste scelte pare essere il ricorso al modello di Maugis, ma ci`o toglie autonomia a quello di Hong-Yue. Quindi il metodo utilizzato da Hong e Yue, seppur produca risultati interessanti, appare pi`u come un cura ad hoc che come una solida spiegazione.

Ci`o che ho ottenuto `e dunque una indicazione che la dinamica della frattura nella zona di propagazione a scatti non sembra poter essere correttamente descrivibile mediante sistemi dinamici a pochi gradi di libert`a, ovvero da un piccolo numero di equazioni differenziali ordinarie.

Le integrazioni di cui sopra sono state svolte con metodi della famiglia Runge-Kutta.

Nel caso degli esperimenti a forza imposta, ci si attende un comportamento diverso: il moto `e atteso essere sempre stazionario e quindi i valori delle variabili dovrebbero essere sempre prossimi al punto (F0−1(F ), F ), dove la determinazione di F0−1 si situa su uno dei due rami stabili, in dipendenza delle condizioni iniziali; ci si attende solo che, variando la forza imposta F , si abbiano dei salti isterici fra i due rami stabili di F0(v) al raggiungimento dei suoi estremanti; non vi sarebbe cos`ı spazio per la dinamica a scatti.

Invece, in un esperiemnto realizzato da Ciccotti nel 1995 con il secondo

(27)

apparato sperimentale, contrariamente alle attese, si `e osservato il fenomeno di propagazione a strappi, in un’ampio intervallo di forze di trazione. Inol- tre si `e anche osservato che i rami stabili divengono metastabili, ovvero il sistema tende a cadere dalla dinamica regolare a quella a scatti, approfit- tando di qualsiasi disturbo, e ci`o `e tanto pi`u vero quanto pi`u si sia vicini all’estremo di un ramo. Questo comportamento non trova ancora una spi- egazione certa, ma la comparsa della propagazione a strappi pu`o essere congetturata dipendere dal fatto che, per la sua inerzia, la massa trattiva in realt`a non applichi sempre una forza veramente costante alla frattura.

Non essendovene in precedenza, ho costruito un modello matematico origi- nale di questo apparato; la sua forma pi`u semplificata `e:









˙α = ω·senα−Usenα−1z/R − ω

˙ω = R·FI · 1+rsenα2−2r cos α

−Uz · F − F2ES2·Vz + R·ωsenα−Usenα−1 z · F0(R·ω·senα−Usenα−1 z)+

+ω · R · F · 1+rsenα2−2r cos α = 0

, (R.3)

i cui parametri son definiti nel §2.14. .

L’apparato (iii), che realizza ancora un esperimento a velocit`a imposta, consente di eliminare dal gruppo di parametri l’inerzia del rotolo debitore e di ottenere un modello con due sole variabili indipendenti: forza di trazione F e posizione della frattura x; evidentemente vale v = ˙x. Anche in questo caso si presenta sperimentalmente il fenomeno di propagazione a scatti al di sopra di una certa velocit`a di trazione: con questo modello non si sono fin’ora potuti svolgere esperimenti ad alta velocit`a di trazione, a causa della limitata lunghezza del nastro sul piano.

L’apparato `e descritto dal sistema:

F =˙ Lxv2 (ES − F ) + ESL (V0− v)

˙x = v

 x

2ESLF2Lx − 1 F − F0(v) · v = 0

, (R.4)

i cui parametri son definiti nel §2.14.; ho rielaborato tal sistema ottenendo, fra l’altro, per un caso particolare, la forma di un classico sistema meccanco unidimensionale:

 ˙x = v

˙v = f (x, v) , (R.5)

(28)

ove f `e un campo piuttosto complicato; ne ho quindi ricercato la soluzione numerica, la quale si rivela comunque incapace di descrivere la propagazione a strappi: si ottiene soltanto una accelerazione sempre equiversa di x. Ovvi- amente qui l’uso della (1.12) come espressione della F0(v) `e un arbitrio, in quanto l’aderenza `e ora fra materiali diversi, tuttavia, dato che si assume una certa generalit`a di tale espressione, si ritiene accettabile il suo utilizzo anche qui, mancando peraltro un’espressione pi`u adeguata.

Visti gli scarsi successi prodotti dai modelli test`e descritti, di recente s’`e svolta una nuova sessione sperimentale con il primo apparato, cio`e a velocit`a imposta. Lo scopo primario `e la misura della durata dei cicli di ”stick-slip”:

sono state misurate le emissioni sonore prodotte dallo srotolamento del nastro, che si presentano di ampiezza molto superiore nei momenti in cui si ha la liberazione dell’energia elastica, s`ı da definire il confine dei cicli.

Ho quindi svolto l’analisi di una porzione di dati, anzitutto estraendo, per quanto possibile, dal segnale digitalizzato i picchi di tali emissioni, cor- rispondenti al momento nel quale si libera l’energia elastica, dalle dif- ferenza fra i quali si ottengono le durate dei cicli, che, non essendo tutte uguali, ho chiamato “pseudoperiodi”. In prima approssimazione, ho ot- tenuto l’indicazione di una relazione lineare fra l’inverso del valor medio degli pseudoperiodi e la velocit`a di trazione V0, mostrata in Fig.R.4, ripro- ducente la Fig.3.2.

Si vede poi una ripartizione degli pseudoperiodi su pochi livelli discreti ( da uno a sei ): la successione degli pseudoperiodi si pu`o leggere come il susseguirsi di salti fra livelli discreti. Ho quindi potuto formulare delle ipotesi di lavoro di prima approssimazione sulla descrizione di questa di- namica discreta. Le ipotesi sono due:

i) la dinamica pu`o essere descritta come un processo stocastico: ho ottenuto indicazioni, ma da prendere con estrema cautela, che non si tratti n´e di un processo totalmente aleatorio, n´e di una catena di Markov;

ii) la dinamica pu`o essere descritta come un processo deterministico: ho invero trovato una conferma, sempre nel limite della porzione di dati esam- inata, di quanto trovato da Ciccotti, Giorgini et al., ovvero che gli pseudope- riodi tendono a formare delle strutture negli spazi d’immersione a due e tre dimensioni, il che potrebbe essere indice di una dinamica deterministica.

Va detto che queste considerazioni sui dati speriemtali hanno solo valenza indicativa, in quanto si rivela una forte difficolt`a nell’estrarre i dati dal rumore di fondo, e solo in casi sporadici, per ora, si `e potuta fare una

(29)

ripulitura minuziosa. Quindi le considerazioni qui riportate non hanno, in alcun modo, un carattere conclusivo.

−0.1 0 0.1 0.2

V0 (m/s)

−1 0 1 2 3

T_m (s)

0 0.05 0.1 0.15 0.2

V0 (m/s) 0

10 20 30 40

ni_m (Hz)

0 0.05 0.1 0.15 0.2

V0 (m/s) 0

10 20 30 40

ni_m (Hz)

−3 −2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0

Log[V0/(1 m/s)]

−1

−0.5 0 0.5 1 1.5 2

Log[ni_m/(1 Hz)]

a b

c d

Fig R.4 - Andamento di Tm e νm rispetto a V0 per “den02”

(30)
(31)

Capitolo I

Stato dell’arte

§

1.1. La dinamica a scatti o fenomeno dello “stick-slip”.

La ”dinamica o propagazione a scatti od a strappi”, o fenomeno dello “stick- slip”, `e un comportamento di tipo oscillante manifestantesi in sistemi mec- canici in cui convivono forze dipendenti non monotonamente dalla velocit`a ( o da opportune altre variabili ) e comportamenti elastici: l’argomento `e trattato nel Cap.II di [B01] () e nei Cap.I e II di [B03].

Pi`u precisamente, due sono le caratteristiche che un sistema deve possedere per poter dar luogo alla dinamica a strappi:

i) l’esistenza di parti dell’apparato capaci d’immagazzinare energia elastica;

ii) la presenza di forze criticamente dipendenti da talune variazioni dello stato del sistema; ovvero, se ξ `e un opportuno insieme di variabili dinamiche, esisitono una o pi`u forze F(ξ) tali che ∇ξF|ξ=ξc = 0 e ξc sia un massimo locale.

Questo tipo di dinamica si manifesta come l’alternarsi di una fase di stasi o bloccaggio (“stick”) e di una di avanzamento o scivolamento (“slip”), talora in modo periodico, tal’altra no. L’essenza del fenomeno `e la seguente: nella

() Una sintesi di [B01] trovasi in [B02].

(32)

fase di bloccaggio le parti indicate al punto (i) immagazzinano energia in forma elastica, il che modifica lo stato generale del sistema; ad un certo punto le forze indicate al punto (ii) subiscono il cambiamento critico che consente all’energia immagazzinata di liberarsi dando luogo ad una nuova variazione dello stato del sistema che lo riporta in condizioni tali per cui ricomincia ad immagazzinare energia, ed il ciclo si ripete, anche se non necessariamente in modo eguale. Di norma la fase di accumulo d’energia, quella di stasi, ha una durata assai pi`u lunga di quella in cui essa si libera, al punto che talora l’avanzamento pu`o essere ben descritto come istantaneo:

`e per questo che il fenomeno viene a volte assimilato ad una catastrofe ( in proposito vedansi [B04] e [B05] ). `E poi proprio per la rapidt`a con cui l’energia vien liberata che la seconda fase `e spesso carartterizzata da un forte emissione acustica.

Un importante categoria delle interazioni descritte al punto (ii) `e quella delle forze d’attrito: esse si manifestano in modo diverso a seconda dello stato di moto del corpo su cui agiscono.

Proprio su esse si basa il pi`u classico esempio del fenomeno in esame: il moto d’un grave su una superficie scabra. Si consideri ( Fig.1.1 ) un parallelepipe- do omogeneo di massa m giacente su una superficie orizzontale e siano µs e µd rispettivamte il coefficiente d’attrito statico e dinamico tra quest’ultima e la superficie del grave: siano entrambi costanti e valga al solito µs > µd. Al centro di una delle facce verticali del grave sia applicata una molla di costante elastica k, l’estremo libero della quale sia tratto con una forza tale da imprimergli una velocit`a V0 costante nel tempo . Al tempo t = 0 sia la molla a riposo: allo scorrere del tempo essa si allunga della quantit`a δ(t) = V0·t, sicch´e sul grave agisce una forza orrizzontale pari a F (t) = k·δ(t); esso resta fermo finch´e tal forza viene bilanciata dalla reazione vincolare, ossia fino al valore F = m·g·µs, g essendo l’accelerazione gravitazionale. Questo superato, il corpo inizia il suo moto rettilineo, il che provoca il rilassamento progressivo della molla e la successiva decelerazione del grave, concludentesi col suo arresto: da qui ha inizio un nuovo ciclo identico.

La dinamica a strappi test`e descritta presenta una notevole analogia con la propagazione d’una frattura in un solido elastico. Invero una frattura nasce propagandosi lentamente finch´e, a causa di variazioni degli sforzi o di altri parametri rilevanti, la velocit`a di avanzamento aumenta bruscamente:

questo cambiamento critico `e l’analogo della mutazione dovuta al raggiungi-

(33)

mento del valore di forza F nel caso or ora esaminato. In conseguenza della variazione di moto della frattura il solido pu`o rompersi, oppure il ciclo pu`o ripetersi pi`u volte prima che ci`o accada: si tratta peraltro di un concetto comunemente noto. Non si pu`o quindi non cogliere l’analogia, anche se in effetti la fase di stasi viene qui in genere rimpiazzata da una fase di propagazione lenta: poich`e si `e visto che spesso la fase veloce pu`o essere approssimata come istantanea, nulla vieta di approssimare il moto lento come stasi. D’altr’onde la somiglianza concettuale `e pi`u che palese: ad una fase di quasi stasi ne segue una di propagazione violenta, la quale ancora `e accompagnata da una emissione sonora, il suono tipico di uno strappo.

Va altres`ı detto che la dinamica delle fratture non `e certo la stessa dinamica dell’attrito, le due per`o hanno in comune l’alternanza di fasi che caratterizza lo “stick-slip”.

y

x

k V0

Fig 1.1 - Grave trascinato su un piano scabro con una forza elastica

§

1.2. Elementi di dinamica delle fratture.

Si espongono ora succintamente le principali considerazioni sull’argomen- to; per un approfonimento vedansi, oltre alle op. cit., anche [B06] per i sottoparagrafi 1 e 2 e [B07] per il terzo.

(34)

1.2.1. Forze d’adesione e d’aderenza.

Si considerino due solidi omogenei S1 ed S2 uniti tra loro e sia A la super- ficie che li unisce ( Fig.1.2 ): le forze garanti di questa unione sono quelle dei legami chimici fra gli atomi sulle due superficie a contatto e prendono il nome di forze d’adesione. Esse dipendono enormemente dai tipi di solidi in considerazione: basti pensere alle forze d’adesione fra il ferro ed il suo ossido ed a quelle fra l’alluminio ed il suo ossido. Le forze di coe- sione, quelle cio`e che garantiscono l’integrit`a d’un medesimo corpo solido, si possono cos`ı vedere come un caso particolare delle forze d’adesione: quello in cui S1 ed S2 sono due arbitrarie porzioni dello stesso solido. Va sot- tolineato che le forze d’adesione, cos`ı come le altre oggetto del presente studio, hanno carattere di macroscopicit`a: descrivono gli effetti a livello macroscopico delle interazioni atomiche, dalle quali tuttavia non si `e per il momento in grado di derivarle.

S

S

1

2

γ

12

γ

2

γ

1

S

S

1

2

A

Fig 1.2 - Separazione fra due solidi

(35)

Allorch`e si applichino degli sforzi ad un solido, omogeneo o no, questi si propagano entro il medesimo producendo delle deformazioni: se gli sforzi sono abbastanza elevati vi sono alcuni punti del solido in cui si generano delle fratture, ovvero ove vengono rotti i legami chimici fra atomi vicini.

Come noto ed ovvio esse nascono in zone dove questi legami sono pi`u deboli, cio`e in prossimit`a di disomogeneit`a, dovute ad impurit`a od a superficie di contatto fra diversi materiali ().

Si supponga in questo caso che l’area A di contatto fra i due solidi cos- tituisca la zona in cui le forze d’adesione sono pi`u deboli, e si vogliano separare i due solidi. A tal fine occorrer`a applicar loro delle forze: queste ultime non potranno di norma essere applicate direttamente alla superfi- cie A di frattura, bens`ı si applicheranno in certi punti dei due corpi. Esse verranno trasmesse all’interno dei solidi medesimi finch´e, se sono sufficien- temente intense, nascer`a una frattura sulla superficie A. Ora, il diffondersi degli sforzi nel materiale produce in esso delle deformazioni, le quali posso- no essere suddivise in elastiche e plastiche. Le prime regrediscono quando, al nascere od all’avanzare della frattura l’energia in questi immagazzinata liberasi in essa ( cio`e nella rottura dei legami chimici ). Le deformazioni plastiche, o dissipative, invece restano impresse a permanenza nel materiale e quindi l’energia utilizzata per crearle `e dissipata, non potendo contribuire alla crezione della frattura. Da questo semplice ragionamento si comprende subito come le forze da applicare per produrre la frattura siano necessa- riamente superiori alle pure forze d’adesione: esse dovranno invero fornire anche il lavoro necessario a creare le deformazioni plastiche entro il materi- ale. Definiscesi quindi la forza d’aderenza come la forza ch’`e necessario applicare dall’esterno per ottenere la sparazione di S1 ed S2: essa `e mag- giore della corrispondente forza d’adesione e dipende da pi`u parametri, tra i quali in particolare la geometria dei solidi, le modalit`a d’applicazione delle forze e le condizioni ambientali ( temperatura ed umidit`a ) ().

() Si pone in evidenza che non necessariamente le fratture nascono nelle aree di contatto fra due materiali diversi, perch´e i legami chimici fra materiali divesi possono talora essere pi`u resistenti di quelli all’interno di uno stesso materiale: in tal caso la frattura apparir`a in zone omogenee del solido. Una prova di un tal comportamento `e la possibilit`a di scrivere col gesso su una lavagna.

() Naturalmente `e necessario anche un lavoro contro la gravit`a e gli attriti vari

(36)

Pi`u precisamente, sia γ12 l’energia dei legami chimici contenuti nell’unit`a di superficie di contatto A fra i due solidi S1 ed S2 che verrebbero rotti se tali solidi si separassero; siano poi Γ0i l’energia complessiva dei legami chimici contenuti nel solidio i isolato e Γ00i l’energia complessiva dei legami chimici contenuti nel solidio medesimo legato ad Sj (j 6= i) al netto di γ122·A. Si possono allora definire le energie di superficie dei due solidi come:

γi ≡ Γ0i − Γ00i

A , i = 1, 2.

Ci`o fatto, si definisce energia d’adesione di Dupr´e la quantit`a:

w ≡ γ1+ γ2− γ12 , (1.1)

che equivale al lavoro per unit`a di superficie di contatto necessario a separare S1 ed S2 in modo isotermo e reversibile, cio`e senza dissipazione; ovviamente ha luogo l’adesione solo se w > 0. Sia ora n(t) il versore indicante direzione e verso istantanei, al tempo t, in cui la frattura si propaga: la velocit`a istantanea della linea di frattura `e allora v(t) = v(t) · n(t); sia infine b(t) la larghezza della frattura medesima in direzione ortogonale ad n(t). La forza d’adesione Fads resta cos`ı implicitamente definita dalla relazione:

Z t+Tt

t

Fads(τ )· v(τ) dτ ≡ w, (1.2) ove Tt `e il tempo nel quale, dall’istante t, la frattura spazza un’area unitaria, ed `e quindi definito implicitamente come:

A(Tt)− A(t) ≡ 1 m2

essendo A(t) l’area spazzata dalla frattura fino al tempo t:

A(t) ≡ Z t

0

b(τ )· v(τ) dτ. (1.3)

anche solo per allontanare i due pezzi separati, che non va per`o considera- to, in quanto non concerne il meccanismo di fratturazione: bisogna tener conto solo delle forze necessarie a produrre la frattura, cio`e si considera infinitesimo l’allontanamento dei due corpi.

(37)

La forza d’aderenza Fadr resta invece definita come la forza da appli- care per produrre una frattura d’area unitaria fra i corpi. Essa `e superiore alla precedente in quanto:

Fadr = Fads + Fdis (1.4)

ove Fdis `e l’insieme di forze dissipative dovute alle deformazioni plastiche dei solidi in contatto, le quali dipendono dai fattori poc’anzi citati.

La forza d’aderenza si pu`o considerare anche come una misura della re- sistenza complessiva, per unit`a d’area, che il materiale oppone all’avanza- mento della frattura.

In virt`u di quanto visto, si definisce l’adesione come un fenomeno fisico, chimico o chimico-fisico che produce l’aderenza, come sintetizzato dalla Fig.1.3.

forze d´adesione forze d´aderenza

S

S

1

2

Fig 1.3 - L’adesione produce l’aderenza

DettiLads,Ladr,Ldis, i lavori delle tre forze, vedesi subito che per definizione vale:

w = ∂Lads

∂A

(38)

e poi dalla (1.4) ricavasi:

∂Ladr

∂A =

Z t+Tt

t

Fadr(τ ) · v(τ) dτ =

=

Z t+Tt

t

[Fads(τ ) + Fdis(τ )] · v(τ) dτ =

= ∂Lads

∂A + ∂Ldis

∂A = w + ∂Ldis

∂A .

1.2.2. Tasso di restituzione dell’energia meccanica e curva di dis- sipazione.

Storicamente `e stata introdotta, per descrivere la dinamica della frattura, una variabile denominata tasso di restituzione dell’energia G, definita come la quantit`a di energia meccanica assorbita dal sistema per

unit`a di superficie spazzata dalla frattura:

G ≡ ∂Em

∂A = ∂Ladr

∂A = w + ∂Ldis

∂A . (1.5)

Ovviamente nel caso di una separazione isoterma e reversibile vale:

G = w.

Nelle situazioni reali `e invece indispensabile tener conto del secondo termine della (1.5): risulta sperimentalmente, ed anche da considerazioni teoriche, che questo dipende dalla velocit`a di propagazione della frattura v, in modo mediato da un coefficiente dipendente dalla temperatura:

G = Φ(v) ≡ w · (1 + ϕ(aT · v)), (1.6) dove il termine di dissipazione `e posto linearmente proporzionale all’energia di adesione di Dupr´e in quanto l’entit`a delle deformazioni all’interno del materiale `e tanto pi`u grande quanto pi`u grandi sono gli sforzi che la linea di frattura `e in grado di reggere prima che i legami si rompano.

(39)

La funzione Φ(v) si chiama curva di dissipazione ed altro non `e, ovvia- mente, che il lavoro della forza d’aderenza per unit`a d’area della frattura:

Φ(v) = ∂Ladr

∂A .

Il punto fondamentale consiste nel fatto che i tratti essenziali della curva di dissipazione sono pressoch´e identici all’interno di ogni categoria in cui si possono raggruppare i materiali in base alle loro caratteristiche.

1.2.3. Curva di dissipazione pei materiali viscoelastici.

Una delle categorie di cui s’`e test`e detto, ed `e quella che interessa nel pre- sente lavoro, `e quella dei materiali viscoelastici. Per tali materiali un esem- pio di curva di dissipazione `e mostrato in Fig.1.4: la funzione `e costituita dalle tre linee curve, due continue ed una tratteggiata; le linee con le freccie ed i termini “stabile” e “stick-slip” riguardano il caso specifico trattato nei prossimi parargrafi e Capitoli. Come vedesi Φ(v) ha tre rami, due a pen- denza positiva relativi a velocit`a v basse ed elevate, caratterizzati dall’essere stabili e sperimentalmente confermati, ed uno a pendenza negativa, alle ve- locit`a intermedie, congiungente gli altri due e con caratteristiche di insta- bilit`a, l’esistenza del quale `e tutt’ora dubbia: il primo ed il terzo ramo pren- dono rispettivamente il nome di ramo stabile lento e ramo stabile veloce, mentre quello intermedio `e il ramo a pendenza negativa. L’esistenza di quest’ultimo `e stata dedotta confrontando la struttura degli altri due rami ottenuti sperimentalmente ( cfr. Fig.1.11 ) con la Φ(v) descrivente le frat- ture dissipative ( ove l’andamento `e qualitativamente simile ad una parabola con concavit`a negativa ) e con quella descrivente le fratture fragili ( ove l’andamento `e quello d’un’iperbole traslata ). Il primo caso `e quello in cui la frattura ha luogo con grande dissipazione, la quale a basse velocit`a dipende da v con legge di potenza ed ad una velocit`a abbastanza bassa subisce un rapido calo. Le fratture fragili invece si propagano con pochissima dissi- pazione, la quale quindi cresce con v su tutto il regime di velocit`a ed ha un incremento iperbolico quando v avvicinasi alla velocit`a di propagazione delle onde sonore nel mezzo, detta veloct`a di Reyleigh vR: Φ(v) diverge all’approssimarsi di v a vR secondo la legge v−v1

R.

(40)

Fig 1.4 - Esempio di curva di dissipazione pei materiali viscoelastici La dinamica di propagazione d’una frattura in un qualsiasi materiale `e sempre descrivibile come la somma di una propagazione dissipativa e di una fragile: in alcuni materiali la componente dissipativa `e trascurabile, in altri, a velocit`a basse, `e dominante ( queste considerazioni sono tratte da [B08], a cui rimandasi per un approfondimento ). In conseguenza del loro lavoro, Barquins e Maugis hanno quindi avanzato la proposta che i materiali viscoelastici rientrino nel secondo caso, di modo che Φ(v) sia data dalla somma delle due curve, il che d`a appunto una forma del tipo mostrato in Fig.1.4. Quindi il ramo a pendenza negativa `e dedotto solo da considerazioni teoriche, in quanto in questa zona di velocit`a non si dispone di dati empirici in grado di ricostruire la forma della curva di dissipazione; permane invero ignoto se la frattura percorra quest’ultimo ramo o se la zona centrale sia interdetta. L’interpretazione delle evidenze sperimentali ha portato cio`e ad ipotizzare anche che il moto della frattura possa avere un carattere di discontinuit`a: cio`e che il sistema salti in modo catastrofico dall’un ramo all’altro La forma della curva, in ogni caso, rende Φ(v) non iniettiva, sicch´e,

(41)

a parit`a di forza imposta, la frattura pu`o procedere a velocit`a differenti; si verificano di fatto dei fenomeni d’isteresi: al variare della forza la velocit`a della frattura si mantiene sul ramo su cui si trova finch´e ci`o resta compatibile con la forma di Φ(v) e cambia ramo solo quando raggiunge un estremante.

Altra cosa da notare `e che, nel limite di velocit`a infinitesima, Φ(v) tende al valore w > 0, il che esprime il fatto che la frattura nasce solo allorch´e gli sforzi applicati superino il valore di soglia da esso definito.

1.2.4. La pelatura e la relazione di Kendall.

Col termine di pelatura si indica un particolare metodo di fratturazione consistente nel distaccare un sottile strato di materiale (S1) da un supporto rigido (S2) ( Fig.1.5 ): in generale si tratta di materiali diversi, talora incollati fra loro.

linea di frattura

b h F

S S

2

θ 1

v eV0

Fig 1.5 - Rappresentazione schematica della pelatura

Per legare le osservabili dinamiche alla curva di dissipazione, nel 1975 Kendall determin`o la seguente relazione ( [B07] ):

G =  F b



(1− cos ϑ) + F b

2

1

2Eh (1.7)

( ove E `e il modulo di Young del sistema formato dal nastro e dallo strato di colla ad esso legato ) la quale `e stata ricavata in svariate situazioni di pelatura e resta sempre confermata. Il secondo addendo diviene trascurabile

(42)

per ϑ > 30, nel qual caso si utilizza la relazione di Kendall approssimata:

G = F b



(1− cos ϑ) , (1.8)

gi`a proposta da Rivlin nel 1944. La conoscenza di questa formula permette, grazie alla (1.6), di determinare in modo esplicito la relazione fra le variabili dinamiche, ottenendo la descrizione del moto della frattura come sistema dinamico.

La relazione di Kendall pu`o essere espressa univocamente in termini di forze, anzich`e di energia. Poich´e Φ(v) altro non `e che il lavoro per unit`a d’area della forza d’aderenza, si dovr`a a priori supporre quest’ultima funzione di v: questa forza si indica con F0(v). Essendo:

∆A(t) ' b · ∆x(t) = b · v(t) · ∆t

e:

∆Ladr(t) ' F0(v(t))· v(t) · ∆t, applicando la definizione si ha:

Φ(v(t)) = lim

∆A(t)→0+

∆Ladr(t)

∆A(t) = F0(v(t))

b ,

sicch´e la forza d’aderenza `e semplicemente:

F0(v) = b· Φ(v). (1.9)

La Fig.1.6 rappresenta F0(v) ( per un b arbitrario ) derivata dalla Φ(v) generica di Fig.1.4 mediante la (1.9).

(43)

Fig 1.6 - Esempio dell’andamento della forza d’aderenza in funzione della velocit`a della frattura F0(v) pei materiali viscoelastici

Riunendo le (1.6), (1.7), (1.9), la relazione di Kendall pu`o esser scritta nella forma:

F0(v) = F · (1 − cos ϑ) + F2

2· E · S (1.10)

ove S ≡ b · h `e la sezione trasversale di S1; l’espressione semplificata ( da (1.8) ) `e allora:

F0(v) = F · (1 − cos ϑ) . (1.11) La pelatura pu`o essere effettuata essenzialmente in due diversi modi:

i) a forza imposta, ovverosia applicando alla parte di materiale da asportare una forza costante,

ii) a velocit`a imposta, ovverosia imponendo alla parte di materiale da as- portare una velocit`a di trazione costante.

Risulta sperimentalmente che la dinamica `e differente nei due casi ( la Fig.1.6 pu`o aiutare a visualizzare ):

a) a forza imposta si osserva uno svolgimento sempre regolare, nel quale la velocit`a della frattura v `e sempre determinata da Φ(v) e dal comportamento isterico test`e esposto; cio`e sul piano (v, F ) il punto rappresentativo del sistema resta sempre sulla curva Φ(v); variando la forza trattiva tale punto

(44)

permane sul ramo stabile su cui trovavasi fino a raggiungerne l’estremante, al che salta sull’altro ramo;

b) a velocit`a imposta invece accade che, allorch´e questa trovasi in una delle regioni stabili, la propagazione della frattura `e regolare, mentre quando essa appartiene alla zona centrale si osserva una propagazione a strappi;

permanendo comunque il dubbio sulla realt`a del ramo a pendenza negativa, tale propagazione ha trovato una possibile interpretazione sempre come fenomeno isterico: il sistema risale il ramo stabile lento fino al suo estre- mante ( fase di quasi-stasi ) poi salta sul ramo veloce, lo discende ( fase di scivolamento ) e quindi salta indietro sul ramo lento, cos`ı si crea un ciclo che costituisce il fenomeno di propagazione a strappi.

§

1.3. La linea di frattura nel nastro adesivo.

Uno studio relativamente agevole ( anche in termini economici ) del fenomeno di propagazione delle fratture `e quello dell’analisi della dinamica della linea di frattura nello svolgimento del nastro adesivo (). Trattasi ovviamente di un caso particolare di pelatura, il quale a sua volta `e un caso particolare di frattura: la frattura avviene fra lo strato di colla ed il dorso elastico dello strato inferiore.

La natura del nastro adesivo ovviamente `e elemento primario nel determi- nare le modalit`a di propagazione della frattura. In linea generale due sono gli elementi che influenzano la propagazione: l’energia dei legami chimici della colla che debbono essere rotti e l’energia dissipata nelle deformazioni plastiche che la forza trattiva produce nella struttura interna del nastro vero e proprio; quest’ultima non deve essere confusa con l’energia immagazzianta nel nastro libero ( cfr. i paragrafi seguenti ) a causa del suo allungamento elastico, che viene sempre considerata a parte. Come di consueto questi elementi trovano, a livello macroscopico, una descrizione unitaria nella forza d’adesione F0.

Sperimentalmente si sono ottenute curve di dissipazione come quella in Fig.1.7, che `e del tipo generale descritto al precedente paragrafo. In questo caso `e stata data una interpretazione dei meccanismi di separazione da Aubrey e Sheriff ( [B09] ). Secondo le loro osservazioni, a basse velocit`a la separazione avviene all’interno dello strato di colla, tramite la formazione di

() Vedansi ancora [B01] e [B03], loc. cit. .

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microfilamenti ( di forma conica e lunghi qualche millimetro ) e la loro suc- cessiva rottura, come mostrato pittoricamente in Fig.1.8.a; questa modalit`a si definisce separazione coesiva, e provoca un’ingente dissipazione ener- getica, dovuta principalmente alla cospicua deformazione dello strato di colla. Al crescere della velocit`a della frattura la filamentazione si riduce e la separazione si sposta sempre pi`u in prossimit`a dell’interfaccia fra la colla e lo strato di nastro sottostante ( Fig.1.8.b ); si parla qui di separazione adesiva, che `e caratterizzata da una dissipazione riducentesi sempre pi`u man mano che la velocit`a v diviene pi`u sostenuta: la colla infatti ha sem- pre meno tempo per deformarsi producendo filamenti. Su particolari tipi di nastro le due tipologie di separazione possono essere individuate dalla superficie del nastro svolto: un aspetto lucido `e tipico delle fratture ade- sive, mentre la presenza di bande opache, dovute alla perdita di materiale collante, caratterizza la separazione coesiva.

Entrambi i tipi di fratturazione si presentano nel primo ramo stabile di Φ(v), che viene diviso cos`ı in due parti, come esplicato in Fig.1.7. Secon- do le osservazioni di Aubrey e Sheriff, nel terzo ramo, sempre stabile, la separazione `e completamente adesiva: la colla resta tutta sulla parte di nastro asportata, poich´e non ha pi`u il tempo di produrre filamenti; quindi si riducono necessariamnete i fenomeni dissipativi, il che spiega la riduzione di Φ(v). Qui la frattura `e molto simile a quella che avviene nei materiali rigidi.

Naturalmente questo `e un caso principe in cui vale la relazione di Kendall (1.7,10), anche se, per le modalit`a di pelatura, si utilizza in genere la sua forma approssimata (1.8,11).

(46)

Fig 1.7 - Esempio di curva di dissipazione pel nastro adesivo

a b

microfilamenti

Fig 1.8 - Rappresentazione pittorica ( solo indicativa ) della separazione coesiva (a) e di quella adesiva (b)

(47)

§

1.4. Gli apparati sperimentali.

Nei vari esperimenti susseguitisi nel corso degli anni sono stati utilizzati diversi apparati con lo scopo di rendere meglio misurabili talune quantit`a e/o di analizzare il comportamento della frattura in diverse condizioni e- sterne. Nel complesso i modelli degli esperimenti sono assommabili a tre ( rappresentati in Fig.1.9 ):

a) il distacco dal rotolo originario mediante l’avvolgimento su un rocchetto fatto ruotare da un motore,

b) il distacco dal rotolo originario mediante la caduta, per gravit`a, di un peso agganciato all’estremit`a libera del nastro,

c) il distacco da un piano orizzontale fisso mediante l’avvolgimento su un rullo fatto ruotare da un motore.

Ogni modello `e caratterizzato da talune variabili e talaltri parametri che ne descrivono la struttura, e che saranno dettagliatamente descritti nel Capi- tolo II.

In generale il rotolo di nastro originario dal quale viene asportato il nastro si indica come “rotolo debitore”, mentre il rocchetto su cui il nastro `e riavvolto

`e detto “rullo avvolgitore”; la velocit`a ( la forza ) con cui viene tirato l’estremo libero del nastro si indica come “velocit`a ( risp. forza ) trattiva”

o “di trazione”. In tutti gli esperimenti vengono trascurati gli attriti degli apparati meccanici, che sono attenuati curando opportunamente i montaggi.

(48)

c) a)

b)

0

L

0

L

R R

Fig 1.9 - Rappresentazione pittorica dei tre apparati sperimentali

(49)

§

1.5. Il primo apparato sperimentale: trazione a mo- tore da rotolo.

In questo caso ( rappresentato in Fig.1.9.a e Fig.1.10 ) il rotolo debitore

`e inserito su un supporto fisso in modo che possa solamente ruotare sul suo asse. L’estremo libero del nastro `e quindi fissato al rocchetto avvolgi- tore, il cui baricentro si mantiene a distanza costante da quello del rotolo debitore, ed al quale un motore imprime una determinata velocit`a ango- lare. Quest’ultima `e nota e costituisce, insieme alla distanza fra i centri dei rocchetti (L0 + R), la coppia di parametri di controllo dell’esperimento, in quanto tutti gli altri parametri strutturali, anzitutto il tipo di nastro utiliz- zato, sono stabiliti una volta per tutte, in ogni serie di prove sperimentali;

potrebbe per altro aggiungersi come parametro di controllo anche il mo- mento d’inerzia I del rotolo debitore, ma non si sono mai svolte prove in cui ad esso fosse attribuito tale ruolo. Inoltre va detto che talora risultano non controllabili, ma solo misurabili, i parametri ambientali di temperatura ed umidit`a, ma, data la brevit`a del singolo esperimeto, ci`o, nei limiti delle escursioni tipiche ambientali, non pare avere reale influenza. Nell’ambito delle approssimazioni accettate in questo tipo d’esperimento, e che saranno formalizzate nel prossimo Capitolo, si trascura l’effetto dell’aumento del rag- gio del rullo avvolgitore, considerando costante il rapporto tra la velocit`a angolare del rocchetto avvolgitore e la velocit`a V0con cui `e tratto l’estremo libero del nastro (). Questo tipo d’esperimento acquisisce cos`ı la denomi- nazione di trazione a velocit`a imposta.

Negli esperimenti fin’ora svolti V0 resta costante durante ogni prova, oppure viene variata in modo discreto, ottenendo delle finestre temporali in ognuna delle quali conserva un valore costante. Le variabili che descrivono il sistema sono:

i) la forza applicata dal motore F ,

ii) la velocit`a di propagazione della frattura v, iii) la posizione angolare della frattura α, iv) la velocit`a angolare del rotolo debitore ω.

Tutti i parametri strutturali possono essere agevolmente misurati e la ve-

() Va posto in evidenza che trattasi di una approssimazione, in quanto ad es- sere mantenuta costante `e la velocit`a angolare di rotazione del rullo avvol- gitore, e quindi la velocit`a lineare di trazione V0 varia, seppur di poco, man mano che nuovi strati di nastro di avviluppano sul rocchetto.

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