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IL MORBO DI PARKINSON: ASPETTI CLINICI ED EPIDEMIOLOGICI. CONSIDERAZIONI E VALUTAZIONI MEDICO LEGALI

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IL MORBO DI PARKINSON: ASPETTI CLINICI ED EPIDEMIOLOGICI. CONSIDERAZIONI E

VALUTAZIONI MEDICO LEGALI

Parkinson's disease: clinical and epidemiological studies. Medical legal

considerations and evaluations

Angelo Porrone 1

ABSTRACT

Il morbo di Parkinson è sicuramente la più classica fra le malattie degenerative del SNC.

Trattandosi di una condizione morbosa con gravi o gravissime ripercussioni sul piano funzionale e fonte di notevole disabilità, specie nell’età matura o avanzata si comprende il grande interesse generale per questo tipo di malattia.

La natura neurodegenerativa della patologia, rende il processo morboso lento e inarrestabile, potendo le terapie solo rallentarne e mitigarne la sintomatologia.

La disabilità che ne consegue è notevole, con costi di assistenza sanitaria e di sostegno economico, a carico della comunità, assai rilevanti.

Esistono, peraltro, forme primarie, di natura non ancora ben conosciuta, e forme secondarie.

Si parla spesso di parkinsonismo o, più genericamente, di sindromi parkinsoniane.

E’ altrettanto nota l’associazione della demenza in una patologia etichettata come Parkinson demenza, di natura classicamente neurodegenerativa.

Questo lavoro vuole essere, pertanto, un contributo di conoscenza sull’argomento, per meglio illustrare le caratteristiche cliniche della malattia, il decorso della storia naturale, le caratteristiche epidemiologiche, gli aspetti prognostici, la classificazione in stadi e le ripercussioni di natura valutativa nell’ambito del settore della medicina legale pubblica.

1 Angelo Porrone – Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, Specialista in Medicina del Lavoro, Specialista in Oncologia, Specialista in Dermatologia e Venereologia, Isernia

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INTRODUZIONE

Da un articolo dal titolo “Parkinson Disease” di Robert A Hauser, Internet, emedicine.medscape.com, ultimo aggiornamento 21 gennaio 2014, si possono trarre ottimi spunti di osservazione sugli aspetti salienti della malattia.

Si tratta, nella fattispecie, di una delle patologie neurologiche più comuni e conosciute, potendo colpire il morbo circa 1 % della popolazione di soggetti cvon età superiore a 60 anni.

Sotto il profilo istopatologico si caratterizza per la perdita a livello neuronale dei pigmenti contenenti la dopamina e sotto quello squisitamente clinica per la lentezza e inarrestabilità della malattia.

Altri aspetti istologici generali sono, quindi, dati dalla perdita della “sostanza nigra” e dalla caratteristica comparsa dei corpi di Lewy.

I sintomi principali, delle fasi prodromica e di stato, in un crescendo di intensità progressiva, sono dati da:

• tremore;

• diminuzione subdola della normale destrezza;

• ridotta escursione dei movimenti del braccio che compare prima su un lato;

• voce molle;

• espressione facciale ipomimica;

• disturbi del sonno

• disturbi della fase REM del sonno di occhio rapida con perdita del normale tomo muscolare normale durante la predetta fase;

• ridotto senso dell’olfatto;

• sintomi di disfunzione del sistema nervoso autonomo, con stipsi, anormalità nella traspirazione, disfunzione sessuale, dermatite seborroica, ecc.;

• sensazione generale di debolezza, malessere, o stanchezza;

• depressione o anedonia;

• rallentamento del pensiero.

Le caratteristiche dei sintomi motori sono tipicamente date da:

• sono tipicamente asimmetrici;

• il sintomo iniziale più comune è dato da un tremore a riposo a carico di un'estremità superiore;

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• con il tempo i pazienti sperimentano la presenza di una bradicinesia progressiva, con movimenti generali rallentati, di una rigidità, e di una difficoltà di portamento;

• la postura assiale si flette progressivamente in avanti e i passi diventano più corti;

• l'instabilità posturale, con associato deficit di equilibrio, è un fenomeno che si manifesta in ritardo.

Si associano, peraltro, come anche accennato in precedenza, sintomi di tipo non motorio che, insieme a quelli motori classici permettono la diagnosi della malattia.

La diagnosi clinica prevede la presenza di 2 sintomi su 3 fra i quali, tremori a riposo, rigidità e bradicinesia.

La terapia farmacologica è di tipo sintomatico ed è in grado di tenete sotto controllo la malattia per 4 – 6 anni.

Si tratta, in genere, di una terapia sostitutiva a base di Levodopa o Carbidopa, a dosaggi prestabiliti.

Altri trattamenti medici comprendono gli inibitori delle monoaminoossidasi o MAO, altro agonisti dopaminergici e anticolinesterasici.

Disfunzione erettile, stipsi, eccessiva sonnolenza e facile faticabilità sono i più tipici sintomi non motori che si giovano di farmaci sintomatici.

Esistono poi terapie invasive o di tipo chirurgico, date soprattutto dalla stimolazione profonda del cervello, con il limite tecnico di dovere evitare lesioni del tessuto cerebrale, di poter essere utilizzata a seconda delle fasi della malattia e degli accadimenti clinici, di non provocare avventi avversi in caso di approccio bilaterale della metodica.

Il morbo di Parkinson si caratterizza sotto il profilo epidemiologico per la preponderanza in soggetti ultra60enni, con un’incidenza complessiva riferita in letteratura pari al 1 % dei soggetti di oltre 60 anni.

La perdita dei neuroni dopaminergici associata alla presenza tipica dei corpi di Lewy sono le caratteristiche prevalenti patognomoniche del morbo di Parkinson.

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Ciò si arguisce facilmente al tavolo autoptico facendo un paragone fra la

“sostanza nigra” di un soggetto normale e uno che è stato affetto dal morbo di Parkinson.

Non sono state identificate cause ambientali collegabili all’insorgenza della malattia e le cause genetiche sono state scoperte solo nel 10 % dei casi.

I sintomi motori si instaurano lentamente e in modo subdolo nel corso di settimane e di mesi.

Tremori, rigidità e bradicinesie sono i tre classici sintomi più comuni.

Non è neppure necessario l’ausilio di tecniche di immagine per consentire la diagnosi nella fase sintomatica, non essendo neppure utili ad alcun titolo analisi di laboratorio a corredo.

I sintomi motori appaiono progressivi e asimmetrici con esordio insidioso.

La RM può solo consentire una diagnosi differenziale certa con la malattia cerebrovascolare.

Si tratta, nel Parkinson, di un disturbo che colpisce i nuclei della base costituiti dal corpo striato, dal putamen e dal corpo pallido.

La perdita neuronale riguarda il 60 – 80 % dell’intero contingente della sostanza nigra.

I gangli della base sono collegati con la corteccia cerebrale da cui ricevono e a cui rimandano segnali e impulsi.

Esiste una via diretta che passa dalla corteccia cerebrale al nucleo striato e un fascio indiretto che passa verso il nucleo pallido e il nucleo subtalamico.

La via indiretta nervosa invia segnali di tipo inibitorio al nucleo laterale ventrale del talamo.

In pratica, una severa inibizione del circuito legati alle vie talamo – corticali rallenta i movimenti dei soggetti affetti dal Parkinson.

La causa eziologica del Parkinson è in gran parte ignota, con una trasmissione di tipo genetico dimostrabile solo nel 10 % dei casi.

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Pesticidi, erbicidi, tossici di vario genere, sono stati tutti testati con risultati non definitivi in vari studi circa l’eziologia del Parkinson.

Esistono comunque degli studi che indicano come l’uso dei pesticidi possa incrementare il rischio del Parkinson nell’ordine del 80 %.

Al contrario, un uso protratto aumentato di caffeina nel tempo agirebbe per una riduzione del rischio di contrarre il morbo di Parkinson.

La presenza di radicali liberi che agiscono sul metabolismo ossidativo della dopamina appare anche suggestivo per lo sviluppo del morbo di Parkinson.

Si ridurrebbero a tal proposito i meccanismi protettivi legati al glutatione in presenza di un incremento dei meccanismi ossidativi.

I meccanismi genetici invece sembrerebbero agire nei soggetti colpiti in età inferiore a 50 anni.

Interverrebbero delle mutazioni genetiche di vario tipo quale elemento scatenante della malattia di Parkinson.

Alterazioni e disfunzioni della sinucleina alfa, che si rintraccia nei corpi di Lewy presenti a livello istologico microscopico potrebbero in parte spiegare alcuni aspetti relativi alla patogenesi del Parkinson.

Tornano agli aspetti epidemiologici, l’incidenza, come anche indicato in precedenza, del Parkinson è di circa 1 % nei soggetti di età superiore a 60 anni.

Dagli studi della letteratura scientifica i dati di incidenza che emergono indicano una media di 4,5 – 21 casi / 100.000 abitanti, potendo le stime variare, in tale caso, da 18 a 328 casi / 100.000 abitanti, anche se la stima più rappresentata in tal senso indica un’incidenza di circa 120 casi / 100.000 abitanti.

L’età media di comparsa della malattia è di circa 60 anni, con un progressivo incremento legato all’avanzare dell’età.

La presenza di rigidità e ipocinesia, un’età avanzata, il sesso maschile e soprattutto la presenza di comorbilità rappresentano tutti fattori predittivi per l’insorgenza del Parkinson.

La comparsa del Parkinson in età avanzata, la scarsa risposta al trattamento sostitutivo con levodopa, l’associazione con la demenza sono tutti fattori che implicano il ricovero dei pazienti presso le istituzioni residenziali.

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I soggetti affetti dovrebbero essere debitamente informati sulla loro condizione patologica ed appare fondamentale in tal senso anche il supporto psico – sociale.

La presenza di deficit conoscitivi, di cambi di personalità, di depressione, di sintomi come disfagia, sonnolenza e fatica, e disturbi del controllo dell’impulso sono tutti fattori che implicano un rapido controllo medico per ridurne l’impatto.

I sintomi motori si palesano tipicamente in modo asimmetrico, in prevalenza con un tremore a riposo ad un arto superiore.

Successivamente fanno la comparsa progressivamente nel tempo la bradicinesia, la rigidità e i disturbi del portamento.

Così l’arto superiore affetto può ciondolare durante la deambulazione mentre l’arto inferiore può strisciare sul pavimento sempre durante la marcia.

Alterazioni dell’olfatto e dei movimenti rapidi dell’occhio durante la fase REM del sonno sono sintomi non motori associati al Parkinson in fase conclamata.

Stipsi e sonnolenza durante la giornata sono altri sintomi non motori del Parkinson, di carattere non specifico.

I sintomi di non motori più comunemente riscontrati nei pazienti con la malattia di Parkinson in genere comprendono, fra gli altri:

• salivazione eccessiva;

• deficit mnesici;

• urgenza urinaria

• iposmia;

• stipsi.

La perdita del normale tono muscolare durante il sonno è un’altra possibile e relativamente frequente evenienza in corso di Parkinson.

Il tremore colpisce circa il 70 % dei pazienti affetti da Parkinson e la sua presenza non è indispensabile per fare diagnosi di malattia extrapiramidale.

Inizia in genere ad un’estremità superiore e nella fasi inziali è intermittente.

Appare diverso da quello di alcune condizioni come ansia e stress.

Scompare in genere con la messa in movimento dell’arto affetto.

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Si nota di più in atti come il mangiare o il leggere il giornale.

Rari e poco riportati in letteratura sono casi con tremori dell’estremità cefalica.

La bradicinesia che un rallentamento del movimento viene riferita dal paziente come una forma di debolezza e di stanchezza, ovvero perdita della destrezza specie nei movimenti ripetuti.

La bradicinesia si manifesta nell’atto di alzarsi dalla sedia, di girarsi nel letto e di deambulare.

La bradicinesia è il sintomo che provoca la micrografia, ossia la scrittura piccola, nonché la difficoltà nell’utilizzo dei movimenti fini della mano.

Agli arti inferiori tale sintomo si può manifestare con il trascinamento della gamba.

La rigidità viene spesso descritta come una sensazione di rigidità nel muovere le estremità.

La distonia è uno dei primi sintomi avvertiti dai pazienti, specie nelle forme esordite prima del 40 anni di età, e consiste nell’inversione involontaria del piede o nella flessione involontaria della pianta, con crampi e sensazioni dolorose associate.

Spesso c’è l’adduzione involontaria del braccio come nell’atto di dare una gomitata.

La distonia del tronco porta ad inclinare in avanti il busto.

I quattro sintomi cardinali del morbo di Parkinson impiegano 2 – 3 anni a manifestarsi nelle fasi iniziali della malattia e si evidenziano in modo conclamato in 7 – 8 anni, specie l’instabilità posturale.

Il tremore a riposo è la caratteristica della malattia ma non è raro osservare tremore volontario e posturale.

La rigidità si riferisce ad un aumento di resistenza ai movimenti passivi.

La ruota dentata è un sintomo legato al tremore e non alla rigidità.

La rigidità si esamina nel polso nei movimenti di estensione e flessione.

La bradicinesia comprende anche la lentezza o la riduzione dei movimenti spontanei.

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Velocità, ampiezza e ripetitività dei movimenti danno evidenza della bradicinesia.

L’instabilità posturale si riferisce alla perdita di equilibrio e alla riduzione e alla mancanza dei riflessi di adattamento.

Si esamina indicando al paziente, con posa in spalle strette, di effettuare la marcia all’indietro.

Si invita altresì il paziente ad alzarsi dalla sedia per evide4nziare la lentezza dei movimenti.

Vanno anche esaminate la forza vocale, l’intonazione, e la qualità della voce, compresa la fluidità del discorso e l’articolazione.

Si invita in genere il paziente a contare fino a 10.

Nel Parkinson la voce è molle, tremula, poco articolata, variabile nel discorso, simile a balbuzie; il paziente non è in grado di variarne di molto il tono ed esprimere la parola con maggiore vigore.

La disfagia è tipica della fasi avanzate della malattia.

Può rendersi necessaria una visita otorinolaringoiatrica per effettuare una laringoscopia che verifichi la presenza o meno della paresi o paralisi di una corda vocale.

Il tremore vocale colpisce il 55 % dei pazienti con Parkinson, mentre nel 35 % dei casi si può riscontrare un tremore involontario della corda vocale.

La disfunzione del sistema autonomo neurovegetativo si manifesta con ipotensione ortostatica, stipsi, talvolta nausea.

Frequente nel Parkinson è poi la cifosi con insufficienza respiratoria restrittiva associata di varia entità.

Esistono delle scale per la valutazione dei sintomi motori e non motori, anche con appositi indici che li mettono in rapporto per valutare la gravità della malattia.

La depressione si associa frequentemente con il Parkinson e talvolta l’ipomimia facciale tipica può essere motivo di confondimento.

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La demenza si associa al Parkinson nel 20 – 40 % dei casi e la sua presenza e gravità può essere valutata con test MMSE.

Si verifica versi la fase finale della malattia associandosi con le comorbilità e la vasculopatia cerebrale.

La funzione esecutiva, la memoria a breve termine e la capacità video – spaziale appaiono deficitarie nel Parkinson – demenza.

L’età media di insorgenza della demenza nel Parkinson è di 70 anni, a prescindere dall’esordio precoce o tardivo della forma extrapiramidale.

Esistono poi dei parkinsonismi atipici in cui i sintomi neurologici sono quelli del Parkinson mescolati con altri, per la compromissione concomitante di altre strutture cerebrali.

Il tremore essenziale è il sintomo cardine della malattia che va indagato circa la natura, spontanea, cinetica, a riposo, posizionale, onde dedurne correttamente le caratteristiche.

Occorre nel Parkinson escludere eventuali cause secondarie dovute a farmaci o sostanze tossiche.

Esistono infatti farmaci in grado di bloccare i recettori dopaminergici del nucleo striato.

Caratteristiche comuni del Parkinson atipico includono, nell’ordine:

• frequenti cadute all’atto della presentazione della malattia o nella fase precoce della stessa;

• scarsa risposta terapeutica alla levodopa;

• simmetria delle manifestazioni motorie iniziali di malattia;

• progressione rapida della malattia;

• assenza di tremori;

• compromissione dello svolgimento degli atti quotidiani della vita, con incontinenza urinaria, incontinenza fecale, necessità di catetere a permanenza per ritenzione urinaria, assenza persistente di capacità erettile, ipotensione ortostatica sintomatica conclamata.

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Assenza o scarsezza di tremori caratterizza i parkinsonismi atipici, mentre si possono associare anomalie strutturali cerebrali cortico - spinali o cerebellari o anche del sistema autonomo.

Scarsa è la rispondenza al trattamento con farmaci dopaminergici, rapida è la progressione della malattia parkinsoniana atipica.

I sintomi motori sono spesso simmetrici.

Nelle forme che insorgono prima dei 60 anni di età va presa in considerazione la presenza del morbo di Wilson.

La diagnosi differenziale prende in considerazione le altre principali malattie neurodegenerative di natura ereditaria o acquisita.

Va monitorata la ceruloplasmina ematica nella diagnosi differenziale con il morbo di Wilson.

La TC cerebrale appare utile per distinguere tumori cerebrali, ictus o vasculopatie multinfartuali.

La PET da un’immagine funzionale del cervello che si può rendere utile nel 30 % delle diagnosi dei casi di Parkinson.

I corpi di Lewy che si riscontrano all’istologia sono inclusioni concentriche eosinofile intracitoplasmatiche.

La puntura lombare si può rendere necessaria in caso di idrocefalo.

Il trattamento farmacologico sostitutivo istituito già nelle fasi iniziali della malattia ne rallenta le tappe evolutive e ne controlla i sintomi.

Gli inibitori della monoamminossidasi o anti MAO appaiono utili nelle fasi inziali della malattia.

I farmaci sono in grado di tenere sotto controllo la malattia per 4 – 6 anni.

In caso di fluttuazioni o discinesie motorie può anche essere considerato l’approccio chirurgico.

I sintomi non motori possono essere altrettanto fastidiosi di quelli motori.

Comprendono i disturbi del sistema neurovegetativo, quelli di tipo cognitivo – psichiatrico e quelli sensitivi,potendo comprendere la depressione, la demenza, le

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allucinazioni, i disturbi della fase REM del sonno, i disturbi del comportamento, l'ipotensione ortostatica e la stipsi.

La depressione colpisce meno del 30 % dei soggetti affetti da morbo di Parkinson.

I farmaci utilizzati nel Parkinson sono di tipo sintomatico.

La levodopa associata alla carbidopa, che è un inibitore della decarbossilasi, costituisce un trattamento di tipo sostitutivo nella malattia di Parkinson.

Esistono altre possibili associazioni con la Levodopa.

Il trattamento si inizia a basse dosi per arrivare ad una dose quotidiana di 300 – 600 mg / die che costituisce la terapia di mantenimento per 3 – 5 anni o più a lungo, con una somministrazione 3 – 4 volte al giorno complessive della predetta dose.

Effetti secondari dei farmaci sono frequenti in pazienti anziani, quali confusione, inganni, agitazione, allucinazioni, e psicosi che rappresentano manifestazioni relativamente comuni.

I farmaci dopaminergici come levodopa - carbidopa possono provocare nausea, ipotensione ortostatica, allucinazioni, sonnolenza, e disturbi del controllo degli impulsi.

Gli anticolinergici provocano un sollievo del tremore.

Fra gli altri, l’amantadina, che è un agente antivirale, ha dimostrato di avere effetti terapeutici antiparkinsoniani.

Nella fase avanzata della malattia i pazienti non reagiscono più al trattamento con levodopa.

La risposta ai farmaci diventa fugace o inefficace.

Le alternative sono date dall’aumento del dosaggio, dopo stretto monitoraggio, e dall’associazione con altro farmaco dopaminergico.

La terapia con Levodopa può essere proseguita ad oltranza, con aumento delle dosi, fino alla comparsa di sintomi come allucinazioni, psicosi o discinesie.

Nel caso delle discinesie si tratta di movimenti di tipo coreiforme che compaiono per dosi eccessive di levodopa.

Anche le fluttuazioni motorie fanno parte degli eventuali effetti avversi dei farmaci e sono relative ai dosaggi della levodopa che vanno opportunamente

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monitorati e corretti.

Si è tentato anche un approccio con terapie neuroprotettive, anche se in tal senso nessun farmaco ha dimostrato una reale efficacia nell’arrestare il decorso della malattia neurodegenerativa extrapiramidale.

Selegilina e Rasagilina sono altri farmaci, con effetti anti MAO, utilizzati nel trattamento del Parkinson.

La levodopa è il farmaco di elezione nella terapia del Parkinson con un effetto prolungato sul controllo dei sintomi.

Gli agonisti della dopamina danno sollievo ai sintomi nelle prime fasi della malattia.

La stimolazione profonda del cervello è una metodica che si adotta nelle fasi avanzate della malattia.

Consiste nella stimolazione dei nuclei subtalamico e pallido e anche del talamo.

Assenza di problemi di salute importanti e di comorbilità., assieme ad una refrattarietà alla terapia, sono i presupposti per l’applicazione del trattamento di stimolazione profonda del cervello.

Si possono in tal caso verificare, in pazienti selezionati, miglioramenti sostanziali dei sintomi motori.

In casi estremi si può ricorrere alla terapia neuroablativa, alla talamotomia e alla pallidotomia, con distruzione per coagulazione dei nuclei e delle strutture cerebrali.

In caso di pallidotomia quale effetto avverso si può verificare uno scotoma centrale, nel 3,6 % dei casi.

Essendo il nucleo subtalamico quello che invia messaggi di eccitazione nel Parkinson, la subtalatomia può risolvere in maniera drammatica i sintomi del Parkinson in fase avanzata.

Le indicazioni della terapia chirurgica considerano la mancata rispondenza attuale ai trattamenti in presenza di malattia prima responsiva e non atipica, in soggetto in buone condizioni generali.

Attualmente la terapia ablativa è stata sostituita dalla stimolazione profonda talamica nella gran parte dei casi.

La terapia con trapianto di cellule staminali o embrionali è potenziale, ossia teoricamente possibile.

Anche la terapia genetica è in corso di studio.

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Essa mira al ripristino della funzione dopaminergica, alla stimolazione dei recettori gabaminergici, con un insediamento in loco di una maggiore espressione del gene relativo, e alla rigenerazione neuronale.

Nella demenza associata al Parkinson sono stati usati gli anticolinergici.

La depressione si può associare nel 35 % dei casi di Parkinson, per cui costituisce un problema rilevante.

Gli inibitori recettoriali della serotonina o SSRI si sono dimostrati farmaci antidepressivi assai efficaci.

Antipsicotici classici come la Queziapina e la Clozapina si sono rivelati in grado di controllare sintomi psicotici, come inganni e allucinazioni, nel Parkinson.

Ansia, disturbi del sonno, sindrome del mancato controllo degli impulsi sono altri possibili sintomi non motori del Parkinson che possono essere corretti con terapie comportamentali e farmacologiche.

Vari esercizi di fisioterapia vengono utilizzati nella conservazione della capacità motoria del Parkinson.

Anche la logoterapia fa parte dei trattamenti previsti.

Vari specialisti sono impegnati nel trattamento del Parkinson, fra cui il neurologo, il neurochirurgo, lo psichiatra, l’urologo, il fisioterapista, il nutrizionista, l’otorinolaringoiatra, il gastroenterologo e il logopedista.

Terapie di supporto sono poi indispensabili per assicurare il beneficio delle cure relativamente ai sintomi motori e ai disturbi comportamentali.

In ogni caso la terapia standard del Parkinson è quella sostitutiva con levodopa associato a carbidopa.

Discussione

Un altro articolo dal titolo “Parkinson's disease”, Internet, umm.edu, ultimo aggiornamento 18 settembre 2013, fornisce ulteriori ragguagli generali sul problema.

I sintomi principali sono dati, nell’ordine da:

• tremori con scuotimento delle mani, delle braccia e delle gambe;

• lentezza del movimento, specialmente all’atto di iniziare il movimento;

• rigidità dei muscoli;

• difficoltà nel camminare, mantenere l’equilibrio e coordinarsi;

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• difficoltà nel mangiare e deglutire;

• problemi digestivi;

• problemi di fluidità ed espressione della parola, ossia dell’eloquio;

• depressione e difficoltà nei processi della memoria e del pensiero.

Si tratta, quindi di una costellazione di sintomi motori e non motori.

Non esiste un trattamento specifico eziologico ma solo sintomatico di tipo farmacologico, fisioterapico e chirurgico.

Nel 2012 è stato introdotto un nuovo farmaco neuroprotettore la rotigotina, mentre vengono testati e introdotti farmaci per uso transdermico, con cerotti, a base di agonisti della dopamina.

La stimolazione profonda del cervello, DBS, ossia del nucleo subtalamico e del globo pallido, trova applicazione pratica nel trattamento dei sintomi motori, specie tremori e discinesie.

Il Parkinson è una malattia neurologica progressiva che va ad incidere sui movimenti, sul controllo muscolare e sull’equilibrio.

La perdita della sostanza nigra a livello cerebrale, deputata alla produzione di neurotrasmettitori come la dopamina, attraverso le sue interazioni con il corpo striato, è alla base della patogenesi della malattia.

I fattori eziologici non sono ben noti ma la malattia parrebbe derivare da una combinazione di elementi genetici ed ambientali.

L’età media di insorgenza è di 55 anni e il genere maschile è più colpito di quello femminile.

Il fumo e il caffè parrebbero avere un effetto protettivo sulla malattia.

La malattia non è gravata in assoluta da una elevata mortalità e si può protrarre anche per 10 – 20 anni.

Devastante è invece l’impatto funzionale e sulla qualità della vita del Parkinson.

I problemi sono di tipo motorio e non motorio, con il tremore che domina la scena.

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La depressione e nelle fasi avanzate la disfagia sono complicazioni di grande rilevanza.

Gioco d’azzardo, acquisti compulsivi e ipersessialità possono manifestarsi come effetti collaterali del trattamento con Levodopa.

Deficit cognitivi e demenza si associano con notevole frequenza al Parkinson.

Disfunzione erettile nell’uomo e comportamenti coercitivi in entrambi i sessi si verificano spesso nel Parkinson.

Altrettanto frequenti sono l’incontinenza e la ritenzione urinaria.

Si possono anche verificare sintomatologie dolorose e alterazioni visive di vario genere.

Inizialmente occasionali, i tremori si instaurano alle braccia e ai piedi.

Il tremore è ritmico con 4 - 5 scariche al secondo.

I movimenti sono lenti, la postura diventa chinata, i muscoli possono diventare rigidi e anche i movimenti intestinali si rallentano.

La scrittura può essere compromessa con comparsa di micrografia.

Il discorso diventa lento e impastato, la voce molle.

Problemi di sonno, gastrointestinali e urinari fanno parte dei sintomi non motori.

La diagnosi può essere più impegnativa nelle prime fasi ma diventa di relativa facilità durante la progressione della malattia.

TC, RM e PET cerebrali possono servire a scartare altre malattie neurologiche.

Tremore, lentezza dei movimenti, rigidità ed equilibrio sono gli aspetti essenziali che deve rilevare un esame neurologico.

Depressione demenza vanno opportunamente testate con le apposite scale e con l’esame MMSE.

I parkinsonismo atipici, con presenza contestuale di più sindromi neurologiche si verificano nel 15 % dei casi.

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La degenerazione cortico – basale, la demenza a corpi di Lewy, la paralisi sopranucleare progressiva e l’atrofia multisistemica sono condizioni che possono comportare dei parkinsonismi atipici.

Anche l’aterosclerosi può contribuire all’insorgenza del parkinsonismo.

Non esiste una cura specifica eziologica ma solo terapie di tipo farmacologico e riabilitativo in grado di controllare i sintomi della malattia.

Il trattamento va individualizzato anche se la terapia principale è data dall’uso della levodopa.

Altri farmaci comprendono gli agonisti della dopamina e gli anti MAO.

Depressione, aspetti psicotici, demenza, sintomi non motori, come la sonnolenza, la stipsi e la disfunzione erettile, vanno trattati separatamente.

La terapia della malattia avanzata del Parkinson rappresenta tuttora una sfida aperta.

Spesso si rendono necessari adeguamenti strutturali e architetturali dell’ambiente di vita, con abbattimento delle barriere, e anche il ricovero in casa di cura.

La levodopa agisce principalmente sulla lentezza dei movimenti e sulla rigidità, meno sui tremori, sul portamento e sull’equilibrio.

In una gran parte dei casi tuttavia migliora in maniera sostanziale la qualità della vita per molti anni.

In ogni caso la depressione può verificarsi fino al 80 % dei casi di Parkinson, dovendosi prima di tutto indagare sulla qualità della vita delle persone affette e sugli eventi avversi eventualmente verificatisi, prima di procedere ad un trattamento farmacologico specifico.

Tornando all’uso della levodopa che il farmaco cardine del trattamento, non si possono sottovalutare gli eventuali effetti secondari che possono conseguire alla somministrazione.

Le discinesie, l’ipotensione ortostatica, i disturbi gastrointestinali, i disturbi respiratori rappresentano i principali effetti collaterali di tale terapia.

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Confusione mentale, stati ansiosi ed emotivi spiccati, anche allucinazioni visive e uditive si possono associare all’uso protratto di levodopa.

Anche gli anti MAO e gli altri farmaci impiegati possono sortire effetti avversi similari o di altro genere.

Gli inibitori della metil – transferasi o COMT possono provocare movimenti involontari muscolari, confusione mentale, crampi e vomito, insonnia, cefalea, diarrea, ecc..

La stimolazione profonda del cervello trova indicazione nei tremori severi, nelle discinesie e nelle fluttuazioni motorie, con possibili effetti avversi legati alle zone cerebrali eventualmente coinvolte

L’uso del trapianto di cellule embrionali, o della placenta o del cordone ombelicale nella zona della sostanza nigra deve ancora trovare numerose conferme negli studi e non trova accordi nel mondo scientifico.

Anche cambiamenti dietetici e apporto ulteriore di frutta e altri vegetali non hanno ancora trovato negli studi una collocazione migliorativa certa.

La fisioterapia appare molto importante nella riabilitazione, con esercizi passivi, addestramento nel portamento e riadattamento funzionale nelle attività normali quotidiane.

Anche l’addestramento mentale e la terapia di supporto psicologico appare assai utile nella conservazione delle funzioni superiori dei soggetti affetti.

Ai fini della preservazione dell’incolumità dei pazienti possono essere adottate misure come sbarre di contenimento, o utilizzati letti o materassi elettrici, sedie con schienali diritti, sedie a rotelle, ecc..

Ancora sulle caratteristiche generali del morbo di Parkinson è incentrato un articolo dal titolo “A review of Parkinson’s disease” di C. A. Davie, British Medical Bulletin 2008; 86: 109–127.

Il Parkinson rappresenta una delle principali malattie neurodegenerative.

L’incidenza del Parkinson nel lavoro in parola viene riferita pari a 160 / 100.000 abitanti.

La diagnosi non è strumentale ma clinica.

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L’attenzione della terapia si è allargata nel tempo alla correzione dei sintomi non motori.

Si assiste nel Parkinson ad una perdita netta nella sostanza nigra cerebrale pari al 50 – 70 % dell’intero contingente.

L’aspetto istologico caratterizzante è dato dalla presenza dei corpi di Lewy.

Mutazioni del gene della sinucleina sono responsabili di alcune forme genetiche del Parkinson.

Sotto il profilo genetico nel caso del Parkinson si può parlare di una malattia sporadica, con possibilità di multiple mutazioni.

Fra i fattori ambientali sono contemplati pesticidi e altri conservanti.

La caratteristiche cliniche peculiari del Parkinson sono date dall’associazione di tremori, rigidità e bradicinesia.

Esiste un certo numero di criteri clinici utili alla diagnosi.

La micrografia è tipica del Parkinson.

La depressione, assai frequente nel Parkinson, è fra i più comuni sintomi non motori.

RM e TC cerebrali non sono essenziali nella diagnosi ma possono servire per accertare altre condizioni morbose cerebrali e, in particolare, la presenza di una vasculopatia cerebrale.

Fondamentale appare la tempestività della diagnosi nelle fasi precoci della malattia onde iniziare subito la terapia per poter meglio controllare i sintomi nel tempo.

Importante è anche la tolleranza al trattamento che si avvale dell’uso della levodopa in associazione con inibitori della decarbossilasi.

Non appare peraltro chiaro l’effetto neuroprotettivo o neurotossico della levodopa che parrebbe, per certi versi, accelerare le tappe di progressione della malattia.

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Confusione e allucinazioni sono più comuni nei trattamenti combinati fra levodopa e agonisti della dopamina.

Gli anti MAO si sono dimostrati efficaci nel limitare lo stato di avanzamento del Parkinson, nelle fasi iniziali.

Fluttuazioni motorie e discinesie si sviluppano dpo 5 – 10 anni di trattamento con la levodopa.

Gli inibitori di COMT si sono dimostrati efficaci nel limitare le fluttuazioni motorie.

Nel tremore severo trovava indicazione la terapia ablativa talamica sotituita nel tempo dalla stimolazione profonda encefalica.

Insonnia e deficit cognitivi sono comuni nel caso del Parkinson, quali effetti non motori.

I deficit cognitivi si riscontrano nel 40 % dei casi dei paziente affetti da Parkinson.

Esistono dei rapporti fra demenza a corpi di Lewy e Parkinson.

La depressione si può verificare nel 50 % dei casi di Parkinson.

Psicosi e allucinazioni si verificano invece nel 30 % dei casi.

I vecchi antipsicotici peggiorano i sintomi motori per cui vanno utilizzate le nuove famiglie di antipsicotici.

In conclusione il Parkinson è una malattia neurodegenerativa comune in cui si combinano fattori genetici e fattori ambientali, con accumulo di proteine anomale all’interno di gruppi selezionati di neuroni, con alterazioni e morte cellulare.

Relativamente al possibile ruolo delle cellule staminali nel Parkinson, è possibile leggere un articolo dal titolo “Neurological disorders and the potential role for stem cells as a therapy” di Paul R. Sanberg e al., British Medical Bulletin 2012; 101: 163–181.

Come è noto le malattie neurodegenerative sono legate alla perdita eccessiva di neuroni, senza possibilità di vicariarne le funzioni.

La ricerca attuale sembra più volta alla conservazione e alla protezione dei neuroni.

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Esistono numerosi dubbi sulla possibilità di trapianto di cellule, con lo scopo di sostituire i neuroni perduti.

E’ anche motivo di preoccupazione la capacità oncogena possibile delle cellule trapiantate.

La ricerca pertanto deve cercare le migliori e più sicure cellule da trapiantare.

Le malattie neurodegenerative sono caratterizzate dalla perdita cronica di neuroni.

L’alternativa è la rigenerazione cellulare neuronale o la loro sostituzione.

Nel caso del trapianto di cellule si tratta di un approccio ancora sperimentale e potenziale.

Le cellule staminali sono totipotenti e si trovano sparse nell’organismo.

Furono individuate per la prima volta nel 1988.

In teoria le stesse potrebbero sostituire le cellule neuronali perdute come anche trasformarsi in senso neoplastico.

Esistono già cellule riparatrici nervose che non sono in grado però di arrestare il decorso delle malattie neurodegenerative.

Sono stati fatti degli esperimenti con biopsie cerebrali, mediante le quali sono state isolate cellule rigeneratrici neuronali.

Tali cellule sono state poi trapiantate nella zona sinistra del putamen con effetti positivi a 3 anni dal trapianto.

Dopo 5 anni tali cellule si sono però trasformate di nuovo a livelli basali.

Alcune di queste cellule possono però suscitare nell’ospite una risposta di rigetto cellulo – mediata.

Si sono utilizzate cellule immature ma già con un certo grado di differenziazione.

Si è verificata una diversità fra esperimenti in vivo e in vitro.

Forse l’immunosoppressione potrebbe garantire dalle reazioni verso l’ospite ma ciò è oggetto di discussione fra i ricercatori.

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Non è certo peraltro che gli stessi tipi di cellule utilizzate possano andare bene per tutti i tipi di malattie neurodegenerative.

Si stanno sperimentando vari stipiti cellulari e la ricerca va verso diverse direzioni.

Gli studi sugli animali suggeriscono che dosi multiple di cellule trapiantate ottengano risultati migliori di dosi singole.

Va anche accertato se valga la pena di aggiungere neuroprotettori alla cellule trapiantate.

Una modalità di azione maggiormente ricercata è quella che mira alla sopravvivenza dei neuroni migliorando il microambiente vitale.

Il rischio di insorgenza di un tumore appare comunque elevato.

Uno dei filoni reali della ricerca è quello di investigare la reale patogenesi delle malattie neurodegenerative, onde trovarne possibili rimedi.

Numerosi quesiti restano quindi insoluti sull’uso e le modalità di introduzione di tali cellule relativamente a uso singolo o multiplo delle dosi, associazione con neuroprotettori, tipi di stipiti cellulari, manipolazione della differenziazione cellulare, stimolazione dell’iperespressione di certe proteine.

Ulteriori elementi di conoscenza derivano da un articolo dal titolo “Parkinson’s disease: clinical features and diagnosis” di J. Jankovic, J Neurol Neurosurg Psychiatry 2008;79:368–376.

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa con sintomi motori e non motori e con vari gradi di progressione.

La diagnosi viene formulata sulla base di criteri clinici.

Tremore, rigidità, bradicinesia e perdita dei riflessi posturali sono i sintomi motori maggiori.

Altri sintomi riguardano l’ipomimia, la disfagia, la scialorrea, la micrografia, i disturbi del portamento, insieme ai sintomi non motori come turbe del sonno, disfunzioni gastrointestinali e urinarie, deficit cognitivi, anosmia, dolori, ecc..

Instabilità posturale, demenza e allucinazioni fanno parte del quadro generale della malattia.

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Si tratta di un ampio spettro di sintomi di cui bisogna tenere conto per formulare una diagnosi corretta della malattia.

Fin dal 1961 è stato scoperto che è il deficit di dopamina nelle cellule della sostanza nigra a determinare il Parkinson, con i miglioramenti già verificati all’epoca dei sintomi motori con l’introduzione farmacologica della levodopa.

Soprattutto i sintomi non motori vanno rapportati ai singoli casi di Parkinson.

La bradicinesia è un sintomo cardine con la lentezza dei movimenti legata al disturbo inerente i nuclei della base, come accade nel Parkinson.

Lenti sono soprattutto i tempi di reazione, con una grave interferenza sulle attività quotidiane.

La bradicinesia, peraltro, è legata allo stato emotivo del paziente, con improvvise accelerazioni possibili del movimento legate all’agitazione del paziente.

Il tremore, che può colpire la mano, il labbro, il mento, il discorso e le gambe, è di 4 -6 scosse al secondo.

Un tremore essenziale a riposo può anticipare di molti anni il tipico tremore del Parkinson.

Tremore posturale e tremore a riposo sono connotati tipici della malattia.

La rigidità è data da una resistenza aumentata ai movimenti passivi.

Può essere associata ad un tipico dolore alla spalla.

La rigidità assiale può condurre a delle posture alterate.

Collo e tronco appaiono flessi, come anche gomiti e ginocchia.

L’instabilità posturale è dovuta alla perdita dei riflessi con rischio aumentato di cadute.

Sono in pratica rallentati i riflessi propriocettivi, con un 38 % di cadute nel corso della malattia.

E’ possibile anche il blocco motorio definito congelamento.

Un esordio precoce e la prevalenza di rigidità, bradicinesia e instabilità posturale sono fattori che favoriscono il blocco motorio.

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Movimenti involontari sono più tipici della degenerazione cortico – basale.

Disfunzioni della traspirazione, erettili e sfinteriche sono tipici sintomi della compromissione del sistema autonomo.

Sonnolenza, disfunzioni olfattive, parestesie, dolori orali e genitali si riscontrano con relativa frequenza nel Parkinson.

Esistono sintomi di tipo A, quelli noti motori e sintomi di tipo B che sono alla base dell’uso dei criteri diagnostici del Parkinson.

In conclusione il Parkinson è una malattia con un ampio spettro di sintomi motori e non motori, di cui esistono forme primarie e secondarie o acquisite.

Incentrato sulla possibilità di utilizzo di tecniche di immagine è un contributo scientifico dal titolo “Evaluation of Early-Stage Parkinson’s Disease with 99mTc- TRODAT-1 Imaging” di Wen - Sheng Huang e al., J Nucl Med 2001; 42:1303–1308.

La diagnosi accurata e precoce del morbo di Parkinson è fondamentale per la somministrazione precoce della terapia e il rallentamento delle tappe evolutive della stessa.

Inoltre la perdita del 70 – 80 % delle cellule che producono la dopamina è tipica delle fasi già progredite della malattia con la comparsa dei disturbi motori, apparendo sicuramente minore nelle fasi precoci.

PET e SPECT sono tecniche non invasive utili nella diagnosi precoce del Parkinson.

E’ stata messa a punto una tecnica che utilizza il 99m Tc che ha un'energia ottimale per formazione di immagini, è conveniente e facilmente disponibile in medicina nucleare.

I risultati indicano che la perdita maggiore di identificazione con tecnezio radioattivo, con aree ipocaptanti, si è verificata nei nuclei putamen e caudato e anche in sede contralaterale alle sedi più colpite, malgrado che la captazione a livello del nucleo striato sia risultata ridotta bilateralmente.

La captazione specifica nel putamen è decresciuta specialmente nei pazienti affetti da morbo di Parkinson.

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In conclusione la SPECT con tecnezio radioattivo può risultare utile per svelare la presenza di un morbo di Parkinson nelle fasi precoci della malattia.

Un problema clinico, come quello delle cadute possibili in corso di malattia di Parkinson, viene affrontato in un articolo dal titolo “Recurrent Falls in Parkinson’s Disease: A Systematic Review” di Natalie E. Allen e al., Hindawi Publishing Corporation, Parkinson’s Disease, Volume 2013, Article ID 906274, 16 pages, Internet, http://dx.doi.org/10.1155/2013/906274.

La gran parte delle persone affette da morbo di Parkinson sperimenta la caduta quale possibile complicanza nel corso della malattia.

Nell’articolo vendono indagati i fattori causali delle cadute ricorrenti.

In tal senso vengono riportati i risultati di 22 studi specifici sul problema in essere.

In base agli studi, circa il 60,5 % dei paziente affetti da Parkinson va incontro a cadute, con un 39 % che è affetto da cadute ricorrenti.

Le cadute ricorrenti variano dal 4,7 a 67,6 per anno, con una media di 20,8 cadute per anno.

Fattori predisponenti comprendono, nell’ordine:

• anamnesi positiva per cadute;

• incremento della durata e della severità della malattia;

• incremento dei deficit motori;

• trattamento con agonisti della dopamina;

• incremento del dosaggio di levodopa;

• livello dei deficit cognitivi;

• paura di cadere;

• blocco motorio e della deambulazione;

• scarsa mobilità e ridotta attività fisica.

La varietà degli intervalli relativi alla frequenza delle cadute ricorrenti riscontrate nelle persone con morbo di Parkinson suggerisce che sarebbe utile classificare i soggetti con cadute ricorrenti in sottogruppi, in relazione alla frequenza delle caduta.

Dato che ci sono diversi fattori particolarmente associati alle cadute ricorrenti, una strategia adeguata di gestione e di prevenzione, specificamente destinata a minimizzare il numero e gli effetti delle cadute ricorrenti, richiedono una valutazione rapida della situazione di rischio del soggetto, al fine di trasmettere opportune informazioni da poter utilizzare in ambito clinico.

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Le cadute sono da ritenersi una problema grave e con associati costi elevati di assistenza nei confronti di molti soggetti affetti da morbo di Parkinson), con una probabilità in questo caso due volte superiore a quella di cadere per persone affette da altre malattie neurologiche.

Le conseguenze di queste cadute sono rilevanti e sono in grado di provocare lesioni capaci di accrescere la paura di cadere, con una riduzione secondaria indiretta dei livelli di attività e un’ incidenza negativa sulla qualità della vita, anche con un’accentuazione del livello di stress.

In considerazione del fatto che la prevalenza del Parkinson dovrebbe raddoppiare dal 2005 al 2030, si comprende come il problema delle cadute ricorrenti nel corso del Parkinson costituisca un fattori di impatto di assoluta rilevanza sui costi sanitari dei decenni futuri.

Peraltro circa il 15 % della popolazione degli anziani è a rischio di caduta.

Nel caso del Parkinson le cadute ricorrenti arrivano fino al 50 %dei casi.

I fattori determinanti, in questo caso, appaiono differenti rispetto a quelli della popolazione generale anziana.

Ci sono diversi fattori di rischio conosciuti che si possono associare al problema delle cadute nelle persone con malattia di Parkinson.

Questi includono una storia di cadute, l’instabilità posturale, il blocco della deambulazione, la debolezza muscolare e il deterioramento cognitivo.

Tuttavia, sembra che vi sia una vasta gamma nella frequenza delle cadute tra le persone con morbo di Parkinson e ci siano alcune evidenze che suggeriscono che i fattori di rischio per le singole cadute possono differire dai fattori di rischio per le cadute ricorrenti.

Si può dire che il problema delle cadute ricorrenti sia molto frequente nella popolazione con il Parkinson e colpisca circa il 70 % dei soggetti affetti.

In base ai risultati di diversi studi, le cadute singole o ricorrenti colpirebbero dal 35 al 95 % dei soggetti con morbo di Parkinson.

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In effetti una distinzione esistente considera soggetti con frequenti cadute ricorrenti, soggetti con sporadiche cadute ricorrenti e soggetti con elevata frequenza di cadute ricorrenti.

Una sottoclasse ulteriore può essere costituita dai soggetti che non hanno avuto cadute o hanno avuto una singola caduta.

Esistono come già detto dei fattori strettamente correlati con il rischio di cadute ricorrenti nel Parkinson dati, in prevalenza, dal deterioramento cognitivo, dall’instabilità posturale, dal blocco della deambulazione, dalla ridotta mobilità e dal ridotto esercizio fisico.

In conclusione il problema delle cadute ricorrenti rappresenta un fattore di rischio sostanziale nei soggetti con Parkinson.

Le osservazioni raccolte sui soggetti indagati indicano la necessità di stratificare i soggetti in base alla frequenza delle cadute.

Le future ricerche dovranno indagare i motivi della presenza di cascatori abituali, in base alle condizioni individuali verificate, onde mettere a punto opportune strategie preventive.

L’uso di scale valutative che considerino, fra gli altri parametri, anche il portamento, appare assai utile nel Parkinson, come si evince anche da un articolo dal titolo “ Should gait speed be included in the clinical evaluation of Parkinson’s disease?” di Joe Nocera e al., tratto da “Advances in Parkinson’s Disease”, Vol.1, N°1, 1 - 4 (2012), Internet, http://www.scirp.org/journal/apd/.

Il lavoro si occupa, in particolare, di mettere in relazione entità e qualità del deficit riferito alla sfera soggettiva con elementi clinici obiettivabili.

La velocità del portamento appare uno dei maggiori fattori oggettivi di valutazione che appare correlabile con i deficit di tipo soggettivo avvertiti e riferiti dal paziente.

In effetti in base ai risultati dello studio, la situazione fisica reale del soggetto non appare pienamente correlabile con la velocità misurata del portamento.

Come è noto i sintomi cardinali motori del morbo di Parkinson comprendono bradicinesia progressiva, rigidità, tremore ed instabilità posturale.

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In pratica viene analizzato il parametro dell’instabilità – portamento posturale per dedurne l’impatto sulla qualità della vita e sull’aumentati rischio di cadute.

In effetti circa il 70 % dei pazienti affetti da morbo di Parkinson è destinato a cadere, almeno una volta, nel corso della malattia.

Il portamento e la deambulazione compromessa rappresentano il maggiore fattore di rischio per cadute.

Al riguardo viene riferito che in letteratura esiste un solo articolo che si interessa di questo argomento.

Esiste una scala soggettiva, UPDRS, che esamina l’andamento motorio nel Parkinson, rapportandola poi, con la prova dell’andatura della retropulsione.

Mentre la correlazione fra tale scala e l’instabilità motoria, ossia l’equilibrio, è molto forte, non altrettanto stretto appare il legame fra le caratteristiche del portamento individuale nella marcia e le risultanze fornite dalla scala medesima.

Al contrario la velocità del portamento appare un parametro di notevole affidabilità per verificare la situazione motoria e le condizioni fisiche del soggetto esaminato.

In definitiva si è concluso che l’ UPDRS non è in grado, di per se, di valutare la velocità della deambulazione e del portamento nel Parkinson.

Si è pertanto provveduto nello studio a integrare i risultati dell’esame predetto, UPDRS, con la stima soggettiva fornita dai pazienti tramite PDQ-39, ciò che ha consentito finalmente di correlare, in modo accettabile, il parametro di conseguenza dedotto con le condizioni fisiche del paziente affetto da Parkinson.

In pratica si dimostra che solo l’articolo 29 dell'UPDRS appare valido per misurare l’efficacia del portamento ai fini della misura dalla velocità del portamento.

In ogni caso la funzione del portamento non trova in alcun parametro soggettivo verificato una correlazione stretta reale con gli aspetti funzionali indagati.

Il rischio di cadute parrebbe comunque aumentato, in base agli studi, in relazione ai risultati dell’UPDRS, con un rischio davvero notevole per valori superiori a 50 del medesimo UPDRS.

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Soprattutto i risultati degli articoli supplementari 27 – 30 appaiono moderatamente correlati con un aumentato rischio di cadute.

In ultimissima analisi nessun esame soggettivo può valutare appieno la funzione del portamento rispetto alla velocità del portamento opportunamente misurata fisicamente.

Incentrato sui sintomi non motori è un articolo dal titolo “The Impact and Management of Nonmotor Symptoms of Parkinson's Disease” di Kelly E. Lyons, Internet, http://www.ajmc.com/publications/supplement/2011/ace001_11oct/ace001_11oct_l yons_s308/1, pubblicato online 10 ottobre 2011.

Il Parkinson è un disordine neurodegenerativo do origine sconosciuta.

Tremore, rigidità, instabilità posturale e lentezza dei movimenti sono i sintomi cardinali di cui almeno uno si deve individuare per porre il sospetto diagnostico della malattia.

Si tratta della malattia degenerativa più comune dopo l’Alzheimer, con una prevalenza di 329 / 100.000 e un’incidenza di 16 - 19 casi / 100.000 abitanti all’anno circa.

L’incidenza del Parkinson aumenta con l’età variando dal 1 – 2 % nei soggetti di 60 anni al 4 % nei soggetti di età maggiore di 80 anni.

Malgrado la diagnosi sia incentrata sui sintomi motori, altrettanto frequenti e rilevanti sono quelli non motori.

La cura dei sintomi motori può talvolta esacerbare quelli non motori, come i problemi psichiatrici e i deficit cognitivi.

I sintomi non motori non vengono spesso ben riconosciuti e diagnosticati.

Pertanto problemi psichiatrici e disturbi cognitivi vanno monitorati annualmente e anche i disordini del sistema autonomo e del sonno vanno identicamente considerati e valutati.

Esiste una scala NMSS in grado di valutare 9 parametri o dimensioni di tipo non motorio nel Parkinson.

In particolare la scala NMSS ha 9 dimensioni, che comprendono:

• sonno/fatica;

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• umore / apprensione;

• disturbi cardiovascolari;

• problemi del sensorio / allucinazioni;

• attenzione / memoria;

• disfunzioni del tratto gastrointestinale,

• anomalie del tratto urinario;

• disfunzioni sessuali,

• sintomi misti.

La scala serve, in particolare, per valutare frequenza e gravità dei sintomi non motori.

Tutti questi parametri apparivano aumentati nel punteggio e, quindi alterati nella gran parte dei casi rispetto alla totalità o alla gran parte delle dimensioni indagate.

Tali sintomi variano poco in base al sesso, mentre si incrementano in base all’età.

La depressione nel Parkinson rappresenta un serio problema, dal momento che può colpire l’80 % dei soggetti affetti.

Talvolta tale disturbo si insinua in maniera subdola ed è difficile fare diagnosi.

Si utilizzano in genere gli antidepressivi triciclici e gli SSRI, con buona efficacia.

L’ansia, combinata o meno con la depressione, è presente dall’80 al 83 % dei pazienti, giovandosi dell’utilizzo di benzodiazepine.

Le allucinazioni di tipo prevalentemente visivo e le spicosi associate si verificano intorno al 30 % dei casi.

Clozapina, Quiezapina e in generale gli antipsicotici atipici trovano indicazione nelle psicosi associate al Parkinson.

L’uso degli agonisti della dopamina può favorire l’insorgenza di sindromi tipiche del gioco d’azzardo, in soggetto che prima del Parkinson non avevano sperimentato tale patologia.

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I deficit cognitivi di grado moderato sono presenti in soggetti con Parkinson, in assenza di una sindrome demenziale conclamata associata, dal 19 al 38 % dei casi.

L’uso degli anticolinergici in caso di demenza associata al Parkinson può generare sintomi come diplopia, stipsi, nausea, aumento della frequenza delle minzioni, incremento del tremore, peggioramento del portamento e cadute, ciò che sembra essere proprio dovuto agli effetti colinergici periferici.

Più in generale sintomi legati al cattivo funzionamento del sistema autonomo sono dati da disfunzioni gastrointestinali come scialorrea, disfagia, nausea, stipsi, da disturbi di tipo urinario, da ipotensione ortostatica, da alterazioni della sfera sessuale, come i disturbi erettili, e da disfunzioni della termoregolazione.

Antistaminici e anticolinergici sono stati usati con qualche efficacia.

Nicturia, urgenza urinaria, aumentata frequenza della minzione e incontinenza rappresentano disturbi comuni nel Parkinson, potendo la nicturia verificarsi nel 60 % dei casi.

Il problema cardiovascolare più comune è invece l’ipotensione ortostatica.

Vertigini, confusione e astenia mentale e generalizzata, fino alla sincope, sono caratteristiche comuni che si riscontrano nell’ipotensione ortostatica.

Un buon apporto quotidiano idrosalino può essere in grado di prevenire la sindrome.

Le disfunzioni della termoregolazione si possono verificare fino al 64 % dei casi, con sensazioni di freddo e di caldo eccessive.

Dello stesso tenore è da ritenersi l’aumento della traspirazione altrettanto tipico del morbo di Parkinson.

Disfunzione erettile, riduzione della libido, alterazioni dell’orgasmo, possono verificarsi in corso di Parkinson con una certa frequenza, potendo i disturbi sessuali in generale colpire entrambi i sessi.

Disturbi della sfera sessuale secondari possono derivare dalle disfunzioni cardiovascolari e dalla depressione, problemi frequenti nel morbo di Parkinson.

I disturbi del sonno sono un’evenienza di elevata incidenza nel Parkinson, con una frequenza complessiva che arriva fino al 98 % dei casi.

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Sonno frammentato, insonnia, sonnolenza eccessiva il giorno dopo rappresentano evenienze comuni nel Parkinson.

Fra i vari farmaci gli agonisti della dopamina sono quelli maggiormente imputati per la sonnolenza eccessiva del giorno dopo.

E’ da considerare, in definitiva, che i sintomi non motori possono anticipare quelli motori all’esordio della malattia.

Il trattamento di tutti i predetti sintomi può avere un impatto positivo sulla malattia, mentre esiste una relazione inversa fra progressione del Parkinson e comparsa e accentuazione dei predetti sintomi.

Rispetto, poi, alla capacità funzionale residua, valutabile in medicina legale pubblica, è possibile trarre degli spunti dalla lettura di un articolo dal titolo “Residual Functional Capacity Assessment for Parkinson’s Disease”, Internet, http://www.jamesdisabilitylaw.com/parkinsons-3.htm, stampato maggio 2014.

Per capacità lavorativa residua si intende, in questo caso, la capacità di svolgere un lavoro in rapporto alla condizione morbosa considerata.

Considerando i sintomi motori quali tremori e bradicinesia nel Parkinson, va soprattutto considerata e valutata la svolgimento del lavoro medesimo, specie trattandosi di un lavoro manuale.

Sintomi sensori e rigidità delle mani possono essere ostativi soprattutto per l’uso di movimenti fini delle mani.

Il lavoro, di per se, ne può subire un evidente rallentamento.

In tal senso, poi, una maggiore valenza di incapacità attitudinale può derivare dai parkinsonismi secondari per la presenza di ulteriori disturbi nervosi molto gravi.

Sicuramente di maggiore valenza clinica è invece un articolo dal titolo “Current management of Parkinson's disease” di F Salawu e al., Annals of African Medicine, 2010, Vol. 9, Cap. 2, pagg. 55 – 61.

Nel caso del Parkinson si tratta di una malattia incurabile che si giova di diversi tipi di trattamento in grado di migliorare la qualità della vita.

Anche se esistono nuovi classi di farmaci, i rimedi esistenti sono solo sintomatici.

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Si tratta, come è noto, di una malattia caratterizzata dalla perdita di neuroni che contengono dopamina.

Tremore, rigidità, bradicinesia e instabilità posturale rappresentano i 4 sintomi cardinali del Parkinson.

Istologicamente il connotato caratterizzante è rappresentato dalla presenza dei corpi di Lewy, molto tipici.

Anche le fibre periferiche post – gangliari dei nervi possono essere coinvolte, come quelle del bulbo olfattivo, del nucleo dorsale motore del nervo vagale, del nucleo del rafe, del locus coeruleus, del nucleo peduncolo - pontino, del nucleo basale di Meynert, del nucleo dell’amigdala e dei neuroni corticali.

La degenerazione di questi nuclei è alla base dei sintomi non motori del Parkinson, ciò che è anche alla base della resistenza alla levodopa.

Il primo tipo di trattamento che viene in genere instaurato e a base di anticolinergici per correggere il tremore.

Migliori risultati si ottengono quando la malattia viene trattata nelle prime fasi, in situazione precoce.

Oltre alla levodopa, i farmaci utilizzati sono gli agonisti della dopamina, gli inibitori delle MAO, gli anticolinergici e l’amantadina.

La levodopa rimane, in ogni caso, il farmaco più efficace in grado di controllare la malattia per lungo tempo.

L’età media di incidenza del Parkinson è di 60 anni, con un ulteriore incremento legato all’età

Sebbene non siano ancora ben noti i meccanismi patogenetici alla base del Parkinson, esistono vari tipi di trattamento e misure riabilitative atte a rallentare il decorso della malattia e tenerla per lungo tempo sotto controllo.

Esistono problemi di tossicità dei trattamenti a lungo termine di cui si è alla ricerca di soluzione.

Un altro articolo dal titolo “Description of Parkinson’s Disease as a Clinical Syndrome” di Stanley Fahn, Ann. N.Y. Acad. Sci. 991: 1–14 (2003), prende on considerazione gli aspetti clinici della malattia.

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Sintomi motori, fra cui la predita dei riflessi posturali, e sintomi non motori danno la rappresentazione clinica della malattia.

La malattia è legata alla perdita degenerativa dei neuroni nigro – striati che producono la dopamina.

La depressione, l’anedonia, la passività e la demenza sono i sintomi non motori principali.

L’eziologi è ignota, la discinesia e le fluttuazioni motorie sono le principali complicanze della terapia con levodopa.

Con il progredire della malattia i sintomi motori non rispondono più ai trattamenti.

La malattia è stata descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817.

Inizialmente veniva descritta con il termine improprio di “ paralisi agitante”.

Solo nel 1871 Meynert riuscì a comprendere che si trattava di un’alterazione a carico dei nuclei della base.

Successivamente si accerto anche che il problema era legato ad una degenerazione della sostanza nigra.

Tremori a riposo, rigidità, lentezza dei movimenti e instabilità posturale caratterizzano il Parkinson classico, mentre neri parkinsonismi atipci o secondari si associano altri sintomi motori di diverso genere.

Il tremore, poi, quasi sempre presente nel Parkinson primario, manca spesso nelle forme di parkinsonismo.

Cause tossiche o vascolari o infettive o legate ad altre malattie ereditarie neurologiche sono alla base del parkinsonismo.

Il tremore essenziale può essere confuso con il morbo di Parkinson, non trattandosi, però, di un tremore a riposo.

In rari casi il Parkinson può avere un’ereditarietà di tipo autosomico dominante.

I sintomi iniziali sono insidiosi e peggiorano con il tempo.

Tremore, rigidità e bradicinesia dipendono direttamente dalla perdita di dopamina a livello nigro – striato.

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