Gli apparati descrittivi sono stati elaborati da Stefania Farsagli
Gli apparati statistici e cartografici sono stati sviluppati da Giorgia Marinuzzi Si ringraziano Valeria Andreani, Maria Teresa Corapi ed Elisa Macci
per la preziosa collaborazione in fase di rilettura
La pubblicazione si chiude con le informazioni disponibili ad aprile 2015 Codice ISBN 978-88-6650-118-3
Le infografiche sono state realizzate da Valerio Iacobini - Kubique.com Progetto grafico: BACKUP comunicazione, Roma
Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli - backup.it
L’immagine di copertina è stata realizzata da Pasquale Cimaroli
Crediti fotografici pagina 166:
Pantheon, Roma - Jerg Bittner (Unna) Roma - Ankurgupta
Pompei e Vesuvio - Sergey Ashmarin http://www.panoramio.com/photo/396320 Galleria degli Uffizi, Firenze - Chris Wee Castel Sant’Angelo, Roma - Kevin Chan Palazzo Pitti, Firenze - Giovanni Dall’Orto
Presentazione / 5
Parte Prima
COMUNI A VOCAZIONE AGRICOLA E IDENTITÀ ALIMENTARI, LA FORZA DEI NOSTRI TERRITORI
1 I comuni italiani e l’agricoltura, una sfida per ripartire / 8
1.1 I comuni italiani hanno una vocazione agricola / 14
1.2 La struttura produttiva dei comuni nel settore primario / 18
2 La varietà della produzione di qualità certificata ed il valore dei prodotti agroalimentari tradizionali / 26 2.1 Il valore dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) / 33
2.2 La varietà della produzione di qualità certificata / 37
2.3 Le aziende agricole con coltivazioni DOP e IGP si diffondono nei nostri territori / 44 2.4 La competitività dell’agroalimentare tipico:
andamento produttivo e impatto sui territori / 48 3 Il prestigio della produzione enologica italiana / 56
3.1 Il settore vitivinicolo cresce e aiuta i territori a crescere / 63
4 Le produzioni biologiche tra sostenibilità e business / 68
4.1 I comuni italiani in prima linea nel settore biologico / 73
4.2 Il biologico, il valore di un settore in ascesa / 77
5 Il consumo alimentare tra consapevolezza e tradizione / 82
5.1 Le mutazioni della domanda alimentare all’ombra della dieta mediterranea / 85 5.2 La crisi dei consumi, tra riduzione dello spreco e selettività delle scelte alimentari / 90 5.3 Dal territorio alla tavola. Alla scoperta delle tradizioni e della qualità / 92
5.4 Scelte di vita sostenibili e sane: non solo biologico / 96
6 Dalla ricerca alla degustazione: il valore della filiera agroalimentare di qualità / 98 6.1 Ricerca e innovazione per rilanciare la nostra tradizione alimentare / 100
6.2 Le fasi di produzione e di trasformazione tra qualità e innovazione / 102
6.3 La distribuzione: spazio alla qualità e alla vendita diretta / 104
6.4 La promozione del prodotto agroalimentare di qualità che racconti i territori / 109
6.5 Il post-vendita per fidelizzare il consumatore alla qualità / 113 Focus 1 La tutela del Made in Italy e la contraffazione / 114
Focus 2 EXPO 2015: un’opportunità? / 118
Indice
IDENTITÀ LOCALI:
UN NUOVO TURISMO PER I COMUNI ITALIANI
1 L’accoglienza dei comuni italiani:
l’offerta turistica nei territori / 124 1.1 Il comparto alberghiero, tra crisi e riqualificazione / 129
1.1.1 L’offerta alberghiera dei comuni italiani / 131
1.2 Il successo della ricettività complementare, tra luci ed ombre / 140
1.2.1 L’offerta extralberghiera dei comuni italiani / 142
1.3 A tavola con la qualità: l’offerta ristorativa italiana / 151
2 Città, borghi e territori: i comuni tra cultura, natura e tradizione / 156
2.1 La cultura, bene comune dei nostri territori / 161
2.2 Il patrimonio naturalistico, l’oro verde dei comuni italiani / 172
2.3 L’artigianato artistico: i manufatti che raccontano le tradizioni locali / 182 3 La domanda turistica: tra modernità, sostenibilità e consapevolezza / 186
3.1 Caratteristiche e varietà della domanda turistica del nostro Paese / 190
3.2 Il turista delle identità, un visitatore tra i sapori e i saperi del territorio / 196
Focus 1 I comuni del tipico per la tutela, valorizzazione e promozione delle identità locali / 204
Focus 2 Comuni mobili, ecosostenibili e digitali per migliorare l’accoglienza dei territori / 212
Bibliografia / 224
5
Riflettere sulle identità locali italiane significa parlare dei molteplici, preziosi elementi che le compongono, dai siti culturali, alle aree natu- ralistiche, dalle produzioni agroalimentari ai prodotti dell’artigianato tipico e, soprattutto, significa riflettere su come salvaguardarle e valorizzarle, esaltandone qualità e unicità. Le identità locali italiane sono patrimonio nelle mani dei nostri oltre 8.000 comuni, che hanno, dunque, un ruolo rilevante nella promozione di un oggetto così complesso e ricco di sfumature e nella rappresentazione del mosaico di valori che esse pregevolmente sintetizzano.
Questo volume racconta la varietà e il valore economico delle identità locali del nostro Pa- ese, rivelandone l’appeal esercitato sui con- sumatori italiani e stranieri, ma non solo. Ha dimostrato, dati alla mano, che le amministra- zioni locali sono custodi di questo patrimonio e, ogni giorno, offrono un grande contributo nel gestirlo, preservarlo, diffonderlo presso la comunità locale, nazionale e internazionale. Lo fanno esaltandone il loro valore più ampio, che va al di là delle singole caratteristiche speci- fiche, e si lega all’identità del territorio in cui sono generate e ad un’esperienza di consumo che è prima di tutto un’esperienza di cono- scenza, di crescita personale, di benessere, di convivialità e gusto.
I nostri territori producono e sono custodi di beni per i quali il nostro Paese colleziona primati: l’Italia, infatti, è prima in Europa per numero di produzioni agroalimentari di quali- tà (DOP, IGP e STG) e la dieta mediterranea è
considerata, insieme ad altre cinque tradizioni locali, patrimonio culturale immateriale dell’u- manità. Detiene, inoltre, il record nella World Heritage List con i suoi 50 straordinari siti, il 5% del patrimonio culturale mondiale, e pos- siede ben 863 aree naturali e circa 500 tra mu- sei, monumenti e aree archeologiche statali, diffusi su tutto il territorio nazionale e raggiun- ti, ogni anno, da oltre 38 milioni di visitatori di ogni nazionalità.
Un’offerta straordinaria, la cui governance è, di certo, non facile e ha bisogno più che mai dei nostri comuni: nella salvaguardia del territorio, nello sviluppo del capitale umano, nella quali- ficazione dell’offerta e del consumo culturale, nel miglioramento della qualità della vita dei residenti e della qualità della visita dei turisti, nella difesa della sostenibilità ambientale, nel- la preservazione delle tradizioni e nel rafforza- mento e nella tutela delle produzioni locali.
Il presente lavoro evidenzia, infatti, come a fronte di un’offerta così ampia, gli amministra- tori locali abbiano una grande responsabilità, quella di costruire, tassello dopo tassello, un governo innovativo e rispettoso, che garantisca alti indici di vivibilità per i cittadini e un sistema competitivo per le imprese. Hanno l’onere di la- vorare alla costruzione di un territorio vivibile per chi lo abita e coinvolgente per chi lo scopre per la prima volta, e di un racconto dei luoghi, che poi permetta agli operatori del settore cul- turale, turistico, agroalimentare ed artigianale, di creare intorno al singolo prodotto una vera ed emozionante esperienza di visita e consumo.
Presentazione
creazione di un’esperienza di consumo, che sia fortemente integrata con chi in quel territorio ci vive e con la qualità stessa della vita dei suoi abitanti.
Ritengo, quindi, e le considerazioni contenute nel volume lo dimostrano, che occorra lavo- rare, in prima istanza, sull’immagine del ter- ritorio presso la comunità locale, al fine di co- struire un’identità comune e responsabilizzare tutti al corretto uso delle risorse, creando, in questo modo, le condizioni ottimali per azioni di sviluppo economico sostenibile. Inoltre, cre- do che occorra sempre più ragionare assieme in termini di area e di sistema delle identità lo- cali, perché tutti possano avere un ruolo nella creazione di valore intorno ai territori.
EXPO 2015 è, in questo senso, una straordi- naria opportunità, per varie ragioni. In primo luogo, per il tema che tratta, perché l’Italia è simbolo della produzione agroalimentare e ga- stronomica e il cibo è una leva fondamentale anche dal punto di vista economico: significa, infatti, investimenti, recupero dello spopola- mento delle aree rurali marginali, occupa- zione, export. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha un rapporto popolazione/superficie agricola superiore alla media europea ed è se- conda in Europa per numero di aziende agri- cole. Inoltre, ben il 59,0% dei nostri comuni ha una vocazione imprenditoriale legata al settore primario e punta sull’innovazione e sulla qua- lità, come dimostra il fatto che il 60,4% delle amministrazioni italiane ospita aziende agrico- le con coltivazioni DOP e/o IGP.
EXPO è, però, un’opportunità anche perché sta producendo e produrrà a Milano e in Italia, tra il 2012 e il 2020, tra investimenti della società di gestione e dei Paesi partecipanti (non con- siderando i progetti infrastrutturali), aumento dei consumi, incoming turistico ed un’eredità economica che l’evento lascerà in termini di nuove imprese create, valorizzazione del pa- trimonio immobiliare e accresciuta attrattività turistica, non solo della Lombardia e dei ter- ritori limitrofi, ma di tutto il nostro Paese. Per questo motivo, credo molto nel protocollo d’in-
compongono l’Italia e capace di far scoprire ai visitatori le tipicità dei nostri territori.
PIERO FASSINO Presidente ANCI
COMUNI
A VOCAZIONE AGRICOLA E IDENTITÀ ALIMENTARI,
LA FORZA
DEI NOSTRI TERRITORI
Parte Prima
Comune di Pienza, Toscana
1
I COMunI ItaLIanI E L’agrICOLtura,
una sFIDa PEr rIPartIrE
9
L’Italia ha un’economia profondamente lega- ta al comparto agricolo. Solo nel 2013 l’intero sistema agroalimentare, a cavallo dei 3 settori economici (fasi di produzione e trasformazione materie prime, distribuzione e commercializza- zione dei prodotti), ha un peso del 17% sul PIL(1). Inoltre, il contributo dell’agricoltura italiana alla formazione del valore aggiunto nazionale è aumentato nel 2013, nonostante la congiuntu- ra economica non certo favorevole degli ultimi anni (diminuzione del PIL in volume del -1,9%
nel 2013 e del -2,4% nel 2012), giungendo al 2,1%, sopra alla media dei Paesi UE (1,7%). I dati europei ci mostrano come il nostro Pae- se sia dietro a Romania, Polonia e Spagna - i Paesi europei insieme all’Italia con il maggior numero di aziende operanti nel settore agrico- lo (la sola Romania con 3,8 milioni di aziende rappresenta il 30% del totale UE 28) - per peso del valore aggiunto agricolo e preceda nazioni come Francia (1,8%), Germania (0,8%), Irlanda (1,9%) e Regno Unito (0,6%).
La superficie agricola totale (SAT) in Italia è pari a 17,1 milioni di ettari, di cui ben 12,8 ascrivibili alla superficie agricola utilizzata (SAU); l’Italia, infatti, ha un rapporto popolazio- ne/superficie agricola (abitanti/100 ha di SAU) evidentemente al di sopra della media europea (464 contro 293).
1. Fonte: INEA, L’agricoltura italiana conta, 2014.
Peso % del valore aggiunto agricolo* sul totale del valore aggiunto nei 28 Paesi
dell’Unione europea, 2013
* Valore aggiunto ai prezzi di base - valori correnti Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Eurostat, 2014
Il 2013 è stato un anno di generale ripresa del settore agricolo, dopo un meno brillante 2012:
il valore aggiunto del settore è aumentato in termini reali dello 0,3%, mentre la variazione dello stesso a prezzi correnti è stata più impor- tante: +5,6%. Il valore della produzione agrico- la, della silvicoltura e della pesca(2) è aumenta- to nel 2013 del 3,3%, risultato che ha permesso di raggiungere i 56,1 miliardi di euro, mentre le esportazioni crescono del 5%, fermandosi a quasi 34 miliardi di euro.
Anche i prezzi alla produzione dal 2012 al 2013 hanno registrato un rialzo, sebbene in attenua- zione nel corso del secondo semestre dell’an- no; tuttavia, il settore non è passato indenne dalla crisi, soprattutto in relazione a:
• il calo del numero di dipendenti (-4,2%);
• il ridimensionamento dell’occupazione gio- vanile, che riduce la sua incidenza sul totale degli occupati, passando dal 20% del 2012 al 19,2% del 2013;
2. Ai prezzi di base, misurato in termini correnti.
• la stabilità della spesa per i consumi in- termedi, che ha raggiunto la cifra di 25.029 milioni di euro, registrando solo un +0,7%
rispetto al 2012, a causa dell’aumento dei prezzi (+2%) e di una diminuzione delle quantità utilizzate (-1,3%)(3).
I dati esposti raccontano di un settore impor- tante per l’Italia, capace di “tenere” la crisi e che ha subìto, nel corso degli ultimi anni, pro- fonde trasformazioni, legate soprattutto ad un arricchimento e articolazione delle attività svolte dalle aziende. Si sono moltiplicati, infat- ti, i modelli imprenditoriali (dai marchi di qua- lità, al biologico), si sono diffusi concetti come multi-funzionalità e multi-settorialità e, in ge- nerale, si è sviluppata una maggiore sensibili- tà e attenzione al valore dell’agricoltura come stile di vita, come patrimonio, come identità culturale, come protezione dell’ecosistema(4). Il legame fra agricoltura, qualità della vita e sostenibilità ambientale (tutela degli habitat
3. Fonte: INEA, L’agricoltura italiana conta, 2014.
4. Giovannini E., Il volto dell’agricoltura tra complessità e cam- biamento, in “AgriRegioniEuropa”, anno 8 n. 31, dicembre 2012.
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Istat, 2012
dell’agricoltura, 2010
11
e dei paesaggi, protezione della biodiversità, conservazione del suolo, ecc.) è diventato sem- pre più indissolubile(5), mentre si è affermata l’idea che lo sviluppo del settore passi sempre più dalla competitività dei territori, piuttosto che dalla competitività delle imprese.
Dunque, il settore agricolo ha un valore eco- nomico-produttivo, ma anche un valore legato alla sostenibilità nel lungo periodo, alla pre- servazione dell’ambiente, alla valorizzazione del nostro patrimonio naturalistico, all’esalta- zione e al miglioramento del nostro stile di vita.
5. CNEL e ISTAT, nell’ambito dell’iniziativa volta alla misura- zione del Benessere Equo e Sostenibile (BES), hanno individua- to, fra gli altri indicatori, il “Paesaggio e il patrimonio cultura- le” come uno dei domini fondanti il benessere nel nostro Paese (www.misuredelbenessere.it).
In questo senso, il “disaccoppiamento” della politica agricola(6), che ha spostato i contribu- ti dalla produzione al sostegno del reddito e al mantenimento sul territorio dell’azienda agri- cola, vera garante della presenza di un tessuto rurale socialmente vivo, così come l’evoluzione della filiera agro-alimentare di qualità, sono solo alcuni dei fattori che hanno determinato l’emergere di nuovi modelli organizzativi e di una differente considerazione del settore.
6. Il 26 giugno 2003 i Ministri europei dell’agricoltura hanno approvato una radicale riforma della Politica Agricola Comu- ne (PAC). Le nuove regole sono dettate dal Regolamento CE n.
1782/2003 del 29 settembre 2003 e dai suoi provvedimenti ap- plicativi (il Regolamento CE n. 795/2004 e il Regolamento CE n.796/2004). In particolare, viene introdotto il disaccoppiamento dei pagamenti diretti, per minimizzare il rischio di abbandono delle terre. Il disaccoppiamento si traduce nel pagamento unico per azienda, non più legato alla produzione, che sostituisce la maggior parte degli aiuti relativi alle differenti OCM (Organiz- zazione Comune del Mercato) ed è determinato sulla base di un periodo di riferimento. Il nuovo sistema è entrato in vigore il 1°
gennaio 2005, con la possibilità per i singoli Stati membri di ap- plicare un periodo di transizione fino al 1° gennaio 2007.
13
A ciò si aggiunge la leadership del nostro Made in Italy agroalimentare nel mondo, indiscussa per sicurezza alimentare dei sistemi di con- trollo (99% di campioni regolari di frutta, ver- dura, vino e olio, con residui chimici al di sotto dei limiti di legge) e per numero di prodotti ti- pici registrati. Non sono, inoltre, da dimentica- re gli importanti effetti che esso esercita sullo sviluppo di un turismo delle identità, attento ai territori e non invasivo, e sul benessere degli italiani e sulla loro qualità di vita.
Una delle caratteristiche principali dell’enoga- stronomia italiana e del prodotto enogastro- nomico, infatti, è il suo essere sintesi della tradizione culturale, del patrimonio naturale e dei saperi locali di un luogo e, dunque, un im- portante strumento di sviluppo economico del territorio in cui viene prodotto. Tale ruolo, però, non può che andare di pari passo con la revi- sione, da parte delle aziende di tutto il settore agroalimentare, dei processi produttivi, che se da un lato devono preservare la tradizione ed essere sostenibili, dall’altro devono improntarsi alle più moderne tecnologie, tanto nell’agricol- tura primaria, quanto nella trasformazione dei prodotti. La tendenza, infatti, sia che si conside- ri il comparto dell’enologia, che quello caseario o dell’agricoltura biologica, va verso le produ- zioni di qualità a costi “sostenibili”, attraverso la diffusione, anche nelle aziende più piccole, delle tecnologie più moderne e dei disciplinari di qua- lità, che consentano alle produzioni di essere certificate e riconoscibili attraverso un marchio.
Questo grande espandersi di opportunità tecno- logiche, infatti, non solo tutela maggiormente il consumatore rispetto alla qualità di un prodotto e garantisce sicurezza senza condizionarne l’o- rigine, ma ripristina anche la tipicità del prodot- to, ove questa fosse stata compromessa(7). Per- seguire la strategia della qualità certificata e dell’associazione fra operatori è sempre più ne- cessario per l’organizzazione e la commercia- lizzazione del prodotto, per la scelta più precisa dei mercati per cui produrre e per la tessitura di reti locali con altri produttori e con le attività turistiche, culturali e artigianali del territorio.
7. Esposti R., Complementarietà, coordinamento e problemi di anticommons nell’innovazione biotecnologica. La Questione Agraria, n.2, 2004, pp. 99-134.
La produzione agroalimentare è sostenuta da un lato da una domanda interna che nel tem- po è diventata esigente ed attenta alla qualità dei prodotti e che consuma gran parte dell’of- ferta nazionale, dall’altro da una domanda in- ternazionale che ha premiato i passi avanti fatti dall’industria e dagli agricoltori italiani nel ga- rantire al mercato alimenti che, nel rispetto del- la tradizione, sono attenti agli aspetti salutistici.
A livello internazionale si è affermato il vino italiano, specialmente quello di gamma alta, prodotto non solo da grandi aziende vinicole, ma anche da imprese di dimensioni medie e piccole, che proprio differenziando il loro pro- dotto sono riuscite a ritagliarsi delle nicchie di mercato. Ma nell’ambito dei prodotti tipici, se escludiamo grossi marchi come il Grana Pada- no DOP, il Parmigiano Reggiano DOP, il Pro- sciutto di Parma DOP e pochi altri, è evidente che molte produzioni italiane di lunga tradizio- ne, sia per le caratteristiche intrinseche del prodotto, sia che per la limitatezza dei volumi produttivi, possono accedere solo in parte o per niente al mercato internazionale e, in alcuni casi, neanche a quello nazionale. Ciò nondime- no il loro valore sociale ed economico a livello locale è altissimo se si tiene conto della qua- lità di tali prodotti, della tradizione culturale che esprimono e dell’immagine che offrono del territorio. Si parla, infatti, di identità territoriali alimentari che, insieme alle identità culturali, naturali e artigianali e, più in generale, al pa- trimonio immateriale, possono essere il brand nazionale e internazionale di quel territorio.
E l’EXPO 2015 si prefigura, in questo senso, come un’opportunità straordinaria.
Qual è in questo scenario il ruolo giocato dai nostri comuni?
I nostri comuni giocano un ruolo di grande im- portanza nello sviluppo del settore agricolo. In primo luogo, è importante ribadire che i comuni italiani hanno una specializzazione economica(8) legata prevalentemente ad agricoltura e pesca:
il 59,0% dei comuni è, infatti, specializzato nel primario, contro il 31,3% dei comuni a vocazio- ne industriale ed il 9,7% specializzato nei ser- vizi. In generale, tra i territori locali con voca- zione agricola prevalgono quelli umbri (90,2%), seguiti da quelli lucani (90,1%), sardi (87,5%) e molisani (85,3%). Percentuali superiori al 70%
si osservano anche in Abruzzo (73,4%), Trenti- no-Alto Adige (73,0%), Marche (72,9%), e Puglia (70,5%). Nel resto delle regioni italiane, ad ec- cezione di Lombardia e Toscana (dove si rile- vano le percentuali più elevate di comuni con specializzazione industriale), oltre la metà dei comuni è specializzato nel settore primario.
La specializzazione economica è fortemente legata alla popolosità dei comuni e la percen- tuale di comuni con vocazione nel settore pri- mario è inversamente proporzionale alla taglia demografica degli enti: dal 74,0% di comuni con meno di 2.000 abitanti specializzati nell’a- gricoltura e nella pesca, si passa ad un 59,8%
tra i comuni con un numero di residenti com- preso tra i 2mila e 5mila cittadini, scendendo fino al 14,0% tra le amministrazioni di taglia 60.000 - 249.999.
8. L’indice di specializzazione economica di un comune è calcola- to considerando l’incidenza delle imprese attive in un determina- to settore economico rapportata al totale delle imprese attive nel comune. Se tale rapporto risulta maggiore dello stesso rapporto calcolato a livello nazionale, un comune può essere definito “spe- cializzato” in quel dato settore. Da un punto di vista analitico si è proceduto al calcolo, per ciascun comune, dei quozienti di loca- lizzazione (QL) dei tre settori (primario, secondario, terziario). A ciascun comune poi è stata attribuita la specializzazione econo- mica corrispondente al massimo valore di QL osservato.
1.1 I COMUNI
ITALIANI HANNO UNA
VOCAZIONE AGRICOLA
15
La specializzazione economica dei comuni italiani, 2012
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Infocamere, 2013
Settore economico prevalente Primario
Secondario Terziario
Dunque, la maggior parte dei comuni italiani vive grazie ad un’economia che si basa preva- lentemente sull’agricoltura e la pesca e pro- prio questa caratteristica (la specializzazione economica nel settore primario), che va di pari passo con la loro taglia demografica, li ha resi più vulnerabili, in quanto il settore primario ed i piccoli comuni sono stati i più colpiti dalla crisi ed hanno riscontrato le maggiori difficoltà nel cominciare la ripresa avviata nel 2010, ma che oggi sembra già di nuovo conclusa.
I comuni italiani a vocazione agricola, dunque, sono in una fase complessa: stanno affrontan- do una crisi dell’imprenditoria e hanno grosse difficoltà a ripartire. Dal 2011, infatti, sembra
che i problemi siano aumentati a danno del- le amministrazioni fino a 5.000 abitanti ed, in maniera più lieve, a danno dei comuni di taglia compresa tra i 5mila ed i 20mila cittadini. Inol- tre il primario registra un tasso di incremento delle imprese, nel passaggio dal 2011 al 2012, negativo (-2,81%), con tassi medi di nati-mor- talità delle imprese particolarmente bassi in corrispondenza dei comuni di Campania (-4,46%) e Sicilia (-4,12%).
Piemonte Valle d’Aosta Lombardia
Trentino-Alto Adige Veneto
Friuli-Venezia Giulia Liguria
Emilia-Romagna Toscana
Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA
64,4%
52,7%
27,0%
73,0%
52,7%
65,9%
51,5%
61,2%
48,9%
90,2%
72,9%
60,1%
73,4%
85,3%
65,5%
70,5%
90,1%
68,7%
69,2%
87,5%
59,0%
31,0%
31,1%
65,0%
18,0%
39,4%
25,3%
32,8%
32,9%
41,1%
7,6%
19,1%
25,9%
17,4%
10,3%
11,5%
19,4%
6,1%
13,9%
16,2%
7,4%
31,3%
4,6%
16,2%
8,0%
9,0%
7,9%
8,8%
15,7%
5,9%
10,0%
2,2%
8,1%
14,0%
9,2%
4,4%
23,1%
10,1%
3,8%
17,4%
14,6%
5,0%
9,7%
% di comuni
Settore Primario Settore Secondario Settore Terziario Regione
Specializzazione economica dei comuni italiani, per regione, 2012
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Infocamere, 2013
17
I dati a livello comunale sono confermati da quelli nazionali sul settore agricolo: nel 2013, per il secondo anno consecutivo, il mercato fondiario ha mostrato una diminuzione delle quotazioni (-0,4%), che si sono attestate su un valore medio di circa 20.000 euro per ettaro.
Allo stesso tempo, continua la caduta degli in- vestimenti fissi lordi in agricoltura, in termini reali, facendo registrare una flessione del 4%, che si va ad aggiungere a quella ancora più consistente del 2012 (-9,9%)(9).
È vero che l’incidenza degli investimenti agri- coli sul totale nazionale è leggermente aumen- tata dal 2012, ma è diminuito il rapporto con il
9. Fonte: INEA, L’agricoltura italiana conta, 2014.
valore aggiunto agricolo (dal 37% del 2012 al 33,8% del 2013). Questi risultati, derivano dai mancati investimenti effettuati nel settore, ma anche dalla dinamica negativa degli investi- menti per l’intero sistema economico.
A ciò si aggiunge il fatto che il 2013 è stato ca- ratterizzato da un generale calo dei consumi alimentari e da numerosi e anomali eventi mete- orologici che hanno determinato su tutta la peni- sola criticità gravi a carico del comparto agricolo.
Uno scenario complesso, dunque, che nulla to- glie ai valori positivi che comunque il comparto continua a far registrare, alle sue potenzialità di crescita, al suo valore sociale, al peso del trino- mio cibo-cultura-territori e alla forte vocazione in tal senso dei nostri comuni, sulla quale è ne- cessario riflettere e lavorare al fine di garantire un’opportunità di sviluppo per i nostri territori.
Piemonte Valle d’Aosta Lombardia
Trentino-Alto Adige Veneto
Friuli-Venezia Giulia Liguria
Emilia-Romagna Toscana
Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA
-3,34%
-1,41%
-3,12%
-2,48%
-3,92%
-3,11%
-1,00%
-2,64%
-3,51%
-2,72%
-2,81%
-2,21%
-3,41%
-2,69%
-2,15%
-3,16%
-4,35%
-4,38%
-2,77%
-2,92%
-2,99%
-1,52%
-0,32%
-0,47%
-0,44%
-1,28%
-1,21%
-0,30%
-0,74%
-0,36%
-0,20%
-0,75%
1,48%
-0,62%
-0,87%
0,78%
-0,70%
-1,17%
-1,18%
-0,04%
-0,57%
-0,38%
-2,43%
-3,64%
-1,95%
-0,88%
-2,17%
-3,45%
-3,08%
-2,68%
-1,10%
-1,99%
-2,63%
-2,28%
-3,13%
-2,79%
-4,46%
-3,63%
-1,55%
-3,30%
-4,12%
-2,42%
-2,81%
Primario
Settore economico
Regione Totale
Secondario Terziario -0,44%
1,15%
0,95%
0,79%
0,38%
0,41%
0,38%
0,79%
1,47%
1,73%
1,10%
3,24%
1,83%
1,36%
2,92%
1,61%
0,55%
0,72%
2,61%
1,24%
1,41%
Il tasso di incremento delle imprese nei comuni italiani, per regione e per settore economico, 2012
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Infocamere, 2013
Riflettere sulla struttura produttiva che ca- ratterizza i comuni del settore primario è fon- damentale per comprendere le strategie di sviluppo possibili in questo ambito. L’Italia ha 1.620.884 aziende agricole distribuite su una superficie agricola utilizzata di 12.856.048 et- tari. Tale superficie si divide mediamente in quasi 8 ettari ad azienda, dove vengono impie- gate di media 155 giornate di lavoro.
Il sud e le isole presentano il maggior numero di aziende agricole, ben il 60% del totale, ma presentano quasi la metà della superficie agri- cola utilizzata (47,4%), contro il 35,5% del nord e il 17% del centro.
In particolare, sono più attivi i comuni di Puglia e Sicilia che da soli vedono insistere sui propri territori il 30,4% (rispettivamente il 16,8% e il 13,6%) del totale delle aziende agricole nazio- nali. Seguono i comuni della Calabria (8,5%) e della Campania (8,4%) al sud, i comuni laziali al centro (6,1%) e quelli veneti al nord (7,4%).
Tuttavia, non bisogna farsi ingannare da que- sto dato. È risaputo che l’agricoltura familiare rappresenta il modello maggiormente diffuso sia in Italia che in Europa, come confermato dai dati Istat del 6° Censimento generale dell’agri- coltura 2010, secondo i quali le aziende agri- cole individuali(10) rappresentano il 96,1% delle aziende e coltivano il 76,1% della SAU. Strut- turalmente queste aziende sono di piccole di- mensioni, con una forte radicazione nella fami- glia imprenditrice.
10. Costituita da persona fisica che esercita attività di coltivazio- ne di fondo e/o di allevamento in maniera costante e sistematica, al fine di produrre o scambiare beni i servizi.
1.2 LA STRUTTURA PRODUTTIVA DEI
COMUNI NEL SETTORE PRIMARIO
% di aziende agricole e di Superficie Agricola Utilizzata (SAU), per ripartizione
geografica, Censimento dell’agricoltura 2010
% aziende agricole
% Superficie Agricola Utilizzata (SAU)
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Istat, 2012
19
In Italia le aziende familiari rappresentano il 79,5% del totale(11), ma il dato è in linea con la media europea a 28 Paesi pari al 77,8%. Presen- tano percentuali più basse Stati come la Francia (con il 43,7% di aziende familiari), i Paesi Bassi (59,1%), la Spagna (63,4%), la Germania (63,9%) e il Regno Unito (67,7%). Un’incidenza molto alta di aziende familiari sul totale delle aziende agri- cole del Paese, invece, si registra in Paesi come la Polonia (94,6%), l’Irlanda (92,3%), la Romania (88,7%; la Romania è prima in Europa per nu- mero di aziende agricole, seguita da Italia e Po- lonia), la Grecia (82,5%) e il Portogallo (81,0%).
11. Fonte: Commissione europea-Eurostat, 2010.
In Italia la frammentazione del comparto è le- gata anche alla conduzione diretta del coltiva- tore(12) (95,4% delle aziende che coltiva l’82,8%
della SAU) e alla propensione a gestire terreni di proprietà (90,6% delle aziende che coltiva il 61,9% della SAU), anche se il trend degli ulti- mi anni rileva un maggior ricorso ai terreni in affitto e a quelli in uso gratuito, a dimostrazio- ne di una tendenza ad allargare la dimensione media dell’azienda(13).
12. Si intende l’azienda in cui il conduttore presta egli stesso la- voro manuale all’azienda, da solo o con l’aiuto dei familiari e parenti.
13. Fonte: Istat, 6° Censimento dell’agricoltura, 2010.
Piemonte Valle d’Aosta Lombardia
Trentino-Alto Adige Veneto
Friuli-Venezia Giulia Liguria
Emilia-Romagna Toscana
Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA
4,1%
0,2%
3,4%
2,3%
7,4%
1,4%
1,2%
4,5%
4,5%
2,2%
2,8%
6,1%
4,1%
1,6%
8,4%
16,8%
3,2%
8,5%
13,6%
3,8%
100,0%
15,1 15,6 18,2 10,3 6,8 9,8 2,2 14,5 10,4 9,0 10,5 6,5 6,8 7,5 4,0 4,7 10,0 4,0 6,3 19,0 7,9
279 228 355 331 163 188 232 262 196 118 132 137 113 116 142 104 112 114 99 208 155 67.148
3.554 54.333 36.693 119.384 22.316 20.208 73.466 72.686 36.244 44.866 98.216 66.837 26.272 136.872 271.754 51.756 137.790 219.677 60.812 1.620.884
v.a. v.a. v.a.
N. aziende agricole Superficie agricola
utilizzata - SAU (ha) Giornate di lavoro Regione
% SAU media
per azienda Media
per azienda 1.010.780
55.596 986.826 377.755 811.440 218.443 43.784 1.064.214 754.345 326.877 471.828 638.602 453.629 197.517 549.532 1.285.290 519.127 549.254 1.387.521 1.153.691 12.856.048
18.702.731 810.336 19.261.486 12.142.292 19.509.883 4.205.209 4.691.793 19.255.361 14.212.860 4.283.722 5.919.044 13.455.386 7.529.739 3.038.797 19.492.698 28.281.232 5.818.524 15.705.451 21.812.547 12.676.949 250.806.040
Le aziende agricole, le superfici agricole e le giornate di lavoro nei comuni italiani, per regione, Censimento dell’agricoltura 2010
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Istat, 2012
nelle imprese agricole per Paese, 2010
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Commissione europea-Eurostat, 2010
21
La frammentazione delle aziende è più eviden- te nel meridione e nelle isole (le aziende sono il 60% del totale, ma la superficie agricola non raggiunge il 50%), dove la SAU media per azienda è sempre inferiore alla media nazio- nale, ad esclusione del caso dei comuni della Sardegna (19 ettari) e dei comuni lucani (10 ettari), per una media di 7,9 ettari ad azienda.
Molto differente la situazione nei comuni del nord Italia, dove il 24,5% delle aziende italia- ne presenta una SAU media di 11,6 ettari, con in testa i comuni della Lombardia (18,2), della Valle d’Aosta (15,6) e del Piemonte (15,1).
Anche i dati delle giornate di lavoro conferma- no questa tendenza: al nord, dove le aziende hanno dimensioni maggiori, le giornate lavo- rate sono ben oltre la media nazionale (155) e raggiungono punte di 355 in Lombardia, 331 in Trentino-Alto Adige e 279 in Piemonte; al sud e nelle isole, invece, ad esclusione della Sarde- gna (208), il dato è sempre al di sotto di quello nazionale, con una media di 126 giornate ed un minimo di 99 giornate in Sicilia.
In tutto il Paese emerge, comunque, un qua- dro aziendale molto simile, caratterizzato dalla presenza di:
• un capoazienda, nella maggioranza dei casi, di sesso maschile (solo il 30,7% è donna), di età elevata (il 61,5% ha oltre 55 anni) e bassi livelli di istruzione, con una
formazione legata all’esperienza di campo.
I giovani capoazienda con meno di 40 anni rappresentano il 10% del totale, anche se per ottenere le facilitazioni volte all’insedia- mento dei giovani imprenditori è necessario avere un’età compresa tra i 18 e i 40 anni (Agevolazione per il primo insediamento di giovani agricoltori nei Piani di Sviluppo Ru- rale - PSR - regionali);
• componenti familiari, che concorrono al 79,1% delle unità di lavoro annuo (ULA)(14), in prevalenza maschili (le donne contribu- iscono per un 28,5% all’attività lavorativa agricola), e di età elevata (i giovani costitui- scono il 20% all’attività lavorativa agricola);
• una dimensione economica aziendale esi- gua, che ammonta a 30.514 euro prodotti per azienda (complessivamente il valore della produzione agricola nazionale am- monta a circa 50 miliardi di euro, prodotti principalmente al nord)(15).
14. Le Unità di Lavoro Annuo (ULA) quantificano in modo omo- geneo la quantità di lavoro svolto, per le sole attività agricole, da coloro che partecipano al processo di produzione. Ci si riferisce cioè all’occupazione equivalente tempo pieno, ossia il numero to- tale di ore di lavoro prestate diviso per il numero medio di ore di lavoro prestate all’anno in impieghi a tempo pieno nel paese. Per
“tempo pieno” si intendono le ore di lavoro minime stabilite dalle normative nazionali relative ai contratti di lavoro. Se questi non precisano il numero di ore annue, il dato minimo da considerare è di 1.800 ore (pari a 225 giorni di lavoro di 8 ore).
15. Fonte: Istat, 6° Censimento dell’agricoltura, 2010.
In generale, il fenomeno della frammentazione aziendale nel comparto agricolo è più intenso nei comuni con una taglia demografica ridot- ta. Il numero delle aziende agricole, infatti, è maggiore nelle amministrazioni della classe di ampiezza demografica compresa tra i 2.000 e i 4.999 abitanti (23,1%) e nei comuni con un nu- mero di cittadini compreso tra i 5.000 e i 9.999 (19,8%). La SAU media per azienda è più alta nei comuni con meno di 2.000 abitanti (11,2 et- tari) e decresce all’aumentare del numero degli abitanti fino a raggiungere 5,8 ettari nei comuni della classe 20.000-59.999. Aumenta, però, sep- pur leggermente, nei comuni più popolosi, fino a raggiungere i 9,4 ettari nei comuni con oltre 250.000 abitanti.
La frammentazione, così come la mancanza di ricambio generazionale ed il suo diretto lega- me con la propensione a investire e a innovare, non possono che nuocere al corretto sviluppo e alla professionalizzazione dell’intero comparto ma, allo stesso tempo, non si deve dimenticare che il profondo legame di queste aziende con il territorio offre loro un’importante funzione nell’economia rurale: contribuiscono alla sicu- rezza alimentare, forniscono diversi prodotti di alta qualità, migliorano la vitalità dell’econo- mia rurale e favoriscono la produzione di beni pubblici attraverso il loro interesse nella cura dell’ambiente.
Perché questo ruolo si sviluppi di pari passo con la loro sostenibilità, sarebbe strategico implementare tutte quelle attività remunerati- ve connesse a quelle di coltivazione e alleva- mento, dall’agriturismo alle attività ricreative e sociali, dalle fattorie didattiche all’artigianato, dalla prima lavorazione dei prodotti agricoli alla trasformazione dei prodotti vegetali e dei prodotti animali(16), che ad oggi, coinvolgono un esiguo 4,7% delle aziende censite.
L’80,8% delle aziende agricole che svolge atti- vità connesse è impegnata in una sola attività, il 16,8% in 2-3 attività e solamente il 2,4% ne realizza 4 o più, dimostrando una maggiore ca- pacità di mettere a valore la produzione agrico- la e il suo legame con il territorio. Nel 26% dei casi le aziende scelgono il contoterzismo attivo per attività agricole, seguito dall’agriturismo (25,4%), dalla trasformazione di prodotti ani- mali (12,7%) e dalla trasformazione di prodotti vegetali (10,5%).
16. Si fa riferimento alle seguenti attività: l’agriturismo, le attività ricreative e sociali, le fattorie didattiche, l’artigianato, la prima lavorazione dei prodotti agricoli, la trasformazione dei prodotti vegetali e dei prodotti animali, la produzione di energia rinnovabi- le, la lavorazione del legno, l’acquacoltura, il contoterzismo attivo (con utilizzo dei mezzi di produzione dell’azienda), i servizi per l’al- levamento, la sistemazione di parchi e giardini, la silvicoltura, la produzione di mangimi completi e complementari e altre attività.
0 - 1.999 2.000 - 4.999 5.000 - 9.999 10.000 - 19.999 20.000 - 59.999 60.000 - 249.999
> = 250.000 ITALIA
15,6%
23,1%
19,8%
16,9%
17,7%
6,3%
0,6%
100,0%
11,2 8,8 7,4 6,7 5,8 7,9 9,4 7,9
165 157 149 150 146 170 212 155 252.405
374.576 321.720 274.655 286.161 101.998 9.369 1.620.884
v.a. v.a. v.a.
N. aziende agricole Superficie agricola
utilizzata - SAU (ha) Giornate di lavoro Classe
di ampiezza
demografica % SAU media
per azienda Media
per azienda 2.817.601
3.280.144 2.369.540 1.843.264 1.653.696 804.132 87.671 12.856.048
41.551.747 58.690.850 48.043.244 41.284.040 41.868.129 17.377.494 1.990.536 250.806.040
nei comuni italiani, per classe demografica, Censimento dell’agricoltura 2010
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Istat, 2012
23
La dimensione media delle aziende agricole nei comuni italiani, Censimento dell’agricoltura 2010
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Istat, 2012
SAU per azienda agricola Inferiore a 7,9
7,9 e oltre
Un altro dato interessante per comprendere la struttura produttiva dei comuni nel settore primario è il numero degli addetti alle unità locali(17). Per unità locale si intende l’impianto
17. Per unità locale si intende l’impianto operativo o amministra- tivo-gestionale di un’azienda, ubicato in luogo diverso da quello della sede, nel quale l’impresa esercita stabilmente una o più atti- vità economiche. L’unità locale è dotata di autonomia e di tutti gli strumenti necessari allo svolgimento di una finalità produttiva, o di una sua fase intermedia, cui sono imputabili costi e ricavi
operativo o amministrativo-gestionale di un’a- zienda, ed analizzare il numero di addetti alle unità locali nel settore economico di riferimen- to consente una valutazione della dimensione economico-finanziaria dei comuni italiani.
relativi alla produzione o alla distribuzione di beni oppure alla prestazione di servizi.
25
Piemonte Valle d’Aosta Lombardia
Trentino-Alto Adige Veneto
Friuli-Venezia Giulia Liguria
Emilia-Romagna Toscana
Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA
0,2%
0,05%
0,1%
0,4%
0,5%
0,5%
0,2%
0,5%
0,4%
0,5%
0,7%
0,2%
0,6%
0,8%
0,3%
0,6%
0,4%
1,9%
1,0%
0,9%
0,4%
59,8%
71,8%
62,7%
68,7%
56,7%
58,8%
73,5%
59,9%
62,9%
60,9%
54,3%
78,3%
59,3%
61,5%
70,1%
66,1%
59,7%
73,2%
72,3%
69,8%
64,5%
1.354.444 42.324 3.496.393 362.303 1.667.825 376.682 458.897 1.515.059 1.153.994 249.162 485.185 1.544.224 340.815 62.802 1.015.950 771.425 109.939 301.427 790.753 324.483 16.424.086
Totale
N. addetti alle unità locali
Regione di cui nel settore
secondario (%) di cui nel settore terziario (%) di cui nel settore
primario (%)
40,0%
28,1%
37,2%
30,9%
42,9%
40,7%
26,3%
39,6%
36,7%
38,6%
45,1%
21,5%
40,1%
37,8%
29,6%
33,2%
39,9%
25,0%
26,7%
29,3%
35,1%
Gli addetti alle unità locali nei comuni italiani, per settore economico e regione, Censimento generale dell’industria e dei servizi 2011
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Istat, 2012
Secondo l’ultimo Censimento generale dell’indu- stria e dei servizi, realizzato dall’Istat nel 2011, nei comuni italiani si registrano 16.424.086 ad- detti alle unità locali, prevalentemente concen- trati nel settore terziario (64,5%) e nel settore industriale (35,1%). Solo lo 0,4% degli addetti af- ferisce al settore agricolo.
Per quest’ultimo comparto i comuni della Ca- labria sono gli unici a registrare un numero di addetti alle unità locali superiore all’1% (1,9%
per la precisione). Si segnala che il dato più contenuto si rileva in corrispondenza dei co- muni del territorio della Valle d’Aosta (0,05%).
Analizzando per classe demografica comunale il numero di addetti alle unità locali nel settore agricolo, la percentuale degli addetti diminuisce al crescere della popolazione: nei comuni con una popolazione superiore ai 250.000 abitanti è pari allo 0,05%, mentre nelle amministrazioni con meno di 2.000 cittadini raggiunge lo 0,8%.
2
La varIEtà DELLa PrODuzIOnE DI QuaLItà CErtIFICata
ED IL vaLOrE DEI PrODOttI
agrOaLIMEntarI traDIzIOnaLI
27
Le produzioni definite sinteticamente “di qua- lità”, ovvero PAT, DOP, IGP e STG sono, in uno scenario di integrazione tra contesti urbani e rurali e politiche del turismo, ed alla luce del- le rinnovate responsabilità per i comuni, uno strumento di forte impatto nella programma- zione della crescita locale e della valorizzazio- ne, nel tempo, del patrimonio identitario a van- taggio delle collettività. Tali produzioni, infatti, rappresentano un’importante occasione per l’agroalimentare nazionale, sia nell’ambito dei consumi domestici, che sui mercati mondiali, perché consentono da un lato di diversificare le produzioni agricole, dall’altro di cogliere e sod- disfare specifiche esigenze di qualità, sicurez- za alimentare, sana alimentazione. Rivestono, inoltre, un’importanza strategica soprattutto per la loro capacità di evocare e preservare le tradizioni e le identità locali e di acquisire va- lore se legate all’offerta culturale, creativa e turistica del territorio.
Quando si parla di prodotti tipici e di qualità, infatti, si deve in primo luogo rivendicare lo strettissimo e inscindibile legame esistente fra il singolo prodotto, il territorio che ospita la sua produzione e da cui traggono origine le sue caratteristiche, e gli elementi unici che appar- tengono al processo che sta alla base della sua realizzazione.
Non si possono comprendere le caratteristi- che e le qualità eccezionali dei prodotti tipici se non sono ricondotte al particolare luogo di produzione e ai metodi utilizzati per produrli.
Questo elemento è alla base dell’obiettivo del
lontano Regolamento CEE 2081/92, che si pro- poneva di tutelare produzioni tradizionali lega- te al territorio, riservando loro l’uso esclusivo della denominazione, nonché di un marchio at- testante la loro origine. Ciò si rese necessario soprattutto per preservare l’autenticità di alcu- ne produzioni e per garantire quei prodotti che acquisivano notorietà fuori dalla zona di origi- ne e trovavano sul mercato europeo la concor- renza di prodotti che li imitavano, utilizzando lo stesso nome. Tale concorrenza sleale, infatti, vanifica gli sforzi dei produttori e contempora- neamente disorienta il consumatore, che non possiede mezzi per distinguere il prodotto au- tentico da quello imitato.
La Comunità europea si proponeva, dunque, con il Regolamento del 1992, di favorire la di- versificazione della produzione agricola, al fine di ottenere un migliore equilibrio tra offerta e domanda sul mercato e di garantire condizio- ni di concorrenza uguali tra i produttori che beneficiano di certificazioni di qualità. Inoltre, intendeva favorire lo sviluppo delle zone rura- li e delle loro popolazioni, esercitando attività legate all’agricoltura e alla trasformazione dei prodotti agricoli, agevolando e stimolando specifiche produzioni in zone determinate e geograficamente delimitate, da tutelare in via esclusiva mediante le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche protette(1).
1. Capelli F., La tutela delle denominazioni dei prodotti alimenta- ri di qualità, in “Diritto comunitario degli scambi internazionali”, Napoli, 1998.
Il crescente focalizzare strumenti e risorse su questo comparto è indice dell’attenzione che le Istituzioni nazionali concedono al segmento del- le indicazioni di origine, come testimonia il per- corso normativo che ogni Stato sta conducendo verso un rinnovato ed efficace quadro normativo.
Nel corso degli anni il numero delle produzioni certificate, in Italia e in Europa, è molto cre- sciuto. Solo nel 2014(2), il paniere delle DOP, IGP e STG europee ed extra-europee è cresciu- to di 53 unità, di cui 19 prodotti DOP, 28 pro- dotti IGP e 6 prodotti STG, raggiungendo così un totale di 1.249 produzioni registrate a livello comunitario.
2. Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Commissione europea, 2015.
Hanno certamente contribuito a tale crescita i numerosi scandali alimentari degli ultimi anni, ma, soprattutto, il diffondersi a livello di un segmento di popolazione sempre maggiore – non ancora di massa, ma non più di nicchia – di un approccio più consapevole all’alimentazione corretta. La varietà e salubrità, la tradizione e l’esplorazione, il gusto e l’identità, sono fra i molti valori che i prodotti certificati rappresen- tano e che, specularmente, iniziano a guidare i comportamenti di scelta delle famiglie.
Distribuzione % del numero di denominazioni
(DOP, IGP e STG) per i primi sei Paesi europei, 2014
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Commissione europea, 2015
29
A fine 2014, l’Italia, con circa il 22% di prodotti di qualità certificata (8 nuovi prodotti registrati, per un totale di 268 produzioni), ha mantenu- to la leadership in Europa, insieme a Francia (17%), Spagna (14%) e Portogallo (10%), che sono senza dubbio gli altri tre Paesi europei che utilizzano il sistema delle certificazioni con risultati interessanti.
La Francia, infatti, ha fatto registrare nel 2014 ben 11 nuove produzioni, seguita dall’Italia con 8 e dalla Spagna e Germania con 7. Nel comples- so, i primi 6 Paesi dell’Europa coprono il 77%
del numero complessivo delle denominazioni attribuite a livello comunitario, ma i loro fattu- rati messi insieme non raggiungono quello ita- liano, dimostrando come il nostro Paese abbia fatto proprio in questi anni un concetto di qualità alimentare che ormai, in quanto a reputazione, ha ampiamente superato quello dei francesi.
Analizzando i dati per tipologia di certificazio- ne, a livello europeo, le IGP, nel 2014 diventa-
no leggermente preponderanti (617 prodotti, 49,4% sul totale dei marchi) sui prodotti DOP (583 prodotti, 46,7% sul totale), anche a causa dell’eliminazione di un’intera categoria a mar- chio DOP, quella delle acque minerali, con ben 23 prodotti; continuano ad avere, invece, un ruolo marginale le 49 STG, che rappresentano solamente il 3,9% del totale dei prodotti certi- ficati. Rispetto al 2013, la crescita complessiva dei prodotti registrati mostra un’accelerazione:
ad aumentare di più sono le IGP con 28 unità, seguite dalle DOP con 19 unità (cancellati 23 prodotti della categoria acque minerali) e dalle STG con 6 unità.
Il comparto che maggiormente si è arricchi- to è quello ortofrutticolo e cerealicolo con 14 nuove registrazioni (prima categoria anche per numero di prodotti, 341, che rappresentano il 27,3% del totale), seguito da quello dei prodotti a base di carne con 10 prodotti registrati e dai prodotti di panetteria, pasticceria, confetteria o biscotteria con 8 new entry.
Paese UE Italia**
Francia Spagna Portogallo Grecia Germania Regno Unito Polonia Rep. Ceca*
Slovenia Slovacchia*
Austria Belgio Ungheria Paesi Bassi Finlandia Svezia Danimarca Lituania Irlanda Bulgaria Lussemburgo Cipro
Lettonia Romania
160 97 95 64 74 9 22 8 6 8 1 8 3 6 5 5 2 0 1 1 0 2 0 0 0
DOP IGP STG Totale
106 121 81 60 27 70 32 19 23 10 8 6 6 7 3 2 3 6 3 4 3 2 2 0 1
2 1 4 1 0 0 2 9 4 3 7 0 5 1 2 3 2 0 2 0 2 0 0 2 0
268 219 180 125 101 79 56 36 33 21 16 14 14 14 10 10 7 6 6 5 5 4 2 2 1
Distribuzione dei prodotti DOP, IGP e STG, per Paese UE, 2014
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Commissione europea e MiPAAF, 2015
*4 prodotti STG in comune fra Repubblica Ceca e Slovacchia
**Dato aggiornato a novembre 2014 (MiPAAF)
31
Distribuzione dei prodotti DOP, IGP e STG, per Paese UE, 2014
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Commissione europea e MiPAAF, 2015
Tale situazione presenta, però, molti margini di miglioramento legati, ad esempio, alle proble- matiche internazionali quali dazi, barriere do- ganali e contraffazioni; alla necessità di non in- flazionare pesantemente il paniere dei prodotti certificati per non annullare il valore aggiunto dei marchi; alla capacità di utilizzare il loro ef- fetto come volano per lo sviluppo economico dei territori, specie in riferimento alle azien- de che, confrontandosi per definire assieme un disciplinare di produzione per certificare il prodotto, creano collaborazioni, consorzi, reti e nuovi virtuosismi economici nel territorio.
È noto, infatti, che la frammentazione e le mo- deste dimensioni del sistema imprenditoriale agroalimentare italiano da un lato consento- no di avere eccellenze riconosciute per fama e reputazione in tutto il mondo, dall’altro im- pediscono una penetrazione decisa nei mercati internazionali.
Tuttavia, prima di esporre possibili strategie di utilizzo dell’agroalimentare tipico e di qualità occorre chiarire le caratteristiche del sistema di produzione dei diversi marchi e produzioni certificate e della loro diffusione sul territorio nazionale e regionale.
Distribuzione % del numero di prodotti europei a denominazione DOP, IGP e STG, per comparti produttivi, 2013
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati Commissione europea, 2015
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Il liquore crema di limone prodotto nella pe- nisola amalfitana, la frittura napoletana della provincia di Napoli o la tagliatella bolognese: i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) sono quei prodotti tradizionali e di nicchia che pos- siedono un alto valore gastronomico e culturale, ma si presentano come realtà produttive per le quali la tutela comunitaria non risulta applica- bile. Nello specifico, il requisito di un Prodotto Agroalimentare Tradizionale è legato a tre ele- menti fondamentali: al processo produttivo, alla tradizione, al territorio in cui viene realizzato;
ovvero per conseguire la denominazione di PAT è necessario che i prodotti siano ottenuti «con metodi di lavorazione, conservazione e stagio- natura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole
tradizionali, per un periodo non inferiore ai 25 anni»(3). I PAT, infatti, sono caratterizzati da una produzione indissolubilmente legata ai valori culturali tipici del territorio e da interessanti contenuti qualitativi e organolettici, ma limi- tata in termini quantitativi e relativa ad aree territoriali molto ristrette, condizioni che non giustificano una DOP o una IGP. I PAT vengono infatti prodotti da aziende di piccola o piccolis- sima dimensione, che si muovono in un con- testo di accentuata frammentazione produttiva e notevole variabilità dei processi produttivi, tale da compromettere a volte la riconoscibilità dei prodotti finali. Inoltre, presentano un for- tissimo legame con alcune attività economiche legate al territorio, quali il turismo e l’artigia- nato, e sono distribuiti prevalentemente con la vendita diretta, attraverso negozi, ristoranti e agriturismi del territorio.
3. D.M. 8 settembre 1999, n. 350. Regolamento recante norme per l’individuazione dei prodotti tradizionali di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173.
2.1 IL VALORE DEI PRODOTTI
AGROALIMENTARI
TRADIZIONALI (PAT)
Distribuzione % dei PAT in Italia, per regione, 2014
Quattordicesima revisione dell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati MiPAAF, 2014
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Proprio perché si tratta di produzioni limitate, anche se caratterizzate da metodiche di lavo- razione tradizionali e da un prezioso rapporto economico con il territorio, i PAT non sono rico- nosciuti a livello di Unione europea e il Ministero per le Politiche Agricole Ambientali e Forestali, pur impegnandosi nel valorizzare il patrimo- nio gastronomico, promuovendo le produzioni agroalimentari italiane e regolamentando (D.
Lgs 173/98, D.M. 350/99 e D.M. 18/2000) il siste- ma dei prodotti tradizionali, ha rinunciato ad un ruolo attivo nella loro definizione, delegando tali compiti alle amministrazioni locali, e conser- vando per se stesso solo un ruolo di controllo.
Le regioni, dunque, sono state investite del compito di predisporre e comunicare annual- mente al MiPAAF l’elenco dei prodotti tradizio- nali, al fine della pubblicazione dell’elenco na- zionale, nonché di accertare che le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura siano praticate, sul proprio territorio, in ma- niera omogenea e secondo regole tradizionali e protratte nel tempo.
L’elenco dei PAT, che nel 2014 risultano essere 4.813, viene revisionato ogni anno e molto spes- so costituisce il primo passaggio per avviare il procedimento di riconoscimento comunitario del marchio DOP/IGP. Se guardiamo alla distri-
buzione dei PAT a livello regionale, spiccano al- cune performance positive sorprendenti, come quella della Toscana che vanta 463 prodotti, della Campania con 429 prodotti e del Lazio con 386 PAT. Interessanti anche i numeri della Liguria, che possiede ben 295 PAT, ma, come vedremo in seguito, registra pochi prodotti con marchio DOP e IGP. Regioni, invece, come la Sicilia e la Lombardia, leader per il numero di prodotti di qualità registrati, contano un nu- mero medio-basso di Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Probabilmente ciò si lega ad una maggiore professionalizzazione del comparto nel territorio e alla capacità di alcune regioni di utilizzare il processo di adeguamento al di- sciplinare di produzione per l’ottenimento del marchio DOP/IGP come strumento per miglio- rare e promuovere il prodotto.
Tale processo, infatti, prevede che i produtto- ri riescano ad avviare un processo di collabo- razione volto a definire metodi di lavorazione comuni e, dunque, proprio la dimensione colla- borativa e l’incapacità di ristrutturare il proces- so di produzione determina, in alcune regioni, il numero esiguo di marchi DOP e IGP ottenuti, mentre non inficia l’ottenimento del riconosci- mento di PAT, la cui definizione non prevede, invece, l’adeguamento ad un rigido disciplinare di produzione.
I PAT più diffusi in Italia, per regione, 2014
Quattordicesima revisione dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati MiPAAF, 2014
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I marchi DOP, IGP e STG vengono conferiti a quei prodotti agricoli o alimenti fortemente le- gati ad una regione o a un luogo specifico(4), e sono utili per rendere sempre più semplice e immediato l’iter di registrazione e più agevole l’accesso al sistema di protezione delle indica- zioni geografiche ai produttori di Paesi terzi, come richiesto dall’OMC (Organizzazione mon- diale del commercio)(5).
Guardando le specifiche caratteristiche dei due marchi, la sigla DOP (Denominazione di Origine Protetta), la più diffusa, consente l’estensione della tutela del marchio a tutto il territorio eu- ropeo e, con gli accordi internazionali (GATT - General Agreement on Tariffs and Trade) anche al resto del mondo e deve prevedere un colle- gamento strettissimo ed oggettivo tra le carat- teristiche del prodotto e la sua origine geogra- fica. Il riconoscimento DOP, infatti, è assegnato a quei prodotti agricoli ed alimentari associati alla specifica area della quale portano il nome, le cui fasi del processo produttivo vengono re- alizzate in un’area geografica delimitata e il cui processo produttivo risulta essere conforme ad un preciso disciplinare di produzione.
Il rispetto di tali regole è garantito dagli organi- smi di controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Il marchio designa, dunque, un prodotto origi- nario di una regione e di un Paese, le cui qualità e caratteristiche siano essenzialmente, o esclu- sivamente, dovute all’ambiente geografico, che si intende comprensivo sia di fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia di fattori
4. I marchi DOP, IGP, STG sono disciplinati dal Regolamento (CE) n. 509/2006 e n. 510/2006, le cui modalità di applicazione sono state disposte, rispettivamente, con il Regolamento (CE) n.
1216/2007 e con il Regolamento (CE) n. 1898/2006.
5. La Commissione europea ha tentato, negli ultimi anni, di adot- tare un regolamento maggiormente compatibile con le regole del commercio internazionale e di garantire una maggiore protezio- ne del consumatore, attraverso, una più ampia visibilità dell’eti- chettatura e la diffusione dell’uso dei simboli comunitari.
umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Il marchio permette, dunque, che un prodotto si impreziosisca e trovi nuovi sbocchi commerciali favorendo, attraverso la riscoperta di tradizioni e sapori antichi, interessanti strategie di diffe- renziazione dei produttori locali, rafforzando il legame con il territorio o esaltandone la qualità di prodotto tipico e di nicchia.
2.2 LA VARIETÀ
DELLA PRODUZIONE DI QUALITÀ
CERTIFICATA
Distribuzione % del totale dei prodotti certificati (DOP e IGP) in Italia, per regione, 2014
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati MiPAAF, 2014
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Il Grana Padano (primo prodotto per fatturato), il Parmigiano-Reggiano e il Prosciutto di Par- ma sono di certo i prodotti DOP più noti - da soli rappresentano oltre il 52% del valore totale delle DOP e IGP italiane - i cui marchi hanno avuto un’evoluzione che, negli ultimi anni, li hanno promossi su nuovi mercati nazionali e internazionali, avviando processi di perfezio- namento delle produzioni, che pure avevano standard già elevatissimi. Ciò ha determinato
un sempre maggiore successo sul mercato dei rispettivi comparti, portando vantaggi imme- diati alle intere filiere produttive, soprattutto in periodi di stagnazione dei prezzi o nelle zone marginali. Inoltre, i marchi DOP hanno arric- chito i tre prodotti di nuove qualità, favorendo, attraverso la riscoperta di tradizioni e sapori antichi, interessanti strategie di differenziazio- ne dei produttori locali, i quali, pur rimanendo saldamente ancorati al disciplinare della DOP, Abruzzo
Basilicata Calabria Campania Emilia-Romagna Friuli-Venezia Giulia Lazio
Liguria Lombardia Marche Molise P.A. Bolzano P.A. Trento Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Umbria Valle d’Aosta Veneto
6 5 11 13 18 5 15 2 19 6 5 2 8 13 11 6 17 14 4 4 18
Marchio DOP Marchio IGP Totale PAT
3 4 5 9 22 1 11 1 12 6 1 2 3 7 5 1 12 12 4 0 18
9 9 16 22 40 6 26 3 31 12 6 4 11 20 16 7 29 26 8 4 36
147 90 269 429 356 156 386 295 246 152 159 92 107 341 233 184 235 463 70 32 371
Distribuzione dei prodotti certificati (DOP, IGP) e PAT in Italia, per regione, 2014
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Economia Locale su dati MiPAAF, 2014
Regioni e Province Autonome
Prodotti certificati
A novembre 2014, secondo la classificazione ufficiale MiPAAF, si contano 160 prodotti DOP e 106 prodotti IGP. Tuttavia in Tabella un marchio è conteggiato tante volte quante sono le regioni nelle quali questo viene prodotto.