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magia antica e rito santo uno sguardo al futuro come l arte figurativa sposa il vino

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NOVEMBRE2008

Anno VI n.3 - Supplemento di Liberamente del 14/11/2008 Anno XIII, n.17 - Autorizzazione del Tribunale di Taranto n. 504 del 10/12/1996 - Spedizione in abb. post. -45% - Comma 20/b, Art.2, Legge 662/96 - Filiale di Taranto.

LA FOCARA DI NOVOLI

magia antica e rito santo

TERRITORIO, VINO E TURISMO

uno sguardo al futuro

VIGNE E VIGNETTE

come l’arte figurativa sposa il vino

LA FOCARA DI NOVOLI

magia antica e rito santo

TERRITORIO, VINO E TURISMO

uno sguardo al futuro

VIGNE E VIGNETTE

come l’arte figurativa sposa il vino

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EOSALENTINO

Nonostante la crisi nella crisi: la Lehman Bro- thers Holdings Inc. ha scoperchiato il bubbone eco- nomico mondiale che acuisce ancor di più i problemi di quel mondo enoico che tarda a recepire il cambia- mento della direzione dei nuovi venti.

Nonostante il governo rassicuri, ma chi di econo-

mia se ne intende davvero - come il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, o come l’analista Meredith Whitney - prevede ancora un anno di passione.

Nonostante il presidente Berlusconi corra in soccorso delle banche, della Fiat, dell’Alitalia e quant’altro (il portafoglio di noi cittadini sarà ancora più vuoto?), e il ministro Zaia sostenga economicamente il famoso Parmigiano Reggiano, ma per i vini pugliesi in esubero si vocifera una distil- lazione di crisi (con i soldi dell’Europa), a prezzi neanche di sopravvivenza.

Nonostante certa stampa si sia divertita a dare dell’untore al vino salen- tino (e non solo).

Nonostante i moderni soloni tendano a criminalizzare il nostro nettare, ma non è forse vero che ha allietato l’umanità in questi ultimi 4000 anni, senza grandi problemi (l’eccesso è sempre nocivo per ogni cosa).

Nonostante, nonostante, nonostante...

Mi tornano in mente le parole del grande Edoardo De Filippo

«A da passà a nuttata».

E credo ancora nei versi del poeta Leopardi

«Passata è la tempesta: odo augelli far festa».

Buon Natale e Buon Anno

Buon Natale e Buon Anno

nonostante...

Fulvio FiloSchiavoni

Presidente del Consorzio Produttori Vini

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EOSALENTINO

SOMMARIO

Welcome:Buon Natale e Buon Anno... (di Fulvio Filo Schiavoni)...pag.03 Note a Margine(di Livio Romano) ...pag.05 L’Enometro: La Via per il Paradiso (di Leonardo Pinto) ...pag.06 Speciale: Territorio, Vino, Turismo (di Giovanni Viganò) ...pag.07 Vigne e Vignette (di Giuseppe Mazzarino) ...pag.10 I «Giorni del Fuoco» (di Angelo Sconosciuto) ...pag.14 La peronospera della vite (di Stefania Pollastro) ...pag.19 Uomini DiVini:Anna Pesenti: il vino, passione di donna (di Anna Gennari)..pag.22 Storia della gastronomia - La tavola dei Romani (di Giuseppe Mazzarino)..pag.26 Piazza Duomo, Lecce (di Elio Paoloni) ...pag.29 Bicchierdivino:La Vinolearia (a cura della redazione)...pag.31 Ethos & Tèchne: La falce fienaia... (a cura di Rino Contessa) ...pag.32 Lucullus: Bocconotti (di Benedetto Mazza)...pag.34 Salento World Music (a cura della redazione) ...pag.35 Culture(di Omar Di Monopoli)...pag.36 News&News (a cura della redazione) ...pag.37 Occhio sul Passato(a cura della redazione) ...pag.38

Bevi l’acqua come un bue, ed il vino come un Re...

Anno VI - n.3 Novembre 2008 Supplemento di Liberamente Autorizzazione del Tribunale di Taranto n. 504 del 10/12/1996

DIRETTORE RESPONSABILE Nando Perrone

DIREZIONE EDITORIALE Consorzio Produttori Vini RESPONSABILI DI REDAZIONE Anna Gennari, Omar Di Monopoli HANNO SCRITTO QUESTO NUMERO:

Rino Contessa, Omar Di Monopoli, Anna Gennari, Benedetto Mazza, Giuseppe Mazzarino, Elio Paoloni, Leonardo Pinto, Stefania Pollastro, Livio Romano, Fulvio Filo Schiavoni, Angelo Sconosciuto,

Giovanni Viganò.

ART DIRECTION DVision design www.d-visiondesign.it in copertina

Rivisitazione Baccus di Natale Coca Cola (a cura di Omar Di Monopoli) REDAZIONE

C/o Consorzio Produttori Vini Via F. Massimo, 19

74024 Manduria (TA) Tel/fax 099 9735332 - 9738840 www.consorzioproduttorivini.com alceo@cpvini.com

STAMPA

Tiemme Industria Grafica Manduria (TA)

COLOPHON

per ricevere la rivista ALCEO SALENTINO gratuitamente a casa vostra comunicate il vostro indirizzo alla redazione oppure segnalatelo al sitowww.cpvini.com

(Antico detto popolare)

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EOSALENTINO

C

’è un qualsiasi saggio di danza classi- ca di una qualsiasi scuola di paese in un qualsiasi venerdì prenatalizio. Ci sono bambine qualsiasi. Cicciottelle e dalle gambe storte. Graziose o munite di peluria precoce sotto il naso. Più o meno goffe nel provare a eseguire le coreografie progettate dalle maestre. Più o meno partecipi ma gene- ralmente annoiate dell’ennesima esibizione dopo che già c’era stata quella del coro, quel- la del corso di inglese, e del corso di musica e di quello di pattinaggio. La fauna genitoria- le è sempre la stessa. Non saluti neppure più, tanto sei abituato a vederli. I papà che non ne possono più di far fotografie e filmini.

E le mamme. Indefesse mamme italiane. Le stesse che sostano nei cortili delle scuole a discutere per due ore e mezza sul colore del vaso da fiori da regalare alle insegnanti. Che litigano con la rappresentante per aver subìto l’onta di non essere invitate alla Grande Con- segna Dell’Oggetto Più Kitsch Dell’Anno con distribuzione ai compagni di ennesimo pasticciotto per trippe infantili già satolle di dolciumi e cibo spazzatura. Queste mamme che a ogni happening piombano su tacchi cento e fasciate di griffe cubitali neanche fos- sero al cocktail di inaugurazione di una pro- fumeria. Glielo leggi negli occhi che la stanca recita che si terrà è per loro un evento cui hanno atteso senza tralasciare neanche un piccolo dettaglio. Le più meticolose son le mamme delle femmine. Forse da piccole nes- suno le ha fatte mai esibire, o forse mimano in paese i fasti dei cretini di Amici e del Gran- de Fratello che guardano in tv. Credo che si potrebbero far soldi seri se, invece che scuo- le di danza musica lingue per infanti, qualcu- no avviasse corsi pomeridiani per 30-40enni ma con la dicitura chiara e inequivocabile “il corso finirà con uno spettacolo su palco di 300 mq e torri di fari e microfoni e telecame- re”. Si iscriverebbero a centinaia e la smette- rebbero di torturare le figlie di 7 anni. In man- canza di occasioni di mostrare esse stesse il passo imparato in palestra o il gorgheggio che viene perfetto sotto la doccia, le Mamme solcano instancabili le strade dei paesi alla ricerca del nastrino giusto, della scarpetta a colore, della collana che luccichi quando l’oc- chio di bue ti punta. E neppure mostrano segni di cedimento nelle lunghe trottate

pomeridiane da una palestra a un oratorio a un dopo- scuola a trasferire la figliolanza come si trasferirebbe una band rock da uno studio televisi- vo a un hotel a uno

stadio. Con Mamme siffatte ci si aspettereb- be una generazione di Lolite in preda ad ansia da prestazione. E invece le fanciulle son tranquille al loro posto. Scocciate. Aspet- tano il momento di esser chiamate. Chi inve- ce, anche sotto effetto di benzodiazepine, si tormenta le unghie e tormenta il marito affin- ché filmi in primo piano ogni singolo istante dell’esibizione: è La Mamma di trenta o qua- rant’anni. Guarda lo spettacolo con un’aria così tesa che pare essere in gioco una scrittu- ra per Broadway.

L’altro venerdì c’era una novità, nella selva di videocamere e mamme in panico. Erano i mazzi di fiori. Grandi, da innamorato pazzo la mattina dopo il primo bacio. Tanti, qua e là, fra il pubblico. Ho pensato fossero tutti per le maestre di danza. Ho ipotizzato scissioni fra le fazioni di mamme. Mancati accordi sul colore delle rose. Invece l’episodio strabilian- te si è verificato alla fine del lunghissimo sag- gio. Queste mamme piangenti che raggiungo- no le settenni col fascio in mano e glielo por- gono. Qualcuna, insieme alle rose, tende anche una scatola con dentro una catenina d’oro. Le bambine sono un po’ imbarazzate un po’ infastidite. Ma Le Mamme non demor- dono. L’atrio della scuola è il mega-camerino delle star, e alle star, nel backstage, si porta- no propriamente fiori. La vera recita, la pan- tomima davvero interessante si consuma lì, dietro le quinte. Bambine trasformate in ridi- cole parodie di artiste. I sogni dentro i petti di queste portatrici di rose. Oggi il saggio di danza, domani la sfilata per Miss Spiaggia e a seguire i provini per aspiranti stelline tele- visive. Mi raccontano che identico fenomeno si registra nelle città settentrionali, nei veri camerini di rinomati teatri presi in affitto dalle scuole di danza per i saggi finali. Vanità da outlet. Narcisismo spicciolo per una clas- se media sempre più immiserita cultural- mente ed economicamente. Prosit.

di Livio ROMANO

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EOSALENTINO

S

embrerebbe fuori luogo e, soprattutto, fuori tempo parlare della necessità di sacrifici e tempi lunghi per otte- nere un risultato gratificante e durevole.

Questo è il momento del tutto e subito, della superficialità e della “mediaticità”

che brucia, oggi, quel che ha imposto solo ieri.

È

difficile, quindi, far capire come il lavoro di un anno, per ottenere il giusto e sperato risultato, debba essere quanto meno impe- gnativo.

È il caso dell’agricoltura di cui si parla poco non perché siano scarsi gli addetti o perché residuale in termini di PVL rispetto ad altri set- tori economici, ma perché parlare di normali e quotidiani sacrifici… «non paga».

Eppure, basterebbe pensare all’alta funzione sociale che, direttamente ed indirettamente, svolge l’agricoltore evitando il degrado territo- riale, garantendo la fruibilità e la bellezza dei luoghi, dando la certezza di un salubre approv- vigionamento alimentare e, con i suoi sottopro- dotti o con produzioni dedicate, fornendo materia prima per fonti energetiche alternative e sostenibili.

A

lcune colture sono stagionali e chiudo- no il loro ciclo nel giro di mesi; non la vitivinicoltura che richiede costanza ed impegno per un intero anno e forse di più, se pensiamo che i lavori continuano in cantina, per certi vini invecchiati, anche per due, tre anni. “Fare vino”, si sa, è un’arte, ma non tutti sanno che c’è grande differenza tra vino e vino e, prima ancora, tra uva ed uva.

Noi, in questo splendido territorio, abbiamo uno splendido vino: il Primitivo.

Oramai, si sono spese, forse, tutte le parole per decantarne le riconosciute ed indiscusse quali- tà,…quando questa esiste veramente. Ma il Pri- mitivo è una uva-vino difficilissima in ogni momento della sua vita e abbisogna sempre di quell’impegno e quei sacrifici richiamati all’inizio.

Già la difficile meccanizzazione integrale dei vigneti richiede una applicazione, manuale, in ogni stadio del loro sviluppo fenologico, anche a causa delle prevalenti e caratteristiche forme locali d’allevamento delle viti. La delicata buc-

cia degli acini non permette alcuna distrazione nei mesi primaverili ed estivi; tutte le operazio- ni colturali, dalla potatura verde alla cimatura, ecc., hanno tempi obbligati e mai dilazionabili.

L’irrigazione, sempre sconsigliata, può, a volte, essere necessaria per evitare quello stress idri- co in difetto che ne impedisce l’ottimale matu- razione fenolica. Questa, poi, una volta rag- giunta, ha dei tempi brevissimi di raccolta che va effettuata con particolare attenzione alla incombente ossidazione. Finalmente si arriva in cantina dove queste uve difficili e delicate hanno bisogno di cure ed attenzioni naturali che altre uve non richiedono. Il controllo della temperatura nella fase di fermentazione non può essere standardizzato, ma va temporizzato caso per caso, previa una accurata selezione delle uve e delle masse; l’uso dei lieviti deve essere mirato nella scelta e nei dosaggi; i con- trolli dei valori devono essere giornalieri con particolare attenzione ad evitare quegli even- tuali ed evitabilissimi difetti specifici (che non tutti conoscono) di questo nobile vino.

Insomma, un gran lavoro prima, durante e dopo;

fino all’ottenimento del sospirato risultato: quel sorso gratificante che ripaga di ogni sacrificio.

M

a non finisce ancora: perché non basta ottenere un ottimo vino, bisogna ven- derlo anche al prezzo giusto per gratifi- care insieme al palato del consumatore, il porta- foglio di chi ha lavorato. Ed anche qui bisogna spendere tante energie per convincere chi deve acquistare, ma anche per fare entrare nella testa di tutti i componenti la filiera che un vino così di valore non può essere deprezzato e svenduto proprio da chi dovrebbe difenderne l’immagine insieme al lavoro di chi l’ha prodotto.

Attenzione a disaffezionare costoro dalla voglia di sacrificio: sono i fornitori della mate- ria prima e non ci illudiamo che tutti possano e sappiano fare la stessa qualità.

Scomodando una immagine evangelica, senza alcuna intenzione di essere blasfemi o dissa- cranti, se il Paradiso è il nostro vino, la via per raggiungerlo non può essere quella facile, comoda e lastricata d’oro, ma, senza essere necessariamente sconnessa ed irta di spine, un po’ in salita dovrà esserlo per forza e dovrà avere anche il giusto “oro” al suo ciglio.

La Via

per il Paradiso

di Leonardo PINTO

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EOSALENTINO

di Giovanni VIGANO’

Turismo...

Territorio, Vino

Logica di mercato e logica del territorio: breve riflessione sulla degustazione del vino «in loco» e sugli sviluppi pratici di una con-

cezione del consumo legato al turismo... SPECIALE

Q

ualsiasi riflessione sul vino non può prescindere dalla capacità di dare una convincente risposta alle seguenti domande:

• «Perché un consumatore dovrebbe sce- gliere il Primitivo anziché qualcuna delle altre centinaia di etichette presenti sul mer- cato»

• «Che differenza esiste fra degustare un Primitivo a casa propria dopo averlo acquistato in un’enoteca della propria città e venire invece a degustarlo nel Salento?»

La prima domanda fa rife- rimento ad una logica di

prodotto e quindi di mercato; la seconda si sposta sul terreno della complessiva valoriz- zazione di un territorio e rimanda in modo particolare alle potenzialità offerte dal turismo enogastronomico.

L

a differenza fondamentale fra le due logiche è data dal con- testo di degustazione ed è la stessa differenza che esiste fra ascol- tare il proprio cantante preferito in un cd seduti sul divano di casa e invece partecipare ad un suo concerto dal vivo. La diversità viene data dall’e- sperienza e dalla emozione, che solo il contesto di produzione sa offrire rispetto al semplice consumo del pro- dotto. Si tratta di un contesto che non è solo quello produttivo delle cantine o del consorzio, ma soprattutto quel- lo culturale e storico del Salento in

cui affonda le radici la sua tradizione pro- duttiva. In questa ottica il territorio costitui- sce un fattore di preferenza del prodotto e in qualche modo un suo valore aggiunto.

M

a è evidente che un territorio - così come un prodotto che in esso ha le sue radici - non è immediata- mente percepibile da un visitatore, senza che qualcuno lo guidi, lo accompagni, lo aiuti a decodificare i segni della natura, della sto- ria, della cultura e le identità del vino.

I

l turismo enoga- stronomico costi- tuisce un’oppor- tunità per una conoscenza e una commer- cializzazione finalizzata del vino e rappre-

Il turismo enogastrono- mico costituisce una opportunità per una conoscenza e una com- mercializzazione finaliz- zata del vino...

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EOSALENTINO

senta a tutti gli effetti un seg- mento di turismo culturale, di viaggiatori desiderosi di andare alla scoperta di un ter- ritorio e delle sue identità, utilizzando come fil rouge il suo prodotto più noto. Da componente trasversale di ogni tipologia di turismo, l’e- nogastronomia ha assunto sempre più il ruolo di motiva- zione principale (anche se

spesso non unica) nella decisione della scelta della destinazione del proprio viag- gio, dando così origine ad un interessante fenomeno di ‘turismo emergente’.

La sua importanza strategica è in costante crescita nel nostro Paese (e non solo). Per il 2007 si sono stimati circa 8 milioni di turisti (solo per la parte di enoturismo) con circa 4 miliardi di euro di fattu- rato. Ma non è solo que- sto dato preso in sé e per sé a dare un’idea della sua importanza,

quanto il contributo alla crescita della complessiva economia locale: per 1 euro speso in cantina nell’acquisto del vino, sul territorio ne vengono spesi altri 4 euro.

Dunque un effetto moltiplicatore di 1:4, decisamente significativo per dare un’i- dea degli effetti economici indotti sul terri- torio. E questo al di là dell’immagine e delle emozioni che un turista si porta a casa.

Q

uando il turi- smo enoga- s t r o n o m i c o incominciò a prendere piede in Italia, alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo, si riscontrava una gene- ralizzata mancanza di offerte strutturate, di pacchetti, un’assenza dell’intermediazione turistica: i primi turi- sti non percorrevano “strade” o percorsi enogastronomici, a fatica incontravano cantine aperte o ristoranti attenti a vini e sapori della propria terra, carente era l’or- ganizzazione di eventi ai quali potessero partecipare. Oggi per qualche aspetto siamo finiti all’estremo opposto: una incontrollata prolificazione di “strade”

siano esse dei vini, dell’olio, dei sapori, etc. (oltre 140 in Italia, delle quali molto poche funzionano realmente come “offer- ta turistica”); una omogeneizzazione/standardizzazione dell’offerta (sembra che ogni “strada” sia la clonazione l’una dell’altra) dimentican- do l’obiettivo strategico fondamentale di valorizzare le proprie identità e di coinvol- gere le comunità locali depositarie della cultura del territorio; la diffusa carenza di servizi necessari per un turista, o visitato- re, e una ancora latente co-operazione fra

SPECIALE

C’è un principio che rap- presenta una verità fonda- mentale e non andrebbe mai dimenticato: nel turi- smo nessuno da solo ha ragione; non il pubblico da solo, non il privato da solo.

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EOSALENTINO

SPECIALE

tutti gli attori della valorizzazione di un territorio, siano essi pubblici e privati, senza che qualcuno si arroghi un qualche diritto di primogenitura.

C

’è un principio che rappresenta una verità fondamentale che non andrebbe mai dimenticato: nel turismo nessuno

da solo ha ragio- ne; non il pubblico da solo, non il pri- vato da solo.

Se non si vuole sprecare la grande opportunità di una v a l o r i z z a z i o n e congiunta Salento- Primitivo occorre

riflettere concretamente su alcune indica- zioni fondamentali:

• non basta un grande vino perché un territorio possa diventare meta di turismo enogastronomico; occorre attivare una serie coordinata di servizi e sviluppare una diffusa cultura dell’accoglienza;

• considerata l’accentuata competizione fra le diverse destinazioni di turismo eno- gastronomico, è necessario operare il pas- saggio da un approccio di semplice pro- grammazione (nella migliore delle ipotesi annuale) ad un processo di strategia ope- rativa di medio periodo, con una grande attenzione a stabilire con chiarezza ciò che si vuole raggiungere ed i risultati che si vogliono perseguire, monitorando periodicamente l’intero processo. Una strategia che non dà qualche risultato verifi-

cabile già dopo un anno non è più credibile;

• perseguire un accor- do scritto fra le diverse componenti della comu- nità locale per un cam- mino condiviso, dove ognuno abbia un pro- prio ruolo e lo realizzi all’interno di un quadro strategico coordinato;

• porre una grande attenzione all’aspetto della qualità, senza mistificare il termine ma riconducendolo alla sua essenza di

“garanzia”. Ogni persona che desidera scoprire il Salento sulle orme del Primitivo deve avere la “garanzia” di trovare quello che gli è stato promesso e che ricerca;

• l’immagine di una destinazione di turi- smo enogastronomico si gioca più sulle relazioni (interne all’area e nei confronti dei turisti visi- tatori) che non sulle compo- nenti materiali dell’offerta;

• nessuna strategia può essere perseguita senza una costante professionalizza- zione delle risorse umane necessarie per tradurla in operatività quotidiana.

I

l Salento e il suo Primitivo hanno le potenzialità per diventare un’impor- tante meta di turismo enogastronomi- co; quello che occorre realizzare è il pas- saggio dalla ‘attrattività’ data dalle sue risorse alla ‘competitività’ che sta essen- zialmente nella testa di chi ci vive e lavora.

Il Salento e il suo Primi- tivo hanno le potenziali- tà per diventare una importante meta di turi- smo enogastronomico...

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EOSALENTINO

Vigne e Vignette

di Giuseppe MAZZARINO

S

e nel vino sta la verità, secon- do quanto già Greci e Romani asserivano, nel vino sta anche un bel pezzetto d’arte figurati- va: nel vino come ispirazione, nel vino come soggetto, nel vino - talvolta - come committenza (l’arte applica- ta è beninteso arte anch’essa).

Un segmento importante d’arte figurativa - a torto considerata

«minore» - è riassumibile in una parola, «vignetta», che ha poi molto e direttamen- te a che fare col vino, o meglio, con sua

madre, la vigna: perché la vignetta si

chiama così proprio perché, nell’Ottocento, questi disegni- ni d’arte applicata erano incor- niciati... da tralci di vite, ovvero, appunto, da piccole vigne!

E

siccome chi beve acqua non può far cose buone (teste Orazio), e noto- riamente tutti i bevitori d ’ a c q u a , m a l v a g i , p e r i r o n o durante il dilu- vio, l’arte dei vignettisti si è sposata sempre più spesso col vino, producendo per esempio tre diver- sissimi libri come quelli dei quali ci occu- piamo adesso: Vignet- tando, a cura di Alessan- dro Molinari Pradelli (Casa- massima Libri, Udine, 2006), interviste e vignette sul vino di 44 grandi disegnatori; Vignet- te di Buon Gusto dalle colle- zioni di Vincenzo Buonassisi

Due o tre cose circa l’antica parentela tra la madre del vino (la vigna) e una sua spuria filiazione (la vignetta):

l’arte figurativa eredita dal Nettare degli Dei l’amore per la vita e il gusto per lo sber-

leffo in tre libri (due pub- blicati e un terzo

in corso di stampa...)

Sotto il titolo: vignetta di Guarene.

Affianco: l’ex Governatore Fazio visto da Giannelli alceo 18:alceo paginato 10/11/08 15:55 Pagina 10

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EOSALENTINO

(Unione Italiana Vini editrice, 2007), catalogo di una mostra mercato di disegni sul vino e sul gusto, a volte di grandi artisti, offerti nei decenni al gran- de giornalista e gastronomo (due

attività che, quando esercitate al meglio, spesso si incrociano, come dimo- strò Orio Vergani, principe del giornalismo e fon- datore dell’Accademia Italiana della Cuci- na) ed a sua moglie Anna Pesenti, che sarebbe stata poi a capo dell’Istituto dello Spumante Metodo Classico Italiano; e per con- cludere l’ultimo, per il momento solo in previ- sione di stampa, del «nostro» Omar Di Monopoli, l’autore delle vignette enoiche su Alceo Salentino dedicate a «Papà Baccus» (protagonista, tra l’altro, anche della copertina natalizia di questo

numero della rivista).

sopra: illustrazione di Lorenzo Mattotti qui sotto: la famosa «linea» di Cava in fondo: vignetta di Bruno Bozzetto alceo 18:alceo paginato 10/11/08 15:56 Pagina 11

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EOSALENTINO

V

ignette di Buon Gusto è, dicevamo, un catalogo: per decenni, gli amici artisti che si recavano da Vincenzo ed Anna li omaggiavano di un

disegno, general- mente inerente il mondo del vino o della tavola; poi Buonassisi com- missionò vignette e disegni per lancia- re la propria rivi- sta, Civiltà del bere, ed Anna Pesenti, quando fu a capo degli Spu- manti Metodo Clas- sico, indisse un concorso sul tema

“Bere lo spuman- te”. Anche gli origi- nali di queste vignette e di questi disegni entrarono a far parte della

collezione Buonassisi-Pesenti;

messe in mostra, queste opere sono state raccolte in catalogo e vendute;

il libro che ne è risultato, curato da

VIGNETTANDO (Casamassima Libri Edizioni) e VIGNETTE DI BUONGUSTO dalle collezioni di Vincenzo Buonassisi (Unione Italiana Vini Editrice), entrambi curati da Ales- sandro Molinari Pradelli (nato a Bologna nel 1945). Scrittore e giorna- lista da più di quarant’anni si occupa di enologia e gastronomia, con mol- teplici interessi rivolti alla civiltà contadina, all’artigianato e all’arte antica. Cultore di fumetti e illustra- zione, ha organizzato mostre e manifestazioni culturali, e curato cataloghi e volumi di grafica arti- stica. Ha esordito in libreria con OSTERIE E LOCANDE DI BOLO- GNA (1980), continuando a pubblicare sino all’ultimo IL GRANDE LIBRO DELLA CUCINA ITALIANA.

Vignetta di Jacovitti.

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EOSALENTINO

Molinari Pradelli, è una delizia del gusto e dei gusti. Ci sono disegni di pittori, disegnatori, umoristi che vanno da Giuseppe Novelloa Jacovitti, da Salvatore Fiume a Luca Crippa, da Umberto Domina a Guido Clericetti, da Osvaldo Cavandoli (Cava) a Mario Carote- nuto, da Franco Bruna a Luca Vernizzi.

S

torie disegnate, disegni rac- contati. All’insegna di un poetico buon bere e buon gusto, appunto. Con un brindisi al grande Buonassisi...

P

iù ambizioso, e anche di maggior formato, è Vignet- tando, sempre di Molinari Pradelli: interviste sul bere con artisti e loro disegni e/o vignette.

Da Altan a Crepax, da Bozzetto a Staino, da Calligaroa Giannelli, da Echaurren a Fremura, da Bucchie Krancic, 44 disegnatori, vignettisti,

pubblicitari, grafici e pittori (e spesso tutte queste cose insie- me...) confessano all’autore il pro- prio rapporto col mondo del bere e della buona tavola.

E

per concludere in bellezza, Omar Di Monopoli col suo

«Baccus» (l’idea del perso- naggio è però un duplice parto: ha collaborato infatti alla sua creazio- ne anche il giornalista Giuseppe P.

Dimagli), che dalle pagine di Alceo Salentino trasmigra in un libro di prossima pubblicazione: il vino fa buon sangue e buon umore nelle sue coloratissime vignette; niente a che vedere col feroce pessimismo dei suoi romanzi («Uomini e cani»

e «Ferro o fuoco»entrambi per le edizioni ISBN - Il Saggiatore) o del suo cortometraggio, «La caccia».

Perché si sa, ci sono le ombre, ma ci sono anche la luce e i colori...

Non è ancora data alle stampe invece la raccolta di vignette enoi- che opera di Omar Di Monopoli, grafico, scrittore e sceneggiatore con due romanzi alle spalle editi entrambi dalla casa editrice ISBN IL SAGGIATORE. Il Primo, UOMINI E CANI (2007) ha vinto il prestigioso premio milanese Opera Prima Kihlgren (toc- cato a Roberto Saviano l’anno prima) ed è al momento opzio- nato per il cinema, mentre il secondo, FERRO E FUOCO, usci- to lo scorso Luglio, è attualmente in fase di promozione nazionale.

L’autore - che intanto ha collaborato con la RAI scrivendo cinque puntate di un radioracconto - sta anche lavorando su un nuovo romanzo (ancora nessun titolo ufficiale) che andrà a chiudere que- sta particolare trilogia «western-pugliese».

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EOSALENTINO

I «giorni

del Fuoco»

diAngelo SCONOSCIUTO

A spasso nella tradizione di Novoli per la festa della Fòcara: il grande falò acceso ogni anno in onore di Sant’Antonio Abate.

P

er tutti sono i «giorni del fuoco» e richiamano gente da ogni dove, perchè - come magistralmente è stato scritto di recente -

«la festa è diventata “evento”» e il Santo, Antonio abate, ha dovuto fare anche un passo indietro, forse, rispetto al simbolo che lo rappresenta».

E

dire che il segno celeste, almeno se dobbiamo stare alla storia degli inizi di tali giorni a Novoli, piena Terra d’O- tranto, non fu dei più propizi. Gli storici, infatti, sostenendo che in questo centro il rito dell’accen- sione del falò (la «fòcara») è atte- stato per la prima volta nel 1893, non fanno a meno di riferire come, proprio in quell’anno, il falò in onore di Sant’Antonio

abate fu acceso a stento «a causa della continua pioggia che non cessò fino a tarda sera».

M

a l’acqua, evidentemen- te, non spense il fuoco.

Anzi. E questo fatto può avere un duplice significato: un significato divino, legato al «gra- dimento» del gesto da parte del Santo, che evidentemente non fece spegnere il fuoco stesso ed invitò a perseverare nell’impresa;

ed uno più umano, legato al fatto che probabilmente la prima volta ufficialmente attestata, non era tale nella pratica del culto, antico

...la festa è diventata

«evento» e il Santo, Antonio Abate, ha dovuto fare un passo indietro, forse, rispetto al simbolo che lo rap- presenta...

alceo 18 (focara/donne/benedett):alceo paginato 10/11/08 16:07 Pagina 14

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EOSALENTINO

di diversi secoli. E gli storici non sbagliano, dunque, quando di pari passo annotano:

«Affermare con precisione del falò non è pos- sibile in quanto mancano documenti al riguardo».

E

si vuol negare, forse, che un falò in onore di Sant’Antonio «del fuoco» non sia stato acceso in anni precedenti, chiedendo che spegnesse quanto ogni devoto sentiva ardere dentro e considerava estingui- bile solo ad opera del potente taumaturgo?

Già, perchè se il Santo è venerato nel mondo popolare come protettore degli animali, altrettanto lo è stato quando in queste contra- de infuriavano le pestilenze. Non c’è bisogno, del resto, di recarsi a Praga per vederlo effi- giato sulle facciate delle case, magari assie- me a San Sebastiano ed a San Rocco: anche qui nel Salento, i tre «pro- t e t t o r i maggiori contro la

peste» trovano posto nell’icono- grafia delle nostre chiese e nelle preghiere rituali delle nostre nonnine. E quando

l’«herpes zoster»

assale qualcuno, oltre ai farmaci non manca l’invocazio- ne: «Sant’Antonio mio, spegni questo fuoco!».

E

d il Santo che veniva dall’Oriente, fu (ed è) molto venerato nel Salento: alcune comunità lo assun- sero a protettore subito dopo una scapata pesti- lenza; altre lo avevano già nelle loro invocazioni, eredi- tate dai riti bizantini, frequenti in queste contrade. A Novoli diventò protettore nel 1664, due anni dopo la con- clusione dei lavori, che avevano trasformato in una gran- de chiesa un antico luogo di culto evidentemente più angusto. Quando l’arcivescovo di Lecce, Luigi Pappaco- da, infatti, visitò Novoli nel maggio del 1640 trovò un pic- colo luogo di culto. E proprio in quell’anno iniziarono i lavori che si conclusero nel 1662. E fu lo stesso vescovo, il 28 maggio del 1664, a concedere l’assenso canonico alla supplica che Università e Clero novolese avevano rivolto perchè il Santo anacoreta diventasse loro protet- tore. La città tutta intera lo considerava già tale assieme

...Non c’è bisogno di recarsi a Praga per vedere il santo effigia- to sulle facciate delle case, lo si vede anche qui nel Salento...

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alla Madonna di Costantinopoli, ma il santo che veniva dall’Oriente - ci perdoni - fu protettore «provvisorio» per diversi decenni. Al provvedi- mento ecclesiastico di mons. Pappacoda, infatti, solo settant’anni dopo, giunse l’approvazione da parte della Sacra Congregazione dei Riti. Solo il 3 agosto 1737, infatti giunse quel «placet» da Roma, che la curia di Lecce provvide a rendere pubblico - in un’epoca in cui i docu- menti viaggiavano alla velocità dei corrieri di posta - venti giorni dopo.

E

da allora, dunque, il Santo ha scandito il calendario dei novole- si, perchè il 17 gennaio, festa a tutti gli effetti, aveva risvolti sociali e civili. In alcune comunità del Salento si registra un breve adagio che, tradotto, dice (ciascuno lo moduli con i termini dialettali della comunità alla quale appartiere): «Della Santa Epifania, tutte le feste vanno via/

“Aspetta - dice Sant’Antonio -, chè c’è ancora la mia!». Ed infatti, se il 6 gennaio i Magi recano i doni al bambino, il 7 inizia il solenne novenario in onore del Santo, che culmina proprio il 16 successivo, vigilia della festa, giorno in cui si vivono i momenti più significativi.

I

l 16 infatti, si svolge la solenne processione, dopo la benedizione degli animali; il 16 si provvede all’accensione della «fòcara». Ed era tanta, dicono tutti, la devozione di chi partecipava alla processio- ne: per implorare la grazia vi erano fedeli che incedevano scalzi, incu- ranti del freddo e del possibile ghiaccio misto a fango, che poteva essersi formato lungo il per-

corso. Del resto, non si andava a mani vuote ad invocare il

«Santo del fuoco»: si recava in mano un cero di diverse gran- dezze che qui chiamano «sug- ghi»; e si «segnavano anche messe» in suffragio dei propri defunti....

M

an mano che la pro- cessione volge al ter- mine, però, sale l’at- tenzione verso l’«evento»

maggiormente visibile. La

«fòcara», appunto, la cui accensione è uno spettacolo che coinvolge, «riscalda», fa sentire comunità... L’enorme falò lo si prepara per giorni;

ciascuno vi contribuisce for-

...il 16 infatti, si svol- ge la solenne proces- sione, dopo la bene- dizione degli anima- li; il 16 la «fòcara»

viene accesa...

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EOSALENTINO

nendo le fascine di sar- menti, recuperati dalla rimonda dei vigneti, che circondano la citta- dina. E sono gli anziani a realizzare l’immenso monumento: li chiama- no «“pignunai” da

“pignu” (pino), la tipi- ca forma che i contadi- ni davano al grano rac- colto nei covoni». Ed a tutto c’è un significato, che viene da lontano...

Eugenio Imbriani, l’an- tropologo, che da sem- pre studia la gente di queste contrade, ha rilevato «l’intima rela- zione della “fòcara”

oltre che per la sua forma, per la sua collo- cazione calendariale del tempo della sua accensione». Ed i

«pignunani» lavorano per giorni e giorni fino

al mezzogiorno della vigilia per realizzare il falò più alto del mondo, visto che nelle più recenti edizioni - quelle che si svolgono per motivi di sicurezza non più innanzi al santuario, ma in piazza Schipa - ha

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EOSALENTINO

raggiunto diametro di base di 20 metri ed altezza di circa 23 con oltre 55mila fascine utilizzate. Ed il monumento, in apparenza, sarà distrutto dal fuoco: resta quella cenere che è segno propiziatorio per la comuità, le sue contrade e le sue persone. Ed il Santo, con gli abiti solenni ed i segni iconografici guarda la sua gente: Lui che, viene spesso ritratto con il porcellino, non solo protegge gli animali domestici, ma ricorda altri eventi, proprio in virtù di quel piccolo suino – simbolo nel paganesimo delle divini- tà infernali - e di quel fuoco, da mettere in relazione con il mondo degli inferi e con la morte, essendo stato, pro- prio il santo, secondo alcune leggende, ad aver donato il fuoco agli uomini, quasi nuovo Promèteo.

C

on la festa di Sant’An- tonio abate inizia il Carnevale. Ed i pensie- ri sin qui svolti, richiamano

«lo scambio col mondo degli inferi, con la natura sotterranea, che nel Carnevale, non va avvertito come uno scambio distruttivo, negativo».

Ha spiegato Lucia Faranda come «esso al contrario porta con sé tutta l’ambivalenza rigeneatrice di un avvicinamento simbolico alla terra, laddove la morte della natura (l’inverno) è solo temporanea e prelu- de ad un nuova nascita, visto che il seme ha “ingravidato” la terra stessa: è per questo che, come morte temporanea, va celebrata e solennizzata in un ambito festivo». Ecco perchè la «fòcara» assomi- glia ad un chicco di grano; ecco perchè ciascuno spera in sé, che quelle fascine brucino presto: da quel fuoco nasce la vita e la prima- vera sarà più vicina.

Copyright foto del servizio: Luigi De Vivo

(pag. 14) Preparazione del covone per la Fòcara. (pag. 15) Ancora preparazione del covone e immagine della statua in cammino. (pag. 16) Rogo dell’effigie del santo. (pag. 17) Fòcara accesa e preparazione del covone. (pag. 18) Ultima sequenza dell’accensione con fuochi pirotecnici.

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La peronospora

della vite

L

a peronospora, una delle più gravi patologie che affliggono la vite europea, è stata segnalata per la prima volta in Europa nel 1878, dove è probabilmente giunta importata dal- l’America con il materiale di propagazione resi- stente alla fillossera. L’agente causale della malattia è l’oomicete Plasmopara viticola (Berk. et Curt.) Berl. et De Toni,

un patogeno obbligato, specie-specifico.

L

e strutture di s v e r n a m e n t o (oospore) sono rinvenibili nelle foglie cadute nel terreno. Que- ste si differenziano nei tessuti fogliari durante le infezioni tardive e maturano nel periodo

autunno–vernino in presenza di basse temperatu- re e sufficienti precipitazioni. L’anno successivo, al superamento della soglia termica di 10°C ed in presenza di almeno 10 mm di pioggia caduti nelle 48 ore, con germogli di almeno 10

cm di lunghezza (regola dei tre 10), le oospore germinano produ- cendo macrosporangi, che, tra- sportati dagli schizzi di pioggia sulla vegetazione, in presenza di acqua libera si aprono liberando le zoospore biflagellate che si muovono attivamente nel velo d’acqua che bagna la vegetazio- ne. Le zoospore, giunte in prossi- mità degli stomi, perdono i flagel- li, si incistano e germinano produ-

cendo un premicelio che penetra attivamente nella camera ipostomatica e raggiunge i tessuti parenchimatici dove si diffonde. Il periodo che intercorre sino all’espressione della tipica mac- chia d’olio (periodo di incubazione) e quello che intercorre sino all’evasione del fungo contrasse- gnato dalla comparsa della “muffa bianca” (perio- do di latenza), sono estremamente variabile e fortemente condizionati dall’andamento climatico. Sporangi e zoospore prodotte sugli organi infetti possono originare numerosi cicli di infezioni secondarie a carico di tutti gli organi verdi della pianta (germogli, foglie, infiorescenze, grappolini e bacche). In fine estate (fine agosto–settembre), si formano le nuove oospore che, nella stagione successiva, saranno responsabili di nuove infezioni.

I

l patogeno può infettare tutte le parti verdi della pianta (infiorescenze, grappoli, foglie e tralci), anche se le foglie sono gli organi più frequentemente attaccati. La suscettibilità inizia fin da quando la lamina fogliare è appena sviluppata e persi- ste per tutto il periodo di vitalità della stessa. Sulla pagina superiore si può osservare la presenza di macchie traslucide (“mac- chie d’olio”), che divengono clorotiche e quindi necrotiz- zano. In corrispondenza sulla pagina inferiore si può di Stafania POLLASTRO

FOCUS ON

Una delle più gravi patologie che afflig- gono la vite euro- pea. È stata segnala- ta per la prima volta nel 1878, giunta dall’America...

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EOSALENTINO

osservare la comparsa di una muffa biancastra, que- sta può essere molto pre- coce se le condizioni atmo- sferiche sono caratterizza- te da elevata umidità; al contrario, se l’umidità è scarsa i tessuti infetti pos- sono andare incontro a dis- seccamento e necrosi

senza che si formi l’efflorescenza biancastra.

Sulle foglie più vecchie la colonizzazione dei tessuti è circoscritta dalle

nervature fogliari, pertanto, è facile rinvenire la presenza di piccole tacche poligonali ingiallite o arrossate (pero- nospora a mosaico). Le foglie infette cadono anticipata- mente e in presenza di gravi infezioni si osserva una ridu- zione dell‘attività fotosinteti- ca, con elevato danno sia sull’attività vegetativa che sulla qualità e quantità di

prodotto che la pianta è in grado di produrre.

Nel caso di uva da vino, le uve provenienti da vigneti fortemente attaccati danno vini caratte- rizzati da un basso tenore zuccherino e da un elevato grado di acidità.

I

l fungo può infettare anche germogli in prossimità dei nodi o in maniera indiretta attraverso infezione di piccioli fogliari. Le parti attaccate si presentano allessate, quindi le zone colpite divengono livide ed infine necro- tizzano. Se l’infezione è precoce, il germoglio si presenta distorto e spaccato; quando grave- mente infetti questi possono seccare e disarti- colarsi in corrispondenza dei nodi; comunque risultano più fragili, meno lignificati e più suscettibili al freddo. Una volta lignificati, pos- sono manifestare delle lesioni che conferiscono fragilità alle zone interessate dalle infezioni e le infezioni di tali parti di pianta possono determi- nare perdita di produzione anche nelle annate successive.

D

alla differenziazio- ne delle infiore- scenze fino alla fasi successive all’allegagione (bacche della dimensione di un grano di pepe o di pisello) le infiorescenze e i grappoli, interi o in parte, possono mostrare dissec- camenti estesi e allessa- mento del rachide. Sintomo caratteristico è la distorsione a “S” del rachide, dovuta ad una differente velocità di cre- scita dei tessuti sani rispetto a quelli infetti. I giovani grappoli infetti diventano bruni e restano per qualche tempo sui tralci, poi possono disarti- colarsi e cadere. Sulle bacche di pochi millimetri di diametro, in condizioni di elevata U.R., la malattia si presenta sotto forma di

“marciume bianco” (per la presenza di zoosporangiofori). Su bacche già parzialmente sviluppate e\o in condizioni cli- matiche asciutte, le infezioni tendono a progre- dire molto lentamente e si manifestano anche

Negli ambienti meri- dionali, e in partico- lare in Puglia, la peronospora è solo o c c a s i o n a l m e n t e causa di pesanti per- dite di produzione...

FOCUS ON

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dopo molto tempo in forma di “marciume bruno”. Le parti di bacca interessate mostrano una depressione di tessuti

che assumono consistenza e colore cuoiosi a causa della parziale disidratazione (“peronospora larvata”).

N

egli ambienti meri- dionali e, in partico- lare in Puglia, la pero- nospora solo occasional- mente è causa di pesanti

perdite di produzione. La sporadicità della malattia e la disponibilità di numerosi fungici- di dotati d’attività preventiva o curativa rendo-

no tuttavia abbastanza agevole la protezione della coltura. In genere due trattamenti, ese- guiti uno prima e uno dopo la fioritura, sono sufficienti a proteggere la coltura nel periodo di maggiore suscettibilità evitando anche le infezioni sulle bacche talora responsabili dei sintomi noti come peronospora larvata.

Nelle fasi fenologiche precedenti e successi- ve alla fioritura, è sufficiente intervenire alla comparsa dei sintomi. Qualora l’estensione del vigneto o la tipologia di terreno rendano impossibile la tempestività degli interventi possono essere eseguiti trattamenti cautela- tivi, se nel comprensorio siano stati osservati sintomi di perono- spora e le condi- zioni meteorologi- che restino favore- voli al patogeno.

Una o due appli- cazioni di derivati rameici, in fine luglio o inizio di agosto, permetto- no di contenere le infezioni tardive estive e, al tempo stesso, con- tribuiscono a limitare le varie forme di marciu- me del grappolo.

FOCUS ON

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EOSALENTINO

U

n anno orsono pre- sentavo la rubrica Uomini diVini e, malgrado il titolo di ‘gene- re’, spiegavo fosse dedicata

«agli Uomini e alle Donne che sono impegnati nella ricerca e promozione del Vino». Dunque, dopo aver incontrato tre grandi prota- gonisti maschili del mondo enoico, ospitiamo in questo numero Anna Pesenti quale portavoce di oltre ottocento donne, l’Associazione Nazionale Le Donne del Vino

che, quest’anno che volge al termine, festeggia il Ventennale della sua costituzione. Respon- sabile e Ufficio Stampa. Tra le fondatrici del- l’Associazione, Anna è stata compagna da sempre di Vincenzo Buonassisi, il primo gran- de giornalista critico di enogastronomia (suo l’efficace intervento nelDal “Merum” al Primi- tivo di Manduria, pubblicazione patrocinata dal Consorzio Produttori Vini, premio letterario Cesare Pavese nel 2005, ndr).

Mi riceve con una spumeggiante affabilità e squisita dolcezza nella sua casa a Milano dove, in ogni angolo, rivivono attraverso innu- merevoli foto, attestati, quadri, oggetti, i momenti passati accanto a Vincenzo, il Buo-

nassisi, come lo chiama lei. Insieme hanno ospitato migliaia di personaggi illustri della musica, della politica, dello spettacolo, del- l’arte, della cultura.

Come nasce, Anna, il legame con il vino?

Sono bergamasca di origine, nata a Brembil- la, nella Val Taleggio, nella mia casa c’e sem- pre stato il vino. Inizialmente lo bevevo solo in occasione delle feste, nei pranzi di Natale, con soggezione perché le gote si arrossavano subi- to, ma è con il Buonassisi che ho imparato l’ar- te del buon bere. Cresciuto a Cerignola, legato alla terra pugliese, ha saputo col garbo e la cultura che lo contraddistingueva, iniziarmi prima agli spumanti poi ai vini bianchi, poi ai rosè, e così via. Ma nel mio DNA scorreva il pia-

il Vino, passione di donna...

Anna Pesenti

l’ho imparata

di Anna GENNARI

«...ma l’arte del buon bere con mio marito...»

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EOSALENTINO

cere di conoscere il vino, per cui apprendevo come una scolara le preziose nozioni che mi trasmetteva, come anni prima aveva fatto mio padre. Col sottofondo delle arie famose tratte da La Traviata o da La Bohème, mio padre mi parlava degli autori e del loro legame col vino, così facendo conoscevo meglio il vino e le cul- ture che sono dentro

e dietro ad ogni tipo di vino.

Da astemia a Signo- ra dell’enogastrono- mia accanto a Vin- cenzo Buonassisi...

La nostra casa è stata per anni non solo un luogo d’in- contri, a cena in un anno si contavano fino a 700 Vip, ma

anche fucina di idee: nascevano trasmissioni televisive, amicizie, grandi amori. Riuscivamo a proporre novità con poco, e sempre con i pro- dotti pugliesi che non mancavano mai nella nostra cucina: la ricotta askante, la burrata, le focacce, vari sott’oli… Ho imparato ad amalga- mare bene i commensali come si fa con gli ingredienti, convivialità e voglia di sperimen- tare, e poi a tavola si è autentici, come lo sono i veri sapori.

Fino a promuovere lo Spumante italiano per 18 anni.

Dal 1974 al 1990, al fianco di grandi Presi- denti come il Duca Denari, Antonio Carpe- nè, Piero Antinori ho promosso l’Istituto dello Spumante classico ita- liano. Ero l’unica donna tra 700 uomini che all’i- nizio tutti guardavano con diffidenza, proveni- vo dal giornalismo della moda e dello spettacolo

«cosa vuole questa?..». Dopo, quando lo spu- mante classico è andato in tutto il mondo, arri- vando sulle tavole più importanti, passan- do da 2 a 18 milioni di bottiglie vendute, hanno compreso che il lavoro di una donna vale.

Sorseggiando uno spu- mante Rosè, la sua pas- sione, mentre fuori impazza un temporale, il ricordo della Puglia è davve- ro vivo in Anna. Racconta le pietanze come farebbe una pugliese doc, ripercorre così precisamente la preparazio- ne di alcune pietanze come li scajezzuli, il purè di fave e verdura, che sembra di aver- li lì davanti, invitanti con tutto il loro profumo.

Ancora oggi molti miei amici sono pugliesi, da sempre il caro Al Bano. Anche qui a Milano, i miei rivenditori sono pugliesi, quasi tutti di Bisceglie. Il vino pugliese, il Primitivo in parti- colare, non è mai mancato nella nostra canti- na assieme al Negroamaro ed al vino Rosè. Col Primitivo del tipo amabile ho sempre prepara- to la sangria, aggiungendo però dello spu- mante e quanto basta di brandy spagnolo.

Ormai il buon vino si fa anche al sud, così cor-

...La nostra casa è stata per anni un luogo d’in- contri, a cena in un anno si contavano fino a 700 Vip, ma anche fucina di idee: nasceva- no trasmissioni Tv, amicizie, grandi amori.

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poso, e se ne sono accorti anche quelli del nord che hanno realizzato impianti di produ-

zione vedi Antinori ed altri.

Il tuo ruolo nell’Associazione Le Donne del Vino?

Curo l’Ufficio Stampa e la Comunicazione dell’Associazione e sono tra le fondatrici della stessa, nel 1988 a Firenze, l’idea fu di una brillante produttrice toscana, Elisabet- ta Tognana. Ho

sospeso per circa sei anni l’attività poi, sotto la presi- denza dell’amica Pia Donata Ber- lucchi, ho ripreso i contatti e le ami- cizie nel mondo dell’enogastrono- mia, dai quali mi ero

allontanata perché avevo scelto di stare accan- to a mio marito. È un lavoro che amo tanto.

Quando è sorta l’associazione eravamo in ottanta, oggi siamo oltre ottocento socie, tutte impegnate nel mondo del vino: le produttrici, le enotecarie, le ristoratrici, le sommelier pro- fessioniste, e tutte quelle donne come le Pro- moter o le giornaliste enogastronomiche che rappresentano, interpretano, trasferiscono la cultura del vino nel senso più ampio. Gli scopi e le finalità dell’Associazione sono quelli di migliorare la conoscenza del vino attraverso

tutti i canali, organizzando incontri, degusta- zioni, dibattiti tavole rotonde, viaggi studio, corsi d’aggiornamento, con particolare atten- zione al mondo femminile. Tutto questo si svolge anche a livello territoriale con le Dele- gate Regionali (per la Puglia è la Manduriana Alessia Perrucci, n.d.r.). Ad esempio in Puglia, a novembre, la Delegazione pugliese organiz- za un bellissimo evento a Cassano delle Murge, San Martino e le Donne del Vino.

Venti anni di sodalizio per l’As- sociazione, cosa rappresenta- no per il mondo enologico?

E’ sicuramente un valore in più per il settore, uno dei più importanti dell’economia del Paese. L’associazione contri- buisce con passione, innovazio- ne, e tradizione a migliorare la competitività del vino italiano con la presenza delle donne lungo tutta la filiera enologica dal nord al sud dell’Italia. Insieme, Le Donne del Vino esaltano la ricchezza molte- plice dell’Italia, ma anche affermano l’unità territoriale, e così le socie dimostrano l’orgo- glio di appartenere ad un unico e straordinario Paese. La capacità di trasferire la cultura del vino in una donna è forse più spiccata, la donna prende per mano, con senso di mater- nità, la gestione della cantina o di tutto quello che circonda il vino, da apprezzare non solo come prodotto alimentare, ma come prodotto della cultura e della tradizione di un terri- torio.

Il numero di donne che gestiscono o che occupano ruoli chia- ve in aziende vinico- le è cresciuto note- volmente negli ultimi tempi. Cosa ne pensi del vino ‘al femminile’?

Le donne lavorano da sempre nelle

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EOSALENTINO

aziende vinicole e nel- l’ultimo decennio le loro capacità imprenditoriali sono state apprezzate anche perché la donna ama la qualità in tutti i suoi aspetti, da sempre.

Molte cantine oggi sono tutte al femminile, cosa che fino a pochi anni fa era impensabile, alcune hanno ereditato e gesti- scono patrimoni ed

aziende vitivinicole, in passato questi passag- gi avvenivano sempre in linea maschile, e la maggior parte di esse sono in attivo. Quante oggi le enologhe, le agronome, professioni fino a qualche anno fa solo per uomini. La donna riesce a trarre cose positive anche da situazio- ni negative, è tosta e non si arrende facilmen- te. Mi piace ricordare le parole del prof.

Andrea Rea, responsabile dell’Osservatorio del Vino della Bocconi che ha svolto una ricer- ca sull’imprenditoria italiana al femminile nel- l’ambito della produzione vinicola, “Le imp- rese al femminile hanno una percentuale di rischio fallimento inferiore rispetto a quelle maschili, perché difficilmente una donna fa il passo più lungo della gamba. Inoltre la donna ha ben sviluppata la cultura dell’accoglienza oggi così importante nel promuovere il vino, attraverso il luogo di produzione e il suo immaginario, visto che il vino è sempre più un elemento di life style, la sua leadership è con- divisa e multipla, sapendo adeguarsi allo schema di gioco più funzionale nel momento contingente, la Donna utilizza la metafora musicale dell’Armonia, come capacità di arrivare ad un’orchestrazione perfetta anche in caso di dissonanze”.

Un mondo tutto al maschile in Italia è ancora quello della critica enologica, delle guide di settore, degli opinion-leader. Come mai non sono presenti nomi femminili?

Hai ragione, molte le socie che si occupano di comunicazione, scrivendo di vino, su quotidia- ni, riviste di settore, libri, come Antonella Bevi- lacqua, a Napoli, Antonella Millarte in Puglia,

ma ancora manca la voce autorevole al femminile. E’

un lembo del settore che ancora ci manca, ma sono certa ci arriveremo pre- sto, le donne sanno fare.

Le donne si sono avvici- nate al vino anche come prodotto di bellezza.

Aumentano le SPA con trattamenti al vino, gli effet- ti benefici del vino rosso per la donna anche in menopausa, insomma il vino un alleato della salute delle donne?

Sicuramente il vino rosso ha molti effetti benefici se consumato moderatamente, spe- cialmente per le donne: è un perfetto anti- invecchiante durante il periodo della meno- pausa, grazie alle caratteristiche chimiche contenute nelle uve. Il vino è poi un perfetto cosmetico che rende ancora più bella e più gio- vane la pelle femminile, sono ormai numerose le case di bellezza che hanno messo in com- mercio trattamenti detossinanti ispirati alla vinoterapia. Ancora un perfetto connubio tra donna e vino.

La tua opinione sui vini pugliesi e sul Primiti- vo di Manduria...

Oggi per fortuna i vini del sud, come quelli pugliesi si sono fatti strada anche all’estero. In America si trovano nei locali, fino a qualche anno no, la facevano da padroni solo i vini toscani. Il vino rosso lo bevo, preferibilmente fresco di cantina con alcuni formaggi, o cibi con sapori decisi. Il Primitivo è un vino che mi infonde allegria, serenità, pace interiore, oltre ai tanti ricordi della terra di Buonassisi. Si dovrebbe investire di più in promozione, farsi conoscere, è una terra con tante cose buone da offrire.

In una frase: cos’è per te il vino?

E’ il senso della vita. In un bicchiere di buon vino c’è la vita intera di un uomo. Osservalo, un bicchiere può raccontarti tante storie, basta stare ad ascoltarlo…

...Le case di bellezza hanno messo in com- mercio trattamenti detossinanti ispirati alla vinoterapia. Ancora un perfetto connubio tra donna e vino.

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EOSALENTINO

Storia

A

priva la cena il gustum, il nostro antipa- sto: lattuga, uova sode, ruchetta, rava- nelli, porri, cipolle, olive, cetrioli, feccia di vino, acciughe, allec (il residuo solido della produzione del garum, una specie di pasta d’acciughe). Per convenzione, i piatti a base di uova venivano serviti tra gli antipasti, compresi sformati, soufflé, tortini o l’apiciana frittata di lattuga. Sul gustum si beveva, a mo’ d’aperiti- vo, il mulsum, il vino mielato, freddo d’estate, caldo d’inverno, onde il gustum fu chiamato anche promulsis.

V

enivano le mensae primae, compren- denti selvaggina di piuma e pelo (lepri, ghiri, tordi, fagiani, pernici, gru); il cin- ghiale, ove possibile, o il maiale (che anche quando allevato era sempre semi-selvatico ed al cinghiale molto vicino); pollo anatra oca pavone o, in alternati-

va, capretto; non dovevano mancare le delicatezze come le mammelle di scrofa lessate o la vulva par- ticolarmente apprez- zata anche per motivi ritualistico-simbolici;

quindi i piatti di pesce (il cui pregio derivava

dalla provenienza e, particolare sul quale noi oggi non concordiamo affatto, dalla grossezza, fino a sconfinare nel grottesco, come quando fu addirittura convocato il Senato ed emesso un senatoconsulto per stabilire come cucinare un gigantesco rombo che era stato - non si sa quanto spontaneamente - offerto all’imperato-

re Domiziano; per i curiosi aggiungeremo che il senatoconsulto fu di realizzare in fretta e furia una padella tanto grande da contenere intero, senza dunque doverlo «mutilare», l’ecceziona- le pesce): in umido, alla brace, fritti o in com- plicate preparazioni che andavano dalla patina apiciana, un sontuoso pasticcio di pesce e carne, al «tirotarico», un padellotto di pesce fresco e sotto sale con abbondante formaggio, aromi ed altro.

F

ra i pesci più pregiati (ma la moda ogni tanto ne innalzava qualcuno deprimendone altri...) lo storio- ne, che ancora non aveva abbandonato le nostre acque, la murena (particolarmente pre- giata la lampreda, che veniva dallo stretto di Sicilia), il rombo, costosissimo, il nasello, l’orata, la spigola, la triglia, il dentice (allevato anche in vivai costieri), il cefalo (che in alcuni periodi arriverà a costare cifre assoluta- mente folli), lo scaro, portato sulle rive tirreni- che e qui fatto acclimare anche con un lungo ed assoluto divieto di pesca (ritenuto pesce di gran pregio, il suo fegato era particolarmente gradito al ghiottone imperatore Vitellio, mentre

Gastronomia

della

(3° parte)

La tavola dei Romani.

la «cena».

di Giuseppe MAZZARINO

...non dovevano mancare le delica- tezze come le mam- melle di scrofa les- sate o la vulva...

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(27)

EOSALENTINO

Marziale affetta di disprezzarlo e di gradirne soltanto le viscere), le varie specie di tonno, il muggine, la torpedine, la sogliola, la razza e l’a- priculus, un pesce non identificato (la Salza Prina Ricotti suggerisce possa trattarsi del

“pesce porco” o “pesce balestra”) la cui miglior varietà si pescava a Taranto. Apprezzati e ricer- cati i frutti di mare (locuzione che viene dal lati- no maris poma): in

ispecie ostriche, ricci di mare, cozze, petti- ni; buona fama gode- vano anche altri mol- luschi e crostacei, fra i quali polipi, seppie,

aragoste, calamari, gamberi, scampi.

I

ntorno a questi piatti ancora verdure ed erbaggi, legumi e cereali, solitamente in complesse ed irriconoscibili preparazioni.

Orazio ci parla anche di un rustico pasticcio di làgane che non doveva differire troppo dalle nostre lasagne ripiene: le lagana erano esatta- mente lasagne, larghe sfoglie di pasta formata con acqua e farina, che venivano fritte - e prefi- guravano le odierne frappe o chiacchiere, men- tre cosparse di miele anticipavano le cartellate pugliesi - o cotte al forno con varie farcie (mai lessate comunque: l’età antica non ha mai conosciuto nulla di simile alle nostre paste ali- mentari lesse). Fra i legumi più usati ceci, pisel- li, lenticchie, fagiolini e fagioli (quelli cosiddetti

<<con l’occhio>>, non i fagioli odierni che, in tutte le loro varietà, sono di derivazione ameri- cana), accomunati questi ultimi da un unico nome. Onnipresente la zucca, mimetizzata in vario modo (e c’era chi ne approfittava per ser- vire economicissimi banchetti di sola zucca, sia pure acconciata in mille diversi modi, dall’anti- pasto al dolce). Di gran diffusione ed importan- za alimentare, dall’età più remota, la rapa ed il cavolo (che però essendo cibi poveri erano appannaggio soprattutto di plebei, campagnoli, tirchi o persone di gusti semplici, specie se anche un po’ reazionarie). Molto ricercati erano gli asparagi, che per i Romani comprendevano i getti verdi di quasi tutti i vegetali, compresi il cavolo la vite e la vitalba. I Romani consumava- no anche, pur senza apprezzarli particolarmen-

te, funghi e tartufi (rigorosamente sot- toposti a doppia cottura: bolliti e arrosti- ti; raramente solo bolliti). Una nota a parte meritano le fave: cibo antichissimo nel bacino del Mediterraneo, già base del- l’alimentazione di sussistenza degli Elleni, usatissime anche in Magna Grecia non- ostante la «scomunica» dettata da Pitagora,

erano molto usate anche a Roma:

sia fresche che secche, erano solita- mente cotte con lardo o ridotte in polentine.

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opo la rituale offerta ai Lari giungevano le mensae secundae, frutta e dolci (complessivamente definiti bellaria): mele, pere, uva, fichi, datteri (freschi o in complesse preparazioni); e poi mele

cotogne cotte nel miele d’Attica (il top era quel- lo dell’Imetto anche se, teste Orazio, Taranto ne produceva uno non infe- riore), noci mandorle nocciole pinoli e casta- gne; e ancora frutti di bosco come lamponi mirtilli fragoline more ribes sambuco nero; nel I secolo d.C. furono importati in Italia il cilie- gio (da Lucullo), il pesco,

l’albicocco e il sorbo, i cui frutti furono inizial- mente disponibili solo a caro prezzo.

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uanto ai dolci, si andava da una sorta di semplici biscotti al miele o al mosto alle frittatine al latte con miele e pepe del ricettario apiciano, al pane inumidito fritto e cosparso di miele, o anche alle placente di cui ci parla Catone, torte maestose dal sontuoso ripieno a base di formaggio fresco, senza dimenticare le creme o le «crostate» di sempli- ce pasta dolcificata ricoperte di fluido miele bol- lente, di derivazione greca, come peraltro quasi tutta la pasticceria romana.

Il pane vero e proprio fu una tarda conquista;

in sua vece s’adoprava una sorta di rustica focaccia di farro (e poi di frumento), non lievita-

... il pane vero e pro- prio fu una tarda conquista...

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EOSALENTINO

ta o pochissimo lievi- tata (e si trattava di lie- vitazione spontanea), che ben presto si trasfor- mava più che altro in una galletta. «Pulte autem, non pane, vixisse longo tempore Romanos manife- stum», afferma Plinio nel XVIII libro della Naturalis Histo-

ria: di polta e non di pane vissero per lungo i Romani, quegli stessi Romani che Plauto definì pultiphagonides, mangiatori di polta, «polento- ni», insomma. Solo a partire dal II secolo a.C., con la affermazione del frumento, iniziò a dif- fondersi - senza mai soppiantare del tutto né la polta né la focaccia - il pane quale noi lo inten- diamo, lievitato, sia pure con un lievito abba- stanza rustico, preparato una volta l’anno, all’e- poca della vendemmia, con un impasto di fari- na e mosto; anche il più fine era insomma un pane molto compatto ed acidulo al gusto.

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differenza che in Grecia, nel corso della cena si beveva vino (al solito, annac- quato, ma meno che in Ellade: la pro- porzione virtuosa di tre parti - d’acqua - ad una, il Tritone, come lo chiamavano scherzosamente i Greci, era scarsamente praticata). Doveva trat- tarsi di una bevanda non eccezionale: la fer- mentazione e conservazione infatti non avveni- va in tini e botti ma in grandi recipienti di argil- la (dolia), come presso i Greci: e questo non doveva certo contribuire a valorizzare i vini. Per di più, al di là dell’opinabilità del taglio con l’acqua (o della aggiunta durante la fermenta- zione di acqua di mare, che si riteneva stabiliz- zante e che era praticamente obbligatoria per i più ricercati e costosi vini greci destinati all’e- sportazione), i Romani amavano bere il vino molto vecchio: e con quel tipo di fermentazione e conservazione un protratto invecchiamento non poteva che peggiorarne la qualità.

Ecco anche perché molto spesso il vino veni- va aromatizzato con spezie, erbe, fiori, miele, garum; o veniva addirittura affumicato (come in Gallia, per accelerarne l’invecchiamento: ma a Roma non piaceva; c’è in proposito un sapido e velenosissimo epigramma di Marziale).

Dei migliori vini romani conosciamo purtroppo quasi solo i nomi, poco le carat- teristiche (tranne, per esempio, il fatto di sapere che il Faler- no era «ardente», tanto che «arrivava ad infiammarsi», ci informa Plinio): Falerno e Cecubo innanzitutto, come Massico e Caleno (il quartetto dei grandi vini classici); molto quotato era il vino di Taran- to, così come il Formiano, il Mamertino, il Puci- no o il Mesopotamico (che era un vino siculo);

fra gli insuperabili greci, spiccavano quelli di Chio, di Lesbo, di Rodi, di Cos.

I formaggi e la puls difficilmente trovavano posto in una cena: i formaggi perché costituiva- no la base alimentare del prandium, lo spunti- no di mezzogiorno, e perché, al limite, erano largamente usati nelle salse e nelle varie pre- parazioni alimentari; la puls perché considera- ta troppo arcaica e povera (era un tipico alimen- to campagnolo, o delle cene solitarie, quando non si era riusciti a scroccare un invito).

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ndispensabili parti del banchetto erano gli spettacoli di mimo o danza (rinomate le danzatrici di Gades, sembra particolar- mente lascive) e la recitazione di versi poetici quando non addirittura la messa in scena di vere rappresentazioni teatrali. Prevista anche la distribuzione di profumi ed unguenti, sia per usarli durante il banchetto sia come apo- phoreta, i piccoli doni da portar via (ampolle di profumi ed unguenti, libri, coltelli, statuet- te, ma anche cibi in sovrappiù, che sovente il convitato radunava nel suo proprio tovaglio- lo). Svariava la conversazione, che spesso era raffinata ed intelligente ma ancor più spesso frivola se non volgare.

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lla cena poteva seguire la commissatio (o comessatio): la bevuta finale, prati- camente, pallida eco del symposion degli Elleni, alla quale le donne - ammesse al banchetto, a differenza che in Grecia - solita- mente non prendevano parte.

(continua)

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