• Non ci sono risultati.

Parere ai sensi dell'art. 10 Legge n. 195/58 concernente: “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Parere ai sensi dell'art. 10 Legge n. 195/58 concernente: “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”."

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

Parere ai sensi dell'art. 10 Legge n. 195/58 concernente: “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

(Delibera del 24 ottobre 2012)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 24 ottobre 2012, ha adottato la seguente delibera:

«1. L’illegalità diffusa nell’esercizio dei poteri e nella gestione delle risorse pubbliche costituisce tuttora una delle principali emergenze nella vita civile ed economica del Paese.

L’alterazione delle regole di funzionamento dei pubblici poteri provocata da condotte di approfittamento ed arricchimento illecito individuale costituisce un grave vulnus ai principi di legalità e trasparenza propri dello Stato democratico. Essa inquina i meccanismi di accesso alle opportunità e di distribuzione delle risorse dettati dalla legge, realizzando condizioni di opacità e di ineguaglianza che, in ultima analisi, provocano profonda sfiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni e nella politica.

Sotto il profilo strettamente economico, è stato stimato dalla Corte dei Conti in sessanta miliardi di euro all’anno l’ammontare delle risorse sottratte allo Stato dalle attività corruttive.

E’ noto peraltro che la diffusione della corruzione è considerata dai possibili investitori esteri una delle più significative controindicazioni all’ingresso nel mercato italiano; rappresenta quindi un fattore di rallentamento dello sviluppo economico, vieppiù pericoloso in una fase di generale crisi sociale come quella attuale.

La necessità di dotare l’ordinamento statale di strumenti rigorosi per contrastare i fenomeni di corruzione – principalmente, ma non solo, nel settore pubblico – è da tempo oggetto di attenzione negli interventi del Consiglio superiore della magistratura, che ha più volte sottolineato la necessità di orientare la legislazione – civile e penale – ai principi di efficace prevenzione e perseguimento dei fenomeni corruttivi, anche in ottemperanza alle sollecitazioni provenienti da istituzioni internazionali e sovranazionali ed agli obblighi assunti in sede pattizia.

Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 20031. La predetta Convezione è stata ratificata dall’Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116. La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace.2

Deve farsi riferimento inoltre al rapporto redatto dal Gruppo di Stati contro la corruzione che agisce nell’ambito del Consiglio d’Europa (GRECO)3, che ha recentemente valutato le politiche anticorruzione poste in essere dall’Italia4.

1 La Convenzione contro la corruzione alla quale si fa riferimento nel testo è pubblicata nella Gazz. Uff. 14 agosto

2009, n. 188.

2 L’art. 30 della Convenzione raccomanda agli Stati di adottare le misure necessarie al fine di “ricercare, perseguire e

giudicare effettivamente” i responsabili di fatti corruttivi (art. 30, comma II). Invita poi gli Stati ad adoperarsi affinché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da “ottimizzare lefficacia di misure di individuazione e di repressione di tale reati” (art. 30, comma 3).

3Si veda in proposito il recente rapporto sul terzo ciclo di valutazione adottato dal GRECO in occasione della sua 54ª

assemblea plenaria (Strasburgo, 20-23 marzo 2012)

4 in esso si esplicita la raccomandazione “ad adottare misure opportune in stretta consultazione con le istituzioni interessate, al fine di garantire che le norme applicabili per la corruzione ed il trading in influence siano attivamente perseguiti nella pratica e agevolino un regime sanzionatorio di misure efficaci, proporzionate e dissuasive nei confronti degli autori dei reati di corruzione, come prevede larticolo 19 della Convenzione penale sulla corruzione (STE 173)

(2)

Anche l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE) si è occupata del tema nel suo

“Rapporto sulla fase 3 dell'applicazione della convenzione anticorruzione dell'OCSE in Italia”

pubblicato nel dicembre 2011 dal Gruppo di lavoro sulla corruzione, che valuta ed esprime raccomandazioni sull'implementazione e l'applicazione in Italia della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali nonché della Raccomandazione 2009 del Consiglio per il rafforzamento della lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali.

2. Nel contesto descritto si inserisce il Disegno di legge n. 2156 – B “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” . Il testo proposto, nella prima parte, si occupa di introdurre una serie di istituti, di presidi di controllo di merito e di metodo interni alla macchina amministrativa, con la finalità di rendere il sistema di gestione delle risorse pubbliche maggiormente trasparente e garantito.

Sono previsti organismi di controllo, piani di prevenzione, obblighi preventivi di comunicazione ed informazione, condizioni rigorose di operatività, nonché la responsabilizzazione di specifiche figure professionali – appositamente formate – interne alla struttura burocratica. Si stabiliscono sanzioni amministrative e disciplinari specifiche per le ipotesi in cui l’elaborato sistema di controllo ed informazioni non sia in grado di pervenire all’effetto di prevenzione e deterrenza degli illeciti.

L’analisi di tale apparato disciplinare, attiene alla materia dell’organizzazione della struttura e della funzionalità burocratica amministrativa degli enti pubblici e quindi esula evidentemente dall’ambito delle attribuzioni e delle competenze dell’organo di governo autonomo della magistratura. D’altra parte, solo incidentalmente, deve salutarsi con estremo favore il tentativo di operare un intervento di irrobustimento delle garanzie procedimentali e dei presidi di controllo e repressione preventivi, individuando all’interno del circuito dell’assunzione delle scelte di gestione della cosa pubblica gli snodi maggiormente sensibili.

Così facendo – al di là di ogni valutazione dei singoli istituti – il disegno di legge persegue in maniera organica, per la prima volta, l’obbiettivo di intervenire in maniera efficace e consapevole sulla genesi dei fenomeni corruttivi, piuttosto che affidarsi, come è stato fino ad ora, alla sola repressione successiva.

Come è noto, proprio l’inefficienza degli istituti di controllo preventivi all’interno della pubblica amministrazione ha finito per esasperare e drammatizzare il ruolo e la funzione della giustizia penale quale unica risposta dello Stato – con i limiti di cui si dirà – ai fenomeni corruttivi. E’

altrettanto evidente, d’altra parte, che, al di là delle difficoltà operative concrete, l’intervento giudiziario penale è governato dai principi della specialità e della residualità in funzione esclusivamente sanzionatoria, cosicché la sua stessa connotazione costituzionale gli preclude ogni funzione di governo organico di contesti sensibili e di orientamento culturale.

Senza l’assunzione di scelte amministrative di responsabilizzazione generale e condivisa in relazione alla gestione della cosa pubblica, attraverso un esercizio consapevole della funzione di governo nel fisiologico esercizio della discrezionalità, nessuna seria inversione di tendenza rispetto ai fenomeni patologici emersi nell’attualità è ragionevolmente prospettabile.

3. Il disegno di legge, pur nel tortuoso percorso parlamentare, propone una serie di modifiche ed integrazioni relative alle norme del codice penale che descrivono le principali fattispecie incriminatrici nel settore dei reati di corruzione, allo scopo di dare una definizione più chiara, efficace ed adeguata ai fenomeni illeciti di maggiore preoccupazione, nonché di ottemperare a impegni assunti a livello internazionale, in particolare alla Convenzione di Merida delle Nazioni Unite sulla corruzione del 2003, ratificata dall’Italia nel 2009, e alla Convenzione penale sulla corruzione elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa, aperta alla firma nel 1999 e ratificata, tardivamente, con la legge n. 110 del 28 giugno 2012.

(3)

Preliminarmente, sul tema generale dell’efficacia della repressione penale dei fenomeni illeciti nel settore della pubblica amministrazione, si deve ancora una volta5 segnalare come ogni intervento che si proponga il fine di inasprire il sistema sanzionatorio nei confronti dei reati di corruzione debba necessariamente intervenire sul sistema di computo della prescrizione come oggi disciplinato dalla legge n. 251/05.

Senza un radicale ripensamento del regime della prescrizione, ogni modifica legislativa rischia di risultare vana, in quanto è dimostrato dalle statistiche, ed è stato più volte evidenziato dagli studi in sede europea (da ultimo rapporto del GRECO del 23 marzo 2012), che la repressione del fenomeno corruttivo in Italia trova il suo principale ostacolo nel sistema attuale di calcolo e nei termini troppo brevi della prescrizione. Così si esprime l’ultimo rapporto del GRECO sul punto: “un fattore decisivo che ostacola l'efficacia del regime sanzionatorio esistente riguarda la questione della prescrizione in Italia e, più in particolare, il rischio che i procedimenti penali per corruzione non vadano a termine perché sono prescritti”; il rapporto si conclude con la seguente raccomandazione

“al fine di garantire che i procedimenti siano definiti prima della scadenza dei termini di prescrizione, i) effettuare uno studio sull’impatto che la prescrizione ha sui procedimenti per corruzione al fine di stabilire l’entità e le cause dei problemi che potrebbero essere identificati a seguito di tale indagine; ii) adottare un piano di azione specifico per affrontare e risolvere, entro tempi stabiliti, i problemi che dovessero emergere dall’indagine; (iii) rendere pubblici i risultati di questa attività di studio”.

Il Gruppo di lavoro OCSE nel “Rapporto sulla fase 3 dell'applicazione della convenzione anticorruzione dell'ocse in Italia”, parimenti, reitera la raccomandazione all’ordinamento italiano perché “(f) si impegni con urgenza (i) a prendere le disposizioni necessarie per estendere in maniera significativa, anche per le persone incensurate, il termine di prescrizione "ultimo" per l'avvio di azioni penali e per l'imposizione di sanzioni nel caso di corruzione internazionale, con qualsiasi mezzo necessario; (ii) a riconsiderare l'impatto del termine di prescrizione generale, più breve, applicabile alle persone giuridiche e prenda in considerazione un possibile allineamento di quel termine al termine di prescrizione applicabile alle persone fisiche (che dovrebbe essere esteso come al punto (i)) [Convenzione, articolo 6, raccomandazione 7(b) di Fase 2]”.

I reati contro la pubblica amministrazione si realizzano normalmente in contesti poco accessibili di elevata elaborazione tecnica e formale, le notizie di reato sono acquisite con difficoltà e normalmente a distanza di tempo dai fatti, le indagini sono complesse ed impegnative; senza una consistente revisione dei limiti cronologici massimi all’accertamento definitivo, l’efficacia dell’attività di repressione giurisdizionale rischia di rivelarsi fortemente attenuata.

4. Quanto al merito delle singole disposizioni, si deve segnalare la innovazione relativa alla nuova disciplina di due fattispecie incriminatrici: il nuovo articolo 346 bis che punisce il “Traffico di influenze illecite”, e la modifica dell’art. 2635 del codice civile con la previsione del reato di

“corruzione tra privati”. Entrambe le figure sono il risultato di una consolidata elaborazione dottrinale, nonché l’adempimento di specifiche indicazioni formulate nelle sedi internazionali già citate.6

5Il tema è stato più volte da parte del CSM esaminato in maniera approfondita e portato all’attenzione del Governo e

della opinione pubblica; da ultimo si vedano la Risoluzione sulle ricadute sul funzionamento del sistema giudiziario della disciplina proposta nel ddl n. 2567/S”””” approvata il 7 settembre 2011, nonché la risoluzione 6 aprile 2011 concernente il DDL 3137 in tema di “misure contro la durata indeterminata dei processi i veda

6il Rapporto GRECO invita aiv) prevedere come fattispecie penale la corruzione nel settore privato conformemente agli articoli 7 e 8 della Convenzione penale sulla corruzione (STE 173) (paragrafo 110); v) prevedere come fattispecie penale il traffico di influenza conformemente allarticolo 12 della Convenzione penale sulla corruzione (STE 173) (paragrafo 111)

(4)

Entrambe costituiscono un utile arricchimento dell’armamentario punitivo dello Stato, corrispondendo ad ipotesi di malcostume nell’esercizio dei poteri pubblici e privati note alle cronache.

D’altra parte, quanto al nuovo art. 346 bis c.p., deve osservarsi come l’efficacia della nuova fattispecie incriminatrice appare fortemente condizionata dall’esiguità della pena edittale stabilita:

la limitazione della sanzione massima irrogabile a tre anni di reclusione preclude infatti l’utilizzo di strumenti di indagine quali le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni (art. 266 c.p.p.) che, in contesti fortemente connotati dalla relazione personale tra le parti coinvolte - improntata alla segretezza ed alla cautela formale - sono di fondamentale utilità. Allo stesso modo non potrebbero essere applicate misure cautelari personali, utili ad interrompere le contiguità in cui le condotte punite normalmente maturano. Senza dire, ulteriormente, che la misura della pena incide direttamente sul termine di prescrizione comunque assai breve.

La osservazione che precede appare tanto più rilevante quando si consideri che l’ambito delle condotte sanzionate è stato limitato alle sole ipotesi in cui la remunerazione dell’agente consista esclusivamente in “danaro o altro vantaggio patrimoniale”. A fronte di tale tipizzazione della condotta punita avrebbe probabilmente potuto fare seguito un trattamento sanzionatorio capace di garantirne l’effettività sotto il profilo della reale capacità repressiva e dissuasiva.

Analoghi rilievi valgono per il reato di corruzione tra privati di cui al nuovo art. 2635 c.c. ove si condiziona la punibilità all’accertamento di un danno per la società, ed è procedibile esclusivamente a querela della persona offesa (salvo che per la alterazione della concorrenza), pur afferendo a condotte spesso dannose per l’intera collettività.

Quanto alle modifiche proposte alle fattispecie incriminatrici esistenti, di grande rilievo appare la nuova disciplina del reato di concussione, con la separazione tra le condotte di costrizione e di induzione, che fino ad oggi erano punite con l’unica figura criminosa di cui all’art. 317 c.p..

In tale ultima norma, nel testo in discussione, rimane la punizione della concussione per costrizione, eliminando però dal novero dei soggetti attivi gli incaricati di pubblico servizio che, invece, ricompaiono nell’ipotesi “per induzione” di cui al’articolo 319 quater c.p.. Il motivo di tale esclusione non appare di immediata comprensione, considerato che, in fatto, non può escludersi che anche tali soggetti si rendano responsabili del reato e che, in diritto, la conseguenza potrebbe essere l’applicazione della diversa fattispecie di estorsione (art. 629 c.p.), aggravata dalla qualità del reo (art. 61 n. 10 c.p.) con l’irrogazione di una pena addirittura superiore.

La condotta di induzione, nel nuovo art. 319 quater c.p., prevede una sanzione edittale sensibilmente inferiore a quella fino ad oggi applicata. Ciò oggettivamene costituisce un arretramento particolarmente significativo nell’attività di contrasto di un comportamento che oggi risulta essere la forma statisticamente più diffusa di integrazione del reato di concussione.

L’abbassamento della pena rischia di comportare, a seguito della conseguente riduzione dei termini di prescrizione del reato, effetti esiziali su numerosi procedimenti in corso e costituisce un segnale simbolico incoerente con le intenzioni che animano l’impianto complessivo delle modifiche proposte, volte a determinare un rafforzamento del contrasto al fenomeno illecito. Per tali motivi si reputa necessario un innalzamento delle pene previste per questa nuova fattispecie di reato.

Sul punto sarebbe stato opportuno, anzi necessario, fare un monitoraggio dettagliato delle ricadute sui processi in corso.

Perplessità suscita inoltre la scelta di punire anche la condotta della vittima della concussione per induzione. La pena prevista, per la sua entità – fino a tre anni - non è probabilmente in grado di costituire un serio deterrente, per i motivi già illustrati; d’altra parte essa avrà molto probabilmente l’effetto di ostacolare le indagini nei reati di concussione per induzione, atteso che crea un nesso di solidarietà criminale tra i protagonisti della fattispecie - normalmente uniti da un patto segreto privo di tracce ulteriori - che condividono l’interesse ad evitarne l’accertamento.

Da un punto di vista sistematico, peraltro, appare scarsamente compatibile con il principio di personalità della responsabilità penale l’irrogazione di una sanzione a chi abbia agito in condizione di coazione psicologica assoluta, e cioè sulla base della induzione subita, in assenza di qualsivoglia

(5)

accertamento del livello di partecipazione o sul vantaggio soggettivo conseguito. Si dovrà quindi probabilmente riferire il reato alla sola ipotesi di coazione psicologica relativa, quando si possa quindi ravvisare nella fattispecie concreta la possibilità dell’indotto di determinarsi in maniera diversa. Ma se così è, e la vittima dell’induzione abbia deciso di aderire alle illecite sollecitazioni mosso dal desiderio di conseguire a sua volta un vantaggio illecito, diventa particolarmente incerta la distinzione dogmatica tra il reato di concussione e quello di corruzione, fino ad oggi affidata al brocardo per cui il concusso certat de damno vitando,mentre il corruttore certat de lucro captando.

L’intervento legislativo proposto trae probabilmente ispirazione da sollecitazioni in sede internazionale, leggendosi, ad esempio tra le raccomandazioni contenute nel già citato rapporto OCSE la richiesta che si “(b) valuti qualsiasi emendamento volto a modificare l'applicazione della concussione come possibile esonero da responsabilità per la corruzione internazionale indipendentemente da emendamenti di stessa natura che trattino di questo reato in relazione alla corruzione in ambito nazionale [Convenzione, articolo 1; Raccomandazione 2009 III (ii) e V, valutazione di Fase 2, raccomandazione 7(a)]”.

In realtà, il contenuto di tale sollecitazione, riferita alla corruzione internazionale, appare scarsamente aderente alle peculiarità del sistema italiano di repressione dei reati contro la pubblica amministrazione - che conosce le figure di corruzione e concussione come autonome e separate - ed opera una sovrapposizione interpretativa, in cui la condizione del concusso viene vista come una sorta di esonero di responsabilità per il diverso reato di corruzione.

In termini diversi si esprime, in effetti, il rapporto Greco, già citato, il quale, preso atto della distinzione esistente tra i reati di corruzione e di concussione nell’ordinamento italiano, segnala la necessità di evitare che nella pratica giudiziaria si consenta al corruttore di sfuggire alla sanzione rappresentandosi come vittima di concussione: come è evidente, e come lo stesso rapporto segnala, si tratta di questione concernente la qualificazione delle singole fattispecie concrete e non di articolazione legislativa delle norme incriminatrici, se non in termini di mera chiarificazione. 7 A tal proposito sembra utile segnalare l'opportunità di prevedere una ipotesi di non punibilità della vittima della concussione per induzione, o una forte attenuazione del trattamento sanzionatorio, per il caso in cui denunci il reato, collaborando con le autorità inquirenti.

Altrimenti sarebbe utile distinguere tra le condotte di colui subisce la induzione per pura coazione psicologica da chi partecipi all’accordo per perseguire un proprio vantaggio.

Inoltre, per completezza, si deve segnalare che un intervento ambizioso in tale materia non dovrebbe prescindere dal dare concretezza ad altre istanze parimenti segnalate dalle medesime fonti internazionali che ispirano l’intervento legislativo. Ci si riferisce al reato di falso in bilancio che costituisce nella pratica una fattispecie funzionalmente connessa ai reati contro la pubblica amministrazione, consentendo di costituire riserve di liquidità occulta, sottratta alle normali regole di trasparenza commerciale e controllo contabile, utili a nutrire gli arricchimenti illeciti e clandestini degli amministratori infedeli. Lo stesso rapporto OCSE 2011 che viene indicato alla base della decisione di intervenire in materia in una delle sue raccomandazioni chiedeva testualmente che “(a) si assicuri che, in base alla sua legislazione, possano essere applicate sanzioni efficaci, proporzionali e dissuasive per tutti i casi di falso in bilancio senza tener conto (i) di soglie monetarie, (ii)del fatto che il reato sia commesso in relazione ad aziende quotate o non quotate in borsa, e (iii) del fatto che il reato danneggi gli azionisti o i creditori”.

Allo stesso modo deve essere segnalata l’opportunità di una norma che punisca il cd.

“autoriciclaggio”, e cioè il reimpiego e la reimmissione sul mercato di risorse provenienti da reato da parte di chi lo abbia commesso. Tale condotta costituisce infatti uno dei principali canali di occultamento dei proventi delittuosi, in particolare del crimine organizzato, dei reati economici e di

7 La relativa raccomandazione è così formulata: “(i) di esaminare in modo approfondito la pratica applicazione del reato di concussione, come stabilito dall'articolo 317 del Codice penale, al fine di accertare il suo eventuale uso improprio nelle indagini e nell’azione penale nei casi di corruzione; (ii) alla luce di tale esame, di adottare misure concrete per rivedere e chiarire la portata del reato, se necessario.”

(6)

corruzione. In assenza di sanzione autonoma di essa, si priva l’ordinamento di uno strumento utile ad impedire – a valle della corruzione - la concretizzazione ultima del vantaggio patrimoniale conseguito con l’attività illecita.

Altresì, è doveroso segnalare l’opportunità di una modifica del reato di cui all’art. 416 ter c.p.

(scambio elettorale politico-mafioso): è necessario introdurre una migliore e più allargata definizione del voto di scambio che rappresenta un vero e proprio caso di corruzione politico- mafiosa. Occorre prevedere il reato non solo per i casi di erogazione di denaro ma anche in caso di altre utilità.

Relativamente alla materia dell’incandidabilità, strettamente riservata alla discrezionalità del legislatore, si osserva soltanto che i limiti di pena previsti devono essere valutati anche in relazione al dato notorio della bassa percentuale statistica di condanne superiori ai due anni di reclusione nel settore dei reati contro la pubblica amministrazione.

5. Il disegno di legge, infine, contiene una nuova disciplina di alcuni aspetti dell’attività in incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali, attribuiti a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato.

Si tratta di materia di obbiettivo rilievo pubblicistico, attenendo al tema della leale collaborazione tra organi dello Stato, ma incidendo sulla dotazione organica e sulla funzionalità degli uffici, giurisdizionali o non, di provenienza dei soggetti interessati.

Proprio la pluralità dei profili di rilievo e la delicatezza delle istanze istituzionali coinvolte suggerisce che essa venga trattata in maniera consapevole ed approfondita, in un ambito disciplinare organico e coerente.

Disarmoniche appaiono pertanto iniziative legislative quali la presente, che inseriscono alla materia, in maniera del tutto estemporanea in un contesto completamente estraneo, affrontandone in modo disorganico e parziale solo alcuni profili di specie.

Quanto al merito della proposta di legge, appare ragionevole la scelta di definire l’ambito delle attività che devono essere svolte dai soggetti appartenenti alle categorie interessate abbandonando il ruolo organico degli ordinamenti di provenienza, allo scopo, da un lato, di garantire continuità e pienezza dell’impegno lavorativo e, dall’altro, di tutelare l’immagine di assoluta indipendenza ed imparzialità evitando ogni possibile sovrapposizione o conflitto tra i ruoli esercitati presso diverse amministrazioni.

La previsione di un limite complessivo decennale nell’arco della carriera del soggetto interessato costituisce una estensione alle altre categorie di soggetti del termine già previsto per la magistratura ordinaria dall’art. 50 del D.lgs. 160/2006 e poi dal D.l. 143 del 2008.

Opportuna appare la esenzione dal rispetto di tale limite per i Membri di Governo, le cariche elettive o di autogoverno, per la loro attinenza all’esercizio di prerogative costituzionali di partecipazione alla vita pubblica della collettività o di rappresentanza della categoria di appartenenza. Analogo il giudizio per gli incarichi giurisdizionali di componenti delle Corti internazionali comunque denominate che, in quanto tali, sono intrinsecamente omogenei all’attività svolta nell’amministrazione di provenienza e corrispondono ad impegni pattizi assunti dal Paese.

Costituisce una significativa innovazione l’eliminazione dell’esenzione dal rispetto del termine massimo complessivo per gli incarichi presso organi costituzionali e rilevanza costituzionale – in particolare Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Consiglio superiore della magistratura.

Per tali enti il comma 4 dell’art. 1 bis del D.L. 143 del 2008, relativo alla sola magistratura ordinaria, prevedeva una deroga esplicita ad ogni limite cronologico sul presupposto implicito che il rilievo istituzionale delle funzioni attribuite giustificasse la generale prevalenza delle istanze di funzionalità di detti organi su ogni altra diversa esigenza.

Inoltre la norma aveva evidentemente ritenuto di prevalente importanza determinati ruoli, attesa la diretta pertinenza con la giurisdizione. Tale apprezzamento rispondeva ad una precisa ed identificabile logica istituzionale, quella di salvaguardare le esigenze di funzionalità di organi

(7)

costituzionali e di rilevanza costituzionale, riconoscendo il ruolo svolto in questa sede dai magistrati.

La nuova disciplina che elimina l’esenzione rispetto al termine massimo per tali organi mostra di non condividere questa logica e rende priva di significato la proposta di legge nella parte in cui prevede una nuova decorrenza del termine decennale per questa tipologia di incarichi.

Così riformulata la disposizione ha, infatti, l’unico scopo di consentire il prolungamento degli incarichi in corso e non risponde né ad una necessità transitoria, data la previsione di un termine decennale, né alla più generale esigenza che aveva invece ispirato il legislatore del 2008; ha, quindi, una finalità contingente che non può essere condivisa.

Appare, conclusivamente, frutto di un refuso materiale la disposizione per cui il termine per gli incarichi conferiti dai predetti organi decorre dall’entrata in vigore della presente legge “anche se conferiti successivamente”. Il contenuto letterale di tale espressione potrebbe condurre a ritenere che anche gli incarichi conferiti negli anni a venire dovranno cessare comunque alla scadenza del decimo anno dall’entrata in vigore della legge; il che appare obbiettivamente irragionevole e non conforme alla volontà del legislatore desumibile dal complessivo tenore della norma.

Apprezzabile la scelta di escludere i magistrati di ogni tipo dalla partecipazione ai collegi arbitrali (peraltro, per i magistrati ordinari tale esclusione era già prevista).

6. In definitiva, sia pur con le osservazioni di cui sopra, deve valutarsi positivamente la determinazione con cui si intende dare spazio ad una riforma globale sistematica dei reati contro la pubblica amministrazione che, per raggiungere le sue finalità, richiede tuttavia alcune modifiche normative ed ulteriori incisivi interventi sui punti non toccati. Tuttavia occorre segnalare che la struttura del processo nella quale la riforma si inserisce ne può gravemente condizionare l'efficacia.

Sicché sembra opportuno porre in evidenza il grave rischio di avviare riforme di diritto sostanziale, inserite nell'attuale metodo di calcolo della prescrizione dei reati, che possono far lavorare a vuoto il sistema. Il nostro sistema processuale, basato sulla presunzione d'innocenza sino all'esaurimento dei vari gradi di giudizio, dovrebbe infatti prevedere di avviare un processo penale solo quando questo e' potenzialmente in grado di arrivare a termine, altrimenti le ricadute sul sistema penale, già in difficoltà, potrebbero essere dannose.

Il presente parere viene trasmesso al Ministro della giustizia ai sensi dell’art.10 della legge 195/58.»

Riferimenti

Documenti correlati

procuratori generali della stessa Corte o magistrati di merito con funzioni equiparate a quelle di cassazione.. Quest'opzione, sostenuta da condivisibili valutazioni del

in ogni singola fase. 400, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione

Rispetto a questo specificita, sia pure limitata del procedimento, I'iinicita dell'organo giudicante puo pertanto essere un fattore non trascurabile per evitare non

G.i.p., giudice del dibattimento, giudice d'appello ed anche Corte di Cassazione (il disegno non la menziona, ma il "punto" della decisione non può sottrarsi al

Più in generale è bene ricordare che, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici democratici, la responsabilità dei magistrati è soggetta a regime

La norma, anche in ragione della lettura sistematica con l’art.18 che disciplina ex novo con una maggiore formalizzazione le modalità di costituzione nel giudizio civile dinanzi

effettivamente esistente, potrebbe essere scongiurato adottando un semplice rimedio tecnico pienamente compatibile con la permanenza di un unico collegio elettorale per l’elezione

e2) nel merito, poi, va osservato che se al legislatore compete definire in via generale e astratta istituti idonei a incidere sui tempi processuali (basti pensare alla differenza