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Parere sul disegno di legge concernente:

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Parere sul disegno di legge concernente:

“Modifiche alle disposizioni del codice di procedura penale in materia di giudizio abbreviato”.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 21 luglio 1993, ha deliberato di approvare l'allegato parere.

1.- Elementi caratterizzanti del giudizio abbreviato originario.-

Il giudizio abbreviato, nell'impostazione originaria seguita dal nuovo codice di procedura penale, persegue obiettivi dichiarati ed univoci: alleggerire il carico dibattimentale attraverso l'offerta di una cospicua riduzione di pena; collegare questa riduzione alla rinuncia, da parte dell'imputato, ad avvalersi di determinati diritti di difesa; affidare al consenso del pubblico ministero, nella logica di un processo di parti, il valore di presupposto necessario ed insindacabile per l'accesso al rito speciale; concepire il rito abbreviato come processo a prova bloccata; ammettere sia l'esito di condanna, sia l'esito di proscioglimento.

Il codice, dunque, respinge sia la formula del "no lo contendere", legata in qualche misura ad una non contestazione della responsabilità; sia la possibilità di un'integrazione probatoria, per quanto circoscritta.

Il giudizio abbreviato, insomma, si connota come giudizio allo stato degli atti e ad esito incerto.

Questa architettura va letta in stretto collegamento con alcuni altri tratti essenziali del nuovo codice.

Essa si lega, innanzi tutto, con la natura "preliminare" delle indagini condotte dal pubblico ministero, funzionali non ad un compiuto accertamento di responsabilità, ma solo ad assumere "le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale" (artt. 326 e 358); di modo che all'esito delle indagini il p.m. è tenuto a superare unicamente la soglia minima della "evidente" innocenza.

L'impianto si collega altresì con la forte cesura tra il materiale probatorio raccolto durante le indagini preliminari e quello utilizzabile ai fini della decisione dibattimentale, nel senso che il primo è di regola inutilizzabile, e quindi è cospicuo il sacrificio che l'imputato compie in termini di rinuncia al pieno esercizio dei suoi diritti.

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Data la natura delibativa delle indagini, e data la possibilità di doppia "uscita"

in esito al rito abbreviato, senza evenienza di integrazioni probatorie, viene coerentemente riconosciuto al p.m. un potere di intervento, onde contrastare eventuali proscioglimenti che il dibattimento avrebbe potuto impedire.

2.- Gli interventi della Corte Costituzionale.-

Le numerose decisioni adottate dalla Corte hanno profondamente modificato la fisionomia del giudizio abbreviato.

Il punto di partenza e la chiave di volta che hanno ispirato le prime sentenze e poi condizionato le successive risiedono nell'assunto che la riduzione di pena conseguente alla richiesta di rito abbreviato costituisce un'aspettativa dell'imputato giuridicamente tutelata, ed il p.m. non la può ledere insindacabilmente.

Se il p.m. nega l'assenso al rito, deve enunciare i motivi; questi motivi si riducono ad uno solo (la non decidibilità del processo allo stato degli atti);

l'enunciazione dei motivi deve poter essere sindacata; il sindacato positivo deve comportare il recupero del rito abbreviato prima negato, e, se il processo è già stato celebrato nelle forme ordinarie, deve comunque fruttare la riduzione di pena (sentenze 66/90, 81/91, 23/92).

Queste proposizioni rivelano con evidenza il primo fatto clamoroso: la dissociazione tra la riduzione della pena ed il vantaggio processuale inerente al rito speciale.

Ma, una volta aperta questa strada, le conseguenze sono state ineluttabili ed ancor più pesanti. Se anche un giudice si pronuncia negativamente in ordine all'ammissione del rito speciale, pure la sua decisione deve poter essere sindacata da un altro giudice, risolvendosi anch'essa nella potenziale lesione del diritto alla riduzione di pena. E per coerenza anche la decisione del giudice del dibattimento deve poter essere sindacata dal giudice dell'appello, e l'eventuale persistente diniego costituisce punto della decisione, suscettibile di ulteriore impugnazione.

In sostanza, la richiesta di rito abbreviato può essere riconosciuta fondata anche dopo che il processo sia stato interamente celebrato con le forme ordinarie. Il nesso tra riduzione della pena ed economia processuale (che la stessa Corte Costituzionale ha più volte dichiarato "inscindibile": sentenze 277/90, 176/91 e, per richiamo, 92/92) è stato vistosamente spezzato, anzi è stato introdotto un punto di contenzioso in più di quanti ne sussistono nel processo ordinario.

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2.a. Una volta assunta come base di ogni valutazione l'aspettativa dell'imputato alla riduzione di pena, che la parte antagonista non può sottrargli, anche il residuo àmbito di resistenza che ancora compete al p.m. è destinato a cadere: se l'unica possibilità di giustificare il mancato assenso al rito abbreviato riposa sulla non decidibilità del processo allo stato degli atti, e se questa non decidibilità discende da colpevole inerzia del p.m. stesso, il divieto di integrazione probatoria non può reggere.

La Corte Costituzionale ha ritenuto di non poter essa stessa costruire un meccanismo di integrazione probatoria, ma ha dichiarato apertamente che la mancata previsione del medesimo è incostituzionale (sentenza 92/92). Non solo: una volta introdotto il rito abbreviato, se si manifesta la necessità di un'integrazione probatoria come conseguenza di determinate condotte previste dalla legge (interrogatorio dell'imputato, produzione di documenti alteranti il quadro probatorio, richiesta di dimostrare l'avvenuto risarcimento del danno), il rito deve potersi aprire anche a queste ulteriori acquisizioni (sentenze 318/92 e, per l'appello, 470/91).

Dunque il giudizio abbreviato non è più un processo a prova contratta o bloccata: ciò rende ulteriormente esiguo il risparmio processuale, e postula nuovi equilibri in tema di sinallagma e di filtro.

2.b.- Le altre pronunce della Corte Costituzionale che hanno inciso sulla struttura originaria attengono a due poli in qualche modo antitetici.

Da un lato la Corte ha ancora avvicinato il rito abbreviato al rito ordinario, eliminando l'inappellabilità della sentenza di condanna ad una pena che comunque non deve essere eseguita (sentenza 363/91).

Dall'altro lato la Corte ha ridotto l'area dei delitti per i quali il rito abbreviato è praticabile, escludendo quelli puni ti con la pena dell'ergastolo (sentenza 176/91).

3.- I tratti essenziali del disegno di legge.-

Il ddl in esame è dichiaratamente ispirato al proposito di adattare l'istituto alle numerose pronunce della Corte Costituzionale.

Assumendo come prioritaria la realizzazione di un effettivo accesso al rito abbreviato in capo a tutti gli imputati che ne facciano richiesta, in nome del principio di uguaglianza, il disegno si propone di rimuovere qualsiasi situazione nella quale "il diritto alla riduzione di pena risult(i) condizionato dalle scelte compiute dalla pubblica accusa durante le indagini preliminari". E ciò attua consentendo

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l'instaurabilità del rito in via primaria e tipica "quando il processo può essere definito allo stato degli atti", ed in via equipollente "anche quando occorre un'integrazione non complessa degli elementi di prova risultanti dalle indagini preliminari", e altresì "quando con la richiesta l'imputato ammette la propria responsabilità e si dichiara pronto a sottoporsi all'interrogatorio".

Una quarta situazione, infine, è prevista non come equipollente a quella tipica, ma come egualmente facoltizzante la domanda (e quindi l'ammissione del rito): si tratta del caso in cui "il processo sarebbe stato definibile allo stato degli atti se le indagini preliminari non fossero state ingiustificatamente incomplete".

3.a.- Un secondo capitolo del disegno di legge attiene alla sindacabilità del mancato assenso al rito, provenga esso dal p.m. ovvero dal g.i.p., o ancora dal giudice del dibattimento.

Nel caso che il p.m. (il quale permane privo del potere di iniziativa e di richiesta) si opponga alla domanda dell'imputato, egli deve esporre i motivi, i quali ovviamente potranno investire solamente la mancanza di una delle condizioni di ammissibilità: ed il g.i.p. può scavalcare il suo dissenso con ordinanza motivata.

Nel caso che sia il g.i.p. a dichiarare inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato (sia il p.m. consenziente o meno) l'imputato può rinnovare la richiesta impugnando l'ordinanza davanti al giudice del dibattimento, il quale ordina il deposito degli atti contenuti nel fascicolo del p.m., e, se accoglie l'impugnazione, definisce il processo secondo le regole del giudizio abbreviato, utilizzando gli atti contenuti nel predetto fascicolo.

Nel caso, infine, che anche il giudice del dibattimento respinga la richiesta, e celebri il processo nelle forme ordinarie, il giudice d'appello applica egualmente la diminuzione di pena quando ritiene che il giudizio abbreviato fosse ammissibile.

Vi è dunque una molteplice possibilità di doglianza dell'imputato avverso i successivi dinieghi. A rovescio, l'ammissione del rito da parte del g.i.p. contro il dissenso del p.m. non è impugnabile da quest'ultimo. Il p.m. ha solamente la potestà di ottenere, se ne fa espressa richiesta, che l'udienza sia tenuta in forme pubbliche, e recupera altresì, in caso di sua opposizione, la più ampia facoltà di impugnare la sentenza che conclude il giudizio.

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3.b.- Un terzo capitolo del disegno attiene ai delitti puniti con l'ergastolo. Viene esclusa l'ammissibilità del rito abbreviato quando l'imputazione concerne un delitto punito appunto con la pena perpetua.

Il g.i.p., peraltro, può ammettere il giudizio abbreviato quando ritiene che l'imputazione comportante l'ergastolo sia errata, ed in tal caso modifica l'imputazione.

Non è detto espressamente se analoga potestà competa al giudice del dibattimento: ma poichè questi può annullare comunque l'ordinanza di inammissibilità pronunciata dal g.i.p., deve ritenersi che tale fac oltà comprenda anche questo aspetto.

Infine la facoltà di modificare l'imputazione, e di rendere ammissibile a posteriori il rito abbreviato, è riconosciuta sia al giudice che definisce il dibattimento di primo grado, sia al giudice dell'appello: in entrambi i casi, la diversa qualificazione del fatto serve unicamente a far riconoscere la diminuzione di pena all'imputato.

3.c.- Altro momento fortemente innovativo concerne la possibilità di integrazioni probatorie.

Continuano ad osservarsi le disposizioni previste per l'udienza preliminare, ma l'art. 422 c.p.p., prima detto inapplicabile, ora è richiamato come norma di riferimento per quel che concerne le attività "istruttorie". E' prevista altresì la possibilità di disporre una perizia, in coerenza con la s entenza 252/91 della Corte. E' ora possibile in ogni caso, caduto il divieto di applicazione dell'art. 423, una modifica dell'imputazione.

L'assunzione degli elementi di prova integrativi può avvenire anche d'ufficio.

Tutti gli atti di assunzione sono possibili, in conformità della decisione 190/91 della Corte.

Il concetto fondamentale, espresso nella relazione che accompagna il disegno, è che "il rito speciale può essere configurato come un giudizio suscettibile di esaurirsi nell'udienza preliminare o, quanto meno, in uno sviluppo ragionevole di questa". Pertanto l'integrazione probatoria deve comunque essere non complessa.

3.d.- Il disegno, infine, si adegua alle pronunce della Corte Costituzionale anche per quanto concerne le facoltà di appello della sentenza conclusiva. L'imputato può

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esperire l'impugnazione anche quando la condanna non deve comunque essere eseguita.

Il p.m. che non si sia opposto al giudizio abbreviato incorre negli stessi limiti che concernono l'imputato. Se invece si è opposto, ha piena potestà di appello.

4.- Osservazioni critiche. Il vaglio di ammissibilità.-

La prima e fondamentale considerazione che scaturisce dall'esame del ddl è che il giudizio abbreviato, così come da esso disegnato, non può più definirsi un procedimento economico.

Il "diritto" dell'imputato alla riduzione della pena è stato sganciato dal suo reale contrappunto - la celebrazione effettiva di un processo in forme semplificate - e può ormai conseguire anche ad un processo che si è snodato tutto nelle forme ordinarie.

G.i.p., giudice del dibattimento, giudice d'appello ed anche Corte di Cassazione (il disegno non la menziona, ma il "punto" della decisione non può sottrarsi al sindacato anche di quest'ultima) costituiscono una serie lunghissima di istanze davanti alle quali può essere riproposta la questione che dovrebbe essere preliminare (e cioè la decidibilità allo stato degli atti), la quale invece risorge anche dopo che è stata intrinsecamente contraddetta. Si giunge, cioè, a celebrare un processo ordinario in gradi successivi per stabilire se il processo ordinario poteva essere evitato: e questo punto può essere anche l'unico oggetto del contendere.

Tale assurdo risultato richiede che sia compiuto ogni possibile sforzo per contrastarlo. Pur tenendo ben presenti gli insegnamenti della Corte Costituzionale - e cioè il diritto dell'imputato a che, sussistendo i presupposti del rito abbreviato, egli non sia privato della corrispondente riduzione di pena - il riconoscimento di questo diritto non passa necessariamente attraverso i meccanismi congegnati dal disegno.

La stessa Corte Costituzionale, accanto al principio ora detto, ha ribadito in più occasioni l'altro principio coessenziale a questo tipo di giudizio, e cioè l'“inscindibilità tra riduzione della pena e l'effettiva celebrazione del giudizio abbreviato” (sentenze 277/90, 176/91 e, in parte qua, 92/92).

Il punto d'incontro tra queste due regole primarie può essere trovato nel sottrarre bensì al p.m., quale parte antagonista, il potere di produrre effetti privativi insindacabili nella sfera dell'imputato; ma nel circoscrivere il potere di sindacato

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sulle scelte del p.m., affidandolo solo al giudice (od ai giudici) che devono ancora celebrare il giudizio.

Pertanto si ritiene corretto che il g.i.p. ammetta il rito abbreviato, nonostante la contraria volontà del p.m., se ne ravvisa le condizioni di legge. E' giusto altresì che l'imputato possa riproporre la domanda al giudice del dibattimento, nel caso che il g.i.p. la abbia a sua volta respinta. Non coerente, invece, appare l'ulteriore previsione di "ritorno fittizio" al rito abbreviato dopo la celebrazione nelle forme ordinarie, in primo grado e, a fortiori, dopo il giudizio di appello.

Nè pare persuasiva l'eventuale obiezione che, in tal modo, si renderebbe inappellabile un punto della decisione di primo grado. A prescindere dal rilievo che il giudizio di appello non riceve tutela costituzionale in sè e per sè, si può comunque osservare che il punto ha già formato oggetto di valutazione da parte di due organi giudicanti, e che un'ulteriore protezione sarebbe addirittura eccedente rispetto alle linee generali del sistema.

Non solo: un giudizio "ora per allora", applicato ad una materia opinabile come la decidibilità allo stato degli atti, finisce con l'essere pesantemente ipotecato dallo svolgimento effettivo del giudizio, nel frattempo celebrato. Una prognosi, per essere tale, deve essere formulata prima, e non dopo, l'evento al quale si riferisce.

La decisione sul punto ha realmente il carattere di un'ordinanza sul rito, e come tale non abbisogna di tutte le garanzie che si è soliti connettere alle pronunce che investono il merito della vicenda.

4.a.- Accanto a quanto ora detto, va considerato che, per effetto della legge 7.8.1992 n. 356, è mutato sensibilmente il regime di utilizzabilità degli atti contenuti nel fascicolo del p.m., e quindi si è notevolmente ridotto il sacrificio dei diritti di difesa al quale l'imputato si assoggetta attraverso la richiesta di giudizio abbreviato.

Mentre originariamente l'imputato accettava di essere giudicato sulla base di atti che nel dibattimento non avrebbero, in larga parte, potuto avere ingresso, ora invece quegli atti sono quasi totalmente utilizzabili (sia pure attraverso il tramite delle contestazioni, e talora con l'additivo della corroboration), e quindi la rinuncia dell'imputato vede attenuarsi il suo valore processuale.

Pare quindi accettabile, anche alla luce di una valutazione complessiva dei nuovi equilibri del codice, il limitato sacrificio del quale si è detto.

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4.b.- Già si è visto che, ove la richiesta di rito abbreviato sia stata respinta dal g.i.p., e riproposta dall'imputato al giudice del dibattimento, questo ordina il deposito degli atti contenuti nel fascicolo del p.m., e, ove accolga la richiesta, definisce il giudizio secondo le forme previste per il rito abbreviato.

Questa disciplina è in qualche modo necessitata, una volta che si ammetta una seconda istanza sulla questione preliminare e, qualora il rito abbreviato sia effettivamente introdotto, non suscita problemi.

Il problema sorge qualora la richiesta sia nuovamente respinta, giacchè in questo caso il giudice del dibattimento celebrerà il medesimo avendo avuto conoscenza del fascicolo del p.m., in contrasto con le regole generali.

Le perplessità potrebbero essere superate solamente disponendo che, ribadita la non ammissibilità della richiesta da parte dei giudici del dibattimento, il giudizio fosse celebrato da altri giudici. Ma una simile soluzione sarebbe macchinosa, foriera di rinvii e di ritardi, e soprattutto impraticabile di fatto negli uffici di piccole o medie dimensioni. Sembra quindi inevitabile acconciarsi a questo limitato scarto rispetto alle regole generali, giustificato in qualche modo dalla consapevole reiterata richiesta dell'imputato.

5.- L'integrazione probatoria.- Secondo la Corte Costituzionale, e secondo la relazione che accompagna il ddl, il giudizio abbreviato può e deve esaurirsi nell'udienza preliminare o, quanto meno, in uno sviluppo ragionevole di essa.

Ne discende che l'economicità del rito, premessa dello scambio con una certa quantità della pretesa punitiva, non risiede più anche nel blocco della prova, ma nella sola utilizzabilità degli elementi di prova raccolti nel corso delle indagini, ed in una ragionevole espansione dell'udienza preliminare in forme semi-inquisitorie.

Tenuto conto che il primo fattore è stato già in gran parte depotenziato dalla legge 7.8.1992 n. 356, e che il secondo rappresenta un risparmio assai limitato, ne esce sottolineata la notevole alterazione delle ragioni dello scambio processuale, rispetto all'impianto originario del codice.

Questa crescente disarmonia dell'istituto rispetto alle sue origini e finalità induce a vedere con riserva la disciplina tratteggiata dal ddl a proposito della c.d.

inerzia colpevole del p.m. nella conduzione delle indagini preliminari.

Già si è visto che, secondo l'art. 438 co. 1 del disegno, la definibilità del processo allo stato degli atti è condizione di accesso al giudizio abbreviato; e che, in

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forza del co. 2, il processo si considera definibile allo stato degli atti anche quando occorre una integrazione non complessa degli elementi di prova raccolti, e quando l'imputato richiedente ammette la propria responsabilità.

Il comma 3 dell'articolo, infine, facoltizza l'imputato a chiedere il giudizio abbreviato anche quando il processo sarebbe stato definibile allo stato degli atti se le indagini preliminari non fossero state ingiustificatamente incomplete.

Il confronto tra queste disposizioni porta ad una conclusione non accettabile, e cioè che la richiesta detta per ultima possa avere ingresso anche quando l'integrazione probatoria sia "complessa". Se così non fosse, infatti, soccorrerebbe già il comma 2, il quale, per la sua dicitura generica, si adatta a ricomprendere qualsiasi caso di incompletezza, ivi compresa quella, per così dire, "colpevole".

Ma se si ammette un'ipotesi di integrazione "complessa", si scardina ancora più sensibilmente l'istituto: un g.i.p. che ammetta un giudizio abbreviato bisognoso di ampie integrazioni di prova, di fatto assegna a se stesso funzioni di giudice istruttore, sovvertendo le linee del processo accusatorio.

Tale prospettiva appare nettamente da respingere, e perciò cade l'utilità del terzo comma dell'art. 438. La sentenza 92/92 della Corte Costituzionale non viene elusa, poichè se si è in presenza di una grave lacuna probatoria, è ben difficile che essa non costituisca premessa di un vero e proprio proscioglimento (data la latitudine ora assunta dal vaglio di cui all'art. 425 c.p.p.), sì che l'imputato si indurrà a chiedere quest'ultimo nella sede propria dell'udienza preliminare, piuttosto che un rischioso giudizio abbreviato.

Ciò che la sentenza predetta della Corte Costituzionale ha voluto escludere è l'interferenza delle lacune del p.m. nelle aspettative sanzionatorie dell'imputato: una volta ammessa una ragionevole integrazione probatoria in sede di giudizio abbreviato, a questo si può comunque accedere secondo le regole generali, senza necessità della disposizione in esame.

5.a.- L'art. 439 del disegno di legge prevede che solo l'imputato è ammesso ad indicare gli elementi di prova integrativi, da acquisire al fine della definizione del processo. Egli può altresì subordinare la richiesta del rito abbreviato alla loro acquisizione.

Sul piano formale, sembra che, se mai, la richiesta possa essere subordinata all'ammissione - e non all'acquisizione - degli elementi di prova indicati, poichè

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l'acquisizione interviene solo dopo che il giudizio abbreviato è stato introdotto, e se per avventura qualcuno degli elementi non fosse acquisibile (ad esempio un teste irreperibile o deceduto, un documento non rinvenuto), saremmo in presenza di un nuovo effetto retroattivo, con perdita di quanto sino a quel momento celebrato.

Ma ancora più rilevante è la critica sul piano sostanziale, là dove la norma non prevede un eguale potere di indicazione probatoria anche in capo al p.m.

Se questi ha assunto le sue determinazioni sulla base di un certo quadro probatorio, e questo viene modificato dalle prove dedotte dall'imputato, sembra corretto consentirgli un analogo potere di integrazione. E' vero che l'art. 441 del ddl prevede un'“assunzione degli elementi di prova integrativi nelle forme previste dall'art. 422”: ma, appunto, si tratta degli elementi integrativi richiesti dall'imputato, e, ammessi questi, il rito abbreviato continua ad essere, per il resto, a prova bloccata.

Si ritiene pertanto che una corrispondente potestà debba essere riconosciuta anche al p.m. (sia pure, eventualmente, solo in replica alla richiesta dell'imputato), in nome di una effettiva parità delle armi.

5.b.- Sempre secondo l'art. 438 co. 2 il processo si considera definibile allo stato degli atti quando occorre la ricordata integrazione probatoria non complessa e quando l'imputato ammette la propria responsabilità.

La congiunzione "e" può lasciare aperto l'interrogativo se i presupposti (confessione ed integrazione non complessa) debbano ricorrere entrambi. La ragionevolezza porta ad escluderlo (altrimenti l'imputato confesso verrebbe a perdere assurdamente il diritto alla riduzione di pena ogni qual volta la sua confessione non abbisogna di integrazioni probatorie): ma la disgiuntiva "o" eviterà discussioni inutili.

Altro problema si affaccia quando l'imputato è chiamato a rispondere di vari reati, ed egli ammette la sua responsabilità solamente in ordine a taluni di essi. La giurisprudenza ha già avuto modo di statuire che, in caso di processo cumulativo, l'imputato il quale intenda presentare richiesta di giudizio abbreviato, ha l'onere di formularla, a pena di inammissibilità, con riferimento alla totalità degli addebiti: di modo che, essendo la confessione una condizione di accesso al rito, essa deve parimenti investire la totalità dei capi di imputazione.

Tuttavia non si può escludere l'assunto che il "diritto" alla riduzione di pena non debba essere menomato per il fatto che l'imputato, negando la sua responsabilità

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in ordine ad uno o più reati, esercita un altro suo diritto, insuscettibile di produrre effetti negativi sul primo. Anche a questo riguardo può essere opportuna una precisazione, del tipo "quando con la richiesta l'imputato ammette la sua responsabilità per tutti i reati che gli sono contestati".

6.- I riflessi della modifica dell'art. 425 c.p.p.-

La recente legge 8 aprile 1993 n.105, che ha modificato l'art. 425 c.p.p.

rendendo possibile il proscioglimento nell'udienza preliminare anche se la causa di non punibilità non è evidente, è destinata ad avere forti ripercussioni anche sulla struttura del giudizio abbreviato.

Le parti infatti possono ora chiedere nell'udienza preliminare l'ammissione di qualsiasi prova che appaia decisiva ai fini del proscioglimento a largo spettro, quale ora invocabile anche dal g.u.p.: e quindi l'udienza preliminare diventa sede per una assunzione di prove praticamente senza limiti prefissati.

Se così è, l'imputato il quale aspiri ad una pronuncia di non luogo a procedere, sa di poter giocare ogni utile carta nell'udienza preliminare senza correre l'alea di una condanna, sempre possibile una volta che chieda ed ottenga il rito abbreviato.

Dunque è ragionevole presumere che l'imputato, il quale oggi chieda il giudizio abbreviato, lo invochi unicamente per fruire della riduzione di pena connessa alla sentenza di condanna.

Anche questa considerazione porta a ritenere che il giudizio abbreviato, a séguito delle molte innovazioni susseguitesi, sia destinato ad evolvere verso un tipo di giudizio ad "uscita" unica e ad integrazione probatoria consentita: in altri termini, verso una forma di "nolo contendere", suscettibile di modesti arricchimenti probatori, funzionali ad un migliore inquadramento della vicenda (eventualmente anche sotto il profilo dell'esatto titolo di reato).

L'art. 129, ed il connesso potere-dovere di vigilanza del giudice sull'insussistenza di cause di non punibilità, fornirebbero la residua necessaria garanzia sulla correttezza sostanziale della condanna.

Ove si condivida questa linea di tendenza, il disegno di legge potrebbe giungere ad una radicale riscrittura del rito abbreviato, anche alla luce dell'esperienza giudiziaria maturata in questo primo quadriennio, che di fatto ha vissuto il giudizio abbreviato come un giudizio di condanna mitigata, piuttosto che come un giudizio di accertamento di responsabilità controversa.

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Una simile formula ridurrebbe pressochè a zero il contenioso nascente da eventuali mancati assensi del p.m., giacchè quest'ultimo non avrebbe più argomenti per opporsi ad una richiesta dell'imputato.

L'art. 438 potrebbe pertanto essere scritto nei termini seguenti:

"L'imputato può chiedere che il processo, con il consenso del p.m., sia definito nell'udienza preliminare allo stato degli atti, qualora nella richiesta dichiari di non contestare la propria responsabilità e di essere disposto a sottoporsi all'interrogatorio.

Il processo si considera definibile allo stato degli atti anche quando occorre un'integrazione non complessa degli elementi di prova risultanti dalle indagini preliminari".

7.- I delitti punibili con l'ergastolo.-

Il disegno di legge segue le indicazioni della Corte Costituzionale in tema di delitti punibili con la pena dell'ergastolo, stabilendo che per essi non è consentito il giudizio abbreviato. Destina inoltre al tema varie disposizioni per il caso che l'imputazione, originariamente comportante la pena dell'ergastolo, si riveli poi impropria, e perciò non ostativa.

In realtà la sentenza 176/1991 della Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 422 co. 2 unicamente in quanto eccedente il punto 53 della legge di delega, e non perchè il giudizio abbreviato sia di per sè incompatibile con quella categoria di delitti.

Poichè il disegno si muove in modo del tutto autonomo rispetto alla legge di delega, nulla vieta che anche ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo sia applicabile il rito in questione. Si tratta di libere scelte legislative, e sul piano dell'opportunità non si può non rilevare che, da un lato, appare quanto mai opportuno offrire una sanzione mitigata ai collaboratori di giustizia che si siano dichiarati responsabili di gravi delitti, e chiedano la definizione del loro processo senza rischiosa pubblicità;

dall'altro lato, sembra conveniente evitare tutto quel contenzioso che fatalmente si apre sulla ritualità o meno dell'imputazione, e tutte quelle ipotesi di "ritorno" alla riduzione di pena dopo la celebrazione del processo nelle forme ordinarie, ogni volta che l'imputazione venga rettificata da un giudice e resa compatibile con una pena detentiva temporanea.

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Anche questa scelta sarebbe in linea con lo sforzo di evitare la dissociazione tra la riduzione di pena e la mancata effettiva celebrazione del processo in forme economiche.

8.- La parte civile.-

Il disegno di legge non destina alcuna considerazione alla parte civile.

L'originario art. 441 stabilisce che la costituzione di parte civile, intervenuta dopo la conoscenza dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, equivale ad accettazione del rito abbreviato; e che, viceversa, la mancata accettazione del rito inibisce l'applicazione dell'art. 75 co. 3 in tema di sospensione del processo civile incoato.

La mancata riproduzione di queste disposizioni (in merito alla quale nulla è detto nella relazione di accompagnamento) priva la persona offesa, che si sia costituita parte civile prima di sapere che è stato ammesso il giudizio abbreviato, della potestà di non accettare detto rito, e ciò produce due effetti per lei ingiustamente sfavorevoli: da un lato la espone alla sospensione del processo civile, per il caso, facilmente verificabile in concreto, che sia impugnata la sentenza che chiude il gi udizio abbreviato (art. 75 co. 3); dall'altro lato, soprattutto, la espone senza rimedio agli effetti eventualmente sfavorevoli che la sentenza di condanna o di proscioglimento può esplicare in sede extra-penale ai sensi degli artt. 651 e 652 c.p.p., effetti che essa può impedire solo attraverso la non accettazione del rito speciale.

Pare pertanto opportuno recuperare il disposto originario.

9.- Varie.-

L'art. 442 comma 3 del disegno stabilisce che la sentenza che definisce il giudizio abbreviato "è notificata all'imputato che non sia comparso".

L'art. 134 delle norme di attuazione dispone a sua volta che "la sentenza emessa nel giudizio abbreviato è notificata per estratto all'imputato non comparso, unitamente all'avviso di deposito della sentenza medesima".

La doppia normativa ingenera inutili ambiguità sulle parti che non si sovrappongono. Appare evidente la necessità di sopprimere il comma in questione.

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Va rilevato che il disegno non detta alcuna disposizione in tema di giudizio abbreviato conseguente all'instaurazione del giudizio direttissimo, nè a quello che consegue all'adozione del giudizio immediato (artt. 452 e 458).

La materia, già oggetto anch'essa di ripetuti interventi della Corte Costituzionale, pare richiedere una disciplina specifica, non essendo sufficienti un rinvio implicito alle disposizioni generali.

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