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Parere ai sensi dell’art. 10 della l. 24 marzo 1958, n. 195 sullo schema del disegno di legge recante “

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Parere ai sensi dell’art. 10 della l. 24 marzo 1958, n. 195 sullo schema del disegno di legge recante

“Modifiche al sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura”.

(Deliberazione del 25 ottobre 2001)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 25 ottobre 2001, ha approvato il seguente parere:

1. Sul numero dei componenti del Consiglio eletti dai magistrati.

Il disegno di legge mantiene invariato il numero dei componenti del Consiglio eletti dai magistrati, che restano, come nell’attuale assetto, venti.

Ovviamente ciò comporta che - per rispettare la proporzione tra membri togati e membri laici del Consiglio stabilita dall’art. 104, 4 comma , della Costituzione – anche il numero dei componenti eletti dal Parlamento è destinato a rimanere invariato.

La scelta è significativa (poiché non sono mancate nel dibattito sulla riforma del Consiglio le proposte dirette a ridurre il numero dei Consiglieri) ed appare obiettivamente giustificata da ragioni di funzionalità oltre che sorretta da valide motivazioni istituzionali.

Sotto il profilo della funzionalità, infatti, la continua crescita dei compiti del C.S.M., che ormai “amministra” un numero sempre maggiore di magistrati (ordinari e soprattutto onorari), e la indubbia complessità delle funzioni svolte dell’organo di autogoverno sconsigliano una riduzione dei membri del Consiglio che priverebbe di competenze e di energie le Commissioni consiliari, impegnate in gravosi compiti di istruzione e di accertamento degli affari.

Per altro verso la diminuzione del numero dei componenti dell’organo di autogoverno ridurrebbe inevitabilmente la pluralità e quindi la ricchezza degli apporti culturali e tecnici e delle diverse sensibilità istituzionali che oggi si confrontano positivamente nella dialettica interna al Consiglio Superiore.

2. Sulla disciplina dell’elettorato attivo.

Altra scelta di rilievo della proposta del governo è quella di mantenere l’ unitarietà del corpo elettorale ed il carattere per così dire “generale” dell’elettorato attivo.

Ciò significa che i magistrati-elettori sono chiamati a concorrere con i loro voti alla elezione di “tutti” i rappresentanti togati del Consiglio, ancorché questi ultimi, come si dirà, siano suddivisi in tre distinte categorie.

In altri termini non si persegue la prospettiva di frazionare il corpo elettorale in categorie professionali e di limitare il voto del singolo magistrato alla elezione dei rappresentanti della propria categoria di appartenenza.

In sé riguardato (e salvo quanto si dirà in seguito in ordine alla suddivisione in tre categorie degli eligendi) questo profilo del disegno di legge merita una valutazione positiva.

Suddividere il corpo elettorale in diverse aree professionali , ciascuna dotata solo del potere di scelta dei propri rappresentanti, sarebbe infatti fonte di un grave rischio: sostituire alla “rappresentanza della

magistratura” (scaturita da una investitura generale, comunque responsabile nei confronti di tutti i magistrati e per questo istituzionalmente orientata a ricercare una visione globale dei problemi connessi alla

amministrazione della giurisdizione) una somma di “rappresentanze settoriali”, portatrici di visioni più limitate e particolari e prevedibilmente meno adeguate a svolgere gli attuali compiti dell’organo di autogoverno.

E’ dunque doveroso riconoscere che nel progetto governativo questo rischio, estremo, viene scongiurato e che viene salvaguardata una delle condizioni istituzionali necessarie per una valida formazione della rappresentanza dei magistrati in Consiglio.

Infatti, chiamando “tutti” i magistrati ad eleggere “tutti” i loro rappresentanti, la disciplina dell’elettorato attivo contenuta nel disegno di legge del governo, da un lato sollecita gli elettori a compiere valutazioni e scelte di segno complessivo e, dall’altro, evidenzia che gli eletti sono e devono sentirsi responsabili di fronte all’intero

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corpo elettorale e non alla sola categoria di appartenenza.

3. La suddivisione in tre distinte “categorie” della rappresentanza della magistratura.

Se è vero che il d.d.l. del governo mantiene l’unità del corpo elettorale, esso opera invece una rilevante trasformazione sul versante della rappresentanza.

Infatti l’attuale normativa distingue in seno alla componente dei togati due sole “categorie” - magistrati di cassazione con effettivo esercizio delle funzioni di legittimità e magistrati che esercitano funzioni di merito - riservando alla prima categoria una quota di due posti.

Il disegno di legge che si esamina suddivide invece la rappresentanza dei magistrati in tre diverse “categorie”

corrispondenti a tre distinte aree di funzioni: a) funzioni requirenti svolte presso uffici di merito e funzioni affini; b) funzioni giudicanti svolte presso uffici di merito e funzioni affini; c) funzioni di legittimità requirenti e giudicanti svolte presso la Corte di cassazione.

In sostanza la proposta prevede che le elezioni dei rappresentanti della magistratura avvengano in tre collegi elettorali, “unici” perché comprensivi di tutti i magistrati aventi diritto di voto e “nazionali”, perché coincidenti con l’intero territorio nazionale.

Nel primo collegio unico nazionale si provvede all’elezione di magistrati che esercitano funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione e la Procura generale presso la Corte di cassazione; nel secondo collegio si procede alla elezione di quattro membri togati che siano magistrati con funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito, presso la D.N.A o “destinati” alla Procura generale presso la Corte di cassazione; nel terzo collegio si eleggono altri dodici membri togati che svolgono funzioni giudicanti presso uffici di merito o sono

“destinati” alla Corte di cassazione.

4.Sulla quota riservata ai magistrati con funzioni effettive di legittimità.

In ordine ai criteri di determinazione delle diverse quote di eligendi si osserva che la previsione di quattro rappresentanti con effettive funzioni di legittimità risulta del tutto sganciata dal numero dei magistrati che esercitano tali funzioni e nettamente sovradimensionata rispetto al dato della loro incidenza percentuale sull’organico della magistratura.

Ad oggi, infatti, i magistrati che svolgono funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione e la Procura generale sono 386 e rappresentano il 4,2% del totale dei posti in organico (che è di 9033).

Il d.d.l. si propone dunque di favorire l’ingresso nel C.S.M. di un numero particolarmente elevato di magistrati esercenti funzioni di legittimità, senza curarsi del rapporto proporzionale di tale quota “riservata” con la consistenza numerica della categoria di estrazione.

Ed infatti la relazione che accompagna il d.d.l. afferma che “si è ritenuto opportuno prevedere per i magistrati requirenti e giudicanti quote proporzionali al numero dei rispettivi organici”, mentre abbandona, con

riferimento alla quota riservata ai magistrati di legittimità, ogni richiamo al criterio proporzionale e si limita a menzionare il “particolare rilievo, anche costituzionale, della funzione nomofilattica nell’attuale ordinamento”.

La scelta appare viziata da un’intima contraddizione poiché il criterio proporzionale che regge la ripartizione in quote è immediatamente smentito e contraddetto dal diverso criterio adottato per la quota riservata ai magistrati di Cassazione.

Nè la diversità dei criteri invocati appare fondata su ragioni di competenza professionale o di natura istituzionale.

Su quest’ultimo piano in particolare è opportuno un chiarimento preliminare.

A sostegno dell’opzione del governo non possono essere invocati nè il dettato costituzionale né l’interpretazione che ne è stata data dalla sentenza n. 87 del 1982 della Corte costituzionale.

In tale decisione, infatti, il giudice delle leggi, ha individuato come costituzionalmente necessaria e dovuta solo l’elezione in seno al Consiglio di magistrati con effettivo esercizio delle funzioni di legittimità. ritenendo di dover

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solo assicurare che i magistrati di cassazione, investiti delle corrispondenti funzioni, non rimangano esclusi dal Consiglio Superiore” e rimettendo a valutazioni del legislatore ordinario le scelte in merito.

E la legge 22 novembre 1985 n. 655 ha appunto provveduto in tal senso costituendo una riserva di due posti in Consiglio per i magistrati di cassazione con effettivo esercizio delle funzioni di legittimità, anche al fine della provvista di un componente effettivo e di un componente supplente della Sezione disciplinare del Consiglio.

Ogni ulteriore incremento della quota oggi riservata ai magistrati di legittimità non può quindi essere ricollegato al dettato costituzionale ma deve essere valutato esclusivamente nel merito.

Esaminata in quest’ottica la soluzione proposta suscita perplessità e dissensi sotto più aspetti.

In primo luogo essa è squilibrata sotto il profilo della complessiva rappresentatività dell’organismo consiliare.

Già la normativa attuale - che prevede l’elezione in Consiglio di due magistrati di legittimità - ha l’effetto di garantire una adeguata presenza di Consiglieri Superiori provenienti dalla Cassazione (tra l’altro più che doppia rispetto alla consistenza numerica dei magistrati di legittimità rispetto al totale dei magistrati).

Elevare a quattro i rappresentanti della Cassazione non porterebbe dunque apprezzabili vantaggi sul piano della percezione e dell’ascolto delle esigenze dei magistrati di legittimità mentre priverebbe l’organo di autogoverno di rappresentanti provenienti da importanti realtà territoriali periferiche e dagli uffici di merito.

A sorreggere il progettato aumento dei Consiglieri Superiori provenienti dalle fila della Cassazione non possono neppure essere addotti argomenti imperniati sulla peculiare natura delle funzioni di legittimità o sulla professionalità.

La Costituzione stabilisce che i magistrati si distinguono tra di loro solo per funzioni (art. 107, 3 comma Cost.);

di modo che non esiste nel nostro ordinamento una magistratura “alta”abilitata a svolgere un ruolo di primazia e di comando rispetto ad una magistratura “bassa” o “minore”.

Lo svolgimento di funzioni di legittimità - di cui ovviamente si riconosce la grande importanza - non vale di per sé a fondare alcun privilegio sul piano della rappresentanza e del ruolo da esercitare in seno all’organo di autogoverno.

Incongruo appare poi il riferimento - contenuto nella relazione che accompagna il d.d.l. - al “particolare rilievo, anche costituzionale, della funzione nomofilattica nell’attuale ordinamento”.

La funzione nomofilattica, garanzia di una uniforme interpretazione del diritto oggettivo, è certo di

fondamentale importanza nell’ambito della giurisdizione; ma al Consiglio Superiore spettano compiti diversi, essenzialmente di natura amministrativa, felicemente sintetizzati nella formula della “amministrazione della giurisdizione”.

E se tra funzione nomofilattica e amministrazione della giurisdizione esistono innegabilmente intrecci e rapporti, questi non sembrano più stretti o specifici di quelli che intercorrono tra tutte le altre funzioni giudiziarie e le funzioni del C.S.M..

In conclusione sul punto.

In linea di principio non si vede come la funzione nomofilattica o comunque l’esercizio di funzioni di legittimità possano giustificare una presenza di magistrati della Cassazione nella rappresentanza togata in Consiglio che andrebbe molto al di là della obiettiva consistenza di quest’area professionale e contrasterebbe con tutte le ragioni che militano a favore di una equilibrata distribuzione della rappresentanza.

Nell’affrontare questo tema occorre inoltre avere costantemente presente che nel Consiglio siedono e svolgono un ruolo di primo piano, come membri di diritto e componenti del Comitato di Presidenza, il Presidente della Corte di cassazione ed il Procuratore generale della Corte.

Una riserva di quattro posti per i magistrati di legittimità , unita alla presenza in Consiglio dei due più alti esponenti della Corte di cassazione, attribuirebbe perciò ad un’area professionale che supera di poco il 4%

della intera magistratura un peso superiore al 25% della componente consiliare togata (6 su 22), dando vita ad

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una composizione fortemente squilibrata dell’organo.

Sotto questo aspetto, dunque, si ritornerebbe ad un assetto del C.S.M. simile a quello delineato dalla legge 24 marzo 1958, n. 195 (che assicurava la presenza di sei magistrati di Cassazione su quattordici rappresentanti togati) ed a quello contenuto nella legge 18 dicembre 1967, n. 1198 (che garantiva l’elezione di almeno quattro rappresentanti della Corte di cassazione nell’ambito della rappresentanza dei togati); assetti che sono stati superati dal legislatore proprio perché si sono rivelati inadeguati a rappresentare in tutte le sue articolazioni la realtà della magistratura ed a garantire la migliore funzionalità dell’istituzione consiliare.

5. Ancora sulle categorie e sulle quote riservate.

Perplessità suscita anche la separazione in due distinte categorie dei rappresentanti con funzioni requirenti e giudicanti che si vuole realizzare attraverso il sistema delle quote riservate di eligendi.

Resta naturalmente fermo quanto si è detto in precedenza sui tratti positivi della disciplina proposta nel d.d.l. in tema di elettorato attivo.

Si osserva però che la rigida e predeterminata suddivisione della rappresentanza in quote - l’una riservata a magistrati provenienti dalle funzioni requirenti e l’altra a magistrati che provengono dalle file dei giudicanti - può avere l’effetto negativo di sollecitare e cristallizzare nella dialettica consiliare proprio quelle impostazioni settoriali e particolaristiche e quelle riduttive ottiche di “mestiere” che la disciplina prevista per l’elettorato attivo si propone di scongiurare.

Ciò sarebbe in contrasto con la funzione del C.S.M. che è chiamato a curare l’organizzazione e

l’amministrazione dell’intera magistratura e, nella sua azione, deve costantemente preoccuparsi di adottare scelte e decisioni capaci di contemplare le diverse esigenze e sensibilità professionali esistenti nel corpo della magistratura stessa.

Sarebbe perciò certamente preferibile una soluzione che - una volta garantita in termini adeguati la quota riservata alla categoria dei magistrati con funzioni di legittimità - non introduca rigidi compartimenti stagni tra i rappresentanti che esercitano funzioni di merito e lasci ad un corpo elettorale riflessivo (come è quello dei magistrati) una più ampia facoltà di scelta dei migliori rappresentanti.

Sulla base delle considerazioni sin qui esposte si può affermare che un siffatto risultato sarebbe facilmente ottenibile senza alterare gravemente l’impianto del d.d.l. del governo.

Si tratterebbe infatti di ridurre a due i collegi unici nazionali (in luogo dei tre previsti dal d.d.l. del governo) stabilendo che nel primo collegio unico nazionale si svolgano le elezioni per una quota di due magistrati con funzioni di legittimità e nel secondo collegio abbiano luogo le elezioni per i restanti diciotto rappresentanti con funzioni di merito.

Soluzione, questa, che, come si è già detto in precedenza, sarebbe perfettamente conforme alla Costituzione (cfr. Corte cost. n. 87 del 1982).

A chi poi paventasse il rischio di un elevato squilibrio tra requirenti e giudicanti nell’ambito della rappresentanza dei magistrati si potrebbe ricordare che tale rischio, ove il legislatore lo ritenesse

effettivamente esistente, potrebbe essere scongiurato adottando un semplice rimedio tecnico pienamente compatibile con la permanenza di un unico collegio elettorale per l’elezione di tutti i magistrati con funzioni di merito.

Basterebbe, infatti, fissare una quota massima invalicabile per la rappresentanza dei magistrati con funzioni requirenti, pari alla loro incidenza percentuale sul totale dell’organico; con la conseguenza che, una volta raggiunto il tetto prefissato, non dovrebbero più essere presi in considerazione ai fini della elezione i candidati provenienti dalle fila dei magistrati svolgenti funzioni requirenti.

6. Sul sistema del voto singolo trasferibile. (V.S.T.).

6. 1. I tratti salienti del meccanismo di voto nella rappresentazione che ne dà la relazione al d.d.l..

Il d.d.l introduce per l’elezione dei componenti togati del Consiglio il sistema del voto singolo trasferibile

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(V.S.T.).

La relazione del d.d.l. così ne descrive le caratteristiche:

“a) gli elettori votano solo per le persone, che concorrono a titolo individuale e non inserite in liste contrapposte;

b) gli elettori possono ordinare liberamente le proprie preferenze. Essi, cioè, possano esprimere una sola preferenza, oppure una prima preferenza accompagnata da ulteriori preferenze fino al numero dei seggi da assegnare;

c) vengono e1etti i candidati che superano una certa quota di elezione, composta da prime preferenze oppure da prime preferenze combinate con le successive, secondo 1’ordine stabilito dall’elettore”.

Sempre nella relazione si afferma che tale meccanismo di voto persegue da un lato “lo scopo di valorizzare il rapporto diretto di stima e fiducia tra elettori e candidato” ed intende “premiare le singole personalità”

esaltando “le qualità personali, la storia, il curriculum e, in definitiva, le capacità dei singoli candidati” e, dall’altro, la realizzazione di “un sistema ad effetti sostanzialmente proporzionali” capace di garantire” la rappresentanza delle minoranze” e che non mira pregiudizialmente a negare che la “appartenenza ad una corrente” possa rappresentare un valido punto di riferimento ideale, programmatico ed organizzativo per il singolo candidato.

Si aggiunge poi che il sistema del voto singolo trasferibile è stato “ben collaudato nelle elezioni politiche in vari paesi anglosassoni” (Eire, Irlanda del Nord, Australia per il Senato, e ancora Australia per la Camera, nella variante del collegio uninominale) e che esso consente una rappresentanza delle minoranze.

Ultimo pregio del funzionamento del VST sarebbe quello di essere “assolutamente intuitivo per 1’elettore ...

chiamato a scegliere i candidati secondo una sua propria scala di preferenze.”.

6.2 Le “intenzioni” ed i principi alla base del progetto del governo. Due piani di analisi: la verifica della idoneità del sistema proposto a realizzare gli effetti voluti e la formulazione di giudizi di valore sulla proposta del

governo.

Come si è prima evidenziato, la relazione illustrativa del d.d.l. - nel rappresentare i tratti essenziali della normativa proposta e le finalità istituzionali perseguite - prende le mosse da importanti premesse di principio e di valore sulle quali è opportuno soffermarsi sia pure con la necessaria brevità.

La relazione afferma che lo scopo di scegliere i migliori rappresentanti, premiando le singole personalità e valorizzando il rapporto di fiducia tra elettore ed eletto, è affidato ad un sistema di voto caratterizzato da un impianto di tipo “individualistico”.

Il nuovo sistema si iscrive però nel quadro di alcune scelte di valore e di fondamentali coordinate istituzionali che ci si propone di salvaguardare e che nella relazione vengono puntualmente elencate: la realizzazione di un sistema elettorale “ad effetti sostanzialmente proporzionali”; la garanzia di una effettiva “rappresentanza delle minoranze”; la piena legittimità della “appartenenza ad una corrente” dei candidati.

Su questi valori di fondo il consenso non può che essere pieno e convinto sulla base di una pluriennale esperienza.

Per il positivo funzionamento dell’organismo consiliare è indispensabile che continuino a confrontarsi - con la maggiore libertà e fluidità possibile - competenze, sensibilità istituzionali, esperienze e impostazioni ideali diverse senza che il confronto sia compresso o soffocato da una maggioranza” stabilmente predeterminata.

Quest’ultima prospettiva, anzi, potrebbe risultare assai nociva in un organismo che ha tra i suoi compiti essenziali quello di effettuare scelte sulle “persone”(di volta in volta: da promuovere, da trasferire, da porre a capo di uffici giudiziari etc.) sulla base di obiettive valutazioni delle loro capacità professionali, dei meriti acquisiti, delle loro responsabilità. Del resto questa esigenza di forte e vivo pluralismo è presente nella Costituzione (che nel governo della magistratura affianca ai magistrati i membri laici) ed è ribadita dal legislatore ordinario nel meccanismo di elezione dei componenti laici attraverso la previsione, per tale elezione, di una maggioranza qualificata che garantisce, sul versante della rappresentanza laica, la presenza delle minoranze.

Giustamente, dunque, lo schema di d.d.l, nell’affrontare il tema della provvista dei componenti togati del Consiglio, si preoccupa di ribadire la fondamentale istanza del pluralismo e si propone di salvaguardare o

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quanto meno di rispettare le condizioni istituzionali, organizzative e pratiche del pluralismo stesso: un meccanismo tendenzialmente proporzionale di elezione dei rappresentanti togati, la rappresentanza delle minoranze, la legittima influenza, anche in fase elettorale, dei gruppi associativi e delle altre libere aggregazioni collettive presenti ed operanti nel corpo della magistratura.

In particolare va accolto come estremamente positivo l’accantonamento, nella relazione che accompagna il d.d.l., di ogni prospettiva elettorale di tipo maggioritario che segnerebbe la cesura radicale ed irreversibile con l’esperienza storica dell’autogoverno sviluppatasi negli ultimi trenta anni e con il quadro normativo che regge la vita dell’istituzione consiliare.

Tanto premesso sul terreno dei principi, l’analisi deve svilupparsi su due piani.

Il primo è quello della “verifica tecnica” circa l’idoneità del sistema di voto proposto a realizzare gli effetti voluti (effettiva selezione dei migliori rappresentati, risultati sostanzialmente proporzionali, presenza delle minoranze etc.).

Il secondo è quello della formulazione di più ampi “giudizi di valore” sul sistema prescelto, da svolgere alla luce delle risultanze della verifica intrapresa, della esperienza storica, delle eventuali alternative che possano essere motivatamente indicate come preferibili per la realizzazione degli obiettivi dichiarati.

7. L’analisi del sistema proposto. Sul preteso “collaudo” subìto dal sistema.

La relazione illustrativa del d.d.l. afferma che il sistema proposto è già ben collaudato perchè sperimentato nelle elezioni politiche in alcuni paesi.

Non sembra che tale tranquillizzante affermazione possa essere condivisa almeno se riferita alle elezioni dei rappresentanti dei magistrati nel C.S.M.

Al contrario occorre dire con chiarezza che con l’adozione del V.S.T. per le elezioni del C.S.M. ci si muoverebbe su di un terreno sostanzialmente inesplorato.

E ciò per più ragioni che vengono qui espresse in termini estremamente semplificati e sintetici.

In linea di principio non sembra giusto sostenere che un sistema elettorale in uso per elezioni politiche od amministrative sia “collaudato” anche per elezioni di rappresentanze professionali che rispondono a realtà, logiche e dinamiche strutturalmente diverse.

Inoltre la dottrina italiana ha assai poco studiato il sistema del voto singolo trasferibile alla luce delle peculiarità sociali ed istituzionali del nostro paese; con la conseguenza che mancano analisi, ricerche sul campo e simulazioni approfondite sull’argomento.

Infine - ed è questo forse il rilievo decisivo ai fini che qui interessano - non risulta che esistano affidabili verifiche sulle modalità di funzionamento del sistema di voto singolo trasferibile in collegi elettorali del tipo di quello proposto per le elezioni del C.S.M. (nazionale, composto da poco più di 9000 elettori, chiamati ad eleggere una rappresentanza professionale).

Con il V.S.T. ci si muove, dunque, su di un terreno nuovo e sconosciuto . Un rischio che è possibile correre, ma a patto di vederlo e di accettarlo consapevolmente senza nutrire ingiustificate illusioni su pretesi “collaudi”

che in realtà non sono mai avvenuti.

Ciò comporta anche che, allo stato, sul funzionamento del voto singolo trasferibile nella elezione dei

rappresentanti dei magistrati in seno al C.S.M. siano possibili ipotesi e “ragionamenti” più o meno realistici e fondati, mentre non sono consentite certezze che avrebbero una elevata probabilità di risultare ingannevoli.

7.1. Segue: l’impianto individualistico del sistema di voto.

Il sistema proposto promette l’elezione dei “migliori” rappresentanti dei magistrati attraverso un meccanismo elettorale imperniato da un lato su autocandidature individuali (cioè poste, almeno formalmente, in assenza di liste o anche solo di comitati di promotori delle candidature stesse) e, dall’altro, sul voto dato esclusivamente alle persone, progressivamente trasferibile ai diversi candidati votati secondo l’ordine di preferenza espresso

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dall’elettore.

Naturalmente da questa scelta non è possibile inferire che chi propone il ddl sia animato dall’idea che un rappresentante (eletto con il sistema proporzionale o maggioritario) sia “peggiore” solo perché la sua candidatura è stato presentata agli elettori all’interno di una lista. A ben guardare, infatti, una tale idea delegittimerebbe l’intera classe politica del nostro paese, inclusi gli stessi proponenti del d.d.l. .

Né la proposta del nuovo sistema può cancellare o smentire il dato complessivo - che appartiene alla storia della magistratura di questo paese - delle qualità personali e professionali dei tanti magistrati eletti in Consiglio con i diversi sistemi elettorali succedutisi negli ultimi venticinque anni.

Più modestamente si deve ritenere che con il nuovo sistema elettorale ci si proponga di accentuare il peso del voto personale ed individuale riducendo il ruolo svolto, nella competizione elettorale per il C.S.M., dai gruppi associativi presenti nel corpo della magistratura ed all’interno della Associazione nazionale magistrati, gruppi che nel vigente sistema svolgono un ruolo decisivo nelle elezioni attraverso la presentazione delle liste elettorali.

E’ innegabile che in questa impostazione si coglie l’eco di critiche, formulate all’esterno ma talora anche all’interno della magistratura, sugli attuali limiti dell’associazionismo dei magistrati e sulla sua influenza, spesso giudicata eccessiva, nella formazione e nel funzionamento dell’organo di autogoverno.

Senonchè è legittimo nutrire dubbi e sollevare interrogativi sul modo in cui l’impianto individualistico del sistema proposto (fondato su autocandidature individuali e voto alle persone) reagirà entrando in contatto con la concreta realtà del corpo elettorale.

7.2. Segue: il sistema delle autocandidature.

In primo luogo non bisogna dimenticare che le elezioni sono un momento eminentemente collettivo della vita di una comunità o di un area professionale.

E’ perciò difficile immaginare che - al di là di candidature eccentriche o di outsiders dichiarati - le candidature più significative ed autorevoli saranno del tutto spontanee, frutto cioè di esclusive determinazioni personali e non precedute da legittime e comprensibili valutazioni collettive (di volta in volta: di gruppo, di area

professionale o territoriale etc.) sulla loro opportunità e sulle possibilità di ottenere adeguati consensi.

In altri termini, all’origine delle candidature più valide e promettenti ci saranno comunque delle aggregazioni, siano esse comitati promotori spontanei sorti per l’occasione, o gruppi permanenti già operanti nel quadro dell’associazionismo giudiziario.

Abolendo le liste e non prevedendo neppure la presentazione di un certo numero di firme a sostegno delle candidature individuali, il sistema elettorale avrà solo l’effetto di rendere, almeno in molti casi, la realtà ora descritta non pienamente trasparente e visibile agli occhi della maggior parte del corpo elettorale.

Un risultato, questo, tutt’altro che desiderabile e che non contribuirebbe a conferire alla competizione elettorale quei caratteri di trasparenza, chiarezza e lealtà che dovrebbero sempre contraddistinguerla.

7.3. Segue: il meccanismo “a cascata” del voto singolo trasferibile e la spinta a costituire collegamenti tra le candidature. Il rischio di cordate elettorali silenziose ed indecifrabili da parte del singolo elettore.

Sotto altro profilo si osserva che il sistema del voto singolo trasferibile, con il suo meccanismo di trasferimento dei voti ”a cascata”, è tale da stimolare (o addirittura da far apparire come necessarie) forme di

apparentamento e di collegamento tra candidati al fine di aumentare le loro possibilità di successo elettorale.

L’impianto formalmente individualistico del sistema elettorale (che implica la esclusione della possibilità di presentare liste contrapposte sulla base di programmi collettivi) sarà quindi inevitabilmente assoggettato a forti torsioni per effetto dei collegamenti che si creeranno tra le diverse candidature e della conseguente

propensione dei candidati stessi a chiedere agli elettori ad essi più vicini di esprimere predeterminate combinazioni di voto presentate come indispensabili ai fini della loro affermazione.

Riguardando in una prospettiva realistica il funzionamento del V.S.T., è lecito prevedere che alle liste di

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programma che oggi si confrontano apertamente dinanzi agli elettori si sostituiscano aggregazioni di candidati o vere e proprie “cordate” elettorali silenziose e, ancora una volta, tutt’altro che trasparenti (attesa la possibilità che si creino apparentamenti diversi nei diversi distretti giudiziari, ignoti e comunque incontrollabili da parte del singolo elettore).

Inoltre, nel valutare il funzionamento del sistema elettorale proposto, devono essere prese in seria

considerazione anche le strategie elettorali che verranno prevedibilmente adottate dai gruppi associativi già esistenti al fine di far emergere e sostenere le candidature che meglio rappresentano i loro punti di vista, le loro idealità ed i loro programmi .

Anche in questo caso si potrebbe assistere alla formulazione di indicazioni di voto molto dettagliate e a forme di voto bloccato presentate (non senza realismo) agli aderenti ed ai simpatizzanti come il mezzo più sicuro per assicurare il successo di candidati rappresentativi della cultura e degli intenti programmatici del gruppo.

Ma ciò equivarrebbe ad attribuire di fatto ai nuclei dirigenti dei gruppi associativi un potere di influenza sull’elettorato sicuramente maggiore di quello esercitato nel sistema attuale nel quale ci si limita a presentare agli elettori programmi e candidati.

In luogo dell’auspicata riduzione del peso delle realtà organizzate nella competizione elettorale si potrebbe assistere ad una crescita di tale peso rispetto alla situazione attuale.

I rilievi critici sin qui svolti ed i rischi rappresentati nascono da un realismo che tiene conto di due dati di fondo.

Il primo è che i magistrati costituiscono un corpo elettorale riflessivo e concreto, che nutre un comprensibile interesse che il suo voto non vada disperso o resti totalmente o parzialmente inutilizzato ai fini della formazione della rappresentanza consiliare.

Il secondo è che le aggregazioni ed i gruppi associativi esistenti all’interno della magistratura sono realtà fortemente radicate (sul terreno degli interessi professionali, delle idee e delle sensibilità istituzionali) e non mere sovrastrutture o artificiose superfetazioni tenute in vita da questo o quel sistema elettorale del C.S.M..

In un siffatto contesto il singolo elettore, nell’esprimere il suo voto e nello stilare un ordine di preferenza, sarebbe inevitabilmente portato a perseguire la maggiore incisività ed efficacia del suo voto ai fini della formazione della rappresentanza consiliare.

Ed è appunto su questo terreno che i deficit di trasparenza ravvisati nel sistema del voto singolo trasferibile potrebbero esercitare il loro effetto negativo e distorsivo inducendo l’elettore singolo, non in grado di controllare fino in fondo e da solo la effettiva utilità e la destinazione finale del suo voto, a fare affidamento sulle previsioni e sulle indicazioni di chi (candidato ad altri collegato o gruppo associativo) ha o afferma di avere una visione ed una informazione complessiva sul funzionamento in concreto del sistema elettorale.

Chi poi decidesse di sottrarsi del tutto a tali previsioni e valutazioni complessive e scegliesse di votare solo secondo il suo intimo convincimento senza confrontarsi con alcuno avrebbe dinanzi a sé la prospettiva (non particolarmente allettante per un elettore razionale) di dare un voto di semplice testimonianza che ha una notevole probabilità di essere (del tutto o in parte) inutilmente dato.

Non si vede dunque come la relazione al d.d.l. possa pretendere di ignorare la realtà sin qui descritta e sostenere che il voto singolo trasferibile è “intuitivo” per l’elettore.

E’ vero esattamente il contrario ; e cioè che per l’elettore consapevole ed interessato ad un voto utile il voto singolo trasferibile è un “problema” ben maggiore di quanto non lo sia il voto di preferenza dato ad un candidato inserito in una lista.

7.4. Segue: sulla asserita idoneità del sistema a produrre risultati sostanzialmente proporzionali.

Completando l’analisi “dall’interno” del sistema del V.S.T., è legittimo avanzare dubbi sulla sua effettiva idoneità a produrre i “risultati sostanzialmente proporzionali” promessi dalla relazione illustrativa del d.d.l. governativo.

Come si è già accennato, sul funzionamento in concreto del sistema non sono allo stato consentite certezze ma solo ipotesi ragionate e argomentate congetture.

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Appare comunque realistica la previsione che se il governo (ignorando, come è sua facoltà, le critiche ed i suggerimenti prima formulati) decidesse di mantenere in vita i due collegi unici nazionali in cui gli eligendi sono solo quattro (e cioè il collegio per l’elezione dei magistrati che svolgono funzioni requirenti e il collegio per l’elezione dei magistrati con effettive funzioni di legittimità) si aprirebbe un ampio spazio per forme di voto bloccato che potrebbero privilegiare in modo pressocchè esclusivo le “candidature collegate” espresse da un’area maggioritaria annullando la rappresentanza delle minoranze.

Per reazione ad un siffatto meccanismo di funzionamento, il sistema del voto singolo trasferibile potrebbe poi indirizzare i gruppi associativi e le articolate realtà collettive oggi presenti in magistratura verso forme di ulteriore coalizione su determinate candidature allo scopo di ottenere la massima rappresentanza in seno al Consiglio.

Con l’effetto di sostituire al pluralismo attuale una sorta di “polarizzazione” della rappresentanza o addirittura di dar vita ad un improprio sistema maggioritario nel governo della magistratura; risultati, questi, che allo stato nessuno dice di volere e che non rispondono alle esigenze dell’autogoverno.

7.5. Segue: rilievi ed interrogativi su singoli aspetti del congegno elettorale proposto.

Accanto alle considerazioni sin qui svolte - che investono la fisionomia complessiva del V.S.T. - occorre richiamare l’attenzione su singoli punti della proposta che suscitano perplessità o fanno sorgere interrogativi.

In primo luogo si segnala che la disciplina dello scrutinio e assegnazione dei voti dettata dall’art. 27

dell’articolato normativo non contempla l’ipotesi che nessuno dei candidati raggiunga il quoziente elettorale al primo stadio grazie ai voti di prima preferenza.

Può darsi che si tratti di una ipotesi remota; è certo, comunque, che essa non può essere aprioristicamente esclusa (ad esempio nel caso di una incontrollata proliferazione di candidature nei collegi preordinati alla elezione di quattro rappresentanti in cui il quorum per l’elezione è notevolmente elevato).

Ed il suo verificarsi creerebbe una impasse di evidente gravità, difficilmente risolvibile con il ricorso ai tradizionali canoni interpretativi.

Occorrerebbe perciò quanto meno prevedere che il meccanismo di rideterminazione del quoziente elettorale possa operare anche nella ipotesi qui prospettata di un mancato raggiungimento del quoziente elettorale al primo stadio grazie ai voti di prima preferenza.

In secondo luogo si pone in luce che le scarne disposizioni del d.d.l. sul meccanismo “a cascata” di

ripartizione dell’esubero di voti sono ben lontane dal chiarire tutti gli aspetti del suo funzionamento e pongono molteplici interrogativi, sicuramente inquietanti in una materia come quella elettorale che ha bisogno di certezze.

Se, come sembra, il meccanismo “a cascata” di ripartizione dell’esubero di voti fosse destinato ad operare solo in relazione a quei voti che rechino come prima preferenza il nominativo di un candidato effettivamente eletto, sarebbero del tutto annullati i voti di chi non ha “centrato” la prima preferenza facendola convergere su di un candidato vincente al primo stadio.

Un tale risultato sarebbe all’evidenza del tutto iniquo, fonte di gravissime distorsioni nella formazione della rappresentanza e porterebbe all’estremo i rischi (connessi alla costituzione di cordate elettorali) di risultati di segno maggioritario e di azzeramento della rappresentanza anche di ampie minoranze. Se, invece, si dovesse ritenere che il meccanismo di recupero di voti non sia limitato a questa ipotesi, si dovrebbe comunque

prendere atto che il d.d.l. non regola chiaramente e compiutamente la materia.

Si sarebbe di fronte ad una lacuna inaccettabile che dovrebbe essere comunque colmata pena l’ingestibilità del sistema elettorale.

7.6. Alcune considerazioni conclusive, all’esito della verifica tecnica, sul sistema proposto.

Raccogliendo le fila di queste riflessioni dirette a saggiare l’idoneità del V.S.T. a mantenere le sue promesse si può osservare che:

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a) il sistema di voto è, agli occhi di un elettore razionale, tutt’altro che intuitivo e non sembra in grado - come si propone - di ridurre il peso dei gruppi organizzati, permanenti o sorti per l’occasione elettorale, nella

competizione elettorale. Al contrario, determinando la concentrazione in tali gruppi delle conoscenze necessarie per avere una visione complessiva della competizione (segnatamente sui collegamenti tra i candidati nelle diverse aree dei collegi nazionali), il V.S.T. avrebbe l’effetto di potenziare, bel al di là di quanto oggi avviene, il potere di influenza e di controllo sul voto dei singoli elettori, facendo leva sulla loro ragionevole e comprensibile riluttanza a sprecare il proprio voto;

b) almeno nella versione che ne è proposta per il C.S.M., il sistema di voto non è idoneo a garantire

(soprattutto nei collegi deputati ad eleggere un numero ristretto di rappresentanti) quei risultati proporzionali di cui i proponenti riconoscono in linea di principio il valore essenziale ai fini della formazione della

rappresentanza dei componenti togati del C.S.M.;

c) sollecitando come reazione la formazione di sempre più vaste e comprensive aggregazioni collettive al fine di competere con maggiori chances di successo, il sistema può indurre, nella migliore delle ipotesi, ad una

“polarizzazione” della rappresentanza consiliare. E ciò in contrasto con la riconosciuta necessità di salvaguardare un articolato ed effettivo pluralismo.

8. Il piano dei giudizi di valore.

Al termine di questa analisi critica - che mira a fornire al Ministro della Giustizia le osservazioni

prevalentemente tecniche e gli elementi di conoscenza e di esperienza istituzionale maturati dall’organo di autogoverno - appare doveroso rappresentare, nella loro inevitabile articolazione e nelle loro sfumature, anche i differenti giudizi di valore che emergono in seno al Consiglio sulla impostazione del progetto governativo e sulla direzione di marcia tracciata dall’esecutivo.

Una prima componente del Consiglio ritiene che - nonostante le serrate critiche che debbono essere mosse alla odierna realizzazione del V.S.T. - restino validi tanto l’ispirazione di fondo del sistema di voto proposto quanto l’obiettivo di dar vita ad un sistema elettorale di impianto più aperto al ruolo ed alle iniziative individuali di quanto non sia quello attuale.

In quest’ottica si afferma che va perseguita una riduzione del ruolo dei gruppi associativi della magistratura nella disciplina legislativa del sistema elettorale, lasciando i gruppi stessi liberi di orientare e di agire per influenzare l’elettorato e conquistare il consenso ma ponendo fine alla presentazione di “liste” collettive aventi rilievo istituzionale.

Vengono poi proposti alcuni correttivi - miranti a scongiurare uno slittamento del sistema verso esiti confusi o incontrollabili - tra cui l’abbandono del sistema delle autocandidature individuali (che viene ritenuto suscettibile di produrre una eccessiva proliferazione della “offerta” di rappresentanza), la previsione di un certo numero di presentatori a garanzia delle candidature presentate nonché la richiesta di valorizzare, anche in sede

istituzionale, la presentazione di programmi da parte dei singoli candidati.

Nell’ambito di tale componente vi è inoltre chi considera necessaria la preclusione per l’elettore della possibilità di votare validamente più di due candidati dello stesso distretto al fine di consentire comunque una

distribuzione territoriale della rappresentanza.

Altri richiama l’attenzione sulla esigenza di prevedere un meccanismo di recupero anche dei voti espressi da elettori che abbiano indicato, come prima preferenza, un candidato che abbia riportato complessivamente un esiguo numero di voti.

L’attuale formulazione del sistema di V.S.T. non è idonea a garantire risultati proporzionali, in quanto provoca la totale inutilizzabilità di voti espressi in prima preferenza a candidati che abbiano riportato complessivamente uno scarso numero di voti e quindi le operazioni di scrutinio dovrebbero essere integrate anche con il

computo delle preferenze gradate espresse nelle schede in cui la prima preferenza è assegnata ai candidati che abbiano conseguito complessivamente il minor numero di voti.

Una seconda componente del Consiglio collega alla forte critica tecnica un più ampio dissenso sulle finalità e sugli approdi delle modifiche proposte.

All’interno di questa linea di pensiero si rappresenta che sarebbe una perdita grave ed irreparabile la

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scomparsa del confronto ideale e programmatico aperto tra aree della magistratura portatrici di visioni e sensibilità professionali diverse e l’abbandono di un meccanismo elettorale che induce l’elettore a valutare insieme, all’atto del voto, uomini ed idee, individualità e programmi. Ed in ciò si ravvisa il rischio ed il prodromo di una riduzione del ruolo istituzionale dell’organo di autogoverno.

Si richiama anche come pericoloso il deficit di trasparenza che potrebbe derivare da congegni elettorali solo formalmente di stampo individualistico ma in realtà destinati a funzionare attraverso collegamenti ed

apparentamenti tra candidati non adeguatamente visibili agli occhi del singolo elettore.

Si ritiene perciò preferibile che la competizione elettorale si svolga all’interno di due collegi elettorali nazionali (rispettivamente per l’elezione dei rappresentanti con funzioni di legittimità e di merito) con un sistema di voto che assicuri trasparenza e consenta realmente esiti proporzionali e la rappresentanza in Consiglio delle diverse aree in cui si articola la magistratura.

Nell’ambito di tale componente, non può trascurarsi la posizione di chi non condivide l’ipotesi di fissazione di una quota massima di magistrati con funzioni requirenti, da eleggere all’interno di un unico collegio nazionale di rappresentanti con funzioni di merito, paventando il rischio che tale suddivisione possa limitare il libero esercizio del diritto di voto e prefigurare l’avvio di modifiche ordinamentali orientate verso una progressiva separazione delle funzioni giudicanti da quelle requirenti.

Sin qui la rappresentazione delle posizioni espresse in seno alla Commissione.

A queste notazioni si collega infine una osservazione che scaturisce dalla specifica e singolare storia del C.S.M., organismo che ha sperimentato negli anni il succedersi di numerosi sistemi elettorali.

Il meccanismo elettorale è “sistema” per eccellenza, che non può essere modificato frettolosamente sotto la spinta di buone intenzioni e, soprattutto, senza una adeguata ponderazione delle modalità di effettivo

funzionamento dei congegni predisposti nel momento in cui vengono a contatto con una serie di variabili che riguardano il corpo elettorale (con i suoi comportamenti tradizionali, le sue aspettative e le sue prevedibili reazioni alle innovazioni), gli attori della competizione elettorale (candidati e gruppi), le dinamiche interne della istituzione da formare e così via.

Se queste variabili non sono adeguatamente contemplate e padroneggiate all’atto di pensare ed introdurre l’innovazione, il sistema produce effetti perversi o comunque non previsti e non voluti.

La microstoria dei sistemi elettorali del C.S.M. è particolarmente ricca di tali esempi che, per evidenti esigenze di sintesi, non possono essere analiticamente passati in rassegna.

Di qui l’opportunità che nell’opera di riforma il governo ed il parlamento sovrano prestino attenzione anche agli apporti che scaturiscono dalla esperienza ed ascoltino la voce di quanti operano nell’istituzione consiliare.

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