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Academic year: 2021

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Introduzione

RECETTORI CON ATTIVITA' TIROSINCHINASICA (TK)

Le proteine tirosina chinasi rappresentano una grande famiglia di enzimi omologhi, sia transmembrana che citoplasmatici, che catalizzano il trasferimento di un gruppo γ- fosfato dall'ATP al gruppo ossidrilico di un residuo di tirosina di una proteina substrato.

In condizioni fisiologiche, la fosforilazione della tirosina rappresenta un fondamentale meccanismo di trasduzione del segnale, che attraverso una sequenza ordinata di proteine garantisce un’interazione tra le cellule e regola aspetti chiave della vita cellulare come la proliferazione, la differenziazione, il metabolismo e l’apoptosi.

1

Sono stati identificati circa 90 recettori TK (Tirosine Kinase), tra questi 58 sono recettori transmembrana (es: EGFR, Epidermal Growth Factor Receptor ), gli altri sono tirosinchinasi citoplasmatiche, spesso denominate “non recettori” (Tabelle 1a, 1b, 1c, 1d) .

2

Tabella 1a

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Introduzione

Tabella 1b

Tabelle 1c

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Introduzione

Tabella 1d

I recettori TK transmembrana sono proteine fluttuanti nel doppio strato fosfolipidico della membrana cellulare, caratterizzati da una porzione citosolica, una intramembranacea ed una extracellulare. La parte extracellulare espone il dominio N- terminale al liquido interstiziale e presiede al riconoscimento e all'interazione con il ligando. La porzione intracellulare idrofilica, C-terminale, è fornita di siti che presiedono alla trasduzione del segnale dopo l'interazione ligando-recettore. Questa porzione è caratterizzata da residui tirosinici che occupano posizioni specifiche in ciascun recettore e dopo l’interazione con il ligando vanno incontro ad autofosforilazione. E’ proprio la specifica disposizione che condiziona l’interazione con la proteina citoplasmatica e la sua fosforilazione in quanto ognuna di esse espone sulla superficie domini capaci di riconoscere specifiche sequenze amminoacidiche fosforilate esposte sul dominio catalitico della porzione intracellulare del recettore.

3

I recettori citoplasmatici, invece, sono privi della porzione extracellulare e permettono la trasduzione del segnale all'interno della cellula generalmente solo dopo l'attivazione dei recettori transmembrana.

Normalmente i recettori TK vengono codificati da protoncogéni, e quando questi subiscono mutazione o vengono sovraespressi, si trasformano in oncogéni e attivano in modo anomalo gli enzimi, portando alla comparsa di tumori.

Le anomalie alla base di molti tumori coinvolgono infatti due importanti classi di geni:

- gli oncosoppressori, che normalmente inibiscono la crescita cellulare, possono

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Introduzione

- i protoncogéni, che stimolano la cellula a progredire nel suo ciclo cellulare sono invece interessati da mutazioni dominanti con acquisto di funzione, che porta ad una aumentata o incontrollata attività del prodotto, ossia gli oncogéni.

Quindi se da un lato i geni oncosoppressori inattivati portano alla mancanza della proteina di controllo per prevenire una proliferazione eccessiva della cellula, dall’altra la mutazione dei protoncogèni porta alla produzione di una quantità eccessiva della proteina stimolatrice della crescita oppure una sua forma eccessivamente attiva. In entrambi i casi il risultato è lo stesso: una crescita incontrollata della cellula che degenera in neoplasia. La differenza fra oncogéni e geni normali può riguardare anche un solo amminoacido che spesso determina un cambiamento radicale nella funzione proteica.

Mentre i normali recettori citoplasmatici codificati dai protoncogéni vengono attivati dai recettori transmembrana, a loro volta attivati dal rispettivo ligando, quelli prodotti dai rispettivi oncogéni risultano costitutivamente dotati di attività enzimatica.

In condizioni fisiologiche l'attività chinasica è molto bassa e viene incrementata nelle cellule neoplastiche: infatti l'aumento di fosfotirosina intracellulare, associato all'incremento della proliferazione cellulare, rappresenta un vero e proprio marcatore dello stato neoplastico.

Negli ultimi anni alcune TK sono diventate bersagli di farmaci anti-tumorali:

inibendo l’attività TK, si potrebbe infatti bloccare la proliferazione del cancro che

deriva dalla trasduzione del segnale.

3

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Introduzione

IL RECETTORE EGFR

L’EGFR è uno dei recettori TK tra i più studiati: esso è codificato dal protooncogéne c-erbB-1, presente sul cromosoma 7, ed è costitutivamente espresso in alcuni tessuti di origine epiteliale, mesenchimale e neuronale. Il recettore agisce a seguito del legame con lo specifico fattore di crescita EGF (Epidermal Growt Factor) o con ligandi meno specifici.

[1]

Esistono quattro membri della famiglia EGFR denominati ErbB o HER (dall’inglese Human Epidermal Receptor), tra cui: ErbB-1 (EGFR, HER1), ErbB-2 (HER2), ErbB-3 (HER3) ed ErbB-4 (HER4) (Tabella 2).

4

Recettori Sinonimi HER1 erbB-1, EGFR HER2 erbB-2 HER3 erbB-3 HER4 erbB-4

Tabella 2.

Sinonimi dei membri della famiglia HER

Il recettore EGFR è una glicoproteina transmembrana di 170 kDa formata da un’unica

catena polipepdidica contenente 1186 amminoacidi, ed è caratterizzato da tre regioni

(Figura 1):

4

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Introduzione

 una parte ammino-terminale extracellulare (o ectodominio) che è costituita da 621 amminoacidi e comprende quattro sub-domini. I primi studi hanno dimostrato che il maggior sito di legame del recettore per i fattori di crescita è localizzato in un frammento del dominio III (o L2), tra gli amminoacidi 295 e 543. Gli studi successivi, invece, hanno rivelato che anche una porzione del dominio I (o L1) gioca un ruolo, sebbene minore, nel legame dei fattori di crescita. I domini L1 e L2 sono ricchi di cisteine (Figura 2). I domini II (o CR1) e IV (o CR2) sono invece caratterizzati da vari moduli legati tra loro grazie a uno o due ponti disolfuro. Dietro il dominio CR1 sporge un loop che si lega al CR1 dell’altro recettore durante la dimerizzazione. La porzione extracellulare risulta essere molto variabile all’interno della famiglia HER, infatti è caratterizzata da un’omologia del 30-50% (Figura 3).

5,6

Figura 2. Dominio extracellulare per legame con EGF

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Introduzione

Figura 3. Percentuale di omologia tra i membri della famiglia HER

 la regione transmembrana è costituita da 23 amminoacidi, dal 622 al 644, con caratteristiche idrofobiche, ripiegati in un’unica α-elica. Quest’ultima si estende fino all’amminoacido 647 suggerendo una sua prosecuzione anche nel dominio interno prossimo alla membrana.

 Il dominio citoplasmatico consiste in una porzione con attività chinasica che si estende dall’amminoacido 644 al 955 ed è caratterizzata da un’alta omologia tra i membri della famiglia HER (59-82%) e in una parte carbossi- terminale (compresa tra l’amminoacido 956 a 1186), più variabile (omologia intorno al 30%), contenente i siti per la fosforilazione delle tirosine (indicati con Y o con Tyr): Y992, Y1068, Y1086, Y1148 e Y1173.

4-6

Il dominio catalitico è formato da circa 250 amminoacidi ripiegati a costituire due distinti lobi. Il lobo minore ha la funzione di legare l’ATP lasciando libero il fosfato γ per il trasferimento; il lobo maggiore riconosce il substrato e orienta correttamente il fosfato γ. Il lobo minore è caratterizzato da foglietti β mentre il maggiore è dominato da α-eliche con un piccolo foglietto β, in prossimità della cavità tra i due lobi.

Il motivo strutturale maggiormente conservato tra i membri della famiglia HER è il

sito di legame dell’ATP, composto da una lisina (Lys721), una sequenza Gly-X-Gly-X-

X-Gly e una tirosina (Tyr845). La sequenza ricca di glicina è deputata alla formazione

di legami idrogeno con il fosfato γ dell’ATP; il nucleotide viene ulteriormente

stabilizzato dalla presenza di Lys721 e Glu738. L’adenina si inserisce in una tasca

idrofobica ed intraprende legami idrogeno a livello di N

6

e N

7

.

7

(8)

Introduzione

FATTORI di CRESCITA e ATTIVAZIONE del RECETTORE

I fattori di crescita legano i membri della famiglia HER con affinità diversa; solo HER2 non ha ligandi specifici. Usualmente essi sono divisi in tre gruppi: il primo include EGF (Epidermal Growth Factor), TGF-α (Trasforming Growth Factor-α) e AR (anfiregulina) che si legano solo all’EGFR; il secondo include fattori che formano uno specifico legame sia con l’EGFR che con l’ErbB4, come BTC (betacellulina), HB-EGF (Heparin-Binding EGF), EPR (epiregulina), e HRG (eregulina); il terzo gruppo include le NRG (neuroreguline), che possono essere divise in due sottogruppi in base alla loro capacità di legare ErbB3 e ErbB4 (NRG-1, NRG-2) o solo ErbB4 (NRG-3 e NRG-4) (Figura 4).

5,6

Figura 4.Affinità dei vari ligandi verso i recettori HER

La presenza dei recettori ErbB a livello delle membrane basolaterali delle cellule epiteliali, e il ritrovamento di molti ligandi dei polipeptidi ErbB come l’EGF, TGFα, AR, NRGs e BTC nella matrice extracellulare suggeriscono che gli ErbB giocano un ruolo importante nel mediare il segnale tra l’epitelio e lo stroma.

Con l’interazione del ligando sia nel dominio I che nel III, la conformazione del

recettore cambia e questo permette di esporre una interfaccia che prima era nascosta e di

attivare il processo di dimerizzazione (Figura 5).

8

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Introduzione

Figura 5. Legame dell’EGF del recettore e cambio di conformazione

Nello stato inattivo il recettore esiste come monomero sulla superficie della membrana cellulare. Il legame del fattore di crescita stabilizza la forma dimerica (attiva) e provoca la sua autofosforilazione: il sito catalitico di ciascuna catena fosforila i residui tirosina localizzati nella porzione carbossi-terminale dell’altra catena (Figura 6a, b).

Figura 6a, b

.

Dimerizzazione e autofosforilazione del recettore

L’interazione con il ligando può promuovere una omodimerizzazione (tra monomeri

dello stesso recettore, es HER1/HER1) oppure una eterodimerizzazione tra il recettore e

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Introduzione

altri membri della famiglia degli HER (es HER1/HER2), incrementando la sua attività tirosinchinasica. Studi quantitativi sulla superficie della cellula hanno dimostrato che una delle associazioni più frequenti è il complesso HER1/HER2.

8

In entrambi i tipi di dimerizzazione il recettore autofosforilato attiva, attraverso la fosforilazione, altri substrati citoplasmatici che reclutano delle proteine adattatrici sotto la membrana e innescano una cascata di segnali che guidano importanti funzioni cellulari come la crescita cellulare, la proliferazione, il riarrangiamento del citoscheletro, l’apoptosi, la motilità, il cambiamento dell’espressione di geni e l’angiogenesi.

VIE DI TRASDUZIONE

6,9

I meccanismi di trasduzione del segnale più studiati includono la cascata delle Ras/Raf/MEK/ERK e quella del PI3K/PDK1/Akt, ma anche la fosfolipasi PLC-γ e JAK/STAT possono essere reclutate dall’attivazione dell’EGFR attraverso un meccanismo sovrapposto o indipendente.

Comunque non è ancora chiaro quali siano le principali cascate determinanti nella nascita del cancro e nella sua progressione.

La più studiata tra le cascate dell’EGFR è quella che coinvolge le proteine Ras e Raf/MEK/ERK.

Il ruolo chiave per l’attivazione dell’EGFR dipendente da Ras è svolto dalla proteina adattatrice GRB-2 (Growth factor Receptor Bound protein 2) , attraverso la sua capacità di associarsi direttamente al recettore nelle sue porzioni Y1068 e Y1086 o indirettamente attraverso la proteina fosforilata Shc.

GRB-2 e Shc mediano l’attivazione della trasduzione di diversi segnali, dipendenti dal tipo di ligando, dal livello di espressione del recettore e dal recettore con cui l’EGFR dimerizza. Lo studio di tale processo cellulare ha suggerito che l’associazione della Shc con EGFR attraverso i suoi domini, che comporta la fosforilazione delle tirosine e il reclutamento di GRB-2 , possa essere il passaggio critico nel meccanismo di attivazione dell’EGFR dipendente dalle Ras/MAPK.

Le molecole al vertice della cascate di trasduzione intracellulare sono caratterizzate

dalla presenza di regioni di omologia con l’oncogene src, i cosiddetti domini SH2 (src

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Introduzione

homology 2) e SH3 (src homology 3). Questi domini sono fondamentali per l’interazione tra le molecole nella catena di trasmissione del segnale. I domini SH2 sono costituiti da sequenze di amminoacidi che legano residui tirosinici fosforilati; i domini SH3 sono costituiti da sequenze di amminoacidi che riconoscono siti ricchi in prolina.

I domini SH3 dalla GRB-2 riconoscono le sequenze ricche di prolina presenti sul fattore di scambio di nucleotidi guanidinici Sos (Son of sevenless), portando alla formazione del complesso GRB-2 /Sos che viene traslocato all’interno della membrana. Sos è in grado di attivare la proteina Ras, una piccola proteina G, inducendo lo scambio da GDP a GTP. Questo provoca, consecutivamente, l’attivazione della famiglia delle Raf chinasi (a-Raf, B-Raf e Raf-1), delle Mek (Mitogen activated extracellular signal regulated kinases) e successivamente dell’Erk1 e Erk2 (Extra-cellular signal-regulated kinases).

Infine le Erk1/2 chinasi, membri della famiglia delle MAPK (Mitogen-Activated Protein Kinases), regolano positivamente la proliferazione cellulare con l’attivazione dei maggiori fattori di trascrizione associati alla proliferazione cellulare come c-Myc e isoforme della famiglia RSK (Ribosomial Subunit Kinase).

Nella modulazione del bilanciamento tra la proliferazione cellulare, l’apoptosi e la

senescenza, la cascata EGFR/PI3K/PDK1/Akt è un promotore cruciale per una intensa

proliferazione attraverso la cascata EGFR/Ras/Raf/MEK/ERK (Figura 7).

(12)

Introduzione

Figura 7. Vie di traduzione del segnale di EGFR[7]

Il dominio C-terminale dell’EGFR contiene il residuo Y920, che fornisce direttamente il sito per il legame della subunità p85 del PI3K (fosfoinositolo-3 chinasi) o indirettamente attraverso il legame con GRB-2 .

PI3K genera PIP3 (fosfatidilinositolo-3,4,5-trifosfato) che recluta e attiva la proteina chinasi Akt, conosciuta anche come proteina chinasi B (PKB), e PDK-1 (chinasi fosfoinositolo-dipendente) attraverso il legame dei loro domini PH al PIP3.

La Proteina Akt fosforilata è in grado di controllare la morte programmata della

cellula attraverso la fosforilazione, e quindi l’inibizione, di Bad (un membro pro-

apoptotico della famiglia delle Bcl-2) e della Caspasi 9 (un enzima dipendente da Fas,

recettore di membrana appartenente alla via estrinseca di attivazione dell’apoptosi).

(13)

Introduzione

così della sopravvivenza cellulare. Inoltre Akt attiva alcuni fattori di trascrizione rilevanti come: HIF-lα, NFkB e CREB che causano un aumento della trascrizione dei geni anti-apoptotici.

In aggiunta al meccanismo di sopravvivenza regolato dall’Akt, l’EGFR può attivare la cascata STAT (segnale ed attivatore della trascrizione) attraverso due meccanismi:

uno JAK (Janus kinase) dipendente e uno indipendente.

La stimolazione dell’EGFR induce la fosforilazione di STAT1 e l’inizio della formazione del complesso STAT1 e STAT2 con JAK1 e JAK2. Questo permette che le STAT vengano traslocate nel nucleo in soli 15 minuti e ciò può contribuire alla sopravvivenza cellulare nel cancro attraverso effetti sull’espressione genica. Il meccanismo JAK indipendente è stato proposto per la STAT5b che lega sul recettore EGFR grazie alla Tyr845.

La trasduzione del segnale mediata dall’EGFR contribuisce anche alla regolazione dell’angiogenesi e delle metastasi. L’angiogenesi è responsabile della progressione del tumore, è mediata dall’EGFR attraverso up-regulation di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) e MMPs (metalloproteine). Inoltre la fosforilazione del dominio citoplasmatico Tyr992 dell’EGFR, attivando PLCγ (fosfolipasi Cγ) può influenzare direttamente lo sviluppo delle metastasi. Tyr992 infatti costituisce il sito di legame di PLCγ.

EGFR E TUMORI

L'aumento di attività dell'EGFR è associata a molti tumori umani come il tumore del

polmone non a piccole cellule (NSCLC, Non Small Cell Lung Cancer),

l’adenocarcinoma del colon, il glioblastoma, il carcinoma squamoso epiteliale della

testa e del collo e tumori al pancreas, al seno, alle ovaie, alla prostata e a livello

gastrico, con una percentuale che varia a seconda del tipo di tumore (Tabella 3).

1,10

(14)

Introduzione

Tabella 3 Espressione dell’EGFR nei vari tumori umani

L'attivazione oncogenica dell'EGFR può avvenire con vari meccanismi: eccessiva espressione del ligando o del recettore, attivazione di una mutazione, fallimento dei meccanismi di inattivazione o transattivazione attraverso la dimerizzazione del recettore.

Sono stati identificati recettori EGFR mutati, tra questi l'EGFRvIII (variante III) è quello maggiormente ritrovato nei tumori umani ed è caratterizzato dall’assenza del dominio ricco di cisteine (Figura 1).

4

L' EGFRvIII presenta una regione di legame modificata quindi non è in grado di interagire con il ligando e di dimerizzare e la sua attività chinasica è costitutiva.

Un altro recettore per EGF privo del dominio extracellulare e di 32 amminoacidi della porzione carbossi-terminale è il prodotto dell’oncogene virale v-erb B, uno dei due oncogeni dell’eritroblastosi aviaria; anche in questo caso il recettore risulta costitutivamente attivo.

11

Tipo Di Tumore

% di Espressione EGFR

NSCLC 40-80

Testa e collo 80-100

Colorettale 25-100

Gastrico 33-81

Pancreatico 30-50

Ovarico 35-70

Seno 15-37

Prostata 40-90

Glioma 40-92

(15)

Introduzione

INTERRUZIONE DEL SEGNALE DI EGFR

12

La funzionalità di tutte le proteine è regolata attraverso meccanismi che intervengono nell’attenuazione o nell’interruzione del segnale.

Dopo l’attivazione di molte tirosinchinasi, tra cui l’EGFR, c’è un rapido decremento del numero dei recettori a livello della superficie cellulare e del contenuto cellulare dei recettori attivati, processo noto come down-regulation. La formazione del complesso ligando-recettore attivato, infatti, è seguita da un’invaginazione sulla membrana che permette di inglobare il complesso all’interno della cellula (endocitosi). Durante questo processo svolgono un ruolo chiave le proteine Cbl che possono andare ad interagire sia direttamente con l’EGFR sia indirettamente tramite le già citate Src. La loro funzione è quella di favorire la formazione di vescicole e di inglobare quindi il complesso. Le vescicole sono ricoperte dalla clatrina, una proteina che dopo l’interazione ligando- recettore va incontro a proliferazione formando “cestelli di clatrina” che permettono l’ingresso delle vescicole all’interno della cellula, qui esse si fondono a formare l’endosoma primario. La maturazione dell’endosoma primario in endosoma secondario permette la dissociazione tra i recettori e i rispettivi ligandi: alcuni recettori vengono riciclati e riportati sulla membrana plasmatica, gli altri, insieme ai ligandi, vengono degradati all’interno del lisosoma (Figura 8). Il meccanismo sopra citato risulta alterato nei recettori mutati, quest’ultimi infatti risultano resistenti alla degradazione lisosomiale.

Figura 8. Endocitosi dei recettori HER

(16)

Introduzione

A proposito di tale meccanismo, è importante far notare che HER2 esiste in una struttura tridimensionale attivata e indipendente dal ligando che permette a questo recettore di legarsi preferenzialmente all’EGFR, questo causa una riduzione dell’endocitosi dell’EGFR e della degradazione.

Oltre ad essere coinvolto nel meccanismo di endocitosi ligando-mediata, EGFR va incontro a spontaneo turnover metabolico, con una emivita di circa 10-14 ore sia nei fibroblasti che nelle cellule epiteliali e di 20-48 ore nelle cellule trasformate.

Una comprensione dei meccanismi che regolano negativamente i segnali dei fattori di crescita e l’endocitosi potrebbe portare all’identificazione di nuovi target terapeutici per il trattamento dei tumori.

IL FATTORE DI CRESCITA EPIDERMICO EGF

L’EGF è un peptide di 6 kDa costituito da 53 amminoacidi che è stato scoperto nel 1962 da Levi Montalcini e Cohen nel corso di studi sul fattore responsabile della crescita delle fibre nervose (NGF, dall’inglese Nerve Growth Factor) (Figura 9).

13

Figura 9. Struttura di EGF

Si notò che l’iniezione di estratti di ghiandola sottomascellare in topi neonati

induceva l’apertura precoce delle palpebre e l’accelerazione dell’eruzione degli incisivi,

effetti conducibili alla stimolazione della crescita e del differenziamento epiteliale.

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Introduzione

Il fattore di crescita epidermico svolge un ruolo essenziale promuovendo il passaggio della cellula dalla fase G0 alla fase G1, in cui si verifica la sintesi del corredo di proteine enzimatiche e strutturali che viene poi utilizzato per la successiva replicazione del DNA (fase S) (Figura 10).

Figura 10. Effetti dell’EGF e ciclo cellulare

L’EGF non solo induce l’incremento numerico delle cellule ad esso sensibili ma modula anche la differenziazione cellulare, con effetti variabili a seconda del tessuto.

Strutturalmente, la caratteristica fondamentale dell’EGF è un motivo di 6 residui

cisteinici, evidenziati in giallo nella Figura 6, situati ad intervalli definiti nell’ambito

della sequenza di circa 40 amminoacidi che determinano la formazione di tre ponti

disolfuro intramolecolari contribuendo così a definire la struttura tridimensionale del

peptide.

11

(Figura 11)

(18)

Introduzione

Figura 11. Sequenza amminoacidica di EGF

I ponti disolfuro permettono un ripiegamento della proteina tale da garantire l’interazione con il recettore specifico.

L’EGF è espresso dagli epiteli di rivestimento e ghiandolari ed è presente nel cavo orale e nel tratto gastro-intestinale, dove limita la secrezione gastrica, regola il trofismo e l’integrità della mucosa e favorisce i processi di rigenerazione epiteliale.

Esso appare notevolmente espresso anche a livello della ghiandola mammaria e la sua presenza nel latte suggerisce che abbia un ruolo importante nella maturazione dell’epitelio del tratto gastro-intestinale del neonato.

Nel plasma l’EGF è presente in concentrazioni trascurabili mentre si trova in quantità significativa nelle piastrine, dalle quali viene rilasciato in seguito a stimoli che ne inducono l’agglutinazione e la degranulazione. Pertanto si può supporre che l’EGF possa contribuire localmente a processi riparativi in sede di ferite e lesioni di vario tipo.

In condizioni fisiologiche l’EGF svolge dunque un importante ruolo funzionale nella

regolazione della crescita e del differenziamento cellulare.

11

(19)

Introduzione

INIBITORI DI EGFR

Oltre venti anni fa l’EGFR è stato proposto come target per la cura del cancro per una serie di motivi: il primo tra questi era il fatto che il recettore fosse iperespresso nelle cellule di vari tipi di tumore, inoltre, la crescita di cellule di questo tipo risultava inibita da una serie di anticorpi monoclonali per EGFR sia in vitro che in vivo.

Studi preclinici e clinici hanno confermato la possibilità di indirizzare la terapia verso questo nuovo bersaglio ed è stata accertata ed approvata l’attività clinica di due importanti classi di inibitori di EGFR: gli anticorpi monoclonali, diretti verso il dominio extracellulare del recettore, come il Cetuximab; le “small molecules”, inibitori competitivi dell’ATP per il sito di legame sul dominio tirosinchinasico dell’EGFR, come il Gefitinib e l’Erlotinib. Inoltre occorre ricordare alternative terapeutiche come l’impiego di oligonucleotidi antisenso o ribozimi che diminuiscono l’espressione dell’EGFR.

9,14

Il primo approccio per l’inibizione dell’EGFR è rappresentato dagli anticorpi monoclonali; essi infatti sono in grado di interagire con il dominio extracellulare del recettore competendo con il suo ligando e bloccando quindi l’attivazione. Tale processo si traduce nell’inibizione della crescita cellulare.

Il Cetuximab (IMC-225), ad esempio, è una immunoglobulina G1 (IgG1) con una affinità verso l’EGFR maggiore rispetto all’EGF ed interagisce con il dominio III del recettore occludendone parzialmente la regione deputata all’interazione del ligando.

Poiché i fattori di crescita per un’interazione ad alta affinità con il recettore devono stabilire un legame sia con il dominio III che con il dominio I, è sufficiente bloccare uno solo dei due legami per prevenire la trasmissione del segnale. Quindi anche se il Cetuximab non interferisce con il dominio I, il recettore viene bloccato ugualmente.

In più il Cetuximab legato all’EGFR porta all’internalizzazione del recettore e quindi

ad una dowregulation dell’EGFR sulla superficie cellulare, con riduzione della

trasduzione del segnale.

[9]

Un’altra azione del Cetuximab è il blocco del cambiamento

di conformazione del recettore, che è indispensabile per la dimerizzazione e la

proliferazione dei fattori pro-angiogenici. Il Cetuximab ha dimostrato di inibire varie

linee cellulari di tumori umani, questa azione è dovuta all’arresto del ciclo cellulare

nella fase G1 e/o all’apoptosi. Questo anticorpo è stato valutato in studi clinici sia come

(20)

Introduzione

singolo agente, sia associato con le convenzionali chemioterapie e terapie con radiazioni. Poiché l’inibizione dell’EGFR e le terapie convenzionali agiscono potenzialmente attraverso meccanismi citotossici diversi, teoricamente la combinazione delle terapie offre un potenziale vantaggio di sinergismo dell’attività, senza la sovrapposizione degli effetti collaterali.

6,14

Oltre a questi, esiste un’altra classe anticorpi monoclonali anti-EGFR in grado di prevenire la dimerizzazione del recettore, come ad esempio il pertuzumab (2C4).

Questo anticorpo lega il recettore HER2 ed impedisce la sua eterodimerizzazione con altri membri della famiglia HER.

Il secondo approccio per la terapia contro il cancro prevede l’utilizzo di piccole molecole permeabili alle membrane, che competono con l’ATP per il legame sulla porzione tirosinchinasica del recettore, bloccando così la sua attività catalitica. Alcune di queste inducono la formazione di omodimeri EGFR o eterodimeri EGFR/HER2 inattivi. Tali molecole, oltre alla capacità di bloccare l’attività catalitica dei recettori non mutati appartenenti alla famiglia HER, inibiscono anche quella dei recettori mutati che non presentano la porzione extracellulare.

Gli anticorpi monoclonali e le piccole molecole hanno quindi meccanismi d’azione diversi che però portano agli stessi effetti a livello della trasduzione del segnale. Infatti entrambi bloccano efficacemente la trasduzione del segnale dell’EGFR, inclusa la cascata delle MAPK e PI3K/Akt e quella del Jak/Stat. Una differenza sostanziale tra gli anticorpi monoclonali e le piccole molecole è che i primi sono inibitori selettivi nei confronti dell’EGFR, gli altri invece sono meno selettivi all’interno dei membri della famiglia HER, infatti, se alcune cellule neoplastiche precedentemente inibite dalle piccole molecole sono trattate con gli anticorpi monoclonali, aumenta l’attività antitumorale. Questo fa pensare ad una possibile terapia combinata tra i due diversi tipi di inibitori recettoriali.

14

La prima piccola molecola ad essere stata approvata dalla FDA degli Stati Uniti nel 2003 per il trattamento del cancro al polmone non a piccole cellule (NSCLC) è il Gefitinib (Iressa

®

, ZD1839).

Il Gefitinib è un derivato della 4-anilinochinazolina a basso peso molecolare (447), è

attivo se somministrato per os, ed è un inibitore reversibile di tipo competitivo, potente

e selettivo per EGFR.

6,15

In vitro questa molecola è in grado di inibire l’attività

(21)

Introduzione

chinasica del recettore con una IC

50

di 23nM, ma in vivo, a causa dell’elevata concentrazione intracellulare di ATP, sono necessarie dosi maggiori che portano all’inibizione di altre tirosinchinasi come l’ErbB2. Il Gefitinib infatti inibisce l’autofosforilazione dell’ErbB2 con una IC

50

1µM nelle cellule del tumore al seno in cui questo recettore dimerizza con l’EGFR.

6

I primi studi effettuati su questa molecola rivelarono elevati effetti citostatici, ma scarsi effetti citotossici. E’ stato suggerito che il Gefitinib potesse favorire meccanismi proapoptotici che coinvolgono alcuni membri della famiglia delle proteine Bcl2 come la Bad.

16

Tale molecola non prolunga la sopravvivenza nei pazienti affetti da adenocarcinoma, ma risulta avere maggior effetto sui tumori al polmone soprattutto nei soggetti di origine asiatica e nei non-fumatori. Dopo il trattamento con il Gefitinib, infatti, in questi soggetti si assiste ad un aumento della sopravvivenza rispettivamente di 9.5 e 5.5 mesi.

17

Il Gefitinib sembra inibire indirettamente anche l’angiogenesi, la crescita delle cellule del cancro al colon umano, al seno, alle ovaie e a livello gastrico, effetto accompagnato in vivo da una riduzione della produzione del VEGF e del TGF-α.

Il trattamento con il Gefitinib è associato ad una rapida regressione dei tumori citati, se però la somministrazione è discontinua il tumore ricresce, per cui è necessario somministrare la molecola periodicamente.

6

Il Gefitinib è stato associato con molti agenti citotossici: il risultato è stato un aumento degli effetti antitumorali sia nelle colture cellulari che nei modelli in vivo, eccetto per l’associazione con Gemcitabina. Inoltre il trattamento con Gefitinib risulta avere effetti sinergici con il trattamento chemioterapico e con le radiazioni, effetti che si sono dimostrati sequenza-dipendenti. Infatti se il Gefitinib è somministrato prima delle radiazioni e prima o durante la terapia con gli agenti chemioterapici si ottengono buoni risultati, se però la molecola è somministrata successivamente, si assiste ad effetti antagonisti.

16

Gli effetti collaterali di tale molecola sono: diarrea, nausea, vomito e rash cutaneo.

Erlotinib (OSI-774, Tarceva®), Lapatinib (GW572016) e Canertinib (CI-1033), sono altri esempi di derivati 4-anilinochinazolinici con potente attività di inibizione nei confronti dell’EGFR.

Erlotinib è attivo se somministrato per os, presenta un’alta selettività inibitoria

reversibile verso l’EGFR, con IC

50

2 nM.

16

Anche se il meccanismo d’azione è uguale a

(22)

Introduzione

quello del Gefitinib, Erlotinib risulta essere più attivo perché viene dosato alla sua massima dose tollerabile (MTD), mentre la dose del Gefitinib è un terzo della MTD.

17

Gli studi hanno dimostrato la sua attività inibitoria su molti tumori come carcinoma renale, carcinoma colorettale, NSCLC, cancro del pancras. Il trattamento prolungato dei pazienti con tale sostanza porta ad una riduzione delle metastasi del 30%. Gli effetti collaterali sono simili a quelli provocati dal Gefitinib, questo suggerisce che questi eventi siano correlati all’inibizione degli HER1.

4

Lapatinib, invece, è un potente inibitore sia di EGFR che di erbB-2 (IC

50

rispettivamente 11 nM e 9.2 nM) ed è privo di attività nei confronti di altre chinasi.

[18]

I recettori EGFR ed erbB-2 hanno domini omologhi e la loro simultanea inibizione rappresenta una valida opportunità terapeutica per i pazienti affetti dal tumore.

E’ stata infatti osservata una iperespressione di erbB-2 nel tumore alla mammella ed una co-iperespressione di entrambi i recettori in pazienti affette da cancro ovarico.

19

Infine Canertinib è un inibitore irreversibile della attività chinasica di EGFR (IC

50

1.5 nM) e di erbB-2 ed erbB-3.

20

Il Canertinib agisce alchilando residui di cisteina presenti nella tasca di legame dell’ATP nell’EGFR e negli altri membri della famiglia HER, bloccandone la fosforilazione. L’effetto inibitorio è prolungato data la sua capacità di legarsi irreversibilmente. Questa molecola interferisce anche con il processo di dimerizzazione tra EGFR e HER2.

9

Canertinib mostra inoltre una azione sinergica positiva qualora venga associato ad altri agenti citotossici oppure alle radiazioni ionizzanti.

21

NOTIZIE SULL’USO CLINICO DEGLI INIBITORI DI EGFR

Gli inibitori di EGFR costituiscono un settore dinamico di ricerca e sviluppo, in quanto presentano caratteristiche tali da renderli particolarmente versatili nel contrastare l’accrescimento tumorale. Possiamo infatti elencare i benefici che questa nuova classe di antitumorali può apportare a livello clinico:

• Efficaci in molti tipi di tumori solidi.

• Utilizzabili per lunghi periodi di trattamento.

• Possono essere utilizzati sia in monoterapia che in associazione con altri

farmaci.

(23)

Introduzione

• Buona tollerabilità.

• Non presentano ematotossicità.

• Riducono la resistenza alla radioterapia o alla terapia con ormoni.

• Migliorano la qualità della vita rispetto ad altri tipi di farmaci antitumorali.

• Non necessitano di premedicazione o di dosaggio monitorizzato.

Nella tabella 4 è inoltre riportata la descrizione di alcuni farmaci utilizzati nella sperimentazione e la fase in cui essi si trovano.

19

Composto Azione Target Tipo di

Tumore Stadio clinico Gefitinib

IRESSA ZD1839

Inibitore reversibile, ATP-competitivo

EGFR NSCLC Approvato

(2003)

Erlotinib TARCEVA

OSI-774

Inibitore reversibile, ATP-

competitivo

EGFR NSCLC, cancro

pancreatico Approvato (2004)

Lapatinib GW572016

TYKERB EGFR, ErbB2

Cancro al seno Her-2 positivo;

NSCLC, carcinoma squamoso epiteliale della testa e del collo

Approvato (2007) Fase II

Canertinib CI-1033

Inibitore irreversibile

EGFR,ErbB2,Erb B3

NSCLC e cancro

al seno Fase I / II

Cetuximab Erbitux IMC-225

Anticorpo

monoclonale EGFR CRC; cancro al pancreas

Approvato (2004) Fase II

Pertuzumab rhumAb2C4 Omnitarg

Anticorpo monoclonale

umanizzato

ErbB2 dimerizzazione

Cancro al seno, alla prostata, alle

ovaie

Fase II / III

Tabella 4

(24)

Introduzione

RESISTENZA ALLE TERAPIE “EGFR-TARGETING”

Sono state osservate differenze individuali nelle risposte dei pazienti sottoposti a terapie con inibitori di EGFR. La prima differenza studiata riguarda una stretta dipendenza dell’efficacia della terapia dal “contenuto” di EGFR, cioè dalla sua espressione nelle cellule.

Altre differenze nelle risposta alla terapia riguardano invece la presenza di mutazioni;

queste, a seconda della localizzazione, possono influenzare l’effetto di alcuni degli agenti inibitori di EGFR:

- la presenza di mutazioni a livello extracellulare incide sulle terapie con anticorpi monoclonali;

- mutazioni che interessano amminoacidi nella fessura di binding dall’ATP sul dominio tirosinchinasico intracellulare incidono sulla risposta a farmaci come il gefitinib; i pazienti che presentano queste mutazioni rispondono molto meglio alla terapia, per lo meno nella fase iniziale del trattamento. Infatti si è notato che in qualche paziente, che inizialmente rispondeva al trattamento con Gefitinib, dopo trattamenti prolungati l’EGFR acquista una seconda mutazione che porta ad una elevata resistenza verso tali sostanze;

14,22

- mutazioni a livello di fattori intermedi, come k-Ras, Raf , PIK3CA sono elementi che possono influenzare l’attività di farmaci inibitori di EGFR.

Questa diversa sensibilità ai vari trattamenti in dipendenza dei fattori sopra elencati

rende necessaria un’accurata selezione dei pazienti per poter procedere con un

trattamento adeguato.

(25)

Introduzione

NUOVI ORIENTAMENTI TERAPEUTICI

Nell’intento di migliorare l’efficacia della terapia antitumorale si stanno affermando sempre di più trattamenti terapeutici combinati, che possono essere essenzialmente di due tipi:

-Terapie combinate rivolte allo stesso target, usando sia inibitori reversibili che irreversibili, aventi differente spettro di resistenza indotta da mutazioni; una sperimentazione clinica con lapatinib e trastuzumab ha portato a risultati incoraggianti;

-Terapia rivolta a più recettori diversi, usando inibitori multi-target di EGFR e di altri membri della famiglia HER (come canertinib, inibitore di EGFR, HER2 e HER3), oppure inibitori multitarget di EGFR e di tirosin chinasi appartenenti a gruppi diversi, come VEGFR (Vascular Endothelial Growth Factor Receptor).

L’azione combinata su EGFR e VEGFR potrebbe infatti consentire di bloccare sia i vari meccanismi mitogenici delle cellule cancerose sia la vascolarizzazione ad esse associata.

L’angiogenesi è infatti il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni dal sistema vascolare preesistente e comprende l’attivazione di cellule endoteliali da parte di fattori pro-angiogenici e il rilascio di enzimi proteolitici, seguiti da migrazione di cellule endoteliali, loro proliferazione e formazione del vaso capillare. VEGF è un fattore cruciale in questo processo.

VEGFR è un’altra importante sottofamiglia delle tirosinchinasi. Ne esistono due tipi:

VEGFR-1 e VEGFR-2 strettamente correlati tra loro, che hanno sia ligandi specifici che ligandi comuni: VEGFR-1 si attiva solo in seguito a eterodimerizzazione, mentre VEGFR-2 è molto attivo e innesca cascate di segnali che si traducono in diverse risposte cellulari. La sua attività è essenziale nell’angiogenesi; esso agisce per dimerizzazione ligando-mediata, transfosforilazione ed interazione con le proteine substrato.

Esistono molti inibitori tirosinchinasici che non sono molto selettivi nei confronti di un solo recettore. Questa prospettiva può essere sfruttata dalla selezione di agenti che hanno come bersaglio più chinasi che sono interessate nella progressione del tumore.

Per esempio il Vandetanib (ZD6474, AstraZeneca) è un inibitore tirosinchinasico attivo

per os che mostra una potente attività agonista verso VEGFR-2 e, in minor misura,

(26)

Introduzione

verso EGFR (Figura 12). La sua somministrazione nei topi porta ad un’inibizione del segnale VEGF, dell’angiogenesi, della neurovascolarizzazione indotta dal tumore e della crescita dei tumori. Studi clinici e preclinici dimostreranno se i composti con duplice attività porteranno a benefici maggiori rispetto alla terapia rivolta selettivamente ad una tirosinchinasi o alla terapia combinata multi-target.

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Figura 12. Blocco del segnale del VEGFR

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