• Non ci sono risultati.

Storia di un problema

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Storia di un problema"

Copied!
138
0
0

Testo completo

(1)

Storia di un problema

Il problema matematico della tassellazione dello spazio per mezzo di uno stesso poliedro regolare ripetuto ha una storia piuttosto singolare, che risale ormai a oltre duemila anni fa.

Emerso in una disputa tra i due maggiori filosofi greci dell’antichità, il problema è stato riformulato e affrontato nel corso dei secoli da diversi filosofi e uomini di scienza e continua tuttora a essere oggetto di studio da parte dei matematici.

Nel presente capitolo si mostrerà come a porsi per primo il problema di quali poliedri regolari riempiano esattamente lo spazio sia stato Aristotele nel suo trattato De caelo, in polemica con la fisica geometrica1 formulata da Platone nel Timeo.

Il contesto nel quale sorse il problema non è, dunque, matematico, bensì fisico-filosofico e tale rimase, poi, anche per il commentatore di Aristotele, Simplicio, nonchè per i filosofi della Scolastica. Costoro, pur formulando in modo sempre più approfondito la questione e cercando soluzioni anche alternative a quella aristotelica, in ultima analisi, non abbandonarono mai la cornice filosofica originaria e, di conseguenza, non approdarono mai alla soluzione.

Il momento di rottura, il salto dall’ottica e dalla trattazione filosofiche a quelle puramente matematiche avvenne solo nel Cinquecento con Francesco Maurolico, che, sulla scia di Regiomontano, compose il Libellus de impletione loci e vi affrontò la questione in termini del tutto nuovi, fornendone, dopo secoli, la soluzione.

1DEZARNAUD DANDINE, SEVIN 2009, p. 65.

(2)

1.1 Il problema: Aufbau des Raumes aus congruenten Polyedern

2

In occasione del Secondo Congresso Internazionale dei Matematici, tenutosi l’8 agosto del 1900 a Parigi, il matematico tedesco David Hilbert (Konisberg 1862 – Gottinga 1943) espose i suoi ventitré “problemi matematici”3.

Egli introdusse la sua esposizione, affermando che, come tutte le scienze, anche la matematica si sviluppa e avanza continuamente. Fin dai tempi più antichi i matematici si sono impegnati con grande zelo nella risoluzione di problemi complessi, permettendo alla matematica di raggiungere il livello attuale.

As long as a branch of science offers an abundance of problems, so long is it alive; a lack of problems foreshadows extinction or the cessation of independent development4.

È appunto il configurarsi di problemi sempre nuovi a garantire lo sviluppo continuo della matematica, come delle altre scienze. Se non ci fossero questioni irrisolte, non ci sarebbe motivo per i matematici di studiare, ricercare, far progredire le proprie conoscenze. Formulare problemi da risolvere significa indirizzare la ricerca matematica lungo un determinato percorso.

Who of us would not be glad to lift the veil behind which the future lies hidden; to cast a glance at the next advances of our science and at the secrets of its development during future centuries? What particular goals will there be toward which the leading mathematical spirits of coming generations will strive? What new methods and new facts in the wide and rich field of mathematical thought will the new centuries disclose?5.

L’obiettivo di Hilbert era, dunque, quello di rispondere alla domanda “what particular goals will there be toward which the leading mathematical spirits of coming generations will strive?”6, elencando i ventitrè problemi che riteneva i matematici avrebbero affrontato nell’immediato futuro, così da tracciare la linea di sviluppo che la matematica avrebbe seguito negli anni successivi.

2HILBERT 1900, p. 285. I passi citati di seguito sono tratti dalla traduzione inglese di M.W. Newson (NEWSON 1902, pp. 437-479).

3In realtà al Congresso presentò solo dieci (1, 2, 6, 7, 8, 13, 16, 19, 21, 22) dei ventitré problemi esposti negli atti (HILBERT 1900).

4HILBERT 1900, p. 254 ; NEWSON 1902, p. 438.

5HILBERT 1900, p. 253; NEWSON 1902, p. 437.

6HILBERT 1900, p. 253; NEWSON 1902, p. 437.

(3)

Hilbert individuò come diciottesimo problema: “Building up of space from congruent polyhedra”7 e lo introdusse affrontando innanzitutto il problema analogo relativo al piano:

If we enquire for those groups of motions in the plane for which a funda- mental region exists, we obtain various answers, according as the plane considered is Riemann’s (elliptic), Euclid’s, or Lobachevsky’s (hyperbolic)8. Il medesimo problema ha soluzioni diverse in base al tipo di piano considerato, ellittico, euclideo o iperbolico, e

in the case of the elliptic plane there is a finite number of essentially different kinds of fundamental regions, and a finite number of congruent regions suffices for a complete covering of the whole plane; the group consists indeed of a finite number of motions only. In the case of the hyperbolic plane there is an infinite number of essentially different kinds of fundamental regions, namely, the well-known Poincaré polygons. For the complete covering of the plane an infinite number of congruent regions is necessary. The case of Euclid’s plane stands between these; for in this case there is only a finite number of essentially different kinds of groups of motions with fundamental regions, but for a complete covering of the whole plane an infinite number of congruent regions is necessary9.

Tra i tre, suscitava l’interesse di Hilbert proprio il “caso” euclideo, dal momento che

while the results and methods of proof applicable to elliptic and hyperbolic space hold directly for n-dimensional space also, the generalization of the theorem for euclidean space seems to offer decided difficulties10.

Mentre nei primi due casi relativi al piano “exactly the corresponding facts are found in space of three dimensions”, nel terzo caso sorgono dei problemi.

In particolare la questione sollevata dal “caso” euclideo è:

is there in n-dimensional euclidean space also only a finite number of es- sentially different kinds of groups of motions with a fundamental region?11 E, dato che “a fundamental region of each group of motions, together with the congruent regions arising from the group, evidently fills up space completely”, sorge spontanea la questione:

7HILBERT 1900, p. 285; NEWSON 1902, p. 466.

8HILBERT 1900, p. 285; NEWSON 1902, p. 466.

9HILBERT 1900, p. 285; NEWSON 1902, p. 466.

10HILBERT 1900, p. 286; NEWSON 1902, p. 467.

11HILBERT 1900, p. 286; NEWSON 1902, p. 467.

(4)

whether polyhedra also exist which do not appear as fundamental re- gions of groups of motions, by means of which nevertheless by a suitable juxtaposition of congruent copies a complete filling up of all space is possible12.

Hilbert, quindi, si chiedeva se fosse possibile riempire perfettamente una data porzione di spazio con copie congruenti di un poliedro non regolare;

ossia se esistesse un poliedro non regolare che ripetuto riempisse lo spazio senza lasciare vuoti.

Strettamente correlata a questa era un’altra questione, “sometimes useful to physics and chemistry”:

how can one arrange most densely in space an infinite number of equal solids of given form, e. g., spheres with given radii or regular tetrahedra with given edges (or in prescribed position) [...]?13

Si tratta del “body packing problem”14: qual è la più alta densità di copie congruenti di uno stesso solido in una data porzione di spazio euclideo?

La tassellazione dello spazio per mezzo di uno stesso solido ripetuto e il calcolo della maggiore densità possibile di copie congruenti di un solido in uno spazio determinato sono due volti della stessa medaglia.

Se l’interesse per la questione della densità d’impacchettamento dei solidi – in particolare delle sfere – nacque nel Cinquecento, in ambito militare, alla ricerca del modo migliore di immagazzinare palle di cannone nel limitato spazio delle navi, il problema della tassellazione dello spazio – specificatamente con i poliedri regolari – sorse, invece, in ambito filosofico, nel IV sec. a.C. e fu affrontato nel corso dei secoli in relazione all’analogo problema della tassellazione del piano.

La tassellazione del piano e dello spazio

Si definisce tassellazione del piano la copertura di una data superficie per mezzo di figure geometriche, dette tasselli, senza spazi vuoti nè sovrapposi- zioni15.

E’ possibile classificare le tassellazioni in base alla disposizione, alla varietà e alla forma dei tasselli utilizzati.

12HILBERT 1900, p. 286; NEWSON 1902, p. 467.

13HILBERT 1900, p. 286; NEWSON 1902, p. 467.

14OLIVEIRA, VALLENTIN 2013, p. 1.

15Per una trattazione accurata della tassellazione del piano e per una ricostruzione storica del problema si veda: B. GRÜNBAUM, G.C. SHEPHARD, Tilings and Patterns, W.H. Freeman, New York 1987.

(5)

Si possono distinguere innanzitutto tassellazioni periodiche e aperiodiche:

le prime si basano su un pattern di tasselli ripetuto, ossia dotato di simmetria traslazionale; le seconde, invece, su un pattern che non gode di simmetria traslazionale, ma piuttosto di altri tipi di simmetria.

tassellazione periodica

Nel 1961 H. Wang (1921 – 1995) aveva congetturato che, se un gruppo di figure tassella il piano, questo può sempre essere disposto in modo tale che la tassellazione sia periodica. Questa tesi è stata rifiutata nel 1966 da Robert Berger (1938 – ), che ha dimostrato la possibilità di realizzare tassellazioni aperiodiche, coprendo il piano con 20426 tasselli distinti.

Procedendo su questa via, nel 1971, R. Robinson ha ridotto a sei il numero di tasselli necessari per una tassellazione aperiodica e, nel 1974, Roger Penrose (Colchester, 1931 – ) ha scoperto che ne sono sufficienti due.

Celebre è la sua tassellazione con la coppia di tasselli dardo-aquilone, che genera infinite diverse tassellature aperiodiche.

tassellazione aperiodica di Penrose

Tra tutte le tassellazioni possibili, si definiscono monoedrali quelle che utilizzano tasselli congruenti. Tra queste, si dicono isoedrali quelle costituite da tasselli appartenenti alla stessa classe di transitività, ossia trasformazioni di uno stesso tassello secondo il gruppo di simmetria della tassellazione;

anisoedrali quelle che non sono isoedrali.

(6)

tassellazione

monoedrale isoedrale tassellazione monoedrale

anisoedrale

Un tipo particolare di tassellazione periodica e isoedrale è quella rego- lare, che ha come tassello un unico poligono regolare, ossia equilatero ed equiangolo.

Esistono solo tre tassellazioni regolari: con triangoli equilateri, con quadrati e con esagoni16.

triangoli equilateri quadrati esagoni

Tra i poligoni regolari, solo gli angoli del triangolo equilatero, del quadrato e dell’esagono, rispettivamente di 60, 90 e 120, sono sottomultipli di 360 e, quindi, disposti intorno a un punto comune, coprono perfettamente tutto il piano circostante.

Queste tre tassellazioni regolari sono sinteticamente indicate come 3.3.3.3.3.3, 4.4.4.4, 6.6.6, sigle che contengono due informazioni: il numero di lati del poligono (3 per il triangolo, 4 per il quadrato e 6 per l’esagono) e il numero di poligoni disposti intorno al punto comune (6 triangoli, 4 quadrati e 3 esagoni).

È possibile, inoltre, realizzare otto tassellazioni semiregolari o archime- dee, utilizzando più poligoni regolari: 3.3.3.4.4, 3.3.4.3.4, 3.3.3.3.6, 3.6.3.6, 3.12.12, 4.8.8, 3.4.6.4, 4.6.12.

16GRÜNBAUM, SHEPHARD 1977, p. 228.

(7)

tassellazioni semiregolari

Oltre a quelle regolari e semi-regolari, ci sono molte tassellazioni irregolari, ossia costituite da ogni tipo e varietà di forme geometriche e non. Esse possono essere sia periodiche che aperiodiche e sono molto diffuse nell’arte e nell’architettura, dall’antichità fino ai giorni nostri.

irregolare periodica17

17Particolare di mosaico; Alhambra, Granada.

(8)

irregolare aperiodica18

L’artista olandese M.C. Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren, 1972) è celebre per le sue tassellazioni con tasselli a forma di animali o di altri elementi naturali, in bianco e nero o di colori diversi per evidenziare la sequenza delle forme.

periodica aperiodica

Oltre che per il piano euclideo, si può parlare di tassellazione anche per lo spazio.

La tassellazione dello spazio è il riempimento di una data porzione di spazio senza lasciare vuoti, per mezzo di solidi geometrici, disposti in modo tale che abbiano in comune almeno un vertice, uno spigolo o una faccia.

18Particolare di decorazione del Santuario di Darb-i Imam, Isfahan, Iran.

(9)

Si definiscono regolari le tassellazioni che hanno come tasselli un solo poliedro regolare ripetuto.

Tra i cinque poliedri regolari soltanto uno tassella lo spazio da solo, il cubo. Otto cubi congruenti, disposti intorno a un punto comune, riempiono perfettamente lo spazio.

tassellazione con i cubi

Le tassellazioni semi-regolari, invece, si ottengono dalla ripetizione di un poliedro semi-regolare o archimedeo. Tra i tredici poliedri semi-regolari, soltanto l’ottaedro tronco, da solo, tassella lo spazio.

tassellazione con gli ottaedri tronchi

Dal momento che il piano ammette tre tassellazioni regolari, intuitivamen- te si è portati a pensare che anche lo spazio debba ammetterne il medesimo numero. Se il triangolo equilatero, il quadrato e l’esagono, da soli, coprono perfettamente una data porzione di superficie, i solidi ’corrispondenti’, ossia il tetraedro regolare, il cubo e il prisma esagonale, dovvrebbero allo stesso modo riempire esattamente un dato spazio. Tuttavia, come si è appena detto, ciò non è vero.

Per secoli questa errata “intuizione”, avvalorata ulteriormente dal nome di colui che per primo l’ha esposta, è stata alla base degli studi, delle argomentazioni e delle dimostrazioni elaborate per risolvere il problema della tassellazione dello spazio con i poliedri regolari.

(10)

1.2 Le origini del problema: dal Timeo al De caelo

Il primo19a chiedersi quali forme geometriche potessero riempire esattamente un dato spazio, senza lasciare alcuno spiraglio vuoto, fu Aristotele (Stagira 384/3 a.C. – Calcide 322 d.C.), in un passaggio del III libro del De caelo20.

L’opera tratta del “cielo e delle sue parti, degli astri che in esso si muovono, di che sostanze siano composti e quale sia la loro natura, e inoltre che siano ingenerati e incorruttibili”21. Il libro in questione, tuttavia, non è dedicato al cielo, bensì al mondo sublunare, ai corpi terrestri e ai loro movimenti, verso l’alto e verso il basso e di generazione e corruzione.

La trattazione di quest’ultimo argomento si avvia con una breve pa- noramica delle teorie fisiche del tempo: Melisso e Parmenide ritengono la generazione e la corruzione dei corpi apparenti e non reali; Esiodo, Orfeo e Museo sostengono, invece, che tutte le cose nascano ma non tutte periscano, dal momento che alcune sono incorruttibili e altre no; Talete, Anassimandro, Anassimene ed Eraclito negano l’essere stesso delle cose, che sarebbero piut- tosto trasformazione di una sostanza, substrato di tutto; infine per Pitagora e Platone tutti i corpi generati sono, in ultima analisi, costituiti da superfici.

Se per quanto riguarda le altre teorie “il discorso sarà da farsi altrove”22, l’ultima suscitava evidentemente una tale perplessità nel filosofo da indurlo subito a discuterla accuratamente.

Com’era possibile accettare una teoria fisica che entrasse in aperta contraddizione con le verità matematiche?

Platone

Il Timeo e il Crizia sono due dei cosiddetti “dialoghi della vecchiaia” di Platone (Atene 428/427 a.C. — Atene 348/347 a.C.), nei quali il filosofo intende fondare “nella natura” i tratti ideali dello Stato perfetto presentato nella Repubblica.

19Dagli studi e dalle ricerche condotte nell’ambito del presente progetto risulta che Aristotele sia stato il primo a porsi il problema di quali poligoni e poliedri riempiano la superficie e lo spazio. Sebbene non si possa escludere del tutto che altri prima di lui si siano pronunciati in materia, è certo, tuttavia, che il “problema” sia nato con la sua affermazione. Per una breve ricostruzione della storia della tassellazione con i poliedri regolari si veda: SENECHAL 1981; LAGARIAS, ZONG 2012; OLIVEIRA, VALLENTIN 2013.

20ARISTOTELE, De caelo, III (Γ), 298 a, 25-307 b, 251. I passi citati sono tratti dall’edizione di O. Longo, (LONGO 2008, pp. 297-421).

21ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 1, 298 a, 24-26; LONGO 2008, p. 379.

22ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 1, 299 a, 1; LONGO 2008, p. 380.

(11)

Il primo passo (compiuto nel Timeo) è l’analisi del principio, della com- posizione e della struttura dell’universo, luogo d’origine e di vita dell’uomo, per mostrarne l’armonia e la perfezione. Il passo successivo (compiuto nel Crizia) è la fondazione tra mito e leggenda di una città perfetta, sul modello

dell’universo, con i suoi cittadini e le sue vicende grandiose.

Il Timeo23 si apre con le parole di Socrate, che, rivolgendosi ai convitati presenti, Timeo, Ermocrate e Crizia, e a un personaggio ignoto assente, delinea brevemente il quadro entro cui si colloca la materia dei due dialoghi:

la città ideale, le sue leggi, i cittadini, la loro educazione. Dopo di lui, Crizia affida a Timeo, “quello più versato in astronomia e <che> ha studiato assai a fondo per conoscere la natura dell’universo”24, il compito di trattare l’origine e la costituzione dell’universo, fino alla nascita dell’uomo. Egli stesso, poi, (nel dialogo successivo) avrebbe “ricevuto da lui gli uomini cui ha dato vita con il suo discorso”25, per farne i cittadini perfetti.

Timeo distingue i quattro generi delle cose che sono: le idee, che sono e non divengono, sono eterne e immutabili e hanno in sè il principio della propria esistenza; le cose e il mondo sensibile, che divengono e si trasformano sempre, acquistano le loro caratteristiche e il loro nome dalle idee, delle quali partecipano; la χ¸ρα, che è il “ricettacolo” e la nutrice di tutte le cose, il luogo in cui esse partecipano delle idee; il demiurgo, il “costruttore e padre di questo universo”, colui che crea ordine dal disordine, che, contemplando le idee, plasma e foggia la χ¸ρα a loro immagine e somiglianza, cosicchè il mondo sensibile sia simile a quello intelligibile.

Il demiurgo, quindi, ha un ruolo determinante nella costituzione dell’uni- verso: imprimere ordine al caos per creare l’unico universo possibile, “che assomigliasse quanto più possibile al più bello e al più perfetto in tutto fra gli esseri intelligibili [...] un vivente unico, visibile, che comprende in sè tutti i viventi che gli sono per natura congeneri”.26

Il primo passo è la costituzione del corpo del mondo, mescolando i quattro elementi fondamentali, aria, acqua, terra e fuoco, non in modo casuale, bensì secondo una proporzione ben precisa che generi una struttura armonica e matematica.

Ciò che è generato deve essere certo di natura corporea e perciò visibile e tangibile, ma nulla potrebbe mai diventare visibile se fosse separato dal fuoco, nè tangibile senza qualche elemento solido nè solido senza la

23PLATONE Timeo; i passi citati sono tratti dall’edizione di F. Fronterotta (FRONTEROTTA 2003).

24PLATONE Timeo, 27a, 3-6; FRONTEROTTA 2003, p. 175.

25PLATONE Timeo, 27a, 7-8; FRONTEROTTA 2003, p. 175.

26PLATONE Timeo, 30d, 2-31a, 1; FRONTEROTTA 2003, p. 189.

(12)

terra; ed è la ragione per cui il dio, quando cominciò a costruire il corpo dell’universo, lo fece di fuoco e di terra.27

Due elementi non sono sufficienti, dal momento che è necessario un terzo che istituisca un legame intermedio tra loro e ancora un quarto affinchè il mondo sia solido e non piano:

così il dio, introdotte l’acqua e l’aria fra il fuoco e la terra e avendo fatto in modo che si trovassero fra loro, per quanto era possibile, nello stesso rapporto in cui come il fuoco sta all’aria, così l’aria sta all’acqua e, come l’aria sta all’acqua, così l’acqua sta alla terra, unì insieme e produsse il cielo visibile e tangibile. Ecco come, a partire da tali elementi che sono quattro di numero, fu generato il corpo del mondo, che è in accordo con se stesso in base alla proporzione.28

Per un mondo perfetto il demiurgo non può scegliere altra forma che la sfera,

“che è la più perfetta di tutte le figure e la più simile a se stessa, giudicando il simile assai più bello del dissimile”29.

Se l’universo nella sua totalità ha forma sferica, i quattro elementi fondamentali sono a loro volta costituiti da particelle con particolari forme;

infatti Timeo afferma:

Credo sia chiaro a chiunque che fuoco, terra, acqua e aria sono corpi; ma ogni specie di corpo ha anche profondità30.

solidi platonici raffigurati da Keplero

27PLATONE Timeo, 31b, 4-6; FRONTEROTTA 2003, p. 189.

28PLATONE Timeo, 32b, 3-32c, 2; FRONTEROTTA 2003, pp. 191-193.

29PLATONE Timeo, 33b, 5-7; FRONTEROTTA 2003, p. 195.

30PLATONE Timeo, 53c, 4-5; FRONTEROTTA 2003, p. 281.

(13)

Inizia così un’accurata trattazione geometrica dei quattro elementi fon- damentali, che procede per “riduzione”: aria, acqua, terra e fuoco sono costituiti da particelle invisibili solide, che a loro volta sono delimitate da superfici piane, dal momento che “è del tutto necessario che la profondità contenga la natura piana”31. Ma “ancora, la superficie piana e retta è composta di triangoli” e “tutti i triangoli derivano da due triangoli, ciascuno dei quali ha un angolo retto e due acuti”32: si tratta di triangoli rettangoli isosceli e scaleni. Tra i molti triangoli rettangoli scaleni c’è “il più bello, ossia quello dal quale, raddoppiato, se ne costituisce un terzo, il triangolo equilatero”33.

Le figure geometriche alle quali è riconducibile il tutto, le unità costitutive di ogni cosa sono, dunque, per Platone, da un lato la sfera, il contenitore non contenuto di tutto l’universo, e dall’altro i triangoli rettangoli isoscele e scaleno con gli angoli acuti di 30 e 60. Stadio intermedio tra le cellule triangolari e la totalità sferica sono i cinque poliedri regolari, che si formano, appunto, dall’aggregazione dei triangoli, come Timeo descrive:

Se si uniscono quattro triangoli equilateri, essi formano, ogni tre angoli piani, un angolo solido, che segue il più ottuso degli angoli piani; una volta che si sono formati quattro angoli di tal genere, si ha allora il primo genere di solido, che ha la proprietà di dividere un’intera sfera in parti uguali e simili34.

Si tratta del tetraedro regolare, composto appunto da quattro triangoli equilateri, che, se inscritto in una sfera, la divide in parti uguali. Dal momento che “fra tutte le forme, quella che ha il numero più piccolo di basi è necessario che sia per natura la più mobile, poiché è in ogni sua parte la più tagliente e la più acuta di tutte, ed è inoltre la più leggera, in quanto è composta dal più piccolo numero delle stesse parti”35, “la figura solida della piramide” sarà “il seme del fuoco”, l’elemento più leggero e più mobile tra tutti.

Il secondo genere è costituito a partire dagli stessi triangoli, riuniti insieme in otto triangoli equilateri a formare un angolo solido di quattro angoli piani; e quando si ottengono sei angoli di tal genere, il secondo corpo è così a sua volta realizzato.36.

31PLATONE Timeo, 53c, 6-7; FRONTEROTTA 2003, p. 281.

32PLATONE Timeo, 53c, 6-7; FRONTEROTTA 2003, p. 281.

33Si tratta del triangolo rettangolo scaleno con gli angoli acuti di 30e 60. PLATONE Timeo, 54a, 5-7; FRONTEROTTA 2003, p. 285.

34PLATONE Timeo, 54e, 3 – 55a, 4; FRONTEROTTA 2003, pp. 287-289.

35PLATONE Timeo, 56a, 6-56b, 2; FRONTEROTTA 2003, p. 293.

36PLATONE Timeo, 55a, 4-8; FRONTEROTTA 2003, p. 289.

(14)

Si riferisce all’ottaedro regolare, composto da otto triangoli equilateri. Hanno questa forma le particelle di aria, che pur meno sottili e mobili di quelle di fuoco, lo sono sempre più di quelle degli altri due elementi.

Il terzo genere di solido è costituito dall’unione di centoventi triangoli elementari e da dodici angoli solidi compresi, ciascuno in cinque triangoli equilateri piani, e ha venti triangoli equilateri per facce37.

È la descrizione dell’icosaedro regolare, cioè della forma delle particelle di acqua, che tendono ad avere una stabilità prossima a quelle di terra.

Fu il triangolo isoscele a generare la natura del quarto genere di solido, che è costituito da quattro triangoli isosceli, congiungendo gli angoli retti al centro e producendo così un tetragono equilatero; quando sei tetragoni equilateri di tal genere furono uniti insieme, produssero otto angoli solidi, costituiti ciascuno dall’unione armoniosa di tre angoli retti piani; la figura del corpo così costituita era quella cubica, dotata di sei tetragoni equilateri per facce38.

Infine il cubo, composto da sei facce quadrate, è la forma delle particelle di terra, “poiché la terra è, fra i quattro elementi, il meno mobile e il più plasmabile dei corpi, ed è soprattutto necessario che tale sia quello che ha le basi più salde; ora, dei triangoli che abbiamo posto al principio, è per natura più salda la base di quelli che hanno lati uguali, rispetto alla base di quelli che hanno lati disuguali, e delle superfici che derivano dall’uno e dall’altro triangolo, il tetragono equilatero si rivela di necessità più saldo del triangolo equilatero, sia rispetto alle sue parti sia rispetto alla sua totalità”39.

Sembra che il demiurgo abbia trascurato il quinto solido regolare, il dodecaedro; in realtà, aggiunge Timeo, “se ne servì per decorare l’universo con figure animali”40, cioè per realizzare le costellazioni.

Dopo aver descritto così dettagliatamente i cinque “semi” del mondo e averne illustrato la struttuta e le caratteristiche matematiche e fisiche, Timeo si affretta a precisare che “bisogna concepire tutte queste forme così piccole, che nessuna sigola porzione di ogni elemento, per la sua piccolezza, sia per noi visibile, laddove, invece, quando si riuniscono insieme, se ne vedono delle masse”41.

Platone delinea nel Timeo, quindi, una “fisica geometrica”, dal momento che riconduce tutti i corpi dell’universo a quattro elementi fondamentali

37PLATONE Timeo, 55a, 8-55b, 3; FRONTEROTTA 2003, p. 289.

38PLATONE Timeo, 55b, 4-55c, 4; FRONTEROTTA 2003, p. 289.

39PLATONE Timeo, 55d, 8-55e, 7; FRONTEROTTA 2003, pp. 291-293.

40PLATONE Timeo, 55c, 4-6; FRONTEROTTA 2003, p. 289.

41PLATONE Timeo, 56b, 7-56c, 3; FRONTEROTTA 2003, p. 293.

(15)

(aria, acqua, terra, fuoco), le cui caratteristiche essenziali si identificano con quelle geometriche di cui sono dotate le loro particelle costitutive. Anche se invisibili, esse hanno la forma dei solidi regolari (tetraedro, ottaedro, icosae- dro, cubo), a loro volta derivati dalla composizione di figure geometriche piane, triangoli equilateri e quadrati, riducibili ulteriormente a triangoli rettangoli scaleni e isosceli. Tutto l’universo, dunque, è riducibile a triangoli.

La stessa natura geometrica dell’universo permette a Platone di spiegare il meccanismo attraverso il quale i quattro elementi si aggregano tra di loro, si trasformano l’uno nell’altro o producono altre sostanze. Infatti

ciò che abbiamo appena chiamato “acqua”, quando ci sembra condensarsi, lo vediamo trasformarsi in pietre e terra, mentre, quando evapora e si scioglie, questo stesso elemento si trasforma in soffio e aria, e l’aria, quando si infiamma, si trasforma in fuoco, mentre quando a sua volta si raccoglie e si spegne, il fuoco torna di nuovo in forma di aria, e ancora l’aria, quando si concentra e si condensa, si trasforma in nube e nebbia; e da queste, quando sono ancor più concentrate, viene fuori acqua che scorre e, dall’acqua, di nuovo terra e pietre, producendosi reciprocamente, sembra, come in un cerchio42.

Questo processo di trasformazione “circolare” avviene in virtù delle proprietà geometriche delle particelle di materia: è la maggiore “acutezza” dei vertici e degli spigoli di alcune particelle rispetto ad altre a determinarne la capacità di tagliarle fino a far loro assumere la propria natura e ad arrestare il processo.

Quando uno degli altri elementi, avvolto nel fuoco, è tagliato da esso grazie all’acutezza dei suoi angoli e dei suoi lati, cessa di essere tagliato solo nel momento in cui assume la natura del fuoco, perchè ogni elemento simile e identico a se stesso non può né produrre alcun mutamento né subirlo da ciò che gli è simile. Ma fino a che un elemento più debole , trovandosi in un elemento diverso, combatte con uno più forte, non cessa di sciogliersi43. Dopo essere state scisse, le particelle di un elemento possono sia restare tali quali sono diventate sia unirsi tra loro e ritornare ad essere ciò che erano sia unirsi ad altre e diventare altro ancora.

L’acqua, ridotta in frammenti dal fuoco o dall’aria, può, ricomponendosi, dare luogo a un corpo di fuoco e a due corpi di aria; ancora, le particelle d’aria, quando una sola di esse è disciolta, possono dare luogo a due corpi di fuoco [...]44

42PLATONE Timeo, 49b, 7-49c, 7; FRONTEROTTA 2003, pp. 259-261.

43PLATONE Timeo, 56e, 8-57b, 3; FRONTEROTTA 2003, p. 297.

44PLATONE Timeo, 56d, 6-56e, 2;FRONTEROTTA 2003, p. 295.

(16)

Soltanto la terra non può trasformarsi in nessuno degli altri elementi, per la natura delle sue particelle: i cubi sono, infatti, costituiti da triangoli isosceli, che, aggregandosi, non possono generare nessun altro solido regolare all’infuori del cubo.

La natura geometrico-matematica dell’universo fin qui descritta è l’incrol- labile garanzia dell’equilibrio, della bellezza e della perfezione che il demiurgo osserva nella realtà intelligibile delle idee e trasmette, con la propria opera plasmatrice, alla materia sensibile.

Ma è davvero geometricamente perfetto l’universo platonico?

Aristotele

Secondo Aristotele non solo l’universo di Platone non è geometricamente perfetto, ma addirittura “è agevole vedere in quante delle loro affermazioni essi [coloro che “fanno tutti i corpi composti di superfici”45] vengono a cadere in contraddizione con le matematiche”46.

Nel III libro del De caelo, quindi, lo Stagirita si prefigge di demolire la teoria fisico-geometrica della generazione dei quattro elementi da figure piane, mostrandone, appunto, sia le contraddizioni interne che con la matematica.

Innanzitutto si chiede in che modo, chi riduce i quattro elementi costitu- tivi del mondo ai solidi regolari e ne riconduce le caratteristiche essenziali alle loro proprietà geometriche, possa poi affermare che gli stessi solidi siano divisibili.

Se si divide, comunque lo si faccia, la piramide o la sfera, ciò che rimane non è già più sfera o piramide. Cosicché, o la parte di fuoco non sarà fuoco, e vi sarà un’altra sostanza prima dell’elemento, perché ogni corpo o è elemento o è composto da elementi; oppure non tutti i corpi saranno divisibili47.

È evidente, dunque, che quelli che Platone chiama “elementi” non sono tali, dal momento che le loro particelle poliedrali sono riducibili ulteriormente a triangoli rettangoli scaleni e isosceli e questi a linee e poi a punti. Gli elementi non sarebbero quindi i poliedri, nè tantomeno i triangoli o le linee, ma addirittura i punti. In tal caso, tuttavia, non si spiegherebbe come le proprietà dei quattro elementi naturali possano derivare dai poliedri e dalle loro caratteristiche.

La teoria di Platone ha altre implicazioni assurde, come lo Stagirita si affretta a mostrare:

45N.d.A.

46ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 1, 299 a, 2-5; LONGO 2008, p. 381.

47ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 7, 306 a-306 b, 32-35, 1; LONGO 2008, p. 400.

(17)

nel numero delle cose impossibili rientra che, mentre ciascuna delle due parti non ha peso, tutt’e due insieme lo abbiano (e i corpi sensibili, tutti o in parte, hanno peso, ad esempio la terra e l’acqua, come anch’essi converrebbero). Ma se il punto non ha peso, è evidente che non lo avranno neppure le linee, e se non lo hanno le linee, neppure le superfici l’avranno;

cosicché nemmeno i corpi avranno peso48.

Se, in ultima analisi, l’unità costitutiva di tutto l’universo è il punto, l’ente geometrico più elementare, privo di estensione e di peso, allora non solo i corpi ma anche tutto l’universo saranno privi di peso, dal momento che la composizione di elementi privi di peso non può che generare qualcosa privo di peso. Ciò, tuttavia, contraddice palesemente l’esperienza quotidiana, dal momento che ogni corpo ha un suo peso. Paradossalmente, quindi, la somma di entità prive di peso dovrebbe generarne altre dotate di peso.

Al di là delle molte contraddizioni alle quali la fisica platonica inevitabil- mente approda, essa non è accettabile per una ragione molto più semplice e intuitiva:

in generale cercar d’assegnare ai corpi semplici una figura geometrica è cosa del tutto contraria a ragione, in primo luogo perché ci si troverà a non poter mai riempire del tutto lo spazio.

Fra le superfici, infatti, tre sono le figure che si considerano capaci di riempire lo spazio: triangolo, quadrato ed esagono; fra i solidi, invece, sono due soltanto: la piramide e il cubo. Ma si è costretti ad assumerne in numero maggiore, perchè si pongono più di due elementi49.

Aristotele riflette sul fatto che se tutto l’universo è una sfera costituita interamente dalla combinazione dei quattro elementi, i quali sono a loro volta aggregazioni di particelle dalla forma geometrica dei poliedri regolari, è ovvio che ciascuno dei quattro poliedri in questione (tetraedro, ottaedro, icosaedro e cubo), ripetuto, debba riempire una data porzione di spazio, senza lasciare alcuno spiraglio. Se così non fosse, infatti, nell’universo ci sarebbe il vuoto, che, secondo la sua teoria del moto, non può esistere in natura.

Tuttavia lo Stagirita fa notare che, se il piano può essere ricoperto esat- tamente da tre poligoni regolari, il triangolo equilatero, il cubo e l’esagono, lo spazio può essere riempito perfettamente soltanto da due poliedri regolari:

il cubo e la piramide. Di conseguenza le particelle di aria (ottaedri) e di acqua (icosaedri) lasciano dello spazio vuoto tra di loro.

48ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 1, 299 a, 25-30; LONGO 2008, p. 381.

49ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 8, 306 b, 5-9; LONGO 2008, p. 400.

(18)

Questa è la prova inconfutabile che la teoria fisico-geometrica di Platone è fallace e che “gli elementi non hanno delle figure stabilmente definite”50, infatti

noi vediamo che tutti i corpi semplici ricevono la loro figura dal luogo che li contiene, soprattutto l’acqua e l’aria. È impossibile allora che la figura di un elemento si mantenga sempre la medesima: perché in questo caso esso non sarebbe più tutto, e da ogni lato, a contatto col contenente. Ma se si pone che abbia a mutar forma verrà a non essere più acqua, se la sua differenza specifica è data appunto dalla figura.51

Le particelle di aria, acqua, terra e fuoco, quindi, secondo Aristotele, non hanno forme geometriche definite, ma, al contrario, sono simili alla χ¸ρα, al

“ricettacolo” che lo stesso Platone definisce come informe e indeterminata.

1.3 Solo un errore di Aristotele?

L’argomentazione aristotelica contro la teoria platonica apparve tanto salda e forte agli antichi che, oltre a non accorgersi per quasi duemila anni che fosse errata, addirittura ne derivarono un problema geometrico, per secoli oggetto dell’attenzione di filosofi e matematici: “quanti tetraedri riempiono perfettamente lo spazio intorno a un punto?”52.

I primi a porsi il problema furono ovviamente gli stessi commentatori del De caelo, i quali non misero minimamente in dubbio le parole di Aristotele, ma al contrario cercarono di esplicitarle e completarle.

Potamo d’Alessandria, Alessandro d’Afrodisia, Simplicio

Il primo commento del De caelo che si sia conservato fu scritto molto probabilmente dopo il 53853da Simplicio (Cilicia c. 490 d.C. -– c. 560 d.C.)54, allievo del filosofo neoplatonico Damascio. La sua fonte è il commento di Alessandro d’Afrodisia (III sec. d.C.), perduto, del quale si hanno numerose informazioni proprio grazie alle citazioni e alla discussione che ne fa Simplicio.

50ARISTOTELE De caelo, III (Γ), 8, 306 b, 15; LONGO 2008, p. 401.

51ARISTOTELEDe caelo, III (Γ), 8, 306 b, 9-15; LONGO 2008, p. 400.

52SENECHAL 1981, p. 229.

53FALCON 2001, p. 19.

54HEIBERG (ed), Simplicii in Aristotelis De caelo commentaria, in Commentaria in Aristotelem Graeca, vol. 7, Berlino 1894.

(19)

Questi, partendo dalle parole di Aristotele, le completa aggiungendo, per ciascun poligono e poliedro, il numero necessario affinché tasselli il piano e lo spazio:

poche forme sul piano e nello spazio possono riempire il luogo intorno a un punto senza lasciare spazio vuoto; mentre sul piano triangoli e quadrati ed esagoni equilateri ed equiangoli, triangoli sei, quadrati quattro, esagoni tre; nello spazio, invece, solo due riempiono il luogo intorno a un punto, la piramide e il cubo, dei quali la prima è l’elemento del fuoco, il secondo della terra; e riempiono <il luogo> piramidi dodici, cubi otto55.

Se il piano è perfettamente coperto da sei triangoli equilateri, quattro quadrati e tre esagoni, lo spazio è riempito esattamente da dodici piramidi e otto cubi.

Nel passo successivo56 Simplicio illustra e spiega quanto ha affermato circa le figure piane, ma non chiarisce in alcun modo la sua teoria sulle figure solide. Preferisce, piuttosto, seguire il discorso di Alessandro d’Afrodisia57, che, a sua volta, riporta le argomentazioni matematiche e le dimostrazioni grafiche del filosofo eclettico Potamo d’Alessandria (c. I secolo a.C.)58.

Anche Potamo avvia il suo discorso partendo dalle figure piane e trattando per primo il triangolo equilatero:

si prenda un triangolo equilatero e si prolunghino due dei suoi lati che formano lo stesso angolo nella direzione della loro convergenza; dove le

55HEIBERG 1894, 288 b, 7-15; p. 650, 21-28. La traduzione italiana di questo e dei passi seguenti è mia.

56HEIBERG 1894, 288 b, 18-289 a, 25; pp. 650, 31-652, 9.

57Simplicio infatti scrive “come racconta Alessandro”, HEIBERG 1894, (289a, 24); p.

652.

58Su Potamo d’Alessandria si veda anche M. HATZIMICHALI, Potamo of Alexandria and the Emergence of Eclecticism in Late Hellenistic Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 2011.

(20)

due linee si incontrano si tracci una linea retta che [...] divida ciascuno dei due angoli restanti in due <parti uguali>. Si formeranno così sei angoli uguali. Ma l’angolo di questo triangolo misura due terzi <di un angolo retto>; sei di questi, quindi, saranno uguali a quattro angoli retti. Lo spazio è quindi colmato perfettamente dai triangoli. Se si considerano segmenti delle linee prolungate di lunghezza uguale a quella della linea iniziale (ossia il lato del triangolo) e li si congiunge con altre linee lungo i punti di intersezione intorno a un cerchio,si avranno sei triangoli prossimi l’un l’altro senza spazio vuoto 59.

Segue il caso del quadrato:

si prenda un quadrato e allo stesso modo si prolunghino in linea retta due dei suoi lati che contengono lo stesso angolo nella direzione della loro convergenza. Ci saranno allora angoli uguali intorno al punto comune alle quattro linee prolungate, e saranno in totale quattro. Ma l’angolo del quadrato è retto; ci saranno quindi quattro angoli retti, il che significa che non vi sarà spazio vuoto. Se si considerano sui lati prolungati segmenti uguali al lato del quadrato, e si aggiunge lo gnomone, si avranno quattro quadrati che riepmpiono lo spazio, come nel caso dei sei triangoli60.

Infine l’esagono, al quale però Simplicio crede di dover aggiungere le lettere per rendere il discorso più accessibile ai lettori:

59HEIBERG 1894, 289 a, 26-38; p. 652, 11-21.

60HEIBERG 1894, 289 a, 9-289 b, 2; p. 652, 22-653, 6.

(21)

Si consideri l’angolo Α di un esagono e si prolunghino i suoi due lati che formano quest’angolo Α nella direzione della loro convergenza; siano ΒΑΓ e ∆ΑΕ le linee così ottenute. Si tracci la bisettrice dell’angolo Α dell’esagono e la si chiam ΖΗ. Ci saranno così sei angoli uguali intorno al punto di bisezione ognuno uguale a metà dell’angolo dell’esagono. [...] se poi ognuno degli angoli intorno ad Α sarà uguale a due terzi di angolo retto, tutti insieme saranno uguali a quattro angoli retti. Essi quindi riempiono lo spazio intorno ad Α. Ora se dai tre angoli intorno ad Α, ΖΑΒ, ΒΑ∆ e ∆ΑΖ (che sono tutti angoli dell’esagono e tre insieme di loro formano quattro retti), si disegnano gli esagoni ΑΖΘΚΛΒ, ΑΒΜΝΞ∆ e Α∆ΟΠΡΖ, si hanno tre esagoni che riempiono lo spazio intorno al punto Α, senza alcun vuoto o alcun eccesso61.

Il filosofo alessandrino, quindi, non si limita a condividere passivamente l’affermazione di Aristotele sul riempimento del piano con i poligoni regolari, ma la completa, indicando il numero di poligoni necessario. Inoltre provvede anche a giustificarla con prove tecnico-geometriche, riflettendo sul fatto che gli angoli del triangolo equilatero, del quadrato e dell’esagono sono gli unici sottomultipli esatti di quattro angoli retti e, proprio in virtù di questa proprietà, coprono la superficie.

Dal piano passa, poi, a trattare lo spazio: il primo caso è il cubo, analogo alla figura piana corrispondente, il quadrato.

Come il cubo sta ai solidi, così il quadrato sta alle superfici; e il quadrato riempirà lo spazio in termini di figure piane, quindi anche il cubo completerà lo spazio per quanto concerne i solidi. Lo si può vedere facilmente se si dispongono i cubi con i quattro quadrati che convergono in un punto

61HEIBERG 1894, 289 a, 6-289 b, 25; pp. 653, 10-654, 11.

(22)

come loro basi. Lungo la linea retta perpendicolare alla superficie e che passa per questo punto i quattro cubi convergeranno per riempire lo spazio tridimensionale62.

Passa poi ad analizzare il caso della “piramide”:

La piramide non è altro che l’angolo o la parte angolare di un cubo. Dal momento che gli angoli del cubo completano lo spazio, anche la piramide farà lo stesso. In ogni caso il cubo è a sua volta formato da due piramidi;

se poi otto piramidi sono unite con i loro vertici rivolti verso il centro di una <ipotetica> sfera, esse riempiranno lo spazio. Inoltre, come la piramide sta ai solidi, così il triangolo alle superfici; e il triangolo completa lo spazio in termini di figure piane; pertanto la piramide <farà lo stesso>

per quanto concerne i solidi. Ciò è ovvio anche dall’evidenza degli stessi sensi. Se qualcuno dovesse mettere insieme delle piramidi in modo tale che le loro punte siano rivolte l’una verso l’altra, non ci sarebbe alcuno spazio vuoto63.

Entrambe le argomentazioni appaiono deboli in alcuni punti.

Innanzitutto, come la Hatzimichali sottolinea64, la “prova” relativa ai cubi parla di riempimento dello spazio intorno a una linea retta e non a un punto, mentre quella relativa alle piramidi torna a parlare di un punto (il centro dell’ipotetica sfera). Poi la studiosa puntualizza che il fatto che i triangoli equilateri tassellino il piano non implica necessariamente che il tetraedro regolare faccia lo stesso con lo spazio.

Inoltre anche la definizione della piramide come “angolo o parte angolare di un cubo” è passibile di critica per la sua genericità: è possibile infatti tagliare il cubo in molti modi e, di conseguenza, ottenere molti tipi di piramide. Tuttavia la Hatzimichali ipotizza che, secondo Potamo, il motivo per cui otto piramidi riempiono lo spazio intorno a un punto non sia che

“il cubo stesso è formato da due piramidi, ma piuttosto che otto cubi (e quindi otto angoli solidi retti) sono necessari per riempire lo spazio intorno a un punto”. Le piramidi, per Potamo, dunque, non sono altro che gli angoli solidi dei cubi65.

Su questo punto si basa anche l’interpretazione che del ragionamento di Potamo fornisce la Senechal, nel suo articolo Which Tetrahedra Fill Space?66:

62HEIBERG 1894, 289 b, 15-290 a, 7; p. 655, 10-15.

63HEIBERG 1894, 290 a, 11-23; p. 655, 18-27.

64HATZIMICHALI 2011, pp. 158-159.

65HATZIMICHALI 2011, p. 160.

66SENECHAL 1981, pp. 227-243.

(23)

otto cubi che si incontrano in un vertice riempiono lo spazio (a); ogni cubo può essere diviso in cinque tetraedri: BGCD, EF BG, ABED, DEHG, DBEG. Solo il tetraedro “centrale” (DBEG) è regolare; gli altri quattro sono “angoli” congruenti del cubo (b). Gli otto tetraedri congruenti a DEHG si uniranno con gli angoli retti che si incontrano nel punto comune H e formeranno un ottaedro regolare67.

Così avrebbe ragionato il filosofo alessandrino.

È subito evidente la fallacia di tale argomentazione, per due motivi.

Innanzitutto dei quaranta tetraedri ottenuti dalla divisione degli otto cubi solo otto sono regolari e non si tratta, per l’appunto, di quelli che si incontrano nel punto comune H, bensì di quelli “al centro” di ciascun cubo.

E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che le facce degli altri che si incontrano in H sono triangoli rettangoli e non equilateri.

È pur vero che Aristotele non chiarisce se si stia riferendo a tetraedri regolari oppure no; tuttavia, poiché la sua non è altro che una argomentazione contro la teoria fosica di Platone, è ovvio che la piramide in questione sia regolare, dal momento che Platone parla di poliedri regolari.

D’altronde, poi, pur ignorando la prima obiezione, non si può non muo- verne una seconda: riempire lo spazio intorno a punto non significa riempire tutto lo spazio. Alcune combinazioni di solidi ripetute non riempiono tutto lo spazio e questo è un caso del genere. È probabile che Potamo credesse che ogni cubo tagliato generasse cinque tetraedri regolari e che, quindi, questi potessero riempire tutto lo spazio. Ma, come si è visto, non è così.

Benché fallace, la tecnica del filosofo alessandrino, di scomporre un solido in parti che ovviamente riempiono lo spazio senza lasciare vuoti (dal momento che uniti formano il solido d’origine), è una delle più diffuse per costruire nuovi poliedri che tassellano lo spazio68.

Potamo è, dunque, il primo che, oltre ad accettare e condividere l’errata tesi aristotelica secondo la quale i tetraedri tassellano lo spazio, cerca anche

67SENECHAL 1981, p. 229. La traduzione italiana è mia.

68SENECHAL 1981, p. 230.

(24)

di calcolarne il numero. Riportata nel commento al De caelo di Simplicio, la sua teoria ha avviato una secolare tradizione di studi del problema, viva ancora oggi.

Va sottolineato, tuttavia, che Simplicio, pur esponendola, non è affatto d’accordo con la teoria di Potamo, per lo meno relativamente ai poliedri.

Egli esprime chiaramente i suoi dubbi dinanzi al facile e immediato passaggio dalle figure piane alle solide corrispondenti:

Sono riportate anche queste argomentazioni di Potamo sui solidi, ma secondo me sono suscettibili di alcune obiezioni. E Alessandro dice “non c’è nient’altro per le figure solide che non ci sia per quelle piane; per tre dimensioni lo stesso che per una”, ma queste parole mi sembrano piuttosto simili a un enigma. Come è possibile, se le figure piane si uniscono intorno a una linea (ragione per la quale sembra che si tratti di una dimensione), che le solide possano essere unite in tre dimensioni, se si uniscono attaccando solo superfici? 69

E, in ultima analisi, non sposa la teoria di Potamo. Se infatti l’alessandrino calcola otto piramidi che riempiono lo spazio, Simplicio aumenta il numero a dodici, come afferma eplicitamente in apertura al suo discorso, prima di introdurre le argomentazioni di Potamo. Sorprende e lascia un po’ perplessi, tuttavia, il fatto che non adduca alcuna motivazione o chiarimento della sua affermazione, impedendo così di comprendere quale ragionamento lo abbia condotto a tale conclusione.

1.4 Il problema nel Medioevo

Gli sviluppi del problema nel Medioevo devono essere considerati in stret- ta relazione con la ricezione, la traduzione e il commento degli scritti di Aristotele e, in particolare, del De caelo.

Il primo approdo dell’opera aristotelica nel mondo latino avvenne con Severino Boezio (Roma c. 480 – Pavia 526), che, grazie ai suoi numerosi viaggi ad Atene e Alessandria, tradusse e commentò l’Organon di Aristotele, rendendo così accessibile a tutti quello che sarebbe diventato uno dei testi fondamentali nel Medioevo latino.

Si trattava, però, ancora di una parte della produzione dello Stagirita;

affinchè l’intera sua opera fosse veicolata nell’Occidente latino fu necessaria la mediazione delle fonti arabe.

A partire dal IX secolo apparvero e si diffusero nel mondo arabo diverse traduzioni dal greco all’arabo delle opere di Aristotele e dei suoi commenta-

69HEIBERG 1894, 290 a, 24-32; pp. 655-656, 28-4.

(25)

tori, determinando il fiorire della speculazione araba sul pensiero e sui temi della filosofia aristotelica (si pensi ad Al-Kindi, Al-Farabi). La presenza della cultura araba nella penisola iberica e in tutto il nord Africa, poi, favorirono il contatto del mondo latino con le traduzioni arabe.

Questo avvenne a partire dalla metà del XII secolo, quando Gerardo da Cremona (Cremona, 1114 – Toledo, 1187), giunto a Toledo, cuore pulsante della cultura araba, ricco di biblioteche e di manoscritti, realizzò il primo grande lavoro di traduzione dall’arabo in latino di alcuni testi di Aristotele, di Alessandro di Afrodisia, di Al-Kindi, di Al-Farabi, di Tolomeo.

In seguito, contemporaneamente alla riscoperta delle traduzioni di Boezio, si verificò una seconda ondata di traduzioni dall’arabo e lo stesso Gerardo tradusse altri testi aristotelici, tra i quali anche il De caelo.

La prima edizione latina del De caelo risale, dunque, al XII secolo e fu realizzata in Spagna da Gerardo da Cremona a partire dalla traduzione araba del testo aristotelico di Yah.y¯a ibn al-Bit.r¯ıq (IX secolo)70.

Nota come translatio vetus, ebbe una discreta fortuna e fu l’unica tradu- zione in uso nelle scuole fino all’inizio del XIII secolo71, quando fu soppiantata da altre due traduzioni.

Il filosofo scozzese Michele Scoto (Scozia, c. 1175 – 1232/1236), giunto anch’egli a Toledo, imparò l’arabo e si dedicò alla traduzione in latino di diverse opere aristoteliche, nell’edizione commentata da Averroè. Queste ebbero successo e furono riedite più volte nel Rinascimento, permettendo la lettura e la diffusione di un Aristotele più autentico, scevro dalle influenze di Avicenna e del neoplatonismo arabo72.

Tra i commentari di Averroè tradotti da Scoto c’è anche quello al De caelo.

La fonte araba che Averroè aveva commentato era la medesima tradotta da Gerardo da Cremona, ossia la traduzione dal greco di Yah.y¯a ibn al-Bit.r¯ıq73.

Tuttavia la traduzione del De caelo più diffusa alla fine del XIII e nel XIV secolo non fu questa, bensì la prima traduzione dal greco al latino, ad essa coeva.

Sempre nella prima metà del XIII secolo il vescovo di Lincoln Roberto Grossatesta (Stradbroke 1175 – 1253) tradusse in latino il testo greco del De caelo con il commento di Simplicio, limitandosi, tuttavia, ai primi due libri e all’inizio del III (fino a 299a 11). Il traduttore fiammingo

70Per approfondimenti sulle traduzioni arabe del De caelo si veda: G. ENDRESS, Die arabischen Übersetzungen von Aristoteles’ Schrift De caelo, Inaugural-Dissertation, J.W.Goethe Universität, Frankfurt am Main 1966.

71Edita da I. Opelt in calce all’edizione del De caelo et mundo di Alberto Magno (Opera omnia, V, 1), a cura di P. Hossfeld, Monasterii Westfalorum 1971.

72CARMODY 2003, p. 16.

73CARMODY 2003, p. 14.

(26)

Guglielmo di Moerbeke (Moerbeke c. 1215 – 1286), nel 1260, revisionando e completando, appunto, la translatio Lincolnensis, realizzò la translatio nova. Fu questa l’edizione del De caelo più diffusa a partire dalla fine del XIII secolo, commentata da Alfredo Anglico, Adamo di Bocfield, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Essa fu coinvolta nelle varie condanne dei Libri naturales di Aristotele pronunciate nel corso del XIII secolo, a causa della dottrina dell’eternità del mondo, fino a diventare lettura obbligatoria nella facoltà delle Arti di Parigi e testo di riferimento per tutta l’astronomia medievale.

Averroè

Il filosofo arabo Averroè (Cordova 1126 – Marrakesh 1198) fu il commentator per eccellenza delle opere di Aristotele74 e svolse così un ruolo fondamen- tale nella diffusione e nello studio degli scritti e del pensiero aristotelici nell’Occidente medioevale e rinascimentale.

Desideroso di spiegare e far rivivere la vera dottrina dello Stagirita75, scrisse tre tipi di commentari: i grandi commentari, veri e propri commenti si- stematici, i commentari medi, parafrasi delle opere aristoteliche, e le epitomi, rielaborazioni personali delle dottrine aristoteliche, più che commenti.

I suoi commentari avevano, tuttavia, un limite: le fonti. Non conoscendo il greco, egli fu costretto a leggere le opere aristoteliche da traduzioni arabe.

Inoltre, da un lato, queste non sempre erano del tutto rispondenti agli originali greci; dall’altro, non è affatto certo che Averroè disponesse di tutte o anche soltanto di alcune traduzioni arabe del medesimo testo greco, così da poterle confrontare ed emendare o integrare76.

Come di altre opere, anche del De caelo Averroè scrisse tre commentari:

l’Epitome, che è la seconda parte del compendio di quattro opere di Aristo- tele sulla filosofia naturale, completato nel 1159; il Commentario Medio o Parafrasi, che secondo la versione ebraica si colloca nel 1171, tra la Physica e il De generarione; infine il Grande Commentario, un commento letterale di tutto il testo dell’opera aristotelica, in cui le citazioni sono intervallate dai suoi commenti esplicativi. Quest’ultimo è uno dei lavori più tardi di Averroè, probabilmente scritto nel 1188, dopo gli Analityca posteriora e la Physica e prima del De anima e della Metaphysica77.

In questa sede, per analizzare la trattazione del problema aristotelico da parte di Averroè, si farà riferimento al Grande Commentario al De caelo.

74BADAWI 1999, p. 145.

75CARMODY 2003, p. 11.

76BADAWI 1999, pp. 146-147.

77CARMODY 2003, pp. 11-12.

Riferimenti

Documenti correlati

Data la complessità dell’obiettivo da raggiungere si è voluto dare un taglio specifico al lavoro, focalizzando l’attenzione esclusivamente sulla contabilità direzionale,

Per determinare le autofunzioni e gli autovalori dei modi suddetti bisogna conoscere l’esatta posizione del dielettrico all’interno della guida.. Nonostante questo è

In questo capitolo sono inoltre stati inseriti i dati relativi alla produzione dei rifiuti urbani nella Provincia nel triennio 2004-2006 e le elaborazioni fatte

• angoli adiacenti – se hanno il vertice e un lato in comune ed inoltre i due angoli hanno il secondo lato allineato lungo una retta, si dicono adiacenti..

dato un qualsiasi vettore di modulo costante

 Questi due angoli hanno il vertice in comune ma non sono Questi due angoli hanno il vertice in comune ma non sono opposti al vertice perché il vertice, in questo caso, non si

In light of an increasingly acute awareness of the complexities of the processes, interactive structures and the institutional design in Europe, on the one hand, and a

In December 2007 legislation approved by the House–Senate Conference on the Intelligence Authorization Act called on the Office of the Director of National Intelligence ODNI to