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1. DISTURBI DELL’UMORE

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Academic year: 2021

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1. DISTURBI DELL’UMORE

Tutti gli individui sperimentano continue fluttuazioni dell’umore, abitualmente correlate ad eventi esterni. Si tratta di oscillazioni fisiologiche, sottese da meccanismi neurobiologici, che svolgono una funzione adattativa; infatti esse modulano la spinta all’iniziativa, caratterizzano le risposte individuali e favoriscono l’adozione di modelli comportamentali in rapporto al mutare delle circostanze ambientali. Quando si alterano i meccanismi neurobiologici di base le oscillazioni diventano ampie, prolungate, indipendenti o sproporzionate rispetto agli stimoli esterni, perdono la loro funzione adattativa e danno luogo ai disturbi dell’umore, una serie di condizioni cliniche distinte per sintomatologia, gravità ed evoluzione. I disturbi dell’umore sono tra le patologie psichiatriche di più frequente riscontro: si calcola che almeno il 20% della popolazione generale presenti, nel corso della vita, episodi depressivi o maniacali, con un rapporto tra le forme unipolari e bipolari di circa 3:1; tuttavia se i disturbi bipolari attenuati vengono correttamente diagnosticati, questo rapporto si avvicina alla parità (Cassano e coll., 2006).

La depressione maggiore nel corso della vita ha una prevalenza del 21.3% nelle donne e del 12.7% negli uomini (Kessler, 2003) con una frequenza doppia nelle donne documentata in diversi paesi ed in diversi gruppi etnici (Weissman e Kleraìman, 1997; Weissman e coll., 1996; Lutch e Kasper, 1999).

Il disturbo bipolare ha una prevalenza che varia tra l’1% e il 5% nella popolazione generale (Jonas e coll., 2003). La prevalenza lifetime del disturbo bipolare I è dello 0.4% (Kessler e coll., 1994) e per il disturbo bipolare II varia dallo 0.5 al 3% (Bauer e Pfenning, 2005). La depressione maggiore interessa dal 5% al 13% dei pazienti che si sottopongono a visite ambulatoriali di medicina generale (Coyne e coll., 1994), tuttavia, è spesso non diagnosticata e non trattata, oppure trattata inadeguatamente, quando pure correttamente diagnosticata (Goldman e coll., 1999).

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5 La rilevanza di questi disturbi aumenta se si considerano anche le loro frequenti complicanze, come l’abuso di alcool e sostanze stupefacenti, e il rischio di suicidio, stimato, almeno nelle forme bipolari, circa 30 volte superiore a quello della popolazione generale (Chen e Dilsaver, 1996), con un tasso di suicidio che si attesta intorno al 15 % (Evans e coll., 2003). Notevoli sono anche la compromissione sul piano socio-lavorativo e l’effetto che questi disturbi hanno sulle comorbidità mediche: pazienti affetti da depressione maggiore sembrano ottenere risultati terapeutici inferiori, rispetto a quelli non depressi, per quanto riguarda patologie come il diabete mellito, malattie respiratorie croniche, epilessia e cardiopatia ischemica; inoltre anche la mortalità per questi tipi di malattie sembra aumentata nei pazienti depressi (Ciechanowski e coll., 2000; Jiang e coll., 2002; Angst e coll., 2002). Diagnosticare precocemente questi disturbi e trattarli correttamente risulta quindi fondamentale importanza per ridurre la mortalità, gestire le comorbidità cardiovascolari e ridurre il rischio di suicidio (Taylor e coll., 2005; Jorge e coll., 2003; Gibbons e coll., 2005).

1.1 SPETTRO DELL’UMORE E FATTORI DI RISCHIO

I disturbi dell’umore vengono classificati, in base alle conoscenze attuali, come facenti parte di un più ampio spettro dell’umore: le diverse forme cliniche sarebbero sottese da una comune vulnerabilità genetica e disposte lungo un continuum che comprende condizioni fisiologiche, come le alterazioni temperamentali, forme sottosoglia, forme attenuate a decorso protratto come il disturbo distimico e il disturbo ciclotimico, forme unipolari e infine patologie più invalidanti come il disturbo bipolare tipo I e II. L’adozione di un modello unitario di spettro dei disturbi dell’umore consente di cogliere non solo le patologie ad espressione piena, ma anche le manifestazioni parziali, atipiche e attenuate, come pure

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6 fenomeni che precedono o seguono la fase franca di malattia (Cassano e coll., 2004). Si tratta di condizioni che, pur non soddisfacendo i criteri di gravità, durata o numero di sintomi previsti per la diagnosi, influenzano la sfera socio-lavorativa e affettiva del paziente e possono provocare una marcata e persistente sofferenza soggettiva. Questo tipo di modello, analogamente a quello dello spettro panico-agorafobico, ha dimostrato diversi vantaggi sia sul piano del management clinico-terapeutico che su quello della ricerca, con particolare riferimento ai correlati biologici di malattia.

Tutti gli studi concordano sull’alto tasso di familiarità dei disturbi dell’umore: si valuta che i familiari di primo grado abbiano un rischio di ammalarsi da 2 a 18 volte superiore a quello della popolazione generale, e tale rischio sarebbe maggiore per le forme bipolari. È comune il riscontro, nella stessa famiglia, di forme unipolari e bipolari a conferma che non si tratta di due entità distinte sottese da substrati genetici diversi. Nelle famiglie di soggetti con disturbi dell’umore sembra riscontrarsi un’aggregazione per i disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia) e per i disturbi di personalità del cluster B (istrionico, antisociale, borderline e narcisistico).

Sono stati identificati diversi fattori di rischio:

Predisposizione genetica: la percentuale dei casi con una componente

ereditaria è stata calcolata tra il 50% e l’ 80% (Merikangas e Kupfer, 1995).  Età: i disturbi dell’umore possono manifestarsi a qualsiasi età, ma più

frequentemente nella fascia di età tra 18 e 44 anni (in media 30 anni). E’ stata osservata una correlazione inversa tra carico genetico ed età di insorgenza.

Sesso: il disturbo depressivo maggiore ha frequenza doppia nelle donne

rispetto agli uomini, il disturbo bipolare I ha pari distribuzione tra i due sessi (Bauer e Pfenning, 2005), il disturbo bipolare II viene descritto con una frequenza doppia nelle donne (American Psychiatric Association, 2000).

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7  Stato civile: i pazienti bipolari sono più frequentemente celibi, nubili e separati. Tale evenienza può essere spiegata con l’insorgenza della patologia in età precoce e pertanto con l’influenza negativa della malattia sui rapporti affettivi, oppure con la possibilità che lo stress legato alla separazione costituisca una causa scatenante (Andrade e coll., 2003).

Classe sociale: i pazienti bipolari appartengono spesso a ceti sociali elevati, forse perché le caratteristiche temperamentali di tipo ipertimico favoriscono l’affermazione sociale ed economica (Weissman e coll., 1996).

1.2 EZIOPATOGENESI E SUBSTRATI NEUROBIOLOGICI

L’eziopatogenesi dei disturbi dell’umore è di tipo multifattoriale. I fattori che interagendo tra di loro contribuiscono alla comparsa di un disturbo dell’umore sono: la predisposizione genetica, gli eventi che avvengono precocemente nella vita, gli stress fisici o psicosociali recenti o in corso.

La prima pietra miliare dell’approccio neurobiologico allo studio dei disturbi dell’umore avvenne nei primi anni ’50 del XX secolo, quando vennero messe a punto due molecole che niente avevano a che vedere con i disturbi dell’umore: una con funzione di antitubercolare, l’iproniazide, e l’altra con funzione di antistaminico, l’imipramina. Queste molecole si dimostrarono in grado di produrre un’elevazione del tono dell’umore nei pazienti a cui venivano somministrate: questo perché entrambe le molecole, seppur con meccanismi diversi, erano in grado di aumentare la concentrazione di due neurotrasmettitori encefalici, la serotonina e la noradrenalina. La ricerca farmacologica in seguito scoprì che l’iproniazide provocava questo aumento tramite un'inibizione irreversibile dell'enzima coinvolto nel catabolismo di tali amine a livello sinaptico, ovvero la monoamino-ossidasi (MAO), mentre l’imipramina era in grado di inibire

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8 il trasportatore molecolare responsabile della ricaptazione presinaptica delle due amine. In base a queste due evidenze, l’ipotesi eziopatogenetica della patologia depressiva più accreditata è stata per molto tempo quella monoaminergica, secondo cui la riduzione dei fisiologici livelli dei neurotrasmettitori serotonina e noradrenalina sarebbe alla base della sintomatologia depressiva (Bunney e coll., 1965; Wong e coll., 2004) [Fig. 1.1].

Su questa base si orientarono per decine di anni la ricerca psicofarmacologica e lo sviluppo di nuove molecole, progressivamente sempre più selettive.

Figura 1.1 – Ipotesi monoaminergica della depressione. a: neurotrasmissione in condizioni di normalità. b: riduzione della neurotrasmissione nella depressione. c: aumento della concentrazione extracellulare di neurotrasmettitori dopo blocco dei siti di re-uptake (modificato da Castren E, 2005).

La deplezione monoaminergica potrebbe essere causata da un processo patologico sconosciuto, dallo stress, o da alcune classi di farmaci. I farmaci antidepressivi sarebbero efficaci sui sintomi poiché in grado di ripristinare la trasmissione monoaminergica. Tale ipotesi presenta però alcuni aspetti contradditori, che allentano il nesso tra la disponibilità sinaptica delle monoamine e la variazione del tono dell’umore: è noto che alcuni farmaci antidepressivi efficaci non determinano aumento della trasmissione monoaminergica; di contro anfetamine e cocaina, che non hanno azione antidepressiva, determinano un aumento della trasmissione

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9 monoaminergica. Inoltre gli antidepressivi incrementano rapidamente i livelli delle monoamine, ma l’effetto terapeutico si sviluppa dopo 2-3 settimane dall’assunzione (Nestler, 1998) e alcuni pazienti non rispondono al trattamento. Queste osservazioni quindi suggeriscono che altri fattori sono sicuramente coinvolti nella biologia della depressione e che l’effetto antidepressivo è il risultato di una serie più complessa di eventi cellulari tra i quali l’aumento della quantità di neurotrasmettitori può essere solo una tappa iniziale.

L’attenzione della ricerca si è spostata con la scoperta che il trattamento a lungo termine con farmaci antidepressivi produce cambiamenti adattativi nei recettori delle monoamine e nei meccanismi di trasduzione del segnale a valle (Sulser e coll., 1978). Oggetto di ricerca sono diventati quindi gli effetti cronici che gli antidepressivi esercitano sulla concentrazione di neuropeptidi, di fattori di crescita e rispettivi recettori e di molecole coinvolte nei processi di trasduzione del segnale (Duman e coll., 1997; Manji e coll., 2001; Coyle e coll., 2003). L’ipotesi monoaminergica si è quindi evoluta in quella che oggi è nota come ipotesi

molecolare della depressione.

Una stretta correlazione è presente anche tra i disturbi dell’umore e il sistema endocrino; quadri depressivi o maniacali possono manifestarsi in corso di patologie endocrine (disfunzioni tiroidee, morbo di Cushing), di fisiologici cambiamenti ormonali (fase premestruale, postpartum) o in seguito alla somministrazione di ormoni (corticosteroidi, anticoncezionali orali). Il sistema più studiato è l’asse ipotalamo – ipofisi – surrene (HPA) che risulta essere iperattivo nei disturbi dell’umore: rispetto ai soggetti sani i pazienti depressi presentano più alti livelli di cortisolo e un’alterazione delle variazioni diurne di secrezione dello stesso. Elevati livelli di cortisolo sembrano essere implicati nell’apoptosi neuronale nell’ippocampo e nelle aree paraippocampali, frontali e prefrontali, tramite una deplezione dei livelli intracellulari di glucosio, condizione che renderebbe i neuroni più sensibili all’incremento di neuromediatori eccitatori come il glutammato (Sapolsky e coll., 1990, 1994, 1996; Duman e coll., 1997).

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10 In condizioni di stress è stato descritto un aumento del rilascio di CRH (corticotropin - releasing factor) a livello ipotalamico ma anche di altre regioni cerebrali come l’amigdala, responsabile dell’aumento dei livelli di cortisolo e di noradrenalina (Wong e coll., 2000). Le anomalie funzionali a livello dell’asse HPA sembrano essere inoltre responsabili dei cambiamenti strutturali cerebrali osservati nei soggetti depressi (Aan het Rot e coll., 2009). Lo stato di ipercortisolemia cronica determina inoltre una down-regolation dei recettori per i glucocorticoidi nell’ippocampo e una ridotta sintesi di BDNF che può contribuire all’atrofia ippocampale (Charney e Manji, 2004; Duman e Monteggia, 2006).

Un enorme contributo è arrivato senza dubbio dallo sviluppo delle tecniche di neuroimaging, che hanno rivoluzionato la ricerca dei correlati neurobiologici dei disturbi psichiatrici. Di grande importanza sono state poi le scoperte riguardanti la neuroplasticità, sia a livello cellulare che a livello di reti neuronali: è stata verificata la presenza di neurogenesi in aree del SNC di primati adulti, in particolare a livello del giro dentato e dell’ippocampo (Gould e coll., 1997). Ciò ha abbattuto il concetto dogmatico che vedeva tutti i neuroni del SNC adulto come cellule perenni incapaci di andare incontro a duplicazione. La modulazione della plasticità neuronale può avvenire a vari livelli, da modificazioni trascrizionali o trasduzionali a fenomeni su scala più grande, come la formazione di spine dendritiche o di varicosità assonali conseguente a stimolazioni comportamentali, elettrofisiologiche o farmacologiche. Questi fenomeni, che avvengono spontaneamente come reazione a noxae patogene traumatiche o ischemiche, vengono favoriti da trattamenti farmaco- e psico-terapeutici. Il correlato neurobiologico della capacità degli individui di adattarsi, nel corso della vita, a nuovi stimoli e situazioni è proprio un rimodellamento delle reti neuronali, che con la loro plasticità vanno incontro a modificazioni continue anche di grado notevole.

Recentemente è stata descritta un’associazione tra i disturbi dell’umore e i fenomeni di plasticità neuronale che coinvolgono l’azione dei fattori neurotrofici, come il BDNF, la cui espressione è regolata dall’attività neuronale.

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11 Studi clinici e preclinici hanno dimostrato una riduzione del volume neuronale dell’ippocampo adulto in corso di stress o depressione (Warner-Schimdt e Duman, 2006). Tali riscontri atrofici, più tipici di una patologia neurodegenerativa, hanno suggerito l’ipotetico coinvolgimento delle neurotrofine e soprattutto del BDNF anche nei disturbi dell’umore e sono alla base della più recente ipotesi

neurotrofica secondo cui la depressione è associata a ridotti livelli di BDNF e i

trattamenti antidepressivi agiscono attraverso complessi meccanismi molecolari che hanno come tappa finale l’aumento dell’espressione del BDNF (Duman, 2002). Fisiologicamente l’attività sinaptica è influenzata dalle neurotrofine; a livello cerebrale il rilascio di questi fattori avviene in modo direttamente dipendente dall’attività dei neuroni coinvolti: il neurone che innerva sufficientemente un altro neurone bersaglio induce la produzione ed il rilascio di BDNF (Thoenen, 1995; Poo, 2001). Lo scopo di una plasticità neuronale efficace consiste in un’ottimizzazione della rete e del rapporto segnale/rumore: le sinapsi che veicolano segnali utili devono essere selezionate e stabilizzate, mentre quelle che producono rumore devono essere eliminate (Hua e coll., 2004). L’eziopatogenesi della depressione sarebbe quindi da ricercare in un’alterazione delle vie di trasduzione del segnale “neuroplastico”, ovvero in quella via che, a livello del neurone postsinaptico, porta dalla ricezione del neurotrasmettitore alla produzione di BDNF: una compromissione di tale via avrebbe come risultato l’alterazione dei processi di neuroplasticità e di sopravvivenza cellulare (Manji coll., 2001; Popoli e coll., 2002). In condizione di stress il gene del BDNF verrebbe represso, determinando apoptosi dei neuroni ippocampali e conseguente atrofia del distretto, portando infine allo sviluppo di depressione. L’effetto antidepressivo dei farmaci che aumentano la biodisponibilità delle monoamine si potrebbe spiegare con una riattivazione della plasticità neuronale conseguente ad un ripristino del corretto signaling intracellulare. [Fig. 1.2]

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12 Figura 1.2 – Un modello dell’effetto della depressione e del trattamento

antidepressivo sulla connettività attività-dipendente. a: Nello stato di normalità l’attività presinaptica determina il rilascio attività dipendente di BDNF a livello post-sinaptico e la stabilizzazione delle connessioni sinaptiche. b: Nella depressione la connettività sinaptica è gradualmente ridotta a causa dell’insufficiente rilascio attività-dipendente di neurotrofina. c: Il trattamento cronico antidepressivo supporta la sinaptogenesi attraverso il rilascio di BDNF ed eleva l’umore. d: La potatura uso-dipendente dei contatti sinaptici inattivi gradualmente, nell’arco di mesi, porta alla stabilizzazione del network neuronale funzionale e al recupero completo della normotimia (modificato da Castrén, 2004).

1.3 INQUADRAMENTO CLINICO

« La Malinconia costituisce l'inizio della Mania e ne è parte integrante [...] Lo sviluppo della mania rappresenta un peggioramento della malinconia piuttosto che il passaggio ad una patologia differente. »

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13 Il DSM-IV-TR distingue i disturbi dell’umore in due grandi categorie: i disturbi unipolari, caratterizzati da episodi a polarità esclusivamente depressiva e i disturbi bipolari, caratterizzati invece dall’alternarsi di episodi depressivi ed espansivi. I disturbi bipolari si dividono a loro volta in:

 Disturbo bipolare I: si tratta della forma più grave di disturbo dell’umore, caratterizzata dall’alternarsi di episodi depressivi e maniacali o misti a piena espressione sintomatologica, con o senza manifestazioni psicotiche.  Disturbo bipolare II: comprende quelle forme caratterizzate da almeno un

episodio depressivo maggiore alternato con almeno un episodio (ipo)maniacale spontaneo. È considerato un quadro di gravità intermedia tra depressione maggiore e disturbo bipolare I.

 Disturbo ciclotimico: si caratterizza per una rapida e continua alternanza di fasi depressive e (ipo)maniacali di intensità lieve-moderata per almeno 2 anni che non soddisfano i criteri per gli episodi maggiori.

I disturbi dell’umore comprendono quindi due quadri clinici principali: la depressione e la mania. Gli stati misti rappresentano una condizione intermedia in cui sono presenti gli elementi di entrambi i quadri sindromici. Ciascuna di queste forme si manifesta con una serie di sintomi, variamente associati tra loro, riguardanti il tono affettivo, la psicomotricità, la sfera cognitiva e il sistema neurovegetativo.

La depressione maggiore è una condizione patologica caratterizzata da umore flesso, rallentamento delle idee e della motricità, a cui si aggiungono sintomi neurovegetativi e che comporta un peggioramento della qualità della vita e un aumento della morbilità e della mortalità (Bromet e coll., 2011; Ustün e coll., 2004). I criteri con cui si pone diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore sono indicati nel DSM-IV-TR: si tratta di un periodo di almeno due settimane durante il quale è presente umore depresso o perdita di interessi (abulia) o di piaceri

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14 (anedonia) per tutte le attività. L’individuo deve anche presentare almeno altri quattro sintomi tra:

 alterazioni del peso corporeo: significativa perdita di peso o aumento di peso non dovuto a diete (per esempio più del 5% del peso corporeo in un mese) o diminuzione dell’appetito (iporessia, più frequente) o suo aumento (iperoressia) quasi ogni giorno;

 alterazione del sonno: insonnia (nella maggior parte dei casi) o ipersonnia (sottoforma di prolungamento del sonno notturno o di aumento del sonno durante il giorno);

 alterazioni dell’attività psicomotoria: agitazione oppure rallentamento osservati da altri, non soltanto soggettivi;

 ridotta energia e affaticabilità quasi ogni giorno, anche in assenza di attività fisica;

 sentimenti di svalutazione e di colpa eccessivi o immotivati quasi ogni giorno, fino a tematiche deliranti;

 riduzione della capacità di concentrazione, di pensare o prendere decisioni: i pazienti possono apparire facilmente distraibili o possono lamentare disturbi mnesici;

 ricorrenti pensieri di morte o ideazione suicidaria, pianificazione o tentativi di suicidio.

I sintomi devono durare per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno per due settimane consecutive. Tali sintomi devono causare al soggetto un significativo disagio o compromissione a livello socio-lavorativo, e non devono essere conseguenza degli effetti fisiologici diretti di una sostanza, di una condizione medica generale o di un lutto. L’esordio può essere improvviso, più frequente nelle forme bipolari, o può essere preceduto per alcuni giorni o settimane da prodromi come labilità emotiva, tensione, astenia, inappetenza, insonnia, cefalea.

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15 Gli episodi depressivi hanno una durata spontanea media di 6-12 mesi, anche se talvolta possono essere molto più brevi o, nel 15-20% dei casi, superare i 2 anni. La risoluzione può essere improvvisa (soprattutto nelle forme bipolari), o più spesso graduale, nel giro di di giorni o settimane durante i quali si assiste a una fluttuazione della sintomatologia con alternanza di fasi di miglioramento e di peggioramento. Nel 30-40% dei casi alla cessazione dell’episodio pieno si instaura una sintomatologia residua con manifestazioni che, per quanto attenuate, possono compromettere il funzionamento sociale, lavorativo e familiare e la qualità della vita. Sintomi residui possono essere labilità emotiva, irritabilità, bassa autostima, isolamento sociale; la loro presenza, più probabile quando l’episodio indice è di lunga durata, si associa ad un alto rischio di recidive, di cronicità, di disabilità. L’episodio maniacale è definito da un periodo durante il quale vi è un umore anormalmente e persistentemente elevato, espanso o irritabile. Secondo i criteri del DSM-IV-TR, questo periodo deve durare almeno una settimana e deve essere accompagnato da almeno tre sintomi addizionali tra:

 autostima ipertrofica che va dalla fiducia in se stesso priva di critica alla grandiosità marcata;

 diminuito bisogno di sonno: il soggetto si sveglia prima dell’ora abituale, sentendosi pieno di energie;

 maggior loquacità rispetto al normale o spinta continua a parlare: l’eloquio maniacale è pressante, ad alta voce, rapido e difficile da interrompere;  fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano

rapidamente;

 distraibilità: i soggetti non sono capaci di filtrare gli stimoli esterni irrilevanti e la loro attenzione viene facilmente sviata;

 aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) oppure agitazione psicomotoria o irrequietezza;

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16  eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per esempio eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati). Per fare diagnosi di episodio maniacale, i sintomi devono essere tali da compromettere l’attività lavorativa o sociale o da richiedere l’ospedalizzazione, oppure devono esserci manifestazioni psicotiche.

Inoltre l’episodio non deve essere causato dagli effetti fisiologici di una sostanza o di una condizione medica generale. L’esordio è più rapido di quello della depressione ed è generalmente preceduto, per 3-4 giorni, da sintomi prodromici come iperattività, espansività e loquacità aumentata, spese eccessive, maggior energia e appetito e ridotto bisogno di sonno. Con il ripetersi degli episodi e soprattutto quando concomitano abuso di sostanze o fattori ambientai stressanti l’episodio può insorgere anche nel giro di poche ore.

La durata spontanea della fase maniacale varia da pochi giorni a 4-6 mesi e la risoluzione può essere brusca oppure può richiedere diversi giorni. In caso di recidiva, la sintomatologia tende a ripresentarsi con le stesse caratteristiche degli episodi precedenti. Di norma il paziente in fase maniacale non ha consapevolezza di malattia, ma è fermamente convinto di stare bene, rifiuta le cure e se contraddetto può reagire con aggressività.

L’ipomania, “mania lieve”, si distingue dalla mania per la sintomatologia meno grave e intensa, l’assenza di sintomi psicotici e per l'impatto negativo inferiore sulla vita e sulla produttività dell'individuo.

Secondo il DSM-IV-TR i criteri per la diagnosi di ipomania sono sovrapponibili a quelli della mania, ma è necessario che i sintomi espansivi si protraggano per almeno quattro giorni e non siano tali da richiedere l’ospedalizzazione. Il paziente durante la fase di ipomania ha scarsa consapevolezza di malattia: in genere ritiene il proprio stato una reazione fisiologica dopo il precedente episodio depressivo che ha comportato mesi di sofferenza, e per questo evita di consultare i sanitari a

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17 meno che non insorgano complicanze o non sia presente un altro disturbo in comorbidità.

1.4 STATI MISTI

Il termine “stato misto” (SM) designa un disturbo dell’umore nel quale sono presenti contemporaneamente manifestazioni psicopatologiche depressive e maniacali. La commistione di sintomi di opposta polarità si esprime nella tinta del tono affettivo, nel corso e nel contenuto del pensiero, nell’attivazione o nel rallentamento motorio. Aspetti caratteristici quali perplessità, labilità emotiva, eccitabilità, tensione, ansia ed agitazione, irritabilità, disforia, ostilità possono associarsi di volta in volta a manifestazioni meno costanti quali confusione, impulsività e sintomi psicotici con contenuti ideativi e percettivi di opposta coloritura affettiva. In questo modo viene a prodursi una grande varietà di quadri clinici che possono assumere le forme più disparate. Lo SM può comparire all’inizio o alla fine di una fase depressiva o maniacale, quando l’umore risulta particolarmente mutevole; oppure nel passaggio da un episodio ad un altro di opposta polarità, quando concomitano elementi psicopatologici contropolari; o, ancora, durante l’intero episodio, costituendo l’unica espressione del disturbo dell’umore. Mentre nei primi due casi si tratta di manifestazioni abitualmente transitorie e di breve durata, nel terzo siamo di fronte ad un’entità clinica distinta e stabile che, secondo molti Autori, costituisce la “terza polarità” della malattia maniaco-depressiva. La definizione di SM vero e proprio dovrebbe essere riservata solo a quest’ultimo caso. Gli stati misti, così come il disturbo a cicli rapidi, sembrano essere manifestazioni indipendenti della malattia maniaco-depressiva e non una semplice sovrapposizione di sintomi emotivi di opposta polarità (Perugi e coll, 2000). La prima descrizione organica degli SM si deve a

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18 Kraepelin (1921), il quale ne riconobbe l’appartenenza allo spettro maniaco-depressivo. Successivamente, il susseguirsi di varie definizioni e di approcci classificativi diversi ha reso difficile il corretto inquadramento diagnostico di una larga parte di questi quadri psicopatologici ed ancora oggi il dibattito non sembra concluso. A causa del polimorfismo sintomatologico, con manifestazioni appartenenti a differenti ambiti nosografici, è spesso difficile riconoscere ed interpretare correttamente il disturbo. Soltanto un’accurata valutazione clinico-anamnestica consente di ricondurre le complesse e difformi presentazioni cliniche di questi quadri nello spettro di disturbi dell’umore e di conferire loro, di volta in volta, un preciso significato sul piano prognostico e terapeutico.

Cenni storici: Il concetto di stato misto è stato sottoposto a continue

rielaborazioni nelle varie epoche a causa della varietà di espressioni sindromiche e della difficoltà a stabilire confini precisi per questa condizione morbosa.

Emil Kraepelin, agli inizi del XX secolo, dopo aver identificato i sintomi nucleari della mania nella fuga delle idee, nell’impulso all’azione e nell’umore elevato, e quelli della depressione nel rallentamento ideativo, nell’inibizione psicomotoria e nella tristezza, descrisse diversi quadri clinici nei quali una o più delle caratteristiche fondamentali della mania erano sostituite da sintomi propri della depressione e viceversa. Egli utilizzò i termini Mischzustände (stati misti) e

Mischformen (forme miste), e distinse sei diverse varietà di SM, sottolineando che

per la diagnosi era necessaria la persistenza dell’associazione di sintomi contropolari per tutta la durata dell’episodio. Kraepelin considerava aspetti sintomatologici salienti le idee deliranti a contenuto persecutorio ed ipocondriaco, i fenomeni psicosensoriali abnormi, i disturbi dell’orientamento temporospaziale e la compromissione dell’attenzione. Rimarcava, inoltre, che spesso è difficile distinguere, al primo episodio, uno SM da un quadro psicotico acuto esordio della demenza precoce, anche se il rilievo di una familiarità positiva per disturbi dell’umore può assumere valore discriminante. Sempre agli inizi del XX secolo Wilhelm Weygandt, allievo di Kraepelin, pubblicò il primo libro nella letteratura

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19 psichiatrica sugli stati misti: Über die Mischzustände des manisch-depressiven Irreseins

(Sugli Stati Misti della Malattia Maniaco-Depressiva). Analizzando le modalità di

esordio degli SM, egli riportò come queste condizioni compaiono, talora per un breve periodo, nel corso di una fase maniacale o depressiva, quando uno dei sintomi fondamentali si trasformava improvvisamente nel sintomo contropolare;

«in altri casi la durata può essere anche di parecchi giorni e l’esordio si manifesta durante il passaggio da una fase a quella antitetica; in alcuni pazienti, infine, la sintomatologia mista è presente fin dall’inizio dell’episodio e si protrae per tutto o quasi il decorso di un accesso».

Weygandt descrisse oltre ai tre tipi di SM di più frequente osservazione (stupore maniacale, depressione agitata e mania con inibizione ideica, corrispondente alla mania improduttiva di Kraepelin), anche alcune forme atipiche. In questi casi l’atipia era costituita dalla presenza di certi sintomi che non riuscivano ad impedire l’insorgenza di altri: «la depressione e l’inibizione invece di costituire un ostacolo al processo

ideativo si accompagnano piuttosto a fuga delle idee... oppure può presentarsi la singolare associazione di un esaltato sentimento della personalità con un umore depressivo; da questo accoppiamento si origina il quadro di una mania irritabile e cavillosa che talvolta rassomiglia agli stati ragionati dell’ipomania, tal’altra invece al tipo della mania iraconda».

Gli SM appartengono al nucleo della malattia maniaco-depressiva descritta da Kraepelin, tuttavia l’inquadramento clinico, la categorizzazione e la raccolta sistematica dei dati sono il risultato del lavoro comune di ambedue gli studiosi (Koukopoulos e Koukopoulos, 1999; Marneros, 1999; Marneros e Angst, 2000; Angst e Marneros, 2001). Studi moderni hanno confermato alcune scoperte di Kraepelin e Weygandt:

 Il sesso femminile è più frequentemente rappresentate tra i pazienti con Stati Misti (60% vs. 40%) (Dell’Osso e coll, 1991; Marneros e coll., 1991a, b; McElroy e coll., 1992, 1995; Perugi e coll., 1997; Akiskal e coll., 1998; Arnold e coll., 2000);

 Utilizzando definizioni più ampie, più dei 2/3 dei pazienti con malattia maniaco-depressiva sviluppa almeno una volta uno stato misto (di solito

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20 una forma transitoria). Utilizzando definizioni più restrittive, approssimativamente il 20% di essi sperimenta stati misti, come hanno riportato molti autori moderni (Winokur e coll., 1969; Himmelhoch e coll., 1976a, b; Akiskal e Puzantian, 1979; Goodwin e Jamison, 1990; Marneros e coll., 1991a, b, 1996a, b; Akiskal, 1992; Himmelhoch, 1992; McElroy e coll., 1995, 1997; Swann e coll., 1995, 1997; Akiskal e Pinto, 2000)

Un altro problema oggetto di ampi dibattiti ha riguardato la presenza di manifestazioni psicotiche: nella letteratura classica deliri ed allucinazioni sono stati considerati elementi psicopatologici costanti e tipici dello SM, tanto che per Kraepelin circa la metà di questi pazienti aveva sintomi psicotici.

Nonostante la vastità delle problematiche non ancora risolte, i principali sistemi internazionali di classificazione dei disturbi mentali inseriscono a pieno titolo gli SM nell’ambito dei disturbi dell’umore di tipo bipolare. Rimane, comunque, assai controversa la validità dei criteri diagnostici proposti poiché essi non tengono nella dovuta considerazione la varietà e la mutevolezza della sintomatologia e la difficoltà di riconoscimento degli SM all’esordio della patologia bipolare. Himmelhoch, nel 1979, ha sottolineato l’importanza e la difficoltà della diagnosi di SM legata alla grande varietà delle presentazioni cliniche che rendono queste condizioni “simili ad un camaleonte”, in grado di mimare manifestazioni comuni a molti ambiti nosografici. È importante sottolineare che alcuni dei numerosi interrogativi non hanno ancora trovato una risposta; di difficile soluzione risultano soprattutto:

 l’individuazione di criteri operativi sufficientemente validi ed attendibili;  la distinzione di alcuni quadri dalle sindromi appartenenti allo spettro

schizofrenico;

 la corretta collocazione della depressione agitata, delle forme psicotiche e di quelle attenuate.

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21 Aspetti patogenetici: Secondo Hagop Akiskal (Akiskal, 1981, 1992; Akiskal e

Mallya, 1987; Akiskal e Pinto, 2000) il temperamento premorboso giocherebbe un ruolo nella fisiopatologia degli SM e potrebbe giustificare la possibilità di sovrapposizione di elementi sindromici opposti. Secondo questa ipotesi il temperamento continuerebbe ad esprimersi durante le fasi conclamate di malattia per cui lo SM sarebbe la conseguenza dell’insorgere di un episodio espansivo in un soggetto con temperamento depressivo o, al contrario, di un episodio depressivo in un soggetto con temperamento ipertimico. Il temperamento irritabile dovrebbe essere considerato di per sé uno stato misto attenuato. Sono stati riportati dati in parziale supporto a questa ipotesi (Dell’Osso e coll., 1991, 1993): il gruppo di pazienti con SM presenta un più alto tasso di tratti temperamentali misti rispetto al gruppo con mania pura (Perugi e coll., 1997). Si osserva un tasso significativamente più alto di temperamento ipertimico nella mania classica in contrasto con un tasso significativamente più alto di temperamento depressivo nelle forme di mania mista; inoltre alcuni pazienti con mania mista possono essere caratterizzati da temperamento ciclotimico (Akiskal e coll., 1998). Il fatto che il temperamento depressivo e quello ciclotimico abbiano una prevalenza significativamente più alta nelle donne potrebbe spiegare la preponderanza degli SM nel sesso femminile (Placidi e coll., 1998). La relazione tra temperamenti affettivi e sottotipi di mania è stata a lungo studiata (Perugi e coll. 2001a). Il temperamento ipertimico che sottende un episodio depressivo maggiore produce uno SM depressivo agitato; se viceversa è combinato con la mania produce un episodio maniacale puro con fenomenologia euforica-accelerata-paranoide. Il temperamento depressivo sembra attenuare l’espressione della mania in una fenomenologia disforica-mista; se invece sottende un episodio depressivo maggiore dà luogo a un quadro melanconico. Pazienti con una costellazione di tratti di entrambi i temperamenti (ciclotimici) sembrano presentare depressione atipica-ansiosa da un lato e stato misto irritabile-labile dall’altro, con sintomatologia molto severa e rifiuto del trattamento.

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22 Secondo Himmelhoch (1979) fattori in grado di originare un episodio misto, in presenza comunque di una peculiare predisposizione genetica, sarebbero l’uso di farmaci ad azione centrale, come gli antipertensivi, i neurolettici e gli antidepressivi triciclici, e l’abuso di varie sostanze, quali cannabinoidi, eroina, cocaina ed altri stimolanti, alcool e sedativi. Nella patogenesi degli SM sono stati di volta in volta chiamati in causa anche la concomitanza di disturbi neurologici (riscontrata fin nel 70% dei casi), come epilessia, anomalie elettroencefalografiche aspecifiche, emicrania, alterazioni dello sviluppo, traumi cranici, e gli stress psicologici gravi e ripetuti, che comporterebbero una grave disregolazione neurofisiologica (Delay, 1961; Goodwin e Jamison, 1990).

La presentazione mista del disturbo dell’umore costituisce spesso una caratteristica familiare e si manifesta in genere in soggetti con un carico ereditario rilevante e bilaterale (Perugi e coll., 1997).

Quadri clinici: A causa della grande variabilità della sintomatologia, risulta difficile

fornire una descrizione organica delle caratteristiche cliniche degli SM. Queste condizioni, infatti, oltre a comprendere l’intera gamma dei sintomi depressivi e maniacali variamente combinati tra loro, presentano aspetti peculiari quali perplessità, labilità emotiva, eccitabilità, tensione, ansia, irritabilità, disforia, ostilità. Inoltre, di volta in volta possono associarsi manifestazioni meno costanti quali confusione, impulsività e manifestazioni psicotiche con contenuti ideativi e percettivi di opposta polarità (Akiskal e Puzantian, 1979). In questo modo si può produrre una grande varietà di quadri clinici che possono assumere le forme più disparate. Probabilmente è proprio la complessità psicopatologica degli SM a far sì che ancora oggi non siano disponibili criteri diagnostici soddisfacenti. Considerando i limiti dei criteri operativi proposti dai sistemi internazionali di classificazione dei disturbi mentali, che vedono lo SM esclusivamente come la combinazione di sintomi depressivi e maniacali, sembra preferibile ancora oggi far riferimento per la descrizione di queste entità morbose alle forme cliniche originariamente individuate da Kraepelin, integrate dalle acquisizioni più moderne.

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23 Sul piano descrittivo distinguiamo due differenti tipi di SM: forme attenuate e forme classiche; queste ultime possono essere caratterizzate da sintomi psicotici (forme psicotiche).

Gli stati misti attenuati sono caratterizzati dalla presenza della sintomatologia completa di una delle due polarità e da sfumati fenomeni contropolari (Bruni 1953) e vengono a loro volta suddivisi in quattro classi:

 Sindrome depressiva mista, in cui a un quadro depressivo classico si associano alcuni sintomi, quali umore disforico e/o labile, irritabilità, sentimenti di disperazione, incapacità a rilassarsi, intensa ansia, agitazione psichica e/o motoria, aggressività verbale o fisica, loquacità, accelerazione del pensiero, idee e tentativi impulsivi di suicidio, iperattività sessuale, insonnia grave, che costituiscono la spia di una sottostante componente eccitativa (Koukopoulos, Tundo, 1992).

 Ipomania ansiosa, in cui a un quadro ipomaniacale si associano sintomi tipo ansia generalizzata, che si esprimono con un continuo stato di preoccupazione verso banali situazioni della vita quotidiana. Talvolta risultano in primo piano l’insonnia, le lamentele somatiche e l’aumento della spinta sessuale.

 Ipomania disforica, in cui a un quadro ipomaniacale si associano impulsività, irritabilità, condotte antisociali, abuso di alcool o di sostanze stupefacenti.  Temperamento irritabile, caratterizzato da estrema reattività agli stimoli

esterni, frequenti esplosioni di rabbia, irritabilità, aggressività verbale o fisica, lamentosità, difficoltà nelle relazioni interpersonali. L’ansia, l’insonnia, l’elevato grado di sofferenza personale, le difficoltà di adattamento sociale e affettivo, caratteristici di questo stato, conducono spesso all’abuso di alcool e sedativi che, a loro volta, accentuano e cronicizzano la sintomatologia. Questa forma costituisce l’equivalente

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24 temperamentale degli stati misti ed è abitualmente contraddistinta da un esordio precoce e da un decorso cronico (Akiskal, 1988).

I quadri attenuati di ansia, agitazione e tensione miste a depressione presentano un rischio elevato di suicidio e risultano spesso accentuati dall’impiego di antidepressivi triciclici, soprattutto se somministrati ad alte dosi e per lunghi periodi. Un andamento protratto è frequente in tutte le forme miste attenuate. In questi casi l’egocentrismo, l’aumento dell’autostima, la grande sensibilità sul piano emotivo, la mutevolezza dell’umore, la spiccata sensibilità agli eventi esterni ed alla frustrazione facilitano la messa in atto di comportamenti di tipo bordeline, istrionico o narcisistico ponendo problemi di diagnosi differenziale con i disturbi di personalità.

Gli stati misti classici sono stati individuati e descritti originariamente da Kraepelin (1904). Secondo questo Autore le alterazioni fondamentali della malattia maniaco-depressiva riguardano tre coppie di sintomi antitetici: l’umore, che può fluttuare dalla depressione all’esaltazione; la psicomotricità, che può variare dall’inibizione all’eccitazione, l’ideazione, che può oscillare dal rallentamento all’accelerazione. [Fig. 1.3]

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25 Fig. 1.3 – Alterazioni dell’umore, della psicomotricità e dell’ideazione e formazione

degli stati misti secondo Kraepelin.

Se le tre coppie di sintomi sono contemporaneamente orientate nella stessa direzione si manifesteranno le forme “pure” di depressione o eccitamento; se al contrario si verifica una dissociazione e, in un determinato momento, una di queste coppie si trova in una fase diversa rispetto alle altre due, insorgerà uno dei sei differenti sottotipi di stato misto previsto da questo modello (Kraepelin, 1921).

 Mania depressiva: l’umore è orientato in senso depressivo, ma in primo piano è l’irritabilità, con estrema intolleranza e reattività alle minime stimolazioni dell’ambiente. Questi pazienti lamentano immaginarie vessazioni da

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26 familiari, colleghi, personale ospedaliero e presentano accelerazione delle idee ed agitazione motoria.

 Depressione agitata: caratterizzata da umore depresso ed da agitazione psicomotoria. Pur essendo presente logorrea, i contenuti espressi sono rappresentati da monotone lamentele, in genere a contenuto depressivo, di colpa, ipocondriaco. Altre volte sono espresse tematiche di autoriferimento e di inguaribilità. La componente ansiosa può non essere rilevante anche se in molti casi è presente e si associa a marcate manifestazioni neurovegetative.

 Mania improduttiva: con umore euforico ed aumento della attività motoria che si esprime con un affaccendamento del tutto inconcludente. L’eloquio è rallentato ed i contenuti dei pensieri sono scarsi. La capacità di prestare attenzione è assente ed il comportamento è incongruo.

 Stupor maniacale: nel quale l’euforia ed i sentimenti di aumentata capacità e potenza si presentano unitamente a inibizione sul piano motorio, verbale ed ideativo talvolta fino a giungere ad un vero e proprio quadro di arresto. I pazienti in genere non rispondono alla stimolazione verbale, ma appaiono lucidi e non presentano un grossolano disorientamento temporo-spaziale.

 Depressione con fuga delle idee: l’umore è depresso, la motilità e l’eloquio sono rallentati. In contrasto i pazienti riferiscono affollamento di pensieri e, talora, quando l’ideorrea non può essere espressa verbalmente, viene manifestata con ipergrafismo.

 Mania acinetica: con elevazione dell’umore, distraibilità, fuga delle idee associata ad inibizione motoria.

Come evidenziato dallo stesso Kraepelin, oltre il 50% dei pazienti con SM classico presenta fenomeni psicotici come deliri, allucinazioni uditive o visive, sentimenti di depersonalizzazione e derealizzazione, incoerenza ed allentamento dei nessi

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27 associativi (stati misti psicotici). La contemporanea presenza di elementi maniacali e depressivi sembra costituire infatti un fertile terreno da cui originano tematiche deliranti di autoriferimento, di influenzamento, persecutorie, ipocondriache (Himmelhoch, 1979; Himmelhoch e coll., 1976b; Strakowski e coll., 1992; Dell’Osso e coll., 1993). Le componenti psicotiche, sia congrue che incongrue, sono per lo più a carico del pensiero con tematiche deliranti persecutorie, mistiche, di dannazione e megalomaniche; possono concomitare fenomeni di diffusione, inserzione e di controllo del pensiero. Gli stati misti psicotici non di rado hanno un decorso protratto evolvendo verso forme croniche deliranti; in questi casi può essere difficile la diagnosi differenziale con i disturbi dello spettro schizofrenico.

Evoluzione: Per quanto prediliga l’età giovanile (Nunn, 1979; Post e coll., 1989;

Goodwin e Jamison, 1990), la comparsa di uno SM è possibile in qualunque momento della malattia maniaco-depressiva, sia all’inizio che dopo diversi episodi di entrambe le polarità. Il suo esordio è spesso (fino al 50% dei casi) in relazione con eventi stressanti, malattie fisiche, parto, puerperio, uso di sostanze o assunzione di steroidi o contraccettivi. Gli stati misti, presenti nel 30-40% circa dei pazienti con disturbi bipolari (Marneros e coll., 1991a, 1991b), possono alternarsi con fasi (ipo)maniacali e depressive o solo con fasi depressive; in quest’ultimo caso la fenomenica mista rappresenta la fase espansiva del ciclo maniaco-depressivo. Talvolta gli episodi misti, di diversa gravità, possono costituire l’unica manifestazione del disturbo (stato misto monopolare) [Figg. 1.4 e 1.5]. Gli SM costituiscono un sottogruppo consistente, il 45.4% dei pazienti ricoverati per un episodio acuto di mania (Dell’Osso e coll. 1991).

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28 Fig. 1.4 – Stato Misto e Disturbo Bipolare I.

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29 La durata spontanea degli episodi misti è variabile, risultando nella maggior parte dei casi compresa tra 3 mesi ed 1 anno. Nel 20-30% dei pazienti lo SM si protrae oltre i 2 anni ed il decorso diventa cronico (Perugi e coll., 2000); elevato è anche il rischio di un’incompleta risoluzione della sintomatologia nelle fasi intervallari per cui si assiste all’attenuazione della fenomenica più conclamata, mentre l’episodio continua in forma mono o oligosintomatica con lieve flessione del tono affettivo, irritabilità, a tratti esplosività, disadattamento in ambito sociale o professionale, cristallizzazione dei temi deliranti (Keller e coll., 1986; Perugi e coll., 2001b). Come aveva già riportato Kraepelin, tra i disturbi dell’umore gli SM presentano la peggiore prognosi sia a breve che a lungo termine (Himmelhoch e coll., 1976b; Keller e coll., 1986; Prien e coll., 1988; Cohen e coll., 1988; Tohen e coll., 1990; McElroy e coll., 1995; Perugi, e coll., 1997). Generalmente, infatti, si connotano per un inizio precoce, una durata prolungata, una maggiore necessità di ricorrere all’ospedalizzazione, un rischio elevato di cronicità e di suicidalità (Keller e coll., 1986; Dell’Osso e coll., 1991; Marneros e coll., 1991a). Nei pazienti con SM è frequente l’abuso di alcool, di sedativi e di altre sostanze (Himmelhoch e coll., 1976a, 1976b). D’altra parte l’uso di sostanze rappresenta spesso un tentativo di autoterapia dettato dalla necessità di ridurre l’ansia, la tensione, l’agitazione e l’umore depresso-irritabile. La presenza di tematiche deliranti, di tensione, di agitazione e di spiccata impulsività comporta un elevato rischio di condotte autolesive anche quando i sentimenti depressivi non sono così intensi (Winokur e coll., 1969). È stato infatti osservato che quando la tristezza si combina con un’intensa eccitazione ed agitazione psicomotoria, queste componenti possono fornire la “spinta energetica” necessaria per compiere gesti autoaggressivi particolarmente violenti. Il rischio di suicidio, in questa condizione, è stimato al 25-50% (Dilsaver e coll., 1994; Marneros e coll.,1991a, 1991b; Strakowski e coll. 1996; Goldberg e coll., 1998; Marneros e coll., 2004). Lo SM rappresenta la condizione psicopatologica a più alto rischio suicidario: è stato stimato che la maggior parte dei tentativi di suicidio venga attuata durante le fasi miste piuttosto

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30 che nel contesto di un episodio depressivo. In effetti, nella depressione “pura”, l'inibizione ideativa e psicomotoria sono solitamente tali da frenare qualsiasi tipo di iniziativa, per quanto virtualmente desiderata. Particolarmente a rischio saranno pertanto quegli stati misti caratterizzati da depressione dell'umore associata a disinibizione psicomotoria. È in queste condizioni, spesso associate a ideazione delirante, che possono essere progettati e realizzati i cosiddetti “suicidi allargati”, ovvero estesi ai familiari e talora effettuati con intento salvifico.

Diagnosi: Nei principali sistemi diagnostici internazionali (DSM, ICD), mentre

l’episodio maniacale e quello depressivo sono definiti mediante una serie di criteri operativi, lo SM viene caratterizzato genericamente dalla simultanea presenza di aspetti sindromici depressivi e maniacali. La mancanza di criteri diagnostici validi e specifici per lo SM ha reso più difficile lo studio dei rapporti fra queste condizioni e le altre polarità degli episodi affettivi, soprattutto quando la mania si presenta con umore disforico o la depressione si caratterizza per l’agitazione psicomotoria. Poco chiara è pure la relazione con alcuni aspetti evolutivi dei disturbi dell’umore quali la cronicità e la rapida ciclicità. Inoltre, la frequente contaminazione psicotica della condizione mista pone problemi di diagnosi differenziale dalle manifestazioni psicotiche proprie di altri ambiti nosografici, come la schizofrenia ed i disturbi schizoaffettivi. L’autonomia delle forme miste è stata criticata da molti sulla base dell’osservazione comune che quadri espansivi, maniacali o ipomaniacali, sono spesso contaminati da elementi depressivi e, pertanto, non sarebbe necessario ricorrere ad una categoria diagnostica specifica. Tuttavia, riprendendo le descrizioni classiche di Kraepelin, recentemente è stata riproposta una concezione dello SM come disturbo dell’umore separato sia dalla mania che dalla depressione, sottolineando l’importanza teorica e pratica di questa distinzione. La discussione sull’autonomia dello SM come terza polarità dei disturbi dell’umore riveste implicazioni importanti sul piano prognostico e terapeutico. La contemporanea presenza di sintomi depressivi e maniacali sembra infatti costituire un terreno predisponente per la comparsa di manifestazioni etero

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31 ed autoaggressive e comporta spesso una risposta insufficiente ai trattamenti convenzionali. Oggi i sistemi internazionali di classificazione dei disturbi mentali riconoscono l’esistenza degli stati misti, ma forniscono criteri operativi per la diagnosi non esenti da ambiguità. Per il DSM-IV-TR si pone diagnosi di Episodio Misto quando sono soddisfatti i criteri sia per l’Episodio Depressivo Maggiore che per la Mania, quasi ogni giorno per almeno una settimana [Fig. 1.6]. Così operando, tuttavia, non viene evidenziato il caratteristico polimorfismo sintomatologico e vengono escluse le forme attenuate e oligosintomatiche: secondo questi criteri piuttosto rigidi viene identificata solo la metà degli SM (Post e coll., 1989; McElroy e coll., 1992). Il manuale indica inoltre come criterio di esclusione che la sintomatologia mista «non deve essere determinata dall’effetto diretto di sostanze o di una condizione medica generale». La valutazione di quanto un effetto sia diretto o meno appare alquanto problematica, tanto più che tra i fattori più frequentemente associati all’insorgenza di SM ritroviamo l’azione di tossici o sostanze e la presenza di danni del SNC (Post e Kopanda, 1976; Himmelhoch, 1979).

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32 Criteri operativi per la diagnosi di SM sono stati formulati anche dalla scuola di Vienna (Berner e coll. 1983, modificato 1993) [Fig. 1.7] e sono imperniati sul concetto di instabilità del “dinamico”. In questa concettualizzazione viene dato risalto alla instabilità della condizione mista: l’umore non assume un orientamento definito ma rimane persistentemente fluttuante, generando una condizione di perplessità, rapidi mutamenti emotivi, indecisione, disturbi percettivi, derealizzazione e depersonalizzazione.

Fig. 1.7 – Criteri di Vienna per gli stati misti (da Berner e coll. 1983, modificato 1993).

Un parte della letteratura nord americana della fine del XX secolo, nell’affrontare lo studio degli SM, fa riferimento principalmente alle forme maniacali contaminate da elementi depressivi (Secunda e coll., 1987; Swann, 1995). A questo proposito si è parlato di mania disforica, considerandola di volta in volta come una varietà di mania, come una forma espansiva di particolare gravità, o come uno stato di transizione tra mania e depressione. Il gruppo di Cincinnati ha proposto una definizione di “mania mista” conforme al concetto di mania disforica, che prevede

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33 la presenza, in aggiunta alla piena sindrome maniacale, di solamente 3 dei 5 criteri previsti per la diagnosi di episodio depressivo maggiore [Fig. 1.8]. Utilizzando una definizione allargata di “mania mista”, McElroy e coll. (1995) hanno evidenziato alcune caratteristiche distintive di questa forma rispetto alla mania pura: una maggiore frequenza nel sesso femminile, un maggior numero di episodi misti precedenti, una maggiore probabilità di presentare episodi misti all’esordio ed una comorbidità più elevata con disturbi d’ansia, in particolare con il disturbo ossessivo compulsivo. Umore depresso e pensieri suicidari hanno il miglior valore diagnostico predittivo per la “mania mista”; pazienti con questa forma di mania hanno inoltre una percentuale più alta di tratti temperamentali depressivi.

Fig. 1.8 – Criteri di Cincinnati per la mania mista (da McElroy e coll., 1995)

Considerando i limiti operativi dei criteri proposti dai sistemi di classificazione dei disturbi mentali, presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa e l’International Mood Center dell’Università della California di San Diego sono stati condotta una serie di studi con l’obiettivo di convalidare e caratterizzare clinicamente il concetto di SM. Sono stati inoltre formulati nuovi criteri diagnostici (Perugi e coll., 1997) che, integrando le più moderne acquisizioni cliniche con le ipotesi originariamente formulate da Kraepelin e con le osservazioni della scuola di Vienna, consentono anche di specificare l’eventuale presenza di sintomi “psicotici”, la congruità o meno di questi all’umore, la cronicità del decorso (episodio di durata pari o superiore ai due anni) o la rapida

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34 ciclicità (quattro o più episodi affettivi in un anno). I criteri proposti dalla scuola di Pisa-San Diego risultano più inclusivi di quelli del DSM-IV-TR. [Fig. 1.9]

Fig. 1.9 – Criteri di Pisa-San Diego per gli stati misti (da Perugi e coll., 1997)

Le forme depressive di SM sono state a lungo trascurate dalla letteratura. I pazienti con SM depressivo possono essere distinti da forme depressive bipolari non miste dal fatto che essi hanno un minor numero di episodi di lunga durata e frequentemente iniziano la loro malattia con un episodio misto (Perugi e coll., 2001b). Come descritto da Keller e coll. (1986), la prognosi degli stati misti in termini di sintomatologia interepisodica è peggiore che nella depressione bipolare non mista. Caratteristiche psicotiche incongrue sono più comuni negli stati misti depressivi rispetto ai pazienti con depressione bipolare pura. Ciò evidenzia come gli SM non rappresentino una semplice sovrapposizione di sintomi emotivi di

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35 opposta polarità(Himmelhoch, 1979; Berner e coll., 1983; Akiskal e Mallya, 1987; Koukopoulos e coll., 1992; Perugi e coll., 1997; Akiskal e coll., 1998). Pazienti con Stato Misto, rispetto a pazienti con depressione bipolare pura, riportano maggiori disturbi cognitivi, agitazione, sintomi paranoidi, e un minor rallentamento motorio, sintomi somatici, disturbi sessuali. Più frequenti sono anche l’umore irritabile, la logorrea e la fuga delle idee (Akiskal e Mallya, 1987; Koukopoulos e coll., 1992). Una corretta diagnosi e gestione clinica degli stati misti depressivi sarebbe fondamentale nella prevenzione dell’abuso di sostanze da parte di questi pazienti (Cassano e coll., 1983; Akiskal, 1994; Koukopoulos e Koukopoulos, 1999). L’accurata identificazione di uno SM depressivo ha implicazioni cliniche fondamentali: queste condizioni possono essere confuse con numerosi altri disordini psichiatrici, inclusa la depressione atipica unipolare, la depressione con manifestazioni psicotiche, la schizofrenia, il disturbo di personalità borderline, i disturbi mentali organici (Himmelhoch e coll., 1976b; Secunda e coll., 1985; Koukopoulos e coll., 1992; Akiskal e Mallya, 1987). Dunque è importante distinguere gli SM da queste altre condizioni per evitare trattamenti (ad es. gli antidepressivi) che potrebbero peggiorare la sintomatologia e per promuovere trattamenti che potrebbero essere particolarmente efficaci (ad es. anticonvulsivanti, antipsicotici atipici, terapia elettroconvulsivante).

Trattamento: Trattandosi di condizioni psicopatologiche complesse e mutevoli,

negli stati misti sono richieste scelte terapeutiche differenziate e adattate al tipo e alla gravità del quadro clinico di volta in volta presente; in tutti i casi è necessario, fin dalle fasi iniziali, pianificare un programma terapeutico a lungo termine volto alla individuazione di eventuali fattori patogenetici e alla prevenzione delle recidive. Tra i fattori in grado di scatenare o mantenere uno stato misto abbiamo (Himmelhoch, 1979) :

 Abuso di alcol, sostanze (cocaina, eroina, cannabis), stimolanti (caffeina);  Abuso o astinenza da benzodiazepine;

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36  Uso di farmaci ad azione centrale: antidepressivi, antipsicotici,

antipertensivi;

 Patologie neurologiche: sfumata diatesi convulsiva, patologie neurologiche franche.

Sia nelle forme psicotiche sia in quelle attenuate, la terapia d’attacco prevede l’utilizzo dell’acido valproico, lamotrigina, carbamazepina o oxcarbazepina, in dosi variabili in rapporto alla risposta del paziente; questi composti, da soli o in associazione ai

sali di litio, costituiscono la terapia d’elezione per la prevenzione delle recidive. Gli

antiepilettici devono essere di volta in volta affiancati da altri prodotti in base alle esigenze cliniche.

Le benzodiazepine a lunga emivita (diazepam o desmetildiazepam), somministrate per os o per via parenterale, abitualmente consentono un rapido controllo dell’agitazione e dell’insonnia; entro 2-3 settimane questi farmaci devono essere comunque sospesi per evitare l’insorgenza di fenomeni di dipendenza. I pazienti con stato misto attenuato talvolta sono dipendenti da benzodiazepine e questo può favorire la cronicizzazione del quadro; è pertanto necessaria la sostituzione con benzodiazepine a lunga emivita che dovranno essere gradualmente ridotte fino alla completa sospensione; la somministrazione di clozapina in piccole dosi (25-50 mg/die) può essere di aiuto nella fase di astinenza.

Se gli antiepilettici bloccano la componente maniacale ma non quella depressiva, evidenza più frequente negli stati misti attenuati, si può dover associare un antidepressivo a basse dosi e per brevi periodi, scegliendo un composto con azione ansiolitica e sedativa, come la trimipramina, la fluvoxamina, e il trazodone. L’uso di antidepressivi, talvolta indispensabile, dovrebbe essere comunque attuato con molta prudenza poiché questi composti possono intensificare la componente eccitativa o indurre un viraggio verso un episodio maniacale franco e talora favorire la cronicizzazione o la ciclicità continua.

Nello stato misto psicotico agli antiepilettici è in genere necessario associare un neurolettico incisivo (per es. aloperidolo), o atipico sia per intervenire sulle

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37 tematiche deliranti e sui fenomeni allucinatori, sia per controllare l’agitazione motoria, l’insonnia e l’ansia. Nella pratica clinica sono ormai sempre più impiegati gli antipsicotici atipici, in particolare la clozapina, perché meglio tollerati in fase acuta e adatti come trattamento preventivo e nei casi resistenti. Le dosi devono essere adattate al singolo caso per la diversa ed individuale sensibilità agli effetti collaterali, tenendo comunque presente che l’uso di composti tipici può accentuare la componente depressiva. L’uso dei neurolettici deve essere limitato anche per evitare i danni iatrogeni legati all’impiego prolungato, non ultima la cronicizzazione.

Sia negli stati misti psicotici, sia in quelli attenuati, un rapido miglioramento della sintomatologia acuta si può ottenere con la terapia elettroconvulsivante, alla quale si dovrebbe sempre ricorrere in presenza di un alto rischio di suicidio e nelle forme croniche e/o resistenti al trattamento farmacologico.

In considerazione dell’alto rischio di cronicità e di recidive, nei soggetti con SM è necessario prevedere fin dal primo episodio un trattamento profilattico incentrato sull’associazione di sali di litio e antiepilettici (Cassano e coll., 2006).

1.5 VARIAZIONI NOSOGRAFICHE DEGLI SM NEL DSM-5

DSM-5 è la sigla con cui viene identificata l'edizione e i cambiamenti approvati dalla fondazione dell'American Psychiatric Association il 1º dicembre 2012. La pubblicazione della quinta edizione è avvenuta nel maggio del 2013.

Riguardo il Disturbo Bipolare, per affinare la diagnosi e promuovere una corretta gestione clinica, il Criterio A per l’episodio maniacale e ipomaniacale adesso include ed enfatizza un cambio nelle attività e nelle energie così come nell’umore. Il criterio diagnostico del DSM-IV per gli Stati Misti che prevedeva la simultanea presenza dei pieni criteri sia per la mania che per l’episodio depressivo maggiore, è

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38 stato rimosso, perché ampiamente criticato e ritenuto troppo restrittivo. Al suo posto è stato introdotto un indicatore, denominato “con caratteristiche miste”, che può essere applicato agli episodi di mania o ipomania quando sono presenti caratteristiche depressive, oppure all’episodio depressivo monopolare o bipolare quando sono presenti caratteristiche di mania /ipomania. Questo perché durante la revisione del manuale, il gruppo di lavoro sui disturbi dell’umore del DSM-5 ha accertato che i pazienti molto raramente presentano allo stesso tempo i criteri pieni sia per l’episodio depressivo maggiore che per l’episodio di mania.

Al fine di essere diagnosticato col nuovo indicatore “con caratteristiche miste” in caso di depressione maggiore, il DSM-5 richiede la presenza di ameno 3 sintomi propri dell’episodio (ipo)maniacale che non si sovrappongono con i sintomi della depressione maggiore. In caso di mania/ipomania il nuovo indicatore richiede la presenza di almeno 3 sintomi propri della depressione che non si sovrappongono con i sintomi dell’episodio (ipo)maniacale. In questo modo, se un soggetto è predominantemente in fase (ipo)maniacale ma presenta anche sintomi depressivi, il criterio “con caratteristiche miste” per la diagnosi di Episodio Misto (EM) può essere considerato. I sintomi depressivi possono includere umore depresso, diminuito interesse o piacere per le attività, rallentamento emotivo e psicomotorio, affaticabilità o mancanza di energie e pensieri ricorrenti di morte. Almeno 3 di questi parametri devono essere presenti all’incirca ogni giorno per almeno 1 settimana nell’episodio maniacale o per almeno 4 giorni nell’episodio ipomaniacale per fare diagnosi di EM (Mania Mista).

Viceversa, se un soggetto è principalmente depresso ma presenta anche alcuni sintomi (ipo)maniacali, anche in questo caso l’indicatore di caratteristiche miste può essere considerato. Questi sintomi (ipo)maniacali possono includere elevazione del tono dell’umore, autostima ipertrofica o grandiosità, diminuito bisogno di sonno, aumento delle energie e dell’attività finalizzata. Almeno 3 di questi parametri devono essere presenti all’incirca ogni giorno per almeno 2

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39 settimane nell’episodio depressivo maggiore per fare diagnosi di EM (Depressione Mista).

In entrambi i casi permane il criterio per cui la sintomatologia non debba essere secondaria ad uso di sostanze o a condizioni mediche generali.

Criteri del DSM-5: l’indicatore “con caratteristiche miste” può essere applicato

all’episodio (ipo)maniacale o depressivo del Disturbo Bipolare tipo I e II.  Episodio (ipo)maniacale con caratteristiche miste

A) Devono essere soddisfatti tutti i criteri per un episodio maniacale o ipomaniacale, e almeno 3 dei seguenti sintomi sono presenti durante la maggior parte dei giorni dell’episodio corrente o più recente di (ipo)mania:

1) Marcata disforia o umore depresso.

2) Diminuito interesse e piacere in tutte, o almeno nella maggior parte, delle attività.

3) Rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno. 4) Sensazione di facile faticabilità o perdita di energie.

5) Sentimenti eccessivi o inappropriati di inadeguatezza o di colpa. 6) Ricorrenti pensieri di morte, ideazione suicidaria.

B) I sintomi misti sono osservabili oggettivamente dagli altri e rappresentano un cambiamento nel comportamento usuale della persona.

C) Per i soggetti in cui i sintomi soddisfano i criteri per gli episodi completi sia di mania che di depressione simultaneamente, la diagnosi deve essere di episodio maniacale con caratteristiche miste, data la marcata disfunzionalità e la gravità clinica della mania franca.

D) I sintomi misti non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (es. abuso di sostanze, trattamenti farmacologici, altre terapie).

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40  Episodio depressivo con caratteristiche miste

A) Sono rispettati tutti i criteri per l’episodio depressivo maggiore, e almeno 3 dei seguenti sintomi (ipo)maniacali sono presenti durante la maggior parte dei giorni dell’episodio corrente o più recente di depressione:

1) Umore elevato, espanso.

2) Autostima ipertrofica o grandiosità.

3) Maggior loquacità o spinta a continuare a parlare.

4) Fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente.

5) Aumento delle energie o delle attività finalizzate.

6) Eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un elevato potenziale di conseguenze dannose.

7) Diminuito bisogno di sonno.

B) I sintomi misti sono osservabili oggettivamente dagli altri e rappresentano un cambiamento nel comportamento usuale della persona.

C) Per i soggetti in cui i sintomi soddisfano i criteri per gli episodi completi sia di mania che di depressione simultaneamente, la diagnosi deve essere di episodio maniacale con caratteristiche miste.

D) I sintomi misti non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (es. abuso di sostanze, trattamenti farmacologici, altre terapie). Nota: Le caratteristiche miste associate all’Episodio Depressivo Maggiore sono state identificate come un fattore significativo di rischio di sviluppo di Disturbo Bipolare di tipo I e II. Da ciò ne consegue che è clinicamente utile annotare la presenza di questo indicatore nella pianificazione terapeutica e nel monitoraggio della risposta al trattamento.

Figura

Figura  1.1  –  Ipotesi  monoaminergica  della  depressione.  a:  neurotrasmissione  in  condizioni  di  normalità
Fig. 1.5 – Stato Misto e Disturbo Bipolare II.
Fig. 1.9 – Criteri di Pisa-San Diego per gli stati misti (da Perugi e coll., 1997)

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