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UNA STORIA DELL ’ ASTRONOMIA CONCEZIONE DEL M ONDO L’ EVOLUZIONE DELLA NOSTRA

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A NTON P ANNEKOEK

L’ EVOLUZIONE DELLA NOSTRA CONCEZIONE DEL M ONDO

UNA STORIA DELL ’ ASTRONOMIA

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Anton Pannekoek (Olanda, 1873-1960)

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S OMMARIO

INTRODUZIONE

PARTE PRIMA: LASTRONOMIA NEL MONDO ANTICO

Capitolo 1. La vita e le stelle p. 5 Capitolo 2. Agricoltura e calendario 8 Capitolo 3. L’antica visione babilonese del cielo 12 Capitolo 4. L’astrologia assira 18 Capitolo 5. La nuova scienza babilonese 26 Capitolo 6. Le tavole caldee 37

Capitolo 7. Egitto 50

Capitolo 8. Cina 53

Capitolo 9. Poeti e filosofi greci 60 Capitolo 10. Calendario e geometria 68 Capitolo 11. I Sistemi del Mondo 73 Capitolo 12. L’astronomia ellenistica 80 Capitolo 13. La teoria degli epicicli 88 Capitolo 14. La fine del mondo antico 96 Capitolo 15. L’astronomia araba 110

PARTE SECONDA: LASTRONOMIA IN RIVOLUZIONE

Capitolo 16. La “buia” Europa 117 Capitolo 17. Il Rinascimento scientifico 121

Capitolo 18. Copernico 128

Capitolo 19. Il calcolo astronomico 136

Capitolo 20. Tycho Brahe 140

Capitolo 21. La riforma del calendario 148 Capitolo 22. Il dibattito sul Sistema del Mondo 152

Capitolo 23. Keplero 162

Capitolo 24. Meccanica e filosofia 170

Capitolo 25. Il telescopio 176

Capitolo 26. Newton 184

Capitolo 27. L’astronomia pratica 195 Capitolo 28. Astronomi in viaggio 200 Capitolo 29. Il raffinamento della pratica 205 Capitolo 30. Il raffinamento della teoria 211

PARTE TERZA: LASTRONOMIA STUDIA LUNIVERSO

Capitolo 31. Il Mondo diventa più grande 221 Capitolo 32. Le basi tecniche 229 Capitolo 33. Distanze e dimensioni 243 Capitolo 34. La meccanica celeste 232 Capitolo 35. Una pluralità di mondi 246 Capitolo 36. Cosmogonia ed evoluzione 284

Capitolo 37. Il Sole 291

Capitolo 38. Astri passeggeri 304 Capitolo 39. Stelle peculiari 312

Capitolo 40. Stelle comuni 323

Capitolo 41. Il sistema galattico 341 Capitolo 42. Nello spazio infinito 353 Capitolo 43. La vita delle stelle 360

APPENDICI 365

DUE BIOGRAFIE DI ANTON PANNEKOEK 371

REFERENZE 375

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INTRODUZIONE

La scienza astronomica ha avuto le sue origini, nella storia dell’uomo, molto prima delle altre scienze naturali. Nel lontano passato, quando la conoscenza pratica, nella vita e nel lavoro quotidiano, non aveva ancora portato a uno studio sistematico della fisica e della chimica, l’astronomia era già una scienza ben sviluppata. Questa

‘antichità’, quindi, individua il posto speciale che l’astronomia ha occupato nella storia della cultura umana. Gli altri campi della conoscenza si sono sviluppati come vere e proprie scienze solo negli ultimi secoli e il loro sviluppo ha avuto luogo soprattutto all’interno delle mura delle università e delle aule dei laboratori, laddove raramente penetra il rumore degli avvenimenti politici e sociali. L’astronomia, al contrario, si era già espressa nel mondo antico come un sistema di conoscenze teoriche, che consentiva all’uomo di predire perfino le terribili eclissi, e aveva assunto un aspetto decisamente rilevante nella sua vita spirituale.

Questa storia è legata al processo di crescita dell’umanità sin dalle origini della civiltà e appartiene a epoche nelle quali la società e l’individuo, il lavoro e la ritualità, la scienza e la religione ancora formavano entità inseparabili. Nel mondo antico e nei secoli successivi, la dottrina astronomica era un elemento essenziale all’interno della concezione del mondo, sia religiosa che filosofica, in grado di riflettere la vita sociale. Quando un fisico moderno guarda indietro verso i suoi predecessori, trova degli individui simili a se stesso, con atteggiamenti analoghi, pur se più primitivi, nei confronti degli esperimenti e delle deduzioni, delle cause e degli effetti.

Quando, invece, un astronomo guarda ai suoi predecessori, trova sacerdoti e maghi babilonesi, filosofi greci, principi musulmani, monaci medievali, nobili e religiosi rinascimentali, fino a quando, con gli studiosi del Seicento, non si imbatte in

individui moderni del tutto simili a lui. Per tutti questi uomini, l’astronomia non è stata una branca limitata di una scienza specialistica, bensì un sistema del mondo indissolubilmente legato alla complessità della loro concezione della vita. Il loro lavoro non è stato ispirato dalle tradizionali esigenze di una corporazione di professionisti, bensì dai più profondi problemi dell’umanità.

La storia dell’astronomia è, allora, la storia di come è cresciuta, nell’uomo, la concezione del mondo in cui vive.

Istintivamente, l’uomo ha sempre ritenuto che i cieli sopra di lui fossero l’origine e l’essenza della sua vita in un senso più profondo di quanto lo potesse essere la stessa Terra. La luce e il calore venivano dal cielo, dove il Sole e gli altri astri descrivevano le loro orbite e dove dimoravano gli dèi che regolavano il suo destino scrivendo i loro messaggi nelle stelle. I cieli erano vicini e le stelle svolgevano un ruolo importante nella vita dell’uomo. Lo studio delle stelle permetteva quindi, il disvelamento di questo mondo superiore: il più nobile oggetto al quale la mente e lo spirito dell’uomo potessero mai rivolgersi.

Questo studio, proseguito per numerosi secoli, sin dall’antichità, mostrò principalmente due cose: la periodicità dei fenomeni celesti e la vastità dell’universo.

All’interno della sfera celeste, che con le sue stelle tutto comprendeva, la Terra, ritenuta il centro e l’oggetto principale, era solamente un piccolo globo oscuro e altri astri — Sole, Luna e pianeti, alcuni dei quali addirittura più grandi — ruotavano intorno a essa.

Questa era la concezione del Cosmo che, allorquando crollò il mondo antico e la scienza decadde per un migliaio di anni, rimase come eredità culturale e che, alla fine del Medioevo, venne trasmessa alla nascente cultura dell’Europa occidentale.

Fu nel Cinquecento che l’astronomia,

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favorita da un forte sviluppo sociale, produsse una nuova concezione del Mondo.

Si comprese come l’immobilità della Terra, ritenuta il fondamento più saldo della conoscenza, fosse solo un’apparenza. Si comprese, inoltre, come la stessa Terra non fosse altro che uno dei numerosi pianeti, tutti in rotazione intorno al Sole e come, in uno spazio senza fine, le stelle fossero degli altri soli. Ci fu, così, una rivoluzione che favorì nuovi modi di pensare e, con enormi sforzi, l’umanità dovette riconsiderare la sua posizione nel Mondo. In quei secoli di rivoluzione, il contesto nel quale si mosse il pensiero astronomico costituì un elemento importante nel dibattito intellettuale che accompagnava i grandi sommovimenti sociali.

L’astronomia, come pure lo studio della natura nel suo complesso, entrava ora in una nuova era. Il secolo successivo portò alla scoperta della legge fondamentale che governava tutti i moti nell’universo; il pensiero filosofico poteva confrontarsi, per la prima volta, con una legge della natura esatta e stringente; l’antico legame mistico e astrologico tra i corpi celesti e l’uomo veniva sostituito dall’onnipresente azione meccanica della gravitazione.

Infine, nell’epoca moderna della scienza, il concetto di universo si è allargato a dimensioni ancora maggiori, esprimibili solo con numeri nei confronti dei quali parlare della piccolezza della Terra è una frase priva di senso. L’astronomia è tornata a essere di nuovo — o ancora — la scienza della totalità dell’universo, pur se adesso semplicemente da un punto di vista spaziale. Mentre un tempo l’idea di una comunione del mondo celeste con il mondo umano accendeva i cuori degli studiosi della natura, ora gli uomini sono stimolati dall’orgogliosa consapevolezza che la mente umana è in

grado di levarsi, dal nostro piccolo guscio, sino ai sistemi stellari più remoti.

Nei tempi antichi, quando le teorie fisiche non erano altro se non astratte speculazioni, l’astronomia costituiva già un sistema ordinato di conoscenze in grado di consentire un pratico orientamento nello spazio e nel tempo. Nei secoli successivi, la ricerca astronomica si rivolse sempre di più verso la conoscenza teorica della struttura dell’universo, ben al di là di ogni applicazione pratica, per soddisfare la ricerca della verità, vale a dire per la gioia dell’intelletto. Le reciproche relazioni tra le scienze divennero esattamente l’opposto di quelle che erano state fino ad allora: la fisica, la chimica e la biologia si svilupparono sempre di più, arrivando a rivoluzionare la società e a mutare il volto della Terra tramite le loro applicazioni tecniche. In questa rivoluzione, l’astronomia rimase a guardare: le stelle non potevano fornire dei contributi alla nostra tecnologia, alla nostra vita materiale o alla nostra organizzazione economica. E così il loro studio divenne sempre più uno sforzo ideale rivolto alla conoscenza fisica dell’universo.

Mentre le altre scienze conseguirono brillanti trionfi nella trasformazione del mondo, lo studio dell’astronomia divenne un’opera di cultura, un’avventura della mente. La sua storia rimane allora ciò che è sempre stata: una parte essenziale nella storia della cultura dell’uomo.

Chiunque penetri nel passato si rende partecipe dello sviluppo della razza umana proprio come se si trattasse di una sua personale esperienza. È scopo del presente lavoro, quindi, seguire in questo passato lo sviluppo della concezione astronomica del Mondo come una manifestazione della crescita dell’umanità.

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PARTE PRIMA

L’ ASTRONOMIA

NEL MONDO ANTICO

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CAPITOLO 1

L A VITA E LE STELLE

Le origini dell’astronomia risalgono ai tempi preistorici, dei quali non è sopravvissuta alcuna testimonianza. Già nei primi documenti scritti, risalenti agli albori della storia, si trovano indicazioni che dimostrano come i fenomeni astronomici abbiano sempre attirato l’attenzione dell’uomo e oggi noi sappiamo come tra i popoli primitivi vi fosse una certa conoscenza delle stelle e dei fenomeni celesti.

Cosa spinse l’uomo primitivo ad alzare gli occhi dalla terra al cielo sopra di lui? Fu la bellezza del cielo stellato, degli innumerevoli punti luminosi, in una meravigliosa varietà di splendore, di colore e di forma, a catturare i suoi occhi? Fu la regolarità dei loro moti lungo la volta celeste

— e di alcune irregolarità in quei moti — che provocò la sua curiosità? Questi motivi ispirarono e guidarono l’uomo solo molto più tardi: all’inizio egli non aveva tempo per speculazioni, dovendo lottare continuamente per la propria vita e combattere incessantemente contro le forze ostili della natura. Questa lotta per la sopravvivenza lo impegnava completamente e in questa battaglia egli dovette acquisire un’enorme conoscenza dei fenomeni naturali che influenzavano la sua vita e determinavano il suo lavoro; meglio li conosceva, meno precaria diventava la sua vita. Fu in questo modo, quindi, che i fenomeni astronomici entrarono a far parte della sua vita, del suo ambiente e delle sue attività catturando la sua attenzione. La scienza nacque così, non come un bisogno astratto di verità e di conoscenza, ma come parte dell’esistenza, come una esigenza spontanea determinata dai bisogni sociali.

Il fenomeno astronomico dell’alternarsi del giorno e della notte regolava la vita dell’uomo e degli animali. Le tribù primitive stabilivano con gran precisione l’ora del

giorno dall’altezza del Sole, avendo bisogno di regolare il loro lavoro durante la giornata.

I missionari ci riportano come gli aborigeni in giorni sereni si radunassero in assemblee sempre alla stessa ora, mentre nei giorni nuvolosi potessero sbagliarsi sull’orario.

Anche i contadini europei ne erano in grado finché gli orologi davanti alle chiese e gli orologi da tasca lo resero superfluo. Quando fu necessario un metodo più preciso per calcolare la durata del giorno iniziarono a contare a passi la lunghezza dell’ombra.

L’altro principale fenomeno determinante per le attività dell’uomo è l’alternarsi delle stagioni: ad alte latitudini l’alternarsi di un inverno improduttivo e un’estate abbondante; più vicino all’equatore l’alternarsi di stagioni secche e piovose. I cacciatori e i pescatori primitivi svolgevano le loro attività dipendendo completamente dai cicli vitali e dalle migrazioni degli animali. Contadini e pastori regolavano il lavoro, la semina, il raccolto, e anche il loro nomadismo con le stagioni dell’anno. Essi erano guidati dalla loro esperienza nel riconoscere i cambiamenti dell’aspetto della natura.

L’attenzione ai fenomeni celesti divenne necessaria quando il lavoro si fece più complesso. Quando i nomadi od i pescatori diventarono mercanti viaggiatori, sentirono il bisogno di orientarsi e usarono per questo scopo i corpi celesti, durante il giorno il Sole, durante la notte le stelle e a queste furono rivolti gli occhi e la mente dell’uomo.

I nomi alle stelle vennero dati nella prima letteratura araba; nel Pacifico i polinesiani e i micronesiani, che erano esperti navigatori, usavano le stelle per determinare le ore della notte. I punti dove sorgevano e tramontavano servivano loro come compassi celesti e durante la notte dirigevano i loro vascelli verso questi punti. Nelle scuole i

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giovani imparavano l’arte dell’astronomia per mezzo di sistemi di sfere. Tale scienza autoctona si perse quando si verificò il contatto con gli europei che rovinarono queste popolazioni sia fisicamente che moralmente.

Il bisogno di misurare intervalli di tempo fu un secondo incentivo che portò a una più precisa osservazione dei fenomeni celesti.

La misura del tempo fu, a parte quella della navigazione, la più antica pratica astronomica, dalla quale si sviluppò più tardi la scienza. I periodi del Sole e della Luna erano le unità naturali per il computo del tempo, ma talvolta, come curioso prodotto di un’elevata conoscenza, apparvero altri periodi, come quello di Venere usato dai Messicani e quello di Giove usato dagli Indiani. Il Sole impone il suo periodo di un anno con le stagioni, mentre il periodo delle fasi lunari è più conciso e, a causa della sua brevità, è anche più pratico. Quindi, il calendario era generalmente regolato dalla Luna eccetto dove i cambiamenti climatici stagionali imponevano i loro ritmi.

I popoli nomadi regolavano il loro calendario tramite il periodo sinodico di 29½ giorni in cui ricorrono le fasi lunari. Ogni volta che la Luna nuova - chiamata crescente a causa della sua gobba - appare come un sottile arco nel cielo serale a ovest, inizia un nuovo mese di 29 o 30 giorni; quindi le ore del giorno iniziano alla sera. Così la Luna divenne l’oggetto più importante dell’ambiente naturale dell’uomo. L’ebreo Midrash dice: «La Luna è stata creata per contare i giorni». Libri antichi di diverse popolazioni riportano tutti che la Luna serviva per le misurazioni del tempo. Queste erano le basi per i culti lunari: l’adorazione della Luna come un essere vivente le cui fasi regolano il tempo. La Luna nuova e la Luna piena, che rompe il buio della notte, erano addirittura celebrate con cerimonie e offerte.

Non risultano solo adorazioni ma anche precise osservazioni, come è mostrato in una curiosa divisone dello zodiaco in 27 o 28

“stazioni lunari”. Queste stazioni sono piccoli gruppi di stelle distanti circa 13° uno dall’altro, così che la Luna nel suo corso

lungo la sfera celeste occupa ogni notte la stazione successiva. Le stazioni lunari erano conosciute dagli arabi come menazil o manzil, dagli indiani come nakshatra (cioè stelle), e dai cinesi come hsiu. Per queste tre popolazioni le stazioni lunari erano la stessa cosa e quindi è stato supposto che essi lo avessero derivato uno dall’altro. Ci sono opinioni differenti su quale dei tre popoli sia stato l’inventore originale delle stazioni lunari oppure su chi abbia ricevuto queste conoscenze dai centri culturali mesopotamici.

In ogni caso, un’origine indipendente non sembra possibile, anche se molte di queste stazioni lunari costituiscono dei gruppi naturali di stelle, più naturali spesso delle dodici costellazioni dello zodiaco. La testa dell’Ariete, la parte posteriore dell’Ariete, le Pleiadi, le Iadi con Aldebaran, le corna del Toro, i piedi dei Gemelli, i Gemelli Castore e Polluce, il Cancro, la testa del Leone con Regolo e la sua parte posteriore con Denebola sono, infatti, tutti gruppi cospicui.

Comunque ci sono identità di gruppi di stelle meno ovvi e meno naturali che potrebbe suggerire mutui scambi. È risaputo che ci furono molti scambi culturali tra la Cina e l’India e tavolette con antichi testi sumeri sono state ritrovate nel Sindh.

Il periodo lunare è, quindi, la più antica unità per il calendario. Ma, anche con la sola misura lunare del tempo, l’anno – il grande periodo della natura – appare diviso in dodici mesi, cioè dodici differenti e consecutivi nomi di mesi indicanti un aspetto stagionale: il mese delle piogge, degli animali giovani, della semina o del raccolto. Si sviluppò comunemente la tendenza di una stretta coordinazione tra la misura del tempo lunare e quella solare.

Le popolazioni di agricoltori, a causa della natura del loro lavoro, erano fortemente legate all’anno solare: era la natura stessa che l’imponeva ai popoli delle alte latitudini.

Gli Eschimesi del Labrador non avevano un nome per il periodo di buio invernale poiché il lavoro all’aperto veniva interrotto, mentre avevano quattordici nomi per i rimanenti periodi dell’anno. Molti popoli, infatti,

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lasciavano senza nome i mesi in cui l’agricoltura era sospesa: i romani avevano originariamente solo dieci mesi (infatti, i nomi da settembre a dicembre significano settimo, ottavo, nono, decimo) e solo in seguito aggiunsero gennaio e febbraio. I nostri calendari moderni, senza alcuna correlazione con le fasi lunari, hanno però mantenuto la tradizionale divisione in dodici mesi usata anticamente nel computo del tempo.

Molte popolazioni agricole nei loro calendari usavano sia i mesi sia l’anno, in particolare nei paesi più a sud dove le differenze tra le stagioni dell’anno sono minime. Infatti i polinesiani e i popoli dell’Africa avevano cerimonie regolari per la Luna piena, ma le feste per il raccolto dipendevano dalle stagioni dell’anno. Essi sapevano quanti mesi dovevano trascorrere tra la semina e il raccolto e quale fosse il giusto mese per raccogliere i frutti selvatici e per la caccia.

In questo modo sorse una difficoltà: le date della Luna piena e della Luna nuova nell’anno solare si muovevano avanti e indietro così che le fasi lunari potevano non coincidere sempre con una determinata stagione. Allora, le stelle, già conosciute tramite il loro moto e la loro orientazione, offrirono una soluzione migliore. Attente osservazioni rivelarono che la posizione delle stelle alla stessa ora della notte cambiava regolarmente con le stagioni.

Gradatamente la stessa posizione era occupata in anticipo durante la notte; le stelle più a ovest scomparivano al tramonto e all’alba nuove stelle emergevano all’orizzonte orientale, apparendo sempre prima nei mesi successivi. Questo apparire al mattino e scomparire la sera, chiamati levata e tramonto eliaci, determinati dal corso annuale del Sole sull’eclittica, si ripetevano ogni anno alla stessa data. La stessa cosa accadeva con la levata e il tramonto acronici, cioè nel momento in cui una stella sorgeva al tramonto (la fine del periodo osservabile) o calava appena prima dell’alba. Gli aborigeni dell’Australia

sapevano che la primavera iniziava con il sorgere delle Pleiadi nella sera. Nello Stretto di Torres, per determinare il momento della semina, veniva effettuata una precisa osservazione all’alba per l’apparizione di una stella luminosa chiamata Kek, probabilmente Canopo o Achernar.

Sull’isola di Giava i dieci mangsas (cioè mesi) erano determinati dalle posizioni della cintura di Orione; quando questa era invisibile, i lavori nei campi cessavano e il suo sorgere al mattino dava inizio alla stagione agricola.

I fenomeni celesti non erano i soli modi per fissare le date dell’anno solare, infatti anche il Sole stesso veniva usato. I Kindji- Dayaks, che vivevano nel Borneo a due gradi e mezzo di latitudine nord, usavano la lunghezza dell’ombra di un bastone verticale a mezzogiorno; il primo mese corrispondeva a un ombra assente, il secondo e il terzo mese corrispondevano a un ombra lunga rispettivamente un mezzo e due terzi della parte superiore del bastone. Presso il fiume Mahakam le festività per l’inizio della semina erano determinate dal tramonto del Sole in un punto all’orizzonte segnato da due grandi rocce.

I sacerdoti degli indiani Zuni fissavano il giorno più lungo e il più corto, celebrandolo con molte cerimonie, tramite attente osservazioni del punto più a nord e di quello più a sud di levata del Sole; e questo era lo stesso per gli Eschimesi nel loro paese, dove a causa dell’alta latitudine, il metodo era più accurato che in ogni altro luogo.

La necessità di dividere e regolare il tempo ha portato in vari modi i popoli primitivi e le tribù a osservare i corpi celesti e, quindi, alla scoperta delle conoscenze astronomiche.

Possiamo essere sicuri — e questo è confermato da tradizioni storiche — che queste conoscenze si sono sviluppate nei periodi preistorici. Da queste premesse possiamo affermare che la scienza, al sorgere della civilizzazione, sia emersa per prima in Oriente, tra i popoli di più antica cultura.

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CAPITOLO 2

A GRICOLTURA E CALENDARIO

Da una moltitudine di tribù che vivevano in condizioni barbare, nacquero, tra il 4000 e il 1000 a.C., grandi popoli nelle fertili pianure della Cina, dell’India, della Mesopotamia e dell’Egitto. Essi rappresentarono un elevato stadio di cultura del quale sono stati ritrovati documenti scritti. Le precedenti comunità indipendenti di contadini e di abitanti delle città, con i loro capi tribù e re urbani, le loro divinità locali e le loro forme di culto, si mescolarono in più grandi unità politiche. La straordinaria fertilità delle sabbie alluvionali, che davano buoni prodotti, fornirono benefici per una classe separata di funzionari e sovrani. Questa organizzazione dapprima nacque dal bisogno di una regolazione centrale dell’acqua: i grandi fiumi che irrigavano queste pianure, il Nilo, l’Eufrate e l’Hwang Ho, avevano i loro letti pieni di sabbia e straripavano in certi mesi dell’anno, irrigando le pianure, devastandole oppure fertilizzandole o altre volte scavando un nuovo letto. L’acqua fu così necessariamente direzionata e controllata da dighe, furono scavati i letti dei fiumi, e solcati nuovi canali. Questo controllo, però, non poteva essere lasciato agli organismi locali, perché creava spesso conflitti d’interesse. Fu necessario, quindi, un controllo centralizzato, in quanto solo una forte autorità centrale poteva garantire che gli interessi locali non prevalessero sugli interessi generali: solo così fertilità e prosperità furono assicurate. Ma quando il paese si disgregò in comunità guerrigliere più piccole e le dighe e i canali furono privatizzati, il terreno si seccò o fu inondato e le persone morirono di fame: l’ira degli dèi cadde sulla terra.

Un forte potere centrale si rese necessario anche per difendere le pianure fertili dagli attacchi degli abitanti delle montagne e dei deserti vicini. Questi popoli vivevano una

misera esistenza nelle loro zone e quindi si dedicavano al saccheggio e a chiedere tributi ai vicini benestanti. Fu necessaria una divisione degli incarichi; si sviluppò, allora, una casta di guerrieri che con i suoi comandanti simili a re divenne una classe dirigente che controllava l’eccesso di produzione delle fattorie. Oppure i vicini nomadi si trasformarono da predoni in conquistatori e si stanziarono nelle fattorie come una aristocrazia dirigente che le avrebbe protette da altri aggressori mentre in altri casi il risultato fu un forte potere statale centralizzato.

Queste vicende, che si ripetevano di volta in volta, rappresentano in breve la storia di questi paesi. Ripetutamente i popoli barbari li invasero e ne assoggettarono gli abitanti, qualche volta rimanendo come distaccati legislatori superiori, come i Manciù in Cina, i Mongoli in India, gli Hyksos in Egitto, altre volte mescolandosi con il popolo o rimpiazzando completamente gli abitanti, come gli Ariani in India e i Semiti in Mesopotamia. Sebbene molte culture fossero distrutte dalla conquista, gli invasori, successivamente, adottarono e assimilarono il preesistente stato di civilizzazione e spesso gli diedero anche nuovo vigore. Dopo molte generazioni, avendo perso le loro origini barbare, anche i conquistatori stessi divennero oggetto di attacchi da parte di nuovi aggressori.

In questi imperi il principe era il legislatore, il governante della giustizia e il comandante di un governo di militari, i quali, come capi delle strutture civili, costituivano una seconda classe dirigente insieme a quella militare. Solitamente, questa era costituita da sacerdoti che un tempo costituivano la classe intellettuale locale e ora si erano raggruppati in una gerarchia vera e propria. La classe

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sacerdotale era la guida spirituale della società e dello stato. Essa deteneva le conoscenze teoriche e generali necessarie nel processo di produzione: questa era la causa del suo prestigio e del suo potere sociale. Dove l’agricoltura era la principale occupazione la conoscenza del calendario e delle stagioni era dominio dei sacerdoti.

Anche la religione, come lo stato e la società, erano centralizzati; le locali divinità delle principali cittadine erano radunate in un panteon sotto un dio supremo, mentre quelle locali dei paesi minori o conquistati erano degradate a livelli di spiritualità più bassi o conglobati in altre divinità. In tal modo nell’antica Babilonia le dee Innina, Nisaba e Nana furono unite con il più tardo dio Ishtar. Il fatto che Borsippa divenne un sobborgo della crescente città di Babilonia trovò la sua espressione teologica nel suo dio Nabo che divenne figlio di Marduk.

Sebbene Ea, Anu e Enhil — le divinità dei più antichi centri di cultura Eridu, Uruk e Nippur — fossero rimaste sempre le più venerate, dopo il 2000 a.C. l’egemonia politica di Babilonia fece in modo che il dio Marduk fosse il dio supremo del panteon.

Quando, nei secoli successivi, gli Assiri ebbero il controllo del mondo mesopotamico, Ashur prese il posto di Marduk. Organizzati gerarchicamente gli dèi persero i loro caratteri locali e divennero sempre più personificazioni dei poteri naturali. Le divinità Sin di Ur e Shamash di Sippara in tempi successivi vennero venerati come dio della Luna e dio del Sole.

Il sorgere di un gruppo di persone come classe dirigente che non aveva più bisogno di garantire la propria esistenza attraverso il duro lavoro portò a nuove condizioni di vita.

La struttura sociale divenne più complessa e la guida spirituale domandava alte qualifiche e avanzava grandi pretese. Gli affari e il commercio richiedevano nuovi bisogni materiali e spirituali e, con la ricchezza e la sontuosità dei monarchi e dei signori, nacque l’interesse per le arti e le scienze.

Così, per la prima volta sulla Terra, insieme con la nuova struttura sociale, nacquero elevate forme di cultura le quali superavano

molte di quelle sviluppatesi durante il barbarismo preistorico: l’era della civilizzazione era iniziata.

Questo coinvolse anche un grande sviluppo dell’astronomia, che derivò direttamente dalla necessità di controllare e misurare il tempo e, più precisamente, dalla necessità di adattare il calendario lunare all’anno solare.

Un periodo lunare è di circa 29,53059 giorni; un anno solare è composto da 365,24220 giorni, cioè 12 periodi lunari (che sono 354,3671 giorni) più 11 giorni. Dopo tre anni, il calendario lunare è 33 giorni indietro rispetto a quello solare. Con lo scopo di rimanere in accordo con il Sole, ogni tre anni — e a volte più spesso — deve essere aggiunto un mese, così che l’anno risulta di 13 mesi invece di 12. Il problema del calendario consiste nel trovare un periodo più lungo che sia un multiplo comune del mese e dell’anno, in modo tale che, dopo questo periodo, Sole e Luna tornino nelle reciproche posizioni. Un multiplo comune esatto, ovviamente, non esiste, ma possono essere trovate delle approssimazioni più o meno soddisfacenti.

Con le nostre precise conoscenze del periodo lunare e di quello solare siamo in grado di dedurre teoricamente periodi abbastanza approssimati. In pratica, si converte il loro rapporto in una frazione continua e si scrivono le successive approssimazioni. Così si trovano le due frazioni 8/99 e 19/235. La prima indica che 8 anni corrispondono a 99 mesi (più o meno tra 2921,94 e 2923,53 giorni), così che 3 di questi 8 anni devono avere 13 mesi e 5 solo 12 mesi. Questa approssimazione non è però molto buona;

dopo solo 24 anni la data lunare è 5 giorni in ritardo rispetto alle stagioni solari. Molto più preciso è il periodo di 19 anni che contiene 235 mesi (più o meno tra 6939,60 e 6939,69 giorni); il tredicesimo mese va intercalato qui sette volte. Di certo, in tempi più lontani i popoli non avevano una così precisa conoscenza dei periodi; il fatto di trovare un buon calendario, per loro era un difficile problema pratico, che poteva essere risolto solo da un laborioso processo di adattamento

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delle misure lunari a quelle solari. Così questo problema fu il motore trainante verso più accurate osservazioni dei fenomeni celesti.

La domanda che ci si può porre è perché fosse richiesta una così grande precisione, che andava molto oltre le necessità dell’agricoltura che a causa delle variazioni del tempo era abbastanza irregolare nelle sue attività. Dobbiamo ricordare che a quei tempi le attività agricole erano associate a cerimonie e festività religiose. Le feste associate all’agricoltura erano, allo stesso tempo, sia grandi avvenimenti sociali che cerimonie religiose. Gli dèi, come rappresentanti delle forze dominanti naturali e sociali, prendevano parte alla vita dell’uomo; ciò che era necessario o socialmente adeguato divenne un comandamento degli dèi, strettamente fissato nelle cerimonie. Ciò che secondo natura si sarebbe svolto in una determinata stagione, come ad esempio il raccolto, fu fissato come festa religiosa in una data prestabilita.

Il servizio agli dèi non consentiva alcuna disattenzione e ciò richiedeva una precisa osservanza dei riti: il calendario era essenzialmente l’ordine cronologico dei riti e questo ne faceva un oggetto continuamente curato da parte dei funzionari incaricati, specialmente dei sacerdoti, e che, a causa del monopolio della conoscenza dei tempi propizi, era anche sorgente del loro potere sociale.

Alcuni esempi sorprendenti che ci sono giunti riguardano come le pratiche agricolo- religiose portarono a un calendario luni- solare definitivo. Il calendario ebreo che, ovviamente, ha avuto origine nel deserto, era un calendario di tipo lunare, ma, quando gli ebrei arrivarono nella terra di Canaan, l’agricoltura divenne la loro principale occupazione e quindi il calendario fu adattato al Sole. In primavera si teneva la festa del raccolto chiamata massôth:

venivano offerti i primi covoni d’orzo e pane azzimo veniva impastato con il primo grano.

Questa celebrazione si univa alla festa nomade del passah, cioè l’offerta di agnelli

appena nati a Geova durante la Luna piena nel periodo invernale. Allora, questa festa venne fissata alla Luna piena del primo mese, chiamato Nisan. Come fu determinata questa tradizione lo possiamo leggere nel grande libro di cronologia di Ginzel:

«Verso la fine del mese precedente la festa, i preti ispezionavano lo stato di maturazione della messe nei campi per capire se l’orzo poteva essere tagliato entro le due successive settimane. Se vedevano che era così, la festa di Massôth-Passah veniva fissata nel mese che iniziava con la nuova Luna; ma se non era ancora il momento della mietitura allora la festa veniva posposta di un periodo lunare. Questo determinava tutte le altre festività»[1]

Questo metodo empirico fu usato dagli israeliti finche essi vissero insieme in Palestina. Quando successivamente si dispersero, questo metodo cadde in disuso;

ma ormai l’astronomia era progredita così tanto che essi poterono adottare dai popoli confinanti nuove conoscenze calendariali. Il periodo di 19 anni, con una fissa alternanza di 12 anni di 12 mesi e di 7 anni di 13 mesi, divenne la base del calendario ebraico.

Un altro esempio è dato dagli sviluppi astronomici in Arabia prima della venuta di Maometto. Nei mesi sacri, veniva eseguito un sacrificio di sangue e le carovane potevano viaggiare senza pericolo, il che era necessario per la vita economica. Gli interminabili conflitti tra le tribù erano abbastanza normali e il sacrificio di sangue, come una primitiva forma giuridica di solidarietà tra i membri delle tribù, era necessario, ma la sua illimitata influenza avrebbe reso impossibile il commercio e le provvigioni di cibo. Masudi dice:

«Il mese Safar prende il suo nome dal commercio nello Yemen […] lì gli arabi compravano il loro grano e chiunque omettesse di fare così sarebbe morto di fame»[2]

Il mese sacro era il mese dei mercati; da ogni dove, le carovane viaggiavano verso le grandi città del commercio come la Mecca, famosa per la sua incomparabile fresca sorgente, chiamata Zemzem, causa della sua importanza come meta di pellegrinaggio in

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Arabia. Qui le varie tribù si incontravano e parlavano, e il luogo di assemblea divenne il centro religioso e politico. Fu così necessario che il mese sacro cadesse nel periodo dell’anno, in cui i prodotti erano pronti per essere raccolti. Albiruni, un dotto musulmano,scrive:

«Nei tempi pagani gli Arabi ripartivano i loro mesi come fanno adesso i musulmani e il loro pellegrinaggio si effettuava attraverso tutte le quattro stagioni dell’anno. Quindi essi risolsero di fissare il loro pellegrinaggio nel momento in cui i loro manufatti, le loro pelli e i loro frutti erano pronti per essere commerciati; così cercarono di fissarlo nella stagione di maggiore prosperità. Poi impararono dagli Ebrei il sistema delle intercalazioni, circa 200 anni prima dell’Egira. Essi applicavano questo metodo nello stesso modo in cui lo facevano gli Ebrei, cioè aggiungendo ai mesi la differenza tra il loro anno e l’anno solare, quando doveva essere incrementato di un mese. Poi il Kalammas (lo Sceicco della tribù che era in quel momento responsabile di questa pratica) alla fine delle cerimonie del pellegrinaggio si mostrava in pubblico e, parlando al popolo, intercalava un mese dando al mese successivo lo stesso nome del mese in corso. Il popolo esprimeva l’approvazione alla decisione del Kalammas con il suo applauso.

Questa procedura era chiamata Nasi, cioè slittamento, in quanto ogni due o tre anni l’inizio dell’anno veniva slittato […] Essi potevano capirlo dopo la nascita e il tramonto dei menazil. E così rimase fino alla fuga del Profeta dalla Mecca a Medina»[3]

Nel nono anno dopo l’Egira, Maometto proibì questo slittamento, forse per spezzare il potere spirituale del Kalammas togliendogli questa funzione e, in più, per separarsi più nettamente dagli Ebrei. Così, successivamente, il calendario maomettano fu basato sull’anno lunare di 354 giorni, consistente di 12 mesi lunari che in 33 anni ripercorrevano tutte le stagioni. Abbiamo, quindi, un calendario che si è allontanato dalle pratiche sociali di prescrizioni formali e si è modificato in una tradizione religiosa pietrificata, conforme a un primitivo modo di vivere beduino.

Tutto ciò offre un esempio di come il calendario e l’astronomia si siano sviluppati in modi diversi tra differenti popoli, in conseguenza delle diverse condizioni economiche e politiche.

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CAPITOLO 3

L’ ANTICA VISIONE BABILONESE DEL CIELO

Fin dai tempi più remoti dai quali ci siano pervenute delle informazioni, la terra di Shinar, che comprendeva le pianure tra il Tigri e l’Eufrate, fu abitata da due differenti popoli: la parte nord, Akkad, dalla razza dei Semiti, e la parte sud dai Sumeri, due popoli con linguaggio, aspetto e costumi molto differenti. I Sumeri furono gli abitanti originari o i primi a stabilirsi nella zona, mentre i Semiti immigrarono successivamente in numero sempre maggiore dai deserti dell’ovest. La lingua sumera non manifestò connessione con quella semitica o indo-europea, ma piuttosto con quella turaniana; comunque i costumi di questo popolo di antica cultura erano sconosciuti. Nei secoli successivi al 3000 a.C., le città sumere del sud (Eridu sul mare, Ur al margine del deserto, Uruk, Lagash, Nippur, Larsa) mostrarono una cultura più elevata; una di queste di solito aveva l’egemonia. I Semiti, nelle città del nord (Agade, Sippar, Borsippa, Babilonia), adottarono questa cultura e in seguito all’immigrazione divennero sempre più la razza dominante. Quando, verso il 2500 a.C., Sargon di Agade e, più tardi, suo figlio Naram-Sin regnarono sull’intera Mesopotamia, l’organizzazione militare era nelle mani dei Semiti, mentre gli scribi e gli ufficiali civili erano Sumeri. Nei secoli seguenti, il potere politico tornò al sud, dove i sovrani di Lagash e Ur si autonominarono

“Re dei Sumeri e di Akkad”. Dopo il 2000 a.C. i Semiti, attraverso l’immigrazione delle tribù amoritiche dall’ovest, ottennero la definitiva preponderanza. Allora, sotto la dinastia di cui Hammurabi è l’esponente più conosciuto, la città di Babilonia divenne la capitale di un grande impero e un grande centro commerciale e culturale.

I Sumeri furono gli inventori della scrittura cuneiforme, nella quale ciascun suono,

consistente di una vocale e di una o due consonanti, veniva rappresentato da un carattere speciale. Questi caratteri venivano scritti per mezzo di incisioni, da una parte larghe, dall’altra strette, eseguite con uno stilo — una punta di metallo — su una morbida tavola di creta, che veniva poi resa più dura mediante cottura. Questo modo di rendere le sillabe attraverso caratteri era assolutamente adatta a un linguaggio agglutinato come quello dei Sumeri, dove parole separate e radici erano semplicemente unite insieme. I Semiti adottarono questa scrittura cuneiforme nonostante fosse piuttosto macchinosa per la loro lingua, con le sue modulazioni di radici. Quando Babilonia diventò il centro culturale dell’intero Vicino Oriente, la sua lingua e la scrittura cuneiforme vennero usate per i rapporti internazionali fino all’Egitto e all’Asia Minore.

Pertanto la decifrazione della scrittura cuneiforme e delle lingue scritte fu uno dei più grandi risultati del diciannovesimo secolo, che portò alla luce un pezzo di storia e cultura che altrimenti sarebbe andato completamente perso. Conoscenze precedenti, per lo più da fonti greche, frammentarie e in forma di aneddoti, non andavano più indietro del 700 a.C. Quando Henry Layard, nel 1846, influenzato dai primi scavi del console francese Botta, scavò nel sito della vecchia Ninive, dissotterrò sculture magnifiche, bassorilievi di scene di caccia, tori alati e draghi. Layard venne colpito dalla moltitudine di cocci con iscrizioni cuneiformi che vi giacevano attorno e, intuendo il loro valore, inviò casse di questi cocci, insieme alle opere d’arte, al British Museum. La loro importanza fu compresa molti anni dopo, quando George Smith decifrò alcuni testi che contenevano un racconto del Diluvio e venne inviata una

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spedizione per collezionarne quanti più possibile. Questi, che si rivelarono essere i resti della “biblioteca” del re Ashurbanipal e comprendevano nuove iscrizioni, copie di testi dai secoli più remoti, dizionari e materiali lessicografici, fornirono un forte impulso allo studio della vecchia cultura mesopotamica (per questo chiamata

“assiriologia”). All’inizio, gli assiriologi erano confusi dalla mescolanza di due lingue interamente differenti: solitamente ciascun carattere veniva usato come un suono — preso in prestito come sillaba per il semitico dal linguaggio sumerico — ma spesso lo stesso carattere veniva usato come un

“ideogramma”, un simbolo per una cosa, un concetto, secondo il suo significato sumero.

In questo modo i due linguaggi vennero gradatamente decifrati. Pertanto, questi frammenti letterari, completati dai testi pervenuti dalle rovine di altre vecchie città, svelarono sempre più chiaramente la storia e la cultura dei tempi antichi.

Anche grazie a ciò venne alla luce un’antica e sconosciuta storia dell’astronomia e, in questo vecchio mondo riscoperto, i corpi celesti assunsero una grande importanza, rispetto a ogni altro paese o epoca. La ricostruzione di questa antica conoscenza da piccoli e sparsi frammenti fu certamente difficoltosa e soltanto attraverso vaghe supposizioni, congetture azzardate, false interpretazioni e teorie insostenibili ci si poté gradualmente avvicinare alla verità. Per molti anni ebbe una grande reputazione la teoria di Hugo Winckler — il cosiddetto “pan-babilonismo”

— secondo la quale nei tempi più remoti, tra il 3000 e il 2000 a.C., in quei paesi sarebbe già esistita una scienza astronomica altamente sviluppata, basata su una completa conoscenza dei periodi celesti e dello spostamento dell’aspetto delle costellazioni attraverso la precessione degli equinozi. Il pan-babilonismo sosteneva come questo mondo primordiale, caratterizzato da una

“mitologia astrale” che affermava una stretta correlazione fra fenomeni terreni e celesti, fosse l’origine di tutto i sistemi di pensiero successivi orientali e greci e avesse

determinato leggende, tradizioni e costumi anche fino ai tempi moderni e in luoghi distanti dell’Europa. Questa teoria allettante, ma estremamente fantasiosa, si rivelò indifendibile quando i testi furono successivamente sottoposti a studi più attenti. La nostra attuale conoscenza della scienza astronomica babilonese è basata principalmente sul lavoro di tre scolari gesuiti, l’assiriologo N. Strassmaier e gli astronomi J. Epping e F.X. Kugler.

Nell’epoca del primo regno babilonese si raggiunse il culmine del potere economico- politico e della vita culturale: il commercio e la manifattura prosperavano e Babilonia, una tra le più importanti città commerciali, era non solo la metropoli del grande impero mesopotamico, ma un centro culturale che aveva influenza su tutto il Vicino Oriente. È qui che gli esiti dei secoli precedenti di cultura sumera si compirono e il sistema teologico assunse una forma valida per i tempi successivi. La struttura della vita civile ci è ben nota grazie al famoso “codice di Hammurabi”, inciso su una pietra dissotterrata a Susa nel diciannovesimo secolo. Tra molte tavolette di argilla portate alla luce troviamo numerosi contratti civili sull’acquisto e sulla vendita di terra, di prestito di denaro, affitto e servizio, che sono stati depositati e conservati nei templi come se questi ultimi fossero uffici notarili.

Attraverso questi abbiamo potuto rivelare i segreti del calendario, della sequenza dei nomi e delle date dei re, che servono come base per la storia.

Tra i nomi sumeri dei dodici mesi che si usavano sotto re Dungi di Ur — i nomi dei mesi variavano da luogo a luogo — troviamo il nome del quarto mese composto dai caratteri che significavano seme e mano, quello per l’undicesimo mese dai caratteri che significavano grano e taglio e quello per il dodicesimo mese dai caratteri significanti grano e casa: la stagione veniva quindi indicata chiaramente. Cosicché possiamo capire perché l’undicesimo mese è stato duplicato per intercalazione. Dopo l’ascesa di Babilonia entrarono in uso i nomi semitici dei mesi: Nisannu, Airu, Simannu, Duzu,

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Abu, Ululu, Tishritu, Arach-samma, Kislimu, Tebitu, Sabatu, Adaru. Nei testi astronomici essi sono indicati da caratteri singoli, le prime sillabe dei loro precedenti nomi sumeri.

Nel vecchio regno di Babilonia il mese intercalato era un secondo Adaru, alla fine dell’anno. La mancanza di regolarità in queste intercalazioni, come dimostrato dalle date dei contratti civili, ne mostra un’origine empirica, secondo la maturità dei raccolti o quando altrimenti sembrava necessario; si sono verificati anche due anni consecutivi con 13 mesi, quando il calendario era troppo sfasato. Varie volte, quando un’irregolarità doveva essere corretta rapidamente, il sesto mese veniva duplicato. Esiste un documento di un caso simile, che cita:

«Così Hammurabi dice: “Poiché l’anno non è buono, il mese prossimo deve essere considerato come un secondo Ululu. Invece di consegnare le decime a Babilonia il venticinquesimo giorno di Tishritu, fatele consegnare il venticinquesimo del secondo Ululu”»[4]

La consegna di cibo per la corte, naturalmente, non sarebbe potuta essere rimandata di un mese.

L’osservazione di alcuni fenomeni celesti era necessaria per il calendario. Per fissare il primo giorno esatto del mese, la Luna nuova doveva essere presa al suo primo giorno di apparizione. Questo non era così difficile; in quel clima meravigliosamente sereno (eccetto alcuni mesi dell’inverno e bufere di sabbia occasionali), con una visibilità chiara che spaziava larghe pianure senza interruzione, i sacerdoti-astronomi, dalle loro torri a terrazza, potevano individuare facilmente il primo sottile arco lunare nel cielo serale. Essi dovevano prestare attenzione anche alla Luna piena, per scopi cerimoniali, e osservare a scopo di predizione, verso la fine del mese, l’ultima apparizione nella mattina della Luna crescente. Si può, allora, dubitare che, così facendo, non notassero le stelle che in silenzio tracciavano i loro corsi, anticipando ogni mese il loro cammino? O che non fossero stati attratti dai pianeti brillanti che

apparivano ogni tanto tra quelle e, soprattutto, dall’incomparabile stella della sera? Ci sono pochi testi che si occupano di questo; anche con quei cieli sereni la mente dei primi Babilonesi non era stata occupata dalle stelle, così come si è spesso supposto.

Ma è estremamente probabile — e questo è supportato da alcuni testi — che l’osservazione regolare della Luna avesse condotto gradatamente a un interesse pratico crescente per le stelle.

Il primo fenomeno che si manifesta nell’osservazione della Luna nuova è la progressione regolare e lo spostamento delle costellazioni nel corso dell’anno. Le stelle visibili nel cielo serale occidentale sono caratteristiche della stagione e perciò possono fornire una verifica del calendario e dell’intercalazione, il che vale anche per la prima apparizione delle stelle nel cielo orientale della mattina. L’intercalazione per mezzo del regolare sorgere e tramontare eliaco delle stelle, quindi, deve avere sostituito gradatamente il metodo empirico irregolare di osservare i raccolti.

Un’indicazione positiva può essere trovata in un elenco (una copia assira di un originale precedente e di datazione sconosciuta) di 36 nomi di stelle o di costellazioni, tre per ogni mese, dei quali il primo di ogni gruppo di tre era chiaramente collegato al sorgere eliaco in quel mese. Per il mese Nisannu troviamo Dilgan (cioè l’Ariete e la Balena), per Airu il primo nome è Mulmul (le Pleiadi; mul vuole dire “stella”), per Simannu è Sibziannu (Orione) e così via. C’è poi un altro testo, molto danneggiato, che registra:

«La stella Dilgan appare nel mese Nisannu; quando la stella non si vede il mese deve […] la stella Mulmul appare nel mese di Airu […]»[5]

L’apparizione o il ritardo nell’apparizione della stella ha dei chiari significati per alcune azioni.

In un grande mito della creazione risalente ai tempi del primo impero babilonese si racconta come Marduk, il dio locale di Babilonia, si fosse guadagnato la supremazia sugli dèi sconfiggendo il mostro Tiamat (Chaos) e come avesse costruito il cielo e la

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terra con le parti del suo corpo.

«Egli ha creato le stazioni per i grandi dei,

le stelle, le loro immagini, le costellazioni egli ha fissato;

egli ha ordinato l’anno e lo ha diviso in parti.

Per i dodici mesi egli ha fissato tre stelle.

Egli ha fatto in modo che il dio della Luna splendesse e gli ha affidato la notte.

Egli ha scelto lui, un essere della notte, per determinare i giorni»[6]

E così noi vediamo che molte stelle e costellazioni erano già note e nominate. Non sembra che le dodici costellazioni dello zodiaco fossero tra le prime conosciute o occupassero un posto privilegiato. Qualche prova si potrebbe trovare, forse, nel fatto che l’epopea di Gilgamesh, che presenta molte caratteristiche di un mito solare, è divisa in dodici canti, che corrispondono ognuno a un segno zodiacale. Ma questa divisione può essere causa di una versione successiva. Non sembra che i pianeti avessero un ruolo; il calendario si occupava solo di stelle fisse.

Questa conoscenza delle stelle persistette anche durante la decadenza politica nei secoli successivi, quando Babilonia fu dominata dai Cassiti, conquistatori orientali, e i paesi occidentali erano un campo di battaglia dell’espansione egiziana e ittita. I dati di questo periodo ci pervengono dalle pietre di confine (i kudurru), rese sicure da ogni spostamento grazie alla protezione degli dèi, le cui immagini vi erano incise.

Là, oltre a figure che rappresentano il Sole, la Luna e, forse, Venere, se ne trovano altre che si suppone rappresentino costellazioni:

un toro, una spiga, un cane, un serpente, uno scorpione e una capra a coda di pesce, come venne rappresentata successivamente la costellazione del Capricorno. Gli scavi in Bogazkoy in Asia Minore, una volta luogo della capitale ittita, hanno portato alla luce mattoni con iscrizioni che richiamano le divinità babilonesi; tra queste appaiono molti nomi di stelle e di costellazioni come, per esempio, le Pleiadi, Aldebaran, Orione, Sirio, Fomalhaut, l’Aquila, i Pesci, lo Scorpione. Il carattere che identifica lo Scorpione — gir-tab — è composto da due

caratteri che significano pungiglione e tenaglie, con il pungiglione rappresentato dalla coppia di stelle luminose λ e υ Scorpii, proprio come fu disegnato successivamente dai Greci, che presero in prestito questa costellazione dai Babilonesi. Un testo molto discusso, proveniente da Nippur, afferma che le distanze dalla stella Arturo del pungiglione e della testa dello Scorpione, espresse con molte cifre sessagesimali, sono, rispettivamente, 9 volte e 7 volte una certa quantità; questo sembra implicare che le distanze celesti in quel periodo fossero misurate con una certa accuratezza. Quando si poté completare il testo grazie ad altre tavole, si trovarono rapporti analoghi per altre stelle (9 a 11, a 14, a 17, a 19) e lo scritto apparve semplicemente come un testo matematico, in cui le stelle erano state inserite come esempi pratici. La supposizione di qualche assiriologo che con ciò si indicassero delle distanze lineari nello spazio non è certamente in accordo con quello che conosciamo riguardo alle concezioni babilonesi del mondo.

Esiste, tuttavia, un altro documento, effettivamente astronomico, che deriva dalla prima dinastia babilonese: si tratta di un testo della biblioteca di Ashurbanipal, ora conservato al British Museum, e il cui contenuto è stato decifrato da Kugler nel 1911. Contiene dati che riguardano il pianeta Venere ed è una copia di testi precedenti.

Una parte consiste di molti gruppi di versi che descrivono i fenomeni del pianeta (qui chiamato Nin-dar-anna, “signora dei cieli”), utilizzati come presagi astrologici e seguiti da predizioni corrispondenti. Non si può trattare di osservazioni o di calcoli astronomici, perché gli stessi intervalli di tempo ricorrono sempre e le date immaginarie di inizio, alternandosi regolarmente fra fenomeni serali e mattutini, sono sempre di un mese e di un giorno. Ad esempio il quinto gruppo recita:

«Nel sesto giorno del mese di Abu, Nin-dar-anna appare a oriente; le piogge saranno nei cieli, ci saranno devastazioni. Fino al decimo giorno di Nisannu rimane nell’est; all’undicesimo giorno scompare. Scompare per tre mesi dai cieli;

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nell’undicesimo giorno di Duzu Nin-dar-anna prende fuoco nell’ovest. L’ostilità sarà nella terra; i raccolti prospereranno.

Nel mese Ululu, nel settimo giorno, Nin-dar-anna appare nell’ovest […]»[7]

Gli intervalli tra apparizione orientale e invisibilità sono sempre 8 mesi e 5 giorni;

quindi ci sono 3 mesi fino all’apparizione occidentale; ancora 8 mesi e 5 giorni fino alla scomparsa, quindi 7 giorni fino all’apparizione a est. Il totale è 19 mesi e 17 giorni, il periodo corretto di Venere. Quegli intervalli e quelle date di apparizione e scomparsa sono stati dedotti da dati di osservazione contenuti nella restante parte del testo, ma tra le date ci sono molte cifre erroneamente copiate o fenomeni errati. È un fatto curioso che intervalli derivati da valori erronei siano stati utilizzati per dedurre i valori medi applicati alle schematiche previsioni. Per un errore di copiatura il lungo periodo di invisibilità è stato fissato (dopo la scomparsa orientale, che è normalmente di circa 2 mesi) in 5 mesi e 16 giorni e la media è divenuta di 3 mesi.

Questo mostra come colui che ha successivamente trattato i materiali per inserire gli auspici avesse una conoscenza astronomica così esigua — oppure desse a quella così poca importanza — da aver incluso nella media il valore che deviava grossolanamente. Poiché conosciamo il significato dei numeri, possono essere corretti alcuni degli errori in questi dati di osservazione che coprono 21 anni.

Tra i fenomeni calcolati male di Venere si trova, nell’ottavo anno, una riga che recita

“anno del trono d’oro”. La stessa designazione si è trovata nei testi di contratti civili dell’ottavo anno del re Ammizaduga, il penultimo della dinastia, che ha regnato per 21 anni. Cosicché la conclusione più ovvia fu che i 21 anni del testo di Venere corrispondessero esattamente ai 21 anni di questo re, il che è stato confermato dal fatto che gli anni di 13 mesi nel testo di Venere corrispondessero ai testi civili. Poiché i fenomeni di Venere di quel tempo possono essere oggi calcolati con precisione, questo ha fornito un modo di accertare le date

precise del regno di quel re e, così, l’intera cronologia intorno al 2000 a.C. è stata posta su solide basi. Il metodo seguito da Kugler si basava sull’affermazione secondo la quale nel sesto anno, nel ventiseiesimo giorno del mese Arachsamma, Venere era scomparso a ovest e il terzo giorno del successivo mese, Kislimu, era ricomparso a est. Perciò la sua congiunzione con il Sole ha quasi coinciso con la congiunzione della Luna con il Sole, in una stagione che corrispondeva approssimativamente a dicembre o gennaio.

Kugler ha trovato che queste condizioni erano soddisfatte al meglio il 23 gennaio del 1971 a.C. Da questo seguirebbe che la prima dinastia babilonese abbia regnato dal 2225 al 1926 e che Hammurabi abbia regnato dal 2123 al 2081 a.C. La data media di Nisannu I ha finito, allora, per corrispondere al 26 aprile del nostro calendario.

Un’identificazione tanto precisa di date così antiche fu generalmente riconosciuta come un esempio ammirevole di ricerca astronomico-cronologica, ma è interessante notare come il primo risultato fosse completamente erroneo. Ci sono alcune date che concordano con i dati. Le congiunzioni di Venere con il Sole ricorrono ogni 8 anni, ma 2,4 giorni prima; quelli della Luna con il Sole dopo 8 anni, ma 1,6 giorni più tardi.

Perciò, due date a distanza di 8 anni possono essere sufficientemente conformi ai fenomeni, dopo di che le congiunzioni si spostano sempre più: le congiunzioni di Venere avvenendo prima, le congiunzioni di Luna dopo. Dopo 7 periodi di 8 anni, le congiunzioni di Venere vengono 17 giorni prima e le congiunzioni di Luna 11 giorni più tardi, in modo che una coincidenza delle congiunzioni si verifica di nuovo, ma questa volta 29 giorni e mezzo prima. Perciò troviamo una serie di date (o coppie di date a distanza di 8 anni) che si susseguono a intervalli di 56 o 64 anni e l’astronomo dipende completamente dallo storico per indicare il secolo giusto. Quando Kugler fece le sue indagini, gli storici concordarono di fissare la prima dinastia babilonese a circa il 2000 a.C.; altri che hanno provato a correggere il lavoro di Kugler non hanno

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osato fissare gli eventi più di 120 anni più tardi. Esisteva, però, una vecchia cronaca dei re, a opera di Berossus, un sacerdote babilonese che insegnava in Grecia, che collocava la dinastia quattro secoli più tardi, il che era sempre stato rifiutato dagli storici, anche se, recentemente, hanno cambiato opinione. Così, ora si ritiene più probabile che la data delle congiunzioni coincidenti sia stata il 25 dicembre 1641 a.C., che Hammurabi abbia regnato dal 1792 al 1750 a.C., e che l’intera dinastia abbia regnato dal 1894 al 1595 a.C. o forse 64 anni dopo, dal momento che ci sono alcune incertezze nei documenti storici.

Comunque sia, sembra che il pianeta Venere venisse osservato già con una speciale attenzione durante i primi secoli d’egemonia babilonese e, forse, anche prima. Se altri pianeti fossero stati osservati con la stessa attenzione, i riferimenti a tali osservazioni sarebbero stati certamente conservati in copie assire, ma vi è citato solo Venere. È abbastanza chiaro come i sacerdoti, che erano in attesa della Luna crescente, fossero colpiti da Venere, la più brillante fra le stelle, e che questa apparisse loro come un astro eccezionale. In testi successivi, Sole, Luna e Venere sono spesso nominati insieme, come una triade di divinità collegate, distinti dagli altri quattro pianeti. Può essere che i Babilonesi conoscessero la falce di Venere nel suo grande splendore prima e dopo la

congiunzione inferiore? C’è un testo, dal significato controverso, che da alcuni Assiriologi è interpretato come segue:

«Quando Ishtar con il suo corno destro si avvicina a una stella, ci sarà abbondanza nel paese. Quando Ishtar con il suo corno a sinistra si avvicina a una stella, ci sarà carestia per il paese»[8]

Non sembra impossibile che nell’atmosfera chiara di queste terre si riuscissero a percepire le corna della mezzaluna di Venere; anche alcuni osservatóri moderni hanno citato esempi di questo tipo. Un missionario americano, D.T.

Stoddaert, in una lettera a John Herschel da Oroomisha, in Persia, nel 1852, scrisse che al crepuscolo i satelliti di Giove e la forma allungata di Saturno potevano essere visti a occhio nudo e, attraverso un vetro oscuro, la forma a mezzaluna di Venere colpiva subito l’occhio[9] Può essere, allora, meglio compreso come in quei tempi antichi i sacerdoti-astronomi babilonesi dedicassero attenzione speciale a Ishtar come se si trattasse di una stella sorella della Luna. Non solo guardavano le sue apparizioni e le sue scomparse con spirito religioso, ma erano colpiti dalle sue regolarità e provavano, sebbene in modo primitivo, a trovarne i periodi e a utilizzarli per le previsioni; ma questo può essere stato il lavoro dei successivi secoli di depressione politica, per esempio tra il 1500 e il 1000 a.C.

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CAPITOLO 4

L’ ASTROLOGIA ASSIRA

Agli inizi del primo millennio a.C. una nuova potenza semitica si presentò nella zona nord del corso superiore del Tigri:

Ashur era il nome della capitale del dio supremo. In lotta continua contro gli stati circostanti, tra cui Babilonia, Ashur si espanse e divenne la potenza dominante nelle pianure della Mesopotamia. Circa nell’800 a.C., l’Assiria diventò lo stato più potente del Vicino Oriente e, sotto i re Tiglath-phileser (745-727 a.C.), Shalmaneser (726-722), Sargon (722-705), Sennacherib (705-682), Asarheddon (682- 668) e Ashurbanipal (668-626 a.C.), la Siria, la Palestina, la Fenicia e a volte anche l’Egitto, furono conquistati in una serie di grandi e spesso crudeli guerre e i confini si estesero verso l’Asia Minore, verso l’Armenia e la Media. Secondo l’assiriologo americano Olmstead, l’uso del ferro per le armi era il principale fattore nelle conquiste assire. La nuova capitale Ninive era il centro politico di un grande impero militare e come tale fu adornata con edifici magnifici. Ma Babilonia, come grande centro di commercio governato dai cittadini ricchi, conservò la posizione di venerabile sede di cultura antica. I re assiri riconoscevano la sua importanza andando essi stessi a Babilonia

“per afferrare le mani di Marduk”, cioè per prendere solennemente il controllo del governo o per nominare un parente come re dipendente.

Gli Assiri, come fanno spesso i conquistatori rozzi e guerrieri, adottarono la cultura dei conquistati e continuarono i loro usi e le loro tradizioni. Il Pantheon assiro era identico a quello di Babilonia, solo che ora Ashur era il primo tra gli dèi. Gli stessi sacerdoti pensavano, lavoravano e scrivevano nelle forme santificate a servizio dei nuovi governatori, adempiendo le stesse funzioni sociali come in precedenza. Le arti

rifiorirono, non solo perché gli artisti provenivano da un nuovo popolo con energia fresca e i nuovi governanti erano ricchi grazie a conquiste e rapine, ma anche perché, invece dei mattoni delle pianure, la pietra dalle montagne circostanti serviva da materiale di costruzione ed era eccellente per i bei rilievi che oggi sono esposti nei musei occidentali. Lo sviluppo raggiunse il suo culmine quando, con l’aumento della ricchezza e della cultura, ai primi forti guerrieri successero principi che amavano e proteggevano le arti e le scienze. Fu allora che Ashurbanipal installò una biblioteca nel suo palazzo e ordinò che i vecchi testi venissero raccolti da tutti gli antichi siti e templi di Babilonia e copiati. Migliaia di tavolette di argilla furono depositate in file ordinate, con i loro titoli ai lati, integrate e spiegate da cataloghi, dizionari e commentari, continuamente aumentati da nuove cronache di archivio, dai rapporti al re e dalla sua corrispondenza con funzionari.

Gli oltre 13000 frammenti portati alla luce solo da questo sito e conservati al British Museum e le molte migliaia provenienti da altri siti ci presentano una buona immagine dei costumi e delle idee, della vita commerciale e della cultura, della religione e dell’economia di quella società e anche della sua astronomia.

Il calendario dei tempi antecedenti è ancora presente nei numerosi testi: sia il mese lunare, che inizia la sera della prima apparizione del crescente, che i 12 mesi, a volte completati da un tredicesimo. Sebbene non sia citato espressamente, è quasi certo che l’intercalazione venisse regolata per mezzo di fenomeni stellari, generalmente con il loro sorgere mattutino e l’elenco di 3x12 mesi-stellari summenzionati, in una copia nella biblioteca di Ashurbanipal, può esserne un’indicazione. Un altro metodo è

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indicato in un testo pubblicato da George Smith:

«Quando nel primo giorno di Nisannu la Luna e la stella Mulmul (le Pleiadi) rimangono insieme l’anno è comune; quando nel terzo giorno di Nisannu la Luna e la stella Mulmul rimangono insieme l’anno è pieno» [10]

L’ultima parte della frase significa che le Pleiadi sono visibili molto tempo dopo il tramonto e, dato che questo avviene molto precocemente in primavera, è necessario aggiungere un tredicesimo mese. Le stelle e le costellazioni sono raggruppate in tre divisioni, quelle settentrionali, quelle zenitali e le costellazioni meridionali, note rispettivamente come i domini di Enlil, Anu e Ea.

Ai tempi assiri, tuttavia, non era più il calendario il motivo principale per l’osservazione delle stelle, bensì l’astrologia.

Basata sulla credenza che il corso delle stelle abbia un significato per gli eventi sulla terra, questa ha determinato fortemente, nel passato, i pensieri e le abitudini dell’ uomo. I fenomeni celesti venivano ora studiati con un interesse molto più profondo per ottenerne presagi riguardanti il destino degli uomini e specialmente di re e imperi.

Questa fede negli auspici esisteva nell’uomo primitivo come conseguenza naturale della credenza di essere circondato da spiriti invisibili in grado di influenzare la sua vita e il suo lavoro. Era una questione vitale che egli ottenesse il loro favore e il loro aiuto, placando o evitando la loro ostilità e scoprendone le intenzioni:

esorcismi, offerte, incantesimi e magia, occupavano la vita giornaliera. La maggior parte di questi spiriti aveva la dimora nei cieli e quindi, fin dai tempi più antichi, nelle menti dei sacerdoti mesopotamici era già presente la concezione di uno stretto collegamento fra le stelle e il destino dell’uomo. Il cielo non era così lontano:

coloro che governavano qui sulla Terra e i loro popoli erano vicini agli dèi.

Il re Gudea di Lagash (circa 2300 a.C.) descrive, in un’iscrizione su un cilindro di pietra, la costruzione di un tempio e dice che

come in un sogno gli apparve la dea Nisaba, la figlia di Ea: «Lei teneva uno stilo brillante nella sua mano; portava una tavoletta con segni celesti favorevoli ed era pensierosa» e più avanti: «Lei annunciava la stella favorevole per la costruzione del tempio»[11]

Un presagio si trova dopo ogni fenomeno planetario nel testo Nin-dar-anna, del primo impero babilonese, e non c’è dubbio che i dati astronomici fossero stati ottenuti per fornire queste predizioni.

Tali credenze costituirono una forza vitale tra i sacerdoti dei templi di Babilonia e di altre città e si diffusero in tutte le regioni influenzate dalla cultura babilonese, compresa l’Assiria. Nelle corti di monarchi potenti, intenti a estendere i loro imperi, la necessità di prevedere il futuro era particolarmente grande e l’astrologia trovò qui terreno fertile. Gli astrologi di corte dovevano trovare presagi per ogni grande impresa e da tutti i templi importanti il re riceveva rapporti regolari su cosa avvenisse nel cielo e sulla sua interpretazione. Questi rapporti erano preservati negli archivi della biblioteca di Ashurbanipal e le copie di tutti i vecchi dati erano raccolte per poter essere interpretati. Naturalmente, non tutti gli auspici erano derivati dalle stelle, ma se ne trovavano ovunque: nelle viscere delle vittime propiziatorie, oggetti variabili e, dunque, fecondi, nel volo degli uccelli, negli aborti, nei terremoti, nelle nubi, negli arcobaleni e negli aloni. Esistevano manuali dove veniva registrato ogni fenomeno e quale azione o avvenimento del leggendario re Sargon di Agade fosse in qualche modo legata a quello.

I fenomeni astronomici, naturalmente, occupavano un posto di rilievo. I corpi celesti più adatti ai presagi erano quelli che presentavano grande diversità e irregolarità nei loro aspetti. I più importanti, quindi, non erano il Sole e le stelle fisse, ma la Luna e i pianeti, mentre le stelle fisse formavano la base costante per i fenomeni. Il dio del Sole Shainash, il guardiano supervisore della giustizia, giorno dopo giorno seguiva il suo corso regolare attraverso il cielo; al massimo poteva essere più oscuro o più rosso del

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