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CAPITOLO III L’ORDINAMENTO ITALIANO: DALLA RESPONSABILITÀ DEL MAGISTRATO ALLA RESPONSABILITÀ DELLO STATO GIUDICE

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CAPITOLO III

L’ORDINAMENTO ITALIANO: DALLA RESPONSABILITÀ DEL MAGISTRATO ALLA RESPONSABILITÀ DELLO STATO GIUDICE

Sommario: 1) Il sistema repubblicano di responsabilità del magistrato e gli

interventi della Corte costituzionale; 2) Il dibattito che ha condotto all’approvazione della l. 117/88; 3) Le previsioni più rilevanti della legge n. 117/1988; 4) I soggetti responsabili; 5) Gli elementi costitutivi della responsabilità civile del magistrato; 5.1) Il dolo, la colpa grave e la c.d. “clausola di salvaguardia”; 5.2) La colpa grave nell’emanazione di un provvedimento sulla libertà personale; 5.3) Diniego di giustizia e ritardo; 5.4) Il danno ingiusto; 6) Profili procedimentali: il c.d. “filtro di ammissibilità” ; 7) La responsabilità dei componenti degli organi collegiali; 8) Il rapporto tra l’azione di responsabilità e i mezzi di impugnazione dei provvedimenti giudiziari; 9) La mancata applicazione della legge n. 117/1988; 10) La Corte di giustizia della Comunità europea e la responsabilità civile dei magistrati.

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1. Il sistema repubblicano di responsabilità del magistrato e gli interventi della Corte costituzionale

In seguito alla caduta del regime fascista la Legge sulle guarentigie

della magistratura del 1946, adottata il 31 maggio col Regio Decreto

legislativo n. 511, realizzò un sostanziale ritorno al sistema disciplinare Orlando di epoca liberale. In particolare si poté assistere ad un netto trasferimento di competenze dal ministro al Consiglio superiore della magistratura1.

Inoltre, il ruolo dell’ordine giudiziario all’interno dell’ordinamento venne decisamente rinnovato in occasione nel 1948 dell’adozione della Costituzione, il cui articolo 104 sanciva per la prima volta il principio di indipendenza ed autonomia della magistratura2.

Il tema specifico della responsabilità del magistrato, al contrario, non desto particolare interesse nel Legislatore costituente. Questo si deve, probabilmente, al fatto che all’epoca era ancora diffusa una concezione formalistica della funzione giurisdizionale e non si aveva

1 Tornato solo nel 1946 alla sua configurazione originaria di carattere elettivo. In

merito F. DAL CANTO, , La responsabilità dei magistrati nell’ordinamento italiano, reperibile sul sito www.archivio.rivistaaic.it, 2007.

2

Articolo 104: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.”.

Vedi anche l’articolo 101 Cost.: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto dalla legge.”.

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piena contezza della discrezionalità con cui il giudice poteva esercitare il proprio potere.

Nonostante ciò, rilevano in proposito due disposizioni, quali, l’articolo 1053, che attribuisce al Consiglio superiore il compito di adottare i provvedimenti disciplinari, e l’articolo 107, comma 24, che prevede la facoltà del Ministro della giustizia di promuovere l’azione disciplinare.

Invece, anche dopo l’avvento della Costituzione repubblicana, gli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura del 1940 hanno rappresentato le uniche disposizioni legislative in merito alla responsabilità civile dei magistrati. Ed il sistema, di minimo impatto pratico, in esse specificato rimase sostanzialmente inalterato. Tuttavia, una grande innovazione sul tema era contenuta all’articolo 28 della Costituzione, laddove disponendo che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti” e che “in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici” apriva la strada ad un ripensamento della materia. Invero, la norma per la prima volta non

3 Art. 105 Cost.: “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le

norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.”.

4 Art. 107 Cost.: “I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o

sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario.”.

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solo statuiva la generale responsabilità del magistrato per gli atti compiuti in violazione dei diritti, ma prevedeva anche che in tali casi la responsabilità civile si estendesse allo Stato.

Ovviamente il precetto, che si prestava a diverse interpretazioni, provocò un ampio dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza5. Sulla questione della compatibilità della disciplina codicistica con il dettato costituzionale fu chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 2 del 1968, sanciva definitivamente l’applicabilità ai magistrati dell’articolo 28 Cost.. Nel rigettare il ricorso di fondatezza la Corte osservava che “la singolarità della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti giudiziali, la stessa posizione super partes del magistrato possono suggerire condizioni e limiti alla sua responsabilità, ma non tali da legittimarne una negazione totale, che violerebbe apertamente quel principio o peccherebbe di irragionevolezza sia di per sé (art. 28) sia nel confronto con l’imputabilità dei pubblici impiegati”. Quindi pur ammettendo in linea di principio l’applicabilità dell’articolo 28 della Costituzione ai magistrati, veniva confermata la possibilità per il legislatore di regolamentare la loro responsabilità con una disciplina specifica che tenesse conto delle ragioni di indipendenza ed autonomia che caratterizzano il loro ufficio.

5 E. TIRA, La responsabilità civile dei magistrati: evoluzione normativa e proposte di riforma, reperibile su sito www.archivio.rivistaaic.it, 2011.

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Infine, la Corte aggiungeva che “quanto alle altre violazioni di diritti soggettivi, cioè ai danni cagionati dal giudice per colpa grave o lieve o senza colpa, il diritto al risarcimento nei riguardi dello Stato non trova garanzia nel precetto costituzionale; ma niente impedisce alla giurisprudenza di trarlo eventualmente da norme o principi contenuti in leggi ordinarie (se esistono)”. Ed in è questo passaggio finale, all’epoca sottovalutato perché ritenuto eccessivamente criptico, che in molti oggi, invece, leggono l’apertura della Corte costituzionale alla prospettiva di introdurre ulteriori ipotesi di responsabilità dell’organo giudiziario.

Questa presa di posizione venne poi ribadita dalla Corte anche in sentenze successive e più recenti6, ma nemmeno in queste occasioni si riuscì nell’obiettivo di placare le tensioni che si erano create tra la politica e quella giudiziaria e che, come vedremo, avranno il loro culmine alla fine degli anni ’80.

2. Il dibattito che ha condotto all’approvazione della l. 117/88

Il dibattito sulla responsabilità civile dei magistrati tornò ad accendersi nel decennio che va dalla fine degli anni ’70 al termine degli anni ’80 del secolo scorso.

6 Sentt. nn. 26/1987 e 468/1990, in cui la Corte confermò l’esigenza di una

disciplina legislativa della responsabilità dei magistrati differenziata da quella prevista in generale per gli altri funzionari pubblici e questo al fine di realizzare l’irrinunciabile bilanciamento col principio di indipendenza della magistratura.

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La polemica era alimentata soprattutto da certe forze politiche7, che, irritate per le inchieste ed i processi a carico di amministratori e dirigenti di partito8, sfruttarono a scopi propagandistici alcune note vicende giudiziarie dell’epoca9 con l’intento di ottenere l’abolizione delle garanzie riconosciute fino a quel momento ai magistrati.

Tuttavia, la Corte costituzionale10, nel dichiarare ammissibile il quesito referendario, da una parte confermò che gli articoli del codice di procedura civile di cui si chiedeva l’abrogazione non erano a contenuto costituzionalmente vincolato, dall’altra, però, ribadì che la futura disciplina legislativa della responsabilità dei magistrati avrebbe dovuto, in ossequio al dettato dell’articolo 28 della Costituzione, tener conto della peculiarità della funzione giudiziaria e delle garanzie di autonomia ed indipendenza che ne presidiano l’esercizio.

In merito alla questione gli italiani furono chiamati ad esprimersi l’8 novembre del 1987, e la grande maggioranza di essi di dichiarò favorevole all’abrogazione.

Conseguentemente, con il d.p.r. 497 del 1987, furono abrogati gli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura civile11 ed il 13 aprile del

7

Si trattò di un’asse laico-progressista formata da Radicali, guidati da Marco Pannella, e Socialisti, guidati da Bettino Craxi.

8 Cit. G. SILVESTRI, Giustizia e giudici, Torino, 1997, 217.

9 Come quella che vide protagonista Enzo Tortora, conduttore televisivo accusato

sulla base di alcune dichiarazioni di pentiti di essere colluso con la camorra e il traffico di stupefacenti, rivelatesi successivamente false.

10 Sentenza Corte costituzionale n. 26/1987.

11 In realtà l’efficacia dell’abrogazione fu differita di 120 giorni, fino al 7 aprile del

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1988 si giunse all’approvazione della legge n. 117, la c.d. legge Vassalli12.

3. Le previsioni più rilevanti della l. 117/88

La legge n. 117 del 198813 ha regolamentato, sino al febbraio del 2015, la responsabilità civile degli appartenenti all’ordine giudiziario.

Tuttavia, pur essendo stata approvata in conseguenza all’esito del referendum del 1987, che si figurava l’obiettivo di favorire una maggiormente garantita tutela del cittadino nei confronti degli errori giudiziari, essa ha in larga parte tradito le aspettative l’opinione pubblica vi aveva riposto. E non ha nemmeno corrisposto, se non in minima parte, all’intento dei promotori del referendum, che era quello di ampliare le ipotesi di responsabilità civile diretta dei giudici.

Infatti, se da un lato la legge 117/88 ha esteso i casi in cui è possibile agire in sede civile per richiedere il risarcimento, contemplando tra questi anche l’ipotesi della colpa grave, dall’altro ha mantenuto un giudizio di ammissibilità sulla domanda e, soprattutto, ha stabilito che l’azione debba essere promossa nei confronti dello Stato,

CANTO, , La responsabilità dei magistrati nell’ordinamento italiano, reperibile sul sito www.archivio.rivistaaic.it, 2007.

12 La legge n. 117/1988 fu approvata durante il governo Goria e porta la data del

giorno di insediamento del successivo governo De Mita. In entrambi i governi il ministro della giustizia era Giuliano Vassalli, con il cui nome la legge viene spesso ricordata.

13 Denominata “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni

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escludendo così, ad eccezione del caso di reato14, ogni forma di responsabilità diretta dei magistrati15.

4. I soggetti responsabili

I soggetti sottoposti alla legge 117/88 sono individuati all’articolo 1 della stessa e tra questi sono compresi sia, ovviamente, tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, sia coloro che, estranei alla magistratura16, partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria17.

Secondo l’interpretazione più diffusa, il riferimento all’attività “giudiziaria” e non “giurisdizionale” denota l’intenzione di rendere applicabile la normativa anche ai pubblici ministeri.

E la scelta del legislatore di adottare l’espressione “attività giudiziaria” sembrerebbe lasciar supporre anche che le disposizioni in essa contenute siano applicabili sia con riguardo al danno che consegua all’espletamento di funzioni di natura propriamente giudiziaria sia a quello che derivi dall’esercizio di funzioni di natura amministrativa, cioè di amministrazione della giurisdizione. In

14 Prevedendosi in questo caso l’applicazione delle norme ordinarie riguardanti

l’azione civile per il risarcimento del danno ed al suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile, nonché il ricorso alle norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti per l’azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato, ex art. 13, comma 1 l. 117/88.

15 F. BIONDI, La responsabilità del giudice, Saggio di diritto costituzionale,

Milano, 2006, 188.

16 Come, ad esempio, i giudici popolari, gli esperti della sezione agraria, i

componenti laici dei tribunali militari, ecc.

17 In proposito L. Scotti in La responsabilità civile dei magistrati, Milano, 1988,

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realtà, la maggioranza della dottrina18 ha, invece, escluso l’estensione dell’azione di responsabilità in relazione agli atti riconducibili ad attività di carattere amministrativo o di controllo ed a quest’ultima posizione si è adeguata anche la giurisprudenza italiana19.

5. Gli elementi costitutivi della responsabilità del magistrato

In generale, in base alla legge del 1988 l’azione di responsabilità civile è esperibile nelle sole ipotesi di dolo o colpa grave del magistrato, ovvero di diniego di giustizia20, e soltanto nei confronti dello Stato, ad eccezione della ricordata ipotesi dell’art. 13. Qualora sia chiamato a risarcire il danno, lo Stato potrà poi, a sua volta, rivalersi nei confronti del magistrato.

Tuttavia, è opportuno dedicare del tempo ad un’analisi più attenta alla disciplina di responsabilità civile dei magistrati delineata dalla l. 117/88 che, per come è stata formulata e per come è stata interpretata, non ha trovato quasi mai applicazione21.

18 V. VARANO, voce Responsabilità del magistrato, Torino, 1998, 114.

19 Vedi la sentenza della Corte di cassazione, I sez. civ, 22 febbraio 2002, n. 2567.

Nel caso di specie la parte che aveva promosso l’azione di responsabilità civile riteneva che la sua reputazione fosse stata lesa dal contenuto di tre note inviate da alcuni magistrati alla Procura generale e al Ministero della Giustizia con cui venivano fornite notizie sullo stato dei procedimenti penali che lo vedevano parte civile.

20

Art. 2, comma 1: “Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale”.

21 Cit. F. BIONDI, Sviluppi recenti e prospettive future della responsabilità del magistrato. Testo aggiornato della relazione presentata al Convegno “L’ordinamento giudiziario a cinque anni dalla riforma. Un bilancio tra spinte

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5.1.Il dolo, la colpa grave e la c.d. “clausola di salvaguardia”

Se il concetto di dolo è facilmente definibile, altrettanto non può dirsi per quello di colpa grave22.

Infatti, pur non trovando un’ulteriore specificazione nella legge Vassalli, il dolo è tradizionalmente considerato una violazione cosciente e volontaria da parte del magistrato, che può concretarsi, ad esempio, nella consapevolezza di violare un dovere d’ufficio o di porre in essere un atto illegittimo, nella coscienza dell’ingiustizia del provvedimento o della sua efficacia, piuttosto che nella volontà di nuocere o abusare dell’esercizio delle proprie funzioni.

Invece, l’affermazione della responsabilità per colpa del magistrato si è resa possibile solo a seguito del superamento del principio dell’intangibilità del giudicato, a cui si è giunti grazie all’apertura della dottrina alle teorie del giudicato formale e grazie alla constatazione che la sentenza passata in giudicato esplica i suoi effetti solo tra le parti e, in realtà, non diviene mai irreversibile in modo assoluto23.

all’efficienza e servizio ai cittadini”, svoltosi presso l’Università Statale di Milano il 21 giugno 2011, reperibile su www.archivio.rivistaaic.it .

22Cit. F. PINTUS, , voce Responsabilità del giudice, in Enc. Dir., XXXIX,

Milano, 1988, 1478.

23

Infatti esistono strumenti processuali,sia pure eccezionali, che permettono l’impugnazione anche di sentenze passate in giudicato. Così A. M. SANDULLI, Atti del giudice e responsabilità civile, Milano, 1978, 1299; G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. Dir, XVIII, Milano, 1969, 832; e A. GIULIANI-N. PICARDI, La responsabilità del giudice, Milano, 1995, 232.

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A questo proposito, il legislatore non opta per un mero rinvio alla nozione generale di colpa grave24, bensì fornisce all’articolo 2, comma 325 un’elencazione tassativa delle ipotesi in cui il magistrato può essere chiamato a rispondere civilmente del proprio operato. Queste sono la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile (il c.d. errore di diritto), l’affermazione o la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente ammessa o esclusa dagli atti del procedimento (il c.d. errore di fatto), e l’emissione di un provvedimento concernente la libertà personale della persona fuori dai casi previsti dalla legge oppure senza motivazione.

Rileva, tuttavia, che al precedente comma dello stesso articolo, al fine di garantire l’indipendenza funzionale del giudice in merito al compimento degli atti giudiziari in senso stretto, il legislatore esclude che possa dar luogo a responsabilità civile l’attività di interpretazione delle norme di diritto e quella di valutazione dei fatti e delle prove26. Ed è proprio a quest’ultima disposizione, definita “clausola di salvaguardia”, che si devono le maggiori difficoltà interpretative ed applicative della normativa del 1988.

24 Come per i professionisti intellettuali la cui prestazione implichi la soluzione di

problemi tecnici di particolare complessità, ex art. 2236c.c..

25 Trattasi a) di grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile:

b) di affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) di negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastatibilmente dagli atti del procedimento; d) di emissione di un provvedimento concernente la libertà della persona fuori dai casi consentiti o senza motivazione.

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In particolare, si sono riscontrate notevoli difficoltà nel marcare i confini tra tale attività interpretativa non sanzionabile e le ipotesi suscettibili di responsabilità per colpa grave.

Per quanto riguarda l’ipotesi della “violazione di legge”, si è ritenuto che l’intenzione del legislatore fosse quella di non considerare sanzionabile l’interpretazione del giudice che collochi nel novero dei possibili significati ad essa attribuibili, sia con riferimento all’elemento lessicale che a quello logico, e di proclamare, al contrario, la responsabilità del giudice che adotti un significato della norma estraneo alla formulazione del legislatore.

Ed è su questa criterio distintivo che si fondano le prime decisioni applicative della legge 117/8827.

Ciò nonostante, risulta evidente che se questa fosse l’unica distinzione tra l’ipotesi di salvaguardia all’art. 2 comma 2 e quella sanzionabile del comma 3, sarebbero davvero esigui i casi in cui poter considerare responsabili i magistrati. Infatti, escludendosi ogni controllo sul prodotto dell’interpretazione, si finirebbe col ritenere il giudizio sindacabile soltanto quando vi sia stata violazione nell’applicazione delle regole interpretative. Anche in questo caso, però, data l’insufficienza nel nostro ordinamento di regole

27 Che tuttavia accolgono una nozione molto ampia di libertà interpretativa del

giudice. Ad esempio, nella decisione della Corte d’appello di Brescia che il 13 aprile del 1990, che conferma la decisione del Tribunale di Brescia del 17 febbraio 1990, si afferma che “l’attività di interpretazione di norme di diritto ricorre quando si assegni alla proposizione normativa uno dei principali significati, sia pure il meno probabile e il più distante dai principi generali dell’ordinamento giuridico, nell’arco di quelli strettamente possibili alla stregua del senso comune dei segni linguistici”.

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interpretative e l’assenza di un rapporto gerarchico tra queste, la scelta di applicare o meno la clausola di salvaguardia risulterebbe arbitraria, in quanto il fine delle norme interpretative è notoriamente quello di limitare le nuove interpretazioni e non di impedirle28. Invece, un espediente efficace per distinguere gli atti giudiziari sanzionabili di responsabilità per “colpa grave” da quelli tutelati dalla c.d. “clausola di salvaguardia”, parrebbe consistere nella valorizzazione del criterio della “negligenza inescusabile”.

Pertanto, individuando il momento di riscontro della responsabilità in una fase antecedente all’interpretazione29, finirebbero col costituire ipotesi di violazione di legge, non lesive dell’indipendenza funzionale del giudice, i casi in cui il magistrato ignori l’esistenza di una disposizione normativa, la sua abrogazione espressa, o la sua dichiarazione di incostituzionalità, piuttosto che il caso in cui decida una controversia applicando una legge di dubbia costituzionalità. Per quanto riguarda il distinguo tra le ipotesi di “insindacabile valutazione del fatto e delle prove” e quelle di “colpa grave dovuta a negligenza inescusabile nell’attività di valutazione del fatto e delle prove” può essere fatto un ragionamento analogo, che ponga anche in questo caso l’accento sull’elemento della negligenza.

28 G. ZAGREBELSKY, Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1999, 70. 29 F. BIONDI, Cit., 203.

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Nondimeno, anche questa ipotesi di responsabilità tende a trovare scarsa applicazione da parte della giurisprudenza30.

Infatti, in varie occasioni la giurisprudenza ha attribuito rilevanza alla circostanza che la normativa si riferisca ad un’erronea affermazione o negazione del fatto “incontrastabilmente” risultante dagli atti del procedimento31. In quest’ottica, di conseguenza, si è ritenuto che si avrà responsabilità solo in caso di “errore macroscopico, commesso in un contesto di piena evidenza ed immediata rilevabilità del fatto o della sua negazione dagli atti del processo, reso possibile da una tale disattenzione nella lettura delle emergenze processuali da apparire oggettivamente inescusabile”32. In proposito, è stata la stessa Corte costituzionale che, ritenendo ragionevole la previsione di una più circoscritta area di responsabilità per coloro che non hanno una specifica professionalità in relazione alle materie giuridiche33, ha avallato un’interpretazione meno restrittiva della norma, facente derivare l’inescusabilità dalla

30

A. M. BENEDETTI, nota a Tribunale di Brescia, sentenza 29 aprile 1998, in Danno e responsabilità.

31 Ad esempio, sentenza Corte di cassazione, I sez. civ., del 6 novembre 1999, n.

12357.

32

Cit. Corte di cassazione, I sez. civ. sentenza 20 settembre 2001, n. 11859.

33 Corte costituzionale sent. n. 18 del 1989, nella parte in cui limita la

responsabilità dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano gli organi giudiziari collegiali, ai soli casi di dolo e a quelli di colpa grave previsti all’art. 2 lett. b) e c) della l. n. 117/88. Nello specifico, poiché i cittadini che partecipano all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’art. 102, commi 2 e 3 Cost. non devono possedere alcuna competenza specifica in materia giuridica, la Corte ha ritenuto non irragionevole che essi possano essere considerati responsabili solo in caso di macroscopici errori di fatto e, per violazione di legge, solo in caso di dolo. Diversamente, i giudici onorari ed i soggetti designati consiglieri di cassazione dal C.S.M., rispettivamente ex art. 106. Commi 2 e 3 Cost., per i quali l’attuale legislazione richiede una determinata specializzazione giuridica, rispondono come i magistrati.

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semplice ingiustificata imperizia o dalla mancanza di professionalità, invece che dall’ “inspiegabilità” o dall’ “abnormità” dell’errore nella valutazione degli elementi.

5.2.La colpa grave nell’emanazione di un provvedimento sulla libertà personale

L’articolo 2, comma 3, lett. d) della legge Vassalli stabilisce che incorre in colpa grave chi emetta un provvedimento concernente la libertà personale fuori dai casi consentiti dalla legge o in assenza di motivazione.

Anche questa ipotesi di responsabilità ha avuto un’applicazione fortemente limitata.

Infatti, la giurisprudenza34 ha escluso che l’accertamento della responsabilità dovesse estendersi alla valutazione degli specifici presupposti per l’applicazione delle misure cautelari nel caso concreto, limitando perciò l’ipotesi di colpa grave alla sola ipotesi di emissione di provvedimento limitativo della libertà personale al di là dei casi astrattamente previsti dalla normativa procedurale35.

Inoltre, riguardo a questa ipotesi di responsabilità, ci si è chiesti se l’azione debba essere promossa nei confronti del pubblico ministero che adotta il provvedimento limitativo della libertà personale o del giudice che lo convalida ed entro quali termini.

34 Sent. Corte di cassazione, I sez. civ., 11 marzo 1997, n. 2186. 35 M. CICALA, Il silenzio dei giudici, in Riv. Dir. priv.,1997.

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La questione è stata chiarita dalla Corte di cassazione36, che ha fissato il principio per cui gli atti del pubblico ministero preordinati all’emissione di un provvedimento cautelare devono ritenersi impugnabili, non autonomamente, bensì nei modi e nei termini in cui è impugnabile il provvedimento giurisdizionale che li dispone37.

5.3.Diniego di giustizia e ritardo

All’articolo 3 della legge n. 117 è configurata l’ipotesi di responsabilità per diniego di giustizia, ovvero per ingiustificata omissione di un atto dovuto, o ritardo nel compimento dello stesso, da parte di un magistrato.

Essa ricorre allorché il giudice, trascorso il termine previsto dalla legge per il compimento dell’atto e trascorsi trenta giorni dalla data di deposito dell’istanza a provvedere della parte interessata, persista senza giustificato motivo nell’inattività. Qualora invece un termine non sia previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dal deposito in cancelleria dell’istanza della parte volta ad ottenere il provvedimento.

Infine, il dispositivo si completa con la specificazione che il termine è ridotto a cinque giorni quando l’omissione o il ritardo ingiustificati abbiano ad oggetto la libertà personale dell’imputato.

In merito a quest’ipotesi di responsabilità rileva che se è vero che oggi la dottrina ha perfino ammesso la responsabilità del magistrato

36 Sentenza Corte di cassazione, I sez.civ., del3dicembre 1999, n. 13496. 37 F. BIONDI, Cit., 209.

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per diniego di giustizia colposo, altrettanto vero è che anche in questo caso si è avuta una sostanziale inoperatività della disciplina, tanto che il legislatore più recente ha dovuto introdurre una disciplina che consenta alle parti di ottenere una riparazione dei danni subiti dall’eccessiva durata dei processi38.

Le ragioni del mancato azionamento del meccanismo della messa in mora del giudice sono state individuate da alcuni esponenti della dottrina nel timore delle parti di “indisporre” i magistrati39, altri, invece, le ritrovano nella disciplina stessa dell’istituto.

Infatti, è lo stesso comma 2 dell’articolo a prevedere che per gli atti non aventi per oggetto la libertà personale il termine di trenta giorni possa essere prorogato40, prima della scadenza, con decreto motivato del dirigente d’ufficio non oltre i tre mesi dalla data di deposito dell’istanza e che per la redazione di sentenze di particolarmente complesse il dirigente d’ufficio può autorizzare un’ulteriore proroga del termine di tre mesi.

38

Si tratta della legge del 24 marzo 2011, n. 89, intitolata “Previsioni di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile”.

39 N. TROCKER, La responsabilità dei magistrati, in Riv. Trim. dir. proc. civ.,

1982, 1313; e G. P. CIRILLO, Diniego di giustizia e responsabilità del giudice, in Scritti in onore di G. Capozzi, II, Milano, 1992, 51.

40 La proroga può essere concessa sia per ragioni di carattere soggettivo, come ad

esempio una malattia, che di carattere oggettivo, come ad esempio un carico di lavoro eccessivo o la particolare difficoltà della questione.

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5.4.Il danno ingiusto

In generale, l’esercizio dell’azione prevista dalla legge Vassalli è finalizzato al risarcimento dei soli danni patrimoniali subito.

Al contrario, nella sola eventualità di un provvedimento relativo alla libertà personale ingiusto ed emanato con colpa grave, l’azione può essere promossa per ottenere il risarcimento anche dei danni non patrimoniali41.

6. Profili procedimentali: il c.d. “filtro di ammissibilità”

Ai sensi dell’articolo 4, l’azione risarcitoria si esercita nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri entro due anni dal momento in cui è esperibile, a pena di decadenza. Inoltre, essa può essere proposta solo a condizione che siano già stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o che non siano più comunque possibili la modifica o la revoca del provvedimento.

La competenza a conoscere della controversia è attribuita al Tribunale del luogo in cui ha sede la Corte di Appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l’ufficio giudiziario a cui apparteneva il magistrato al momento del fatto.

Una volta proposta, l’articolo 5 prevede che l’azione sia soggetta al vaglio di ammissibilità svolto dallo stesso Tribunale competente a

41 M. DELLA ROCCA, Il danno da motivazione ingiuriosa e l’ammissibilità dell’azione risarcitoria nell’art.4 della l. n. 117/1988, Giust. Civ., 2002, I, 1586; G. SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2013, 189.

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conoscere la controversia nel merito, si tratta del c.d. “filtro di ammissibilità”.

La domanda di risarcimento è dichiarata inammissibile con decreto motivato nei casi di mancato rispetto dei termini o dei presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4 e nel caso di manifesta infondatezza. In caso contrario, se il Tribunale dichiara la domanda ammissibile, viene disposta la prosecuzione del processo nei confronti dello Stato e copia degli atti viene trasmessa ai titolari dell’azione disciplinare42. A norma dell’articolo 6 il magistrato non può essere chiamato in causa, ma può intervenire volontariamente. In ogni caso, qualora non usufruisca di questo diritto, la decisione pronunciata contro lo Stato non farà stato a suo carico né nel procedimento disciplinare né in un eventuale giudizio di rivalsa.

Infine, agli articoli 7 e 8 è regolata azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, che può essere esercitata dal Presidente del Consiglio dei Ministri entro un anno dall’avvenuto risarcimento. L’eventuale richiesta non potrà avere, in caso di colpa grave, una misura superiore ad un terzo dello stipendio annuale percepito dal magistrato al momento in cui l’azione di risarcimento è stata

42 Da questo momento sorgerà l’obbligo per i titolari dell’azione disciplinare di

esercitarla, in quanto ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 117/88: “Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell’azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l’azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all’azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta,entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma 5. Resta ferma la facoltà del Ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell’articolo 107 della Costituzione. Gli atti del giudizio disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d’ufficio, nel giudizio di rivalsa. La disposizione di cui all’articolo 2, che circoscrive la rilevanza della colpa ai casi di colpa grave ivi previsti, non si applica nel giudizio disciplinare”.

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proposta, invece, in caso di dolo, la legge non prevede alcun limite massimo alla rivalsa.

7. La responsabilità dei componenti degli organi collegiali

Il legislatore della l. 117/88 ha incontrato particolari difficoltà nel formulare la disciplina concernente la responsabilità dei singoli membri dei collegi giudicanti43.

Anche in quest’occasione si trattava di realizzare un bilanciamento tra esigenze diverse, in particolare tra quella di garantire l’uguaglianza fra i magistrati e quella di rispettare il principio della responsabilità individuale. Infatti, da una parte il principio di uguaglianza imponeva una disciplina che contemplasse sia la responsabilità degli organi monocratici che quella degli organi collegiali, mentre dall’altra quello della responsabilità individuale non consentiva di far ricadere la responsabilità indistintamente su tutti i componenti del collegio.

A tale scopo l’articolo 16 della legge, nella sua versione originaria, prevedeva che, la decisione venisse presa in camera di consiglio fosse sempre accompagnata da un sommario verbale del processo decisionale redatto dai membri del collegio giudicante, sia in caso di unanimità che in caso di dissenso sul deciso. Il verbale, poi, sarebbe stato conservato in busta chiusa ed inviato, su richiesta, al tribunale

43 B. CAPPONI, Art. 16, in La responsabilità civile dello Stato giudice, a cura di

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competente a decidere sull’eventuale giudizio di rivalsa instaurato dallo Stato.

La normativa fu, però, da subito oggetto di plurime questioni di legittimità costituzionale.

Dapprima si obiettò che l’impersonalità e la segretezza della decisione adottata in camera di consiglio costituirebbero un corollario del principio di indipendenza dei giudici, che risulterebbe quindi leso dal disposto dell’art. 16.

Ma, la Corte costituzionale44, respingendo queste contestazioni, affermò che, al contrario, la trasparenza del comportamento del giudice contribuisce realizzare il principio di indipendenza del giudice nelle sua pienezza.

Il giudice di legittimità rilevò, invece, il mancato rispetto della concezione della deliberazione collegiale quale atto unitario, frutto di un’integrazione tra opinioni e non di una semplice somma tra queste45.

Ed è proprio in base a questa osservazione che la Corte, estendendo il principio di buon andamento anche all’esercizio della funzione giurisdizionale, stavolta dichiarò l’incostituzionalità dei commi 1 e 2 dell’art. 16 per violazione dell’articolo 97 della Costituzione46. In quanto l’obbligo di compilare il verbale del processo decisionale in relazione ad ogni singola deliberazione comportava un inutile ed

44 Corte costituzionale sentenze n. 18/1989 e n. 243/1989. 45 Cit. F. BIONDI, Cit., 215.

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ingiustificato affaticamento del sistema giudiziario, quando tale onere avrebbe potuto essere solamente facoltativo e circoscritto alle sole ipotesi in cui uno o più membri l’avessero richiesta.

Infine, sempre in base al presupposto che la decisione emessa dagli organi collegiali costituisca un atto unitario, la Corte ribadì che alla formazione della stessa tutti i membri del collegio concorrono in egual misura e pertanto sono tutti egualmente responsabili dei danni causati dal contenuto del provvedimento47.

8. Il rapporto tra l’azione di responsabilità e i mezzi di impugnazione dei provvedimenti giudiziari

Nell’indagine del rapporto tra l’azione di responsabilità civile e gli istituti che permettono l’impugnazione delle decisioni giudiziari, emerge sin da subito che si tratta di meccanismi che, seppur non alternativi, hanno oggetti e finalità diversi.

È per questo che il legislatore del 1988 ha dovuto disegnare la disciplina dell’azione di responsabilità muovendo dal presupposto che quest’ultima non dovesse interferire con i vari sistemi di impugnazione e che non potesse essere utilizzata come ulteriore mezzo di impugnazione48.

47

Al contrario, la Corte sempre nella sent. n. 18/1989 ha precisato che in merito alla formazione del provvedimento il magistrato membro del collegio risponde solo quando il danno ingiusto sia derivato dall’inosservanza di obblighi specifici di sua competenza e questo vale in particolare nel caso di diniego di giustizia.

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Allora, si è ricercata una soluzione normativa che consentisse di conciliare queste esigenze con la pretesa della parte di veder prontamente tutelati i propri diritti.

All’art. 4, comma 2 della legge n.117 si chiarisce che l’azione di risarcimento contro lo Stato può proposta essere solo quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti contro i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.

Per l’esercizio dell’azione è poi previsto un termine di decadenza di due anni, che iniziano a decorrere dal momento in cui l’azione diviene esperibile.

Infine, al comma 3 si stabilisce che l’azione può essere in ogni caso proposta una volta decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno, anche se in tale termine non si è concluso il grado del procedimento nel cui ambito il fatto si è verificato.

Quest’ultima previsione, in particolare, ha destato diverse preoccupazioni.

Infatti, parte della dottrina49 sostiene che sarebbe stato preferibile anche in questi casi posticipare l’esercizio dell’azione di

49 In proposito F. MOROZZO DELLA ROCCA, Il danno da motivazione ingiuriosa e l’ammissibilità dell’azione risarcitoria nell’art. 4 l. n. 117 del 1988, in Giust. Civ., 2002, 1567.

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responsabilità civile al termine del procedimento, onde evitare pregiudicare l’imparzialità del magistrato, che continui a condurre il processo, ed evitare che l’azione sia promossa al solo fine di creare una situazione di incompatibilità, che comporrebbe l’astensione o la ricusazione del magistrato.

Anche in giurisprudenza non si individua un indirizzo univoco sull’argomento. Da un lato, infatti, la Corte di cassazione50 non ha ritenuto lesiva degli articoli 3 e 24 della Costituzione la mancata previsione della sospensione del termine di decadenza per tutto il periodo in cui la titolarità del processo resti attribuita agli stessi magistrati che hanno emesso il provvedimento ritenuto lesivo, poiché gli istituti dell’astensione e della ricusazione risultano sufficienti a garantire l’imparzialità del magistrato nella prosecuzione del processo. Dall’altro, però, in altre occasioni51 è stata esclusa la ricusazione di magistrati nei cui confronti era stata promossa l’azione di responsabilità, onde evitare un utilizzo di questo strumento non conforme alla ratio del legislatore.

Infine, l’articolo 14 della legge statuisce che l’esercizio dell’azione civile non deve pregiudicare la possibilità di esperire i rimedi previsti a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione,

50 Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza 13 dicembre 1999, n. 13919, in Giust. Civ.2000, I, 2013. In merito al rimedio dell’astensione, invece, Corte costituzionale sentenza n.18 del 1989.

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rimarcando così in modo chiaro la differenza l’istituto del risarcimento e quello della riparazione52.

9. La mancata applicazione della legge n. 117/1988

L’impianto della legge n. 117 del 1988 fu, sin dal momento della sua entrata in vigore, oggetto di severe critiche.

Innanzitutto, si rilevava che la tutela accordata dalla nuova regolamentazione al cittadino danneggiato era di livello molto basso e sostanzialmente pari a quello garantito precedentemente dall’articolo 55 c.p.c..

Sotto il profilo costituzionale, poi, la dottrina53 evidenziava come la pressoché totale esclusione di una forma di responsabilità diretta del magistrato nei confronti delle parti contrastasse con la ratio dell’articolo 28 della Costituzione. Infatti, si protestava, il legislatore costituente, prevedendo che i funzionari pubblici rispondessero “direttamente”, aveva mirato a stimolare il senso di responsabilità dei funzionari nei confronti dei cittadini54 ed allo stesso tempo aveva valutato che questo fosse il modo di assicurare al cittadino la tutela più forte nei confronti dell’esercizio del potere pubblico.

52 Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza del 15 novembre 1995, n. 11825, in Giust. Civ. 1996, 361 e M. NARDOZZA, Riparazione dell’errore giudiziario e responsabilità civile del magistrato: rilievi tecnici, in Giust. Civ. 1996, 363. 53 Ad esempio P. GIOCOLI NACCI, La responsabilità risarcitoria del magistrato prima e dopo la riforma: problemi di costituzionalità, in Amministrazione e politica, 1992, 49; e F. PINTUS, Cit., 1446.

54 In questo senso anche G. ZAGREBELSKY, in La responsabilità del magistrato nell’attuale ordinamento, p. 788, il quale osserva come tale impostazione del rapporto tra funzionari pubblici e cittadini sia necessaria in ogni ordinamento democratico che “metta prima gli uomini degli apparati”.

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Di ordine politico-legislativo erano, invece, le considerazioni di coloro che, soffermandosi ancora sulla scelta normativa di anteporre la responsabilità dello Stato a quella del funzionario, sottolineavano come tale impostazione del rapporto magistrati-cittadini non si conciliasse con la posizione di mediatrice tra Stato e comunità assunta dalla magistratura italiana con la Costituzione del 1948. Non potendosi, inoltre, giustificare tale scelta nemmeno in base alla volontà del legislatore dell’‘88 di salvaguardare l’indipendenza dei magistrati ed allo stesso tempo garantire un più ampio risarcimento al cittadino55.

Anche l’introduzione di un giudizio di ammissibilità della domanda risarcitoria ha costituito argomento di dibattito.

Infatti, ai sensi dell’art. 5 della l. 117 del 1988, il tribunale adito, sentite le parti, delibera in camera di consiglio sull’ammissibilità della domanda, che è respinta “quando non sono rispettati i termini o i presupposti di cui agli artt.2, 3 e 4 ovvero quando è manifestamente infondata”. La decisione di inammissibilità è impugnabile davanti alla Corte d’appello e quindi in Cassazione56.

55 Come affermato, invece, nella sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 1997,

in cui si sostiene che la legge del 1988 muove dalla più ampia prospettiva del risarcimento del cittadino che ha subito un danno ingiusto a causa dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali e ciò giustifica la preminenza dell’azione diretta contro lo Stato, garantendo così l’interesse del cittadino alla riparazione risarcitoria.

56

La Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 67 del 2005, ha considerato non irragionevole la scelta del legislatore della legge n. 117/88 di non prevedere la facoltà di proporre reclamo avverso il decreto che dichiara l’ammissibilità della domanda, in quanto l’unico effetto del provvedimento è quello di permettere il proseguo del giudizio di merito senza pregiudicarne l’esito.

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In realtà questa soluzione legislativa non solo appare condivisibile, ma realizza addirittura un’efficace strumento di garanzia per l’indipendenza del magistrato, che evita così di essere esposto ad azioni palesemente infondate.

Al contrario, è da biasimare57 la prassi giurisprudenziale58 che, trincerandosi dietro una conveniente interpretazione dell’art. 5, ha impedito l’istaurarsi della quasi totalità dei giudizi risarcitori59. In particolare rileva che la Corte di cassazione ha più volte proclamato che già nel giudizio di ammissibilità si debba verificare se con l’azione proposta si intenda sindacare l’interpretazione delle norme o dei fatti60, anticipando in questo modo un giudizio sul merito ad una fase anteriore all’instaurazione stessa del processo.

Tanto è vero che a ben guardare il fallimento della legge n. 117 del 1988 deve essere ricercato soprattutto in un’altra garanzia prevista a favore dei magistrati: la c.d. clausola di salvaguardia, o meglio,

57 Di questa opinione anche C. AMATO, Una critica all’interpretazione dell’art. 5 l. 117/88, in Danno e resp., 1996, 339.

58 Ad esempio: Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza n. 9511/1995; Corte di

cassazione, I sez. civ., sentenza n. 2201/1999; Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza n. 11880/2001; Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza n. 14193/2002; Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza n. 9811/2003.

59 Non solo è esiguo il numero dei processi che sono giunti alla fase di merito, ma

lo è ancor di più quello delle condanne. Si riporta, ad esempio, il caso di un pubblico ministero che aveva disposto la perquisizione di uno studio legale di un avvocato senza darne avviso al Presidente del C. d. o., ex art. 103 c. p. p. (Corte di cassazione, sez. civ. I, sentenza n. 8260/1999) e quella di un giudice istruttore che aveva emesso mandati di cattura per il reato di falso in bilancio aggravato e continuato, sulla base delle qualità, in realtà inesistenti nel soggetto, di amministratore e sindaco di una s. p. a. (Tribunale di Brescia, sentenza del 29 aprile 1998). Ed in realtà, solo il primo di questi due giudizi si è concluso con l’accoglimento della domanda di risarcimento proposta dalla parte.

In proposito, M. LUPO, La responsabilità civile del magistrato: primi bilanci sull’applicazione della legge 117/1988, in Resp.civ. prev., p. 677, 2004.

60 Corte di cassazione, I sez. civ., sentenza 9 settembre 1995, n. 9511; Corte di

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ancora una volta, nell’interpretazione che la giurisprudenza ha dato di questo istituto61. Sia il giudice di legittimità che quello di cassazione, infatti, sono stati concordi nell’attribuire a questa clausola un ruolo definitorio fortemente negativo dell’illecito, facendo passare così l’idea che il magistrato possa essere chiamato a rispondere del proprio operato solo in occasione di errori di diritto, gravi, determinati da negligenza inescusabile e non derivanti da un’erronea interpretazione della legge62.

È per tutte queste ragioni che la legge n. 117 del 1988 è stata oggetto di diversi tentativi referendari di abrogazione63 e di numerose censure costituzionali.

Ad ogni modo, nonostante questo diffuso sentimento di insoddisfazione nei confronti della normativa, la Corte costituzionale con la sentenza n. 18/1989 respinse le varie questioni di illegittimità sollevate, ad eccezione di quella che si riferiva all’incompatibilità dell’art. 16, commi 1 e 2 della legge con l’art. 97 Cost.

61 L. FRATA, Cronaca di una legge inutile: la Cassazione e la responsabilità civile dei magistrati, in Danno e resp., 2008, 1140.

62 La Cassazione in merito sostiene che la responsabilità dovrebbe scattare solo in

caso di “violazione evidente,grossolana e macroscopica della norma,ovvero nella lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico, nell’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, nella manipolazione arbitraria del testo normativo, nello sconfinamento nel diritto libero, mentre resta nell’area dell’esenzione da responsabilità la lettura della legge secondo uno dei significati possibili, sia pure il meno possibile e convincente, quando dell’opzione interpretativa seguita si dia conto e ragione nella motivazione”; Corte di cassazione sentenza n. 11593/2011; Corte di cassazione sentenza n. 7272/2008; Corte di cassazione sentenza n. 2946/2009; Corte di cassazione sentenza n. 16696/2003; Corte di cassazione sentenza n.3357/2001.

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Nel caso specifico, di fatti, la Corte ammise che l’attività di verbalizzazione imposta in caso di dissenso all’interno del collegio comportasse un eccessivo rallentamento dell’attività giudiziaria, in spregio al principio di buon andamento nell’amministrazione della giustizia64.

Nel complesso, però, il giudice di legittimità promosse il tentativo di bilanciamento tra il principio di responsabilità e quello di indipendenza dei magistrati realizzato dalla legge ed affermò che la tutela giurisdizionale così garantita ai singoli cittadini fosse piena ed effettiva.

Tuttavia, merita di essere sottolineato che il giudizio della Corte costituzionale fu espresso a pochi mesi dall’entrata in vigore della legge. Invece, saranno i suoi ventisette anni di vigenza e sostanziale inapplicazione ad attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la soluzione normativa adottata dal legislatore del 1988 necessitava senza alcun dubbio di diversi aggiustamenti.

10.La Corte di giustizia della Comunità europea e la responsabilità civile dei magistrati

Mentre la Corte costituzionale si affrettava ad assolvere la l. n. 117/88 dalle accuse che le venivano mosse da dottrina e

64 Per una più approfondita ricostruzione della vicenda si rimanda al paragrafo 6 di

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giurisprudenza nazionali, nuovi spunti di riflessione giungevano dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea65.

In quegli anni, infatti, la Corte ebbe modo di intervenire in modo decisivo sul tema della responsabilità dello Stato conseguente all’attività dei suoi organi66, finendo col riconoscere la responsabilità extracontrattuale degli Stati membri nei confronti dei singoli cittadini per i danni dovuti a violazioni del diritto comunitario.

In particolare, già nella celebre sentenza Francovich del 199167 la Corte affermava che uno Stato membro ha certamente la facoltà di scegliere le modalità attuative delle direttive di cui è destinatario, questo però non esclude che i singoli cittadini possano far valere dinanzi ai giudici nazionali quei diritti il cui contenuto sia già determinabile con precisione sulla base delle disposizioni della direttiva stessa. Considerando, quindi, il diritto del cittadino al risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto comunitario da parte dello Stato come un corollario del principio di efficacia delle norme comunitarie. La Corte del Lussemburgo aggiungeva, poi, che, in mancanza di una disciplina comunitaria, il risarcimento danni doveva essere regolamentato a secondo la legislazione nazionale, precisando che le condizioni, formali e

65 In merito F. DAL CANTO, La responsabilità dei magistrati nell’ordinamento italiano, reperibile sul sito www.archivio.rivistaaic.it, 2007.

66

S. PANIZZA, La responsabilità civile dei magistrati nella giurisprudenza costituzionale, in AA. VV. (a cura di Volpi), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 201.

67 In Foro it., 1992, IV, 145, con note di A. BARONE e R. PARDOLESI, Il fatto illecito del legislatore, e di G. PONZANELLI, L’Europa e la responsabilità civile.

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sostanziali, fissate dalle legislazioni nazionali non potevano essere meno favorevoli di quelli previste per analoghi reclami di natura interna o in ogni caso congegnate in modo da rendere eccessivamente difficoltoso, se non pressoché, impossibile il risarcimento.

Pochi anni dopo la Corte tornava sull’argomento e con la sentenza

Brasserie du pecheur del 1996, precisando che l’onere di

risarcimento per violazione del diritto comunitario sorge in capo allo Stato a prescindere da quale sia l’organo a cui sia imputabile la trasgressione, rilevando a tal fine esclusivamente la sufficiente caratterizzazione della norma comunitaria preordinata ad attribuire il diritto ai singoli e la sussistenza di un nesso causale tra la violazione della norma stessa ed il danno subito dal cittadino.

Tuttavia, sono successive le sentenze comunitarie che maggiormente hanno inciso sulla l. n. 117/88 ed hanno reso auspicabile la sua riforma.

Innanzitutto ci si riferisce alla sentenza Köbler del 2003. In

quest’occasione la Corte di Giustizia specificò che l’onere di risarcimento dei danni causati da violazione del diritto comunitario conseguisse anche all’esercizio non corretto della propria funzione da parte dell’organo giurisdizionale, potendo, però, sussistere in

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questo caso la responsabilità dello Stato soltanto nell’ipotesi di violazione manifesta del diritto vigente68.

La Corte dimostrò così sensibile alla specificità dell’esercizio della funzione giurisdizionale nonché all’esigenza di certezza del diritto propria di ogni ordinamento.

In proposito, però, in molti evidenziarono che la sentenza si poneva in possibile contrasto con l’articolo 2, comma 1 della legge n. 117 del 1988, che faceva conseguire il risarcimento solo a condotta dolosa o gravemente colposa del magistrato con l’aggiunta dell’ulteriori limitazioni previste dalla c.d. clausola di salvaguardia. E tale avviso fu confermato dalla Corte di Giustizia stessa con la sentenza Traghetti del Mediterraneo S.p.a. del 200669 condannò la Repubblica italiana a risarcire i danni provocati dagli errori di interpretazione commessi dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 5087/00 e dal mancato esercizio dell’obbligo di rinvio su di essa gravante, escludendo la compatibilità di una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di responsabilità dello Stato ai soli casi di

68 Dovendo tener conto della chiarezza e della precisione della norma violata,del

carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o meno dell’errore di diritto, dalla mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 234 TCE, dovendosi, però, sempre presumere manifesta la violazione in caso di mancata osservanza della giurisprudenza comunitaria in materia.

69 Originata da una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Genova,

chiamato ad esprimersi su una controversia tra il curatore fallimentare della Società Traghetti del Mediterraneo e la Repubblica italiana.

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dolo e colpa grave del giudice con il diritto comunitario e con quanto sancito dalla sentenza Köbler del 200370.

Infine, con una nuova pronuncia la Corte di Lussemburgo, in data 24 novembre 201171, condannava la Repubblica italiana per inadempimento degli obblighi su di essa incombenti in forza dell’incompatibilità dell’art. 2, commi 1 e 2 col principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione europea da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, imponendo di fatto al legislatore italiano di riportare l’attenzione sulla questione e procedere ad una riforma della disciplina.

70 Per i commenti alla sentenza vedi F. BIONDI, Un “brutto” colpo per la responsabilità civile dei magistrati, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2006. 71 Causa 379/10, Commissione europea contro Repubblica italiana. La sentenza è

stata emessa su ricorso della Commissione europea in quanto l’Italia non si era tempestivamente adeguata ai principi nel 2006 nella sentenza Traghetti del mediterraneo. In questa occasione la Corte di giustizia ha ribadito l’insufficienza, a fini risarcitori, della legge 117/88, poiché in particolare l’applicazione dell’art. 2, comma 2 della stessa determina la generale esclusione della responsabilità, nonostante il diritto comunitario imponga ai propri Stati membri di rispondere per i danni arrecati ai singoli imputabili ad un organo giurisdizionale. Vedi E. TIRA, Ancora sulle proposte di riforma delle norme sulla responsabilità civile dei magistrati, reperibile sul sito www.archivio.rivistaaic.it, 2012, 3.

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