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Verso una riscoperta dei valori che animano la materia delle restrizioni della libertà personale ante iudicatum

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE …... 5

CAPITOLO I - LA TUTELA DELL A LIBERTÀ PERSONALE

1. Profili generali ed evolutivi del concetto di libertà personale ….... 9

2. La disciplina di cui all'art. 13 Cost. ....…... 20

3. L'excursus storico della presunzione d'innocenza …... 25

4. Il principio di non colpevolezza ex art. 27, comma II, Cost. ….... 29

5. Il riconoscimento della tutela a livello sovranazionale ... 35

CAPITOLO II - L'APPLICAZIONE DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI

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2. I presupposti delle limitazioni alla libertà personale ... 43

2.1. Le condizioni previste dall'art. 273 c.p.p. ... 46

2.1.1. I criteri di valutazione degli indizi ... 53

2.2. La gravità del delitto ... 63

3. Le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. ... 68

3.1. Tendenze legislative e prassi devianti ... 79

CAPITOLO III - I CRITERI DELLA SCELTA GIUDIZIALE 1. Premessa ... 93

2. Il principio di proporzionalità ... 95

3. L'adeguatezza e la gradualità delle singole cautele personali ... 105

4. La detenzione in carcere ...…... 134

4.1. Le situazioni incompatibili con la misura intramuraria ... 137

4.2. Le linee della giurisprudenza costituzionale sulle presunzioni di pericolosità ... 144

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CONCLUSIONI ... 166

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 172

GIURISPRUDENZA E LEGISLAZIONE ... 187

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato ha lo scopo di mettere in risalto l'importanza della tutela della libertà personale, qualificata come inviolabile dall'art. 13 Cost., in ambito cautelare. L'affermazione del “principio della inviolabilità personale”, in una dimensione evolutiva, segnerà il definitivo superamento di quella retriva concezione che, per secoli, ha contrassegnato la detenzione preventiva come una species torturae. Parallelamente, si assisterà a una graduale emancipazione della presunzione di innocenza verso colui che è stato accusato ma non ancora giudicato, fino ad arrivare all'enunciazione, presente nel dettato costituzionale all'art. 27, comma II, Cost., del “principio di non colpevolezza”, principio cardine della materia cautelare.

La riflessione partirà dalle prime affermazioni di libertà dagli arresti arbitrali sine judicio - rafforzate successivamente dagli ideali illuministi - che sfociarono nelle Costituzioni del XVIII e XIX sec. Attraverso questo excursus progressivo, si è potuti arrivare alla disciplina odierna che, da un lato, è contraddistinta da un particolare garantismo, dal momento che, in via generale, si può procedere all'applicazione di misure cautelari personali soltanto quando risulti strettamente necessario, ricorrendo al carcere solo in ultima soluzione; dall'altro lato, la previsione di alcune presunzioni di pericolosità, lascia però intravedere la vieille ombre del mandato di cattura obbligatorio previsto dal codice Rocco.

La tematica della limitazione della libertà personale, in tutte quelle occasioni in cui manchi un giudizio sulla colpevolezza, è molto delicata: la disciplina delle misure cautelari personali, infatti, dovrà riuscire a coniugare la tutela della libertà dell'individuo con le esigenze

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di difesa della collettività. In proposito, sarà indispensabile stabilire tassativamente le condizioni generali per procedere legittimamente all'applicazione di dette misure. La restrizione della libertà personale, ai sensi dell'art. 273 c.p.p., richiederà il fumus commissi delicti, ossia la sussistenza di una notevole base probatoria, definita in termini di “gravi indizi di colpevolezza” del soggetto sottoposto a misura; nonché il presupposto del periculum libertatis, previsto all'art. 274 c.p.p., volto a individuare le finalità per il quale predisporre i provvedimenti cautelari, ovvero per evitare il rischio di inquinamento probatorio, di fuga e di reiterazione di reato.

Oltre a ciò, verranno affrontati i criteri di scelta del giudice di cui all'art. 275 c.p.p., che governano la materia cautelare, affermando i principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità. In virtù di tali principi, il sistema seguirà una logica per cui la limitazione dei diritti di libertà dell'indagato o dell'imputato dev'essere disposta nella stretta misura necessaria a fronteggiare la particolare esigenza cautelare in concreto verificata. La custodia cautelare costituirà così l'extrema ratio, e potrà essere utilizzata soltanto nell'ipotesi in cui ogni altra misura risulti inadeguata.

A questo riguardo, il sistema processuale ha più volte oscillato tra logiche garantiste e concezioni maggiormente attente ai profili securitari, subendo passivamente i mutevoli orientamenti del sentire collettivo e delle sollecitazioni politiche del momento. Nel corso degli anni, infatti, il legislatore si è mosso, alcune volte, con l'intento di elevare a oltranza le soglie di difesa sociale, in risposta alle pressioni giustizialiste dell'opinione pubblica, serrando la discrezionalità del giudice nella scelta del trattamento cautelare e privilegiando l'applicazione della custodia cautelare in carcere; altre volte, verso una valorizzazione del favor libertatis, allo scopo di circoscrivere il raggio d'azione della misura intramuraria e di declinare la scelta della cautela

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alle concrete e specifiche esigenze del caso di specie. I diversi interventi legislativi, tra i vari rimaneggiamenti e ritorni sui propri passi, hanno reso la disciplina simile a un campo di battaglia.

Anche se la prassi giurisprudenziale ha da sempre implicitamente accettato che la carcerazione ante iudicium possa rappresentare un'anticipazione di pena, può tuttavia evidenziarsi, nel periodo più recente, una marcata linea di coerenza, tra le pronunce della Corte costituzionale e le scelte legislative, costituita dalla tendenza crescente ad assumere connotati sempre più a tutela dei singoli individui, a discapito delle generali istanze di sicurezza sociale.

Ebbene, sul delicato problema dei limiti connessi all'applicazione della detenzione cautelare nei confronti delle persone gravemente indiziate di delitti contro la persona, la Consulta si è espressa con una sentenza di grande valore simbolico, la 265/2010 - che diede inizio a un lungo filone della giurisprudenza costituzionale - attraverso la quale viene riaffermato, a gran voce, come l'applicazione delle misure cautelari personali incontri un limite negativo nel principio di non colpevolezza ex art. 27, comma II, Cost., portando alla logica conseguenza che a esse non possono essere attribuite le finalità proprie della sanzione penale, ma dovranno perseguire scopi diversi da quelli di anticipazione della pena.

Al fine di restituire centralità ai diritti dell'individuo e di rendere residuale il ricorso alla carcerazione preventiva, il legislatore con la legge 16 aprile 2015 n. 47 ha cercato di indirizzare la discrezionalità dei giudici nella valutazione delle esigenze cautelari, da una parte specificando meglio alcuni criteri, dall'altra, rafforzando gli oneri motivazionali. L'intervento legislativo sulla disciplina delle cautele penali profitta dello scandalo sollevato dalle censure della Corte di Strasburgo riguardanti il sovraffollamento cronico negli istituti

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penitenziari per incrementare i presidi a tutela della libertà personale. Con l'intento di favorire l'accettazione sociale del ritorno a soluzioni normative di segno garantista, presso una collettività da tempo abituata a veder lenita le proprie ansie securitarie mediante l'indebita torsione in senso repressivo della custodia in carcere, si è costituita una leva per la costruzione di un nuovo approccio al tema della libertà personale, aumentando l'utilizzo delle misure alternative alla detenzione e riconducendo la misura intramuraria nel suo alveo naturale di extrema ratio.

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CAPITOLO I

LA TUTELA DELLA LIBERTÀ PERSONALE

1. Profili generali ed evolutivi del concetto di libertà personale

Le riflessioni sulla libertà della persona in quanto uomo hanno rappresentato le fondamenta dell'evoluzione culturale, sociale e giuridica di ogni società. Il significato stesso di libertà, nel corso della storia, è stato oggetto di numerose interpretazioni: Thomas Hobbes sosteneva che «libertà significa, propriamente, l'assenza di opposizione»1; Charles de Secondant barone di Montesquieu, invece,

riteneva che «la libertà consisteva in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione che ciascuno ha della propria sicurezza»2.

Entrando nell'accezione giuridica della nozione di libertà, già gli antichi romani la definirono come «naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur», ovvero come la facoltà di fare il proprio volere nei limiti del diritto3.

Definita la libertà in termini generali, si dovrà affrontare il delicato tema della libertà personale, intendendosi tradizionalmente come “libertà dagli arresti”, con riferimento alle coercizioni che danno luogo a stato detentivo. Nell'antica Atene, al momento del suo massimo sviluppo della democrazia, mancava la stessa nozione di pena detentiva: era conosciuta la pena di morte, il bando con o senza confisca di beni, l'atimia, la flagellazione per gli schiavi; inoltre si

1 Così HOBBES T., Leviatano, R. Giammanco (a cura di), vol. I, Editrice torinese, Torino, 1955 , p. 248.

2 Così MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Libro XI, Capo VI, S. Cotta (a cura di), vol. I, Utet, Torino, 1965, p. 276.

3 BRASIELLO T., voce Libertà, in Nuovo digesto italiano, vol. VII, Editrice torinese, Torino, 1938.

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prevedeva la possibilità di cattura dell'imputato a opera di qualsiasi cittadino o del magistrato inquirente in casi di flagranza o di delitto notorio e quando esistevano motivi di temere la fuga. In quest'ultimo caso si procedeva a giudizio sommario, o appunto a carcerazione preventiva, che poteva venire sospesa previo versamento di cauzione. La detenzione era ammessa inoltre anche in attesa della pena capitale o come garanzia per il pagamento di certi debiti. In questi casi la detenzione serviva a garantire ben determinate esigenze sostanziali e venivano tralasciati i profili dei diritti dell'imputato4. Solo dal tramonto

dell'impero romano vi fu la messa a fuoco di una serie di garanzie che muovevano da elementari, seppur frammentarie, esigenze di tutela del singolo: a fronte dello sfaldamento del potere costituito, emersero di grado in grado istanze particolaristiche di tutela il cui stratificarsi si fece indice di certezza delle situazioni giuridiche e offriva al contempo il primo e ancora sfuocato embrione che avrebbe condotto in seguito al sorgere del sistema delle libertà individuali5.

Le prime garanzie della libertà personale sorgono quando le strutture feudali cominciano a incrinarsi: sovente il re o l'imperatore riconoscono a comunità determinate garanzie contro arresti arbitrari, ovvero sine lege e sine judicio, nell'ambito di più generali garanzie all'integrità della persona fisica e al rispetto della legalità, garanzie intese come “libertà negative”6 di non subire ingerenze altrui sul

proprio corpo (la cosiddetta libertà dagli arresti), oggi la più importante tra le libertà civili. Nell'esperienza inglese, Giovanni Senzaterra

4 CERRI A., voce Libertà personale, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, Istituto della enciclopedia italiana, Roma, 1990.

5 DI CHIARA G., Libertà personale dell'imputato e presunzione di non

colpevolezza, in FIANDACA G. - DI CHIARA G., Una introduzione al sistema

penale per una lettura costituzionalmente orientata, Jovene, Napoli, 2003, p. 304. 6 L'espressione “libertà negativa” si delinea nell'800, nel periodo liberale classico,

riferendosi altresì alle “libertà dallo Stato”, ovvero l'idea che il soggetto fosse titolare di una sfera di diritti e libertà che dovesse essere sostanzialmente protetta dall'ingerenza dello Stato, in sostanza l'idea di non poter violare la sfera

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concesse ai baroni “ribelli” la Magna Charta Libertatum7 che, all'art.

398, citava: «Nullus homo capiatur vel imprisonetur aut exuletur nisi

per legale judicium vel per legem terrae». Venne stabilito che nessun uomo libero potesse essere preso e imprigionato se non in forza di un legale giudizio dei suoi eguali, conformemente alle leggi della propria terra. Venne così riconosciuto il diritto dell'habeas corpus che prevedeva, in caso di arresto della persona fisica, la possibilità di poter chiedere il giudizio di una Corte regia, ovverosia di non esser imprigionato senza un regolare processo. Il sovrano vedeva limitato il proprio imperivum: si impegnava a non violare le libertà d'Inghilterra, accettando il principio per il quale nessuno poteva essere arrestato, imprigionato, spogliato della sua libertà e delle sue proprietà, se non in base alla legge. Per rafforzare questa antica prerogativa, il Parlamento d'Inghilterra emanò nel 1679 l'Habeas Corpus Act che, al fine di prevenire arresti illegittimi e arbitrali, sancì il principio dell'inviolabilità personale.

Tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, con l'affermazione dei regimi liberali viene recuperato quel significato garantistico iniziato a svilupparsi nel medioevo e sbocciato con la cultura illuminista9. Fino a

quel momento, in un'ottica squisitamente inquisitoria, dall'inizio del procedimento penale e ancor prima del giudizio da parte del giudice, l'imputato era marchiato come colpevole. Il diritto penale di allora considerava più l'ordine sociale alterato dal reato che le ragioni dell'imputato: prima di tutto vi era la necessità di punire il delitto, poi

7 Carta di libertà rilasciata ai baroni da re Giovanni d'Inghilterra a Runnymede il 15 giugno 1215 (il nome originario era Charta Libertatum). Pur presentandosi come un atto unilaterale di concessione da parte del re, era un contratto di

riconoscimento dei reciproci diritti, come un qualsiasi atto che nel periodo feudale regolava i rapporti fra il re e i vassalli; non era quindi rivolta a sanzionare la libertà di tutti i sudditi, ma soltanto dei baroni. È considerata fondamento delle libertà costituzionali inglesi.

8 Il numero dell'articolo è convenzionale poiché nel testo originale la numerazione era assente.

9 I philosophes illuminati proclamarono il valore della ragione contro l'ignoranza facendo leva sulle ideologie giusnaturaliste.

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la questione su chi l'avesse commesso assumeva un'importanza secondaria. In sostanza, il sistema era orientato non tanto a trovare il colpevole ma piuttosto a trovare un colpevole. Contro le vecchie logiche dell'ancient régime, si scagliarono molti studiosi tra cui Cesare Beccaria che, in particolare con la sua opera “Dei delitti e delle pene”, raggiunge una fondamentale tappa nel campo penale, realizzando una rivoluzionaria opera del garantismo e della difesa della libertà individuale che continua a mantenere oggi piena attualità. Beccaria, richiamando il pensiero di Montesquieu, ricorda che la privazione della libertà non può precedere la sentenza se non quando la necessità lo richiede. Infatti, partendo dal pensiero che la custodia ante iudicium «è essenzialmente penosa» e perciò «deve durare il minor tempo possibile» oltre che essere «meno dura che si possa», arriva a sostenere che ogni atto di autorità su di un uomo che non derivi dall'assoluta necessità risulta tirannico10. La riflessione del Beccaria, inoltre, ruoterà anche sul fatto che l'idea stessa della giustizia in tutte le sue forme non deve ricondursi a quella della vendetta. Insomma, l'opera “Dei delitti e delle pene” sarà il primo grande tentativo di innovazione del diritto penale attorno a un chiaro e preciso pensiero riformatore11.

L'ideale di un diritto illuminato e razionale ispirò numerose riforme, come il IV e il V emendamento della Costituzione americana del 1787, l'art. 7 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, l'art. 4 della Costituzione francese del 1814 e 1830, l'art. 7 ss. della Costituzione del Belgio del 1831, e ancora l'art. 2 della Costituzione della Francia del 1848.

Il culto dei lumi ebbe il merito di riconoscere la necessità di una legalità sostanziale rispettosa dei diritti propri dell'uomo. Ne discese il principio di “stretta necessità” per il quale la detenzione in assenza di

10 Vedi PISANI M., Attualità di Cesare Beccaria, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 23 ss. 11 In tal senso, SPIRITO U., Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai

nostri giorni, in AA.VV., Dei delitti e delle pene a 250 anni dalla pubblicazione,

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un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato era possibile solo se depurata da ogni connotazione sanzionatoria e in ragione di specifiche esigenze processuali. Tale pensiero, dunque, rifiutava ogni finalità punitiva del carcere preventivo, la restrizione della libertà personale in corso di processo si poteva giustificare soltanto per scongiurare la fuga dell'imputato, ovvero allo scopo di impedire a questi di occultare le prove dei delitti12. Lo stesso Francesco Carrara, pur riconoscendo

l'abuso e l'immoralità del carcere preventivo, riteneva che tale restrizione rimanesse, in determinati casi, pur sempre una “ingiustizia necessaria”.

Sotto il profilo delle scelte normative, le teorie illuministe trovarono traduzione nell'esperienza italiana con Carlo Alberto di Savoia il 4 marzo del 1848 promulga lo Statuto albertino ove, all'art. 26, si prevedeva: «La libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch'essa prescrive». I diritti individuali propri del pensiero illuminista fanno parzialmente ingresso tra i valori riconosciuti dall'ordinamento albertino, ma pur sempre attraverso una tecnica normativa che ne rimette indiscriminatamente la disciplina alla legge. La garanzia della semplice riserva di legge, così stabilita, costituiva un arretramento rispetto alle garanzie classiche delle carte medievali: lo Statuto, di fatto, pur disciplinando la libertà personale non dava alcuna effettiva garanzia all'imputato dal momento che non imponeva alcun vincolo contenutistico al legislatore ordinario13. Tale formula di tutela

si era rilevata troppo generica ed elastica, e non aveva potuto impedire alla legislazione posteriore di ridurre la libertà individuale a una vuota parola14. Inoltre, un problema che la disposizione poneva era la

12 DI CHIARA G., Libertà personale dell'imputato e presunzione di non

colpevolezza, cit., pp. 308 s.

13 Cfr. AMATO G., Individuo ed autorità nella disciplina della libertà personale, cit., pp. 167 ss.

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nozione stessa di libertà individuale: la dottrina maggioritaria dell'epoca rispose affermando che essa comprendeva la libertà personale, intesa come libertà fisica dagli arresti.

Nel frattempo gli esperti del diritto si scontravano: da una parte, la scuola classica, erede della cultura illuminista e fautrice del principio di stretta necessità, promuoveva le libertà individuali contro l'abuso del potere esecutivo; dall'altra, la scuola positiva, ragionando in un'ottica meramente preventiva, affermava il superiore interesse di placare l'allarme sociale dato dall'illecito, sostenendo la necessaria prevalenza delle esigenze di difesa della collettività15. In quest'ottica, accogliendo

l'idea di una sorta di “presunzione di colpevolezza”, per i positivisti bastava il semplice sospetto a giustificare la lesione della libertà personale.

L'evoluzione legislativa successiva proseguì lentamente e in maniera non lineare. Vittorio Emanuele II emanò nel 1859 un codice in cui è difficile rinvenire traccia dei valori liberali. Ancora legato a una rigida visione di stampo prestatutario e improntato sostanzialmente sull'equiparazione tra finalità cautelari e finalità punitive, in questo codice non era ben delineata la differenza tra imputato e colpevole. In particolare, la tutela della libertà personale dell'imputato si ridusse alla predeterminazione dei modi e dei casi in cui la si poteva restringere, senza che la scelta fosse condizionata alle necessità del processo. La stessa carcerazione preventiva era del tutto svincolata da necessità strettamente processuali e non aveva limiti di tempo, salvo il venir meno dei sufficienti indizi per i quali era stata disposta. Oltre a ciò, vi era il solo beneficio della libertà provvisoria, che presupponeva sempre la domanda di parte e previa cauzione. Successivamente venne varato il codice del 1865: la novità più importante fu la costituzione della

Milano, 1974, p. 317.

15 Enrico Ferri delinea, nel 1884, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura

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Camera di Consiglio, con lo specifico compito di convalidare i provvedimenti di arresto e di cattura entro dieci giorni dalla loro esecuzione, oltre che a decidere sulla libertà provvisoria. La Camera di Consiglio non poteva convalidare (a meno che non si trattasse di oziosi, vagabondi, mendicanti) se mancavano indizi sufficienti. Questo nuovo istituto si rivelò praticamente farraginoso e assai poco funzionante, tuttavia esso rappresentò la prima specifica garanzia della libertà personale nel processo16.

Un importante passo avanti a favore della libertà personale si ebbe con il riconoscimento del criterio liberale della stretta necessità, che entra nella disciplina positiva del processo penale con la riforma del 187617:

con questo intervento vien data concretezza, sul piano legislativo, all'idea elaborata dal pensiero illuminista, ovvero si passerà da un uso inteso come “regola” a un'applicazione “eccezionale” della carcerazione preventiva. Sia pure circondato da numerose deroghe, soprattutto nei confronti delle persone soggette a una sistematica diffidenza da parte della società, si affermò il principio di una maggiore libertà dell'imputato durante il processo penale, realizzandolo attraverso una serie di previsioni che si risolsero, in sintesi, nel rendere facoltative gran parte delle limitazioni alla libertà personale che prima erano previste come obbligatorie, e nel rendere obbligatoria l'adozione di alcuni provvedimenti favorevoli all'imputato che prima erano facoltativi. Ebbene, in sostanza, con la legge del '76 venne attenuato il principio in dubio contra libertatem, attribuendo così un significato diverso a questa facoltatività.

Nonostante l'aspro confronto tra le scuole penalististiche, nelle polemiche di una parte di dottrina che concepiva la carcerazione dell'imputato come corrispettivo di legittimi sospetti, la prospettiva

16 AMATO G., Individuo ed autorità nella disciplina della libertà personale, cit., pp. 183 ss.

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liberale continuò ad affermarsi fino al codice Finocchiaro-Aprile del 1913, in cui la tutela della libertà personale raggiunse il livello di principio generale: viene espressamente previsto il riconoscimento sia del criterio della stretta necessità, sia della presunzione di non colpevolezza. In questo senso, è significativo che già nel corso dei lavori preparatori del codice fosse stata evidenziata, durante la discussione al Senato del 5 marzo 1912, la correlazione fra l'idea che nessuno può essere ritenuto colpevole finché non vi sia una sentenza irrevocabile di condanna e le conseguenze che ne derivano in ordine alla libertà personale dell'imputato che perciò dev'essere limitata il meno possibile, ossia nella misura strettamente necessaria perché la giustizia non sia defraudata nei suoi legittimi intenti e mai con lo scopo di impedire all'accusato di giustificare la sua innocenza18.

Importante novità si ebbe con l'introduzione dell'istituto nel quale si espressero nel modo più tipico il principio di tutela della libertà personale, ossia la scarcerazione automatica per decorrenza dei termini. Manifestando un modo diverso di intendere il valore della libertà dell'imputato rispetto alle esigenze che potevano venire addotte per giustificarne la detenzione, per la prima volta, nel sistema processual-penalistico venne accolto il principio secondo cui la libertà personale di un individuo che attendeva un giudizio non poteva essere compressa per fini di giustizia oltre certi limiti temporali prescritti dalla legge. Ponendo un preciso limite ai poteri coercitivi dello Stato, venne data priorità all'interesse primario della libertà personale su qualunque altro interesse di natura sociale. Conseguenza naturale fu il rifiuto della finalità punitiva ante iudicatum, fondata sul sospetto, della carcerazione preventiva, a favore di un utilizzo tendenzialmente processuale19.

18 GREVI V., voce Libertà personale dell'imputato, cit., pp. 318 ss.

19 GREVI V., Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Milano, Giuffrè, 1976, p. 11.

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Con l'avvento dell'ideologia fascista si ebbe un mutamento di rotta in senso autoritario: i diritti e le libertà individuali non avrebbero preceduto più l'interesse dello Stato, come sosteneva l'illuminismo, ma sarebbero discesi da esso. Il regime si fondava sull'intenzionale subordinazione della libertà individuale agli interessi e ai fini dell'ideologia totalitaria, dunque sull'idea che non v'è libertà prima dello Stato. Lo stesso precetto mussoliniano «tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato», non poteva che comportare la restrizione della libertà individuale in tutto ciò che apparisse contrario alle finalità dello Stato; ne discese che il principio della libertà individuale sancito dallo Statuto albertino all'art. 26 venne armonizzato con quello autoritario proprio del regime.

La dottrina fascista riprenderà l'orientamento positivista con la “teoria unitaria”20 del processo. Questa teoria si fonda sul fatto che la finalità

del processo, quale prerogativa superiore dello Stato, è esclusivamente la difesa sociale, ed è contrapposta alla “teoria dualistica” del processo che, invece, aspira a conciliare l'interesse statuale alla repressione dei reati con le istanze dei cittadini ingiustamente accusati21.

Di questa tendenza risentì molto il nuovo codice del 193022, soprattutto

per quanto concerne la disciplina dell'imputato. Venne costruito un sistema penale fortemente inquisitorio, conformemente al clima politico che stava affrontando il Paese. Tutte quelle ideologie che provenivano dal mondo liberale, tra cui il principio della stretta necessità processuale, vennero abbondate, lasciando che le esigenze di difesa sociale costituissero l'unico fondamento della carcerazione preventiva. Benché in dottrina si continuasse a parlare della stretta

20 La concezione “unitaria” del processo affonda le sue radici nelle dottrine tedesche di ispirazione nazionalsocialista e anti-illuministica, orientate a indebolire, fino a svuotarla di qualsiasi contenuto, la categoria dei diritti.

21 PAULESU P. P., La presunzione di non colpevolezza dell'imputato, Giappichelli, Torino, 2009, pp. 40 ss.

22 Il nuovo codice di procedura penale del 1930 prese il nome dell'allora Ministro Guardasigilli Alfredo Rocco.

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necessità, come del canone dominante in materia di limitazioni alla libertà dell'imputato, ben altri erano gli orientamenti che emergevano dal nuovo codice, segnando un progressivo abbandono del requisito della stretta necessità come presupposto per ogni restrizione. Secondo le dichiarazioni del guardasigilli Rocco, nella relazione sul progetto preliminare al codice di procedura penale, l'intera disciplina della libertà personale era ispirata a due principi squisitamente fascisti: da un lato, al principio della più rigida severità per gli immeritevoli d'ogni riguardo, e dall'altro, a quello di una umanità verso i quali, per particolari condizioni personali, l'equità vuole un trattamento più mite. Venivano così prospettati dei parametri di valutazione evidentemente estranei alle esigenze del processo, bensì collegati al presupposto di un diverso “peso” della libertà dei singoli, a seconda delle loro “condizioni individuali e sociali”, sulla base di un criterio discriminatorio che consentiva di restringere la libertà degli imputati che non potevano vantare un certo credito sociale o che risultavano sgraditi al regime23.

L'incidenza degli orientamenti fascisti, dal un lato, fece aumentare i casi di cattura obbligatoria, stabilendo una rigida correlazione tra certe imputazioni e la custodia in carcere, dall'altro, sul versante della carcerazione preventiva, fece abolire la stessa scarcerazione automatica, prevista dal codice del 1913, perché considerata «aberrante ed insidiosa» e perché colpiva «l'interesse pubblico e non il magistrato che abbia trascurato di adempiere con la dovuta solerzia al proprio dovere»24. In nome dell'interesse della collettività, il valore della

libertà personale dell'imputato passava in secondo piano, come se la sua restrizione dovesse considerarsi del tutto normale nell'iter del processo, in sostanza non si esitava a far pagare all'imputato, in termini

23 GREVI V., voce Libertà personale dell'imputato, cit., p. 321.

24 Sotto questo profilo, in sostanza, si tornava all'epoca della carcerazione temporalmente indeterminata.

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di libertà, il prezzo dell'eventuale inerzia dell'autorità inquirente. La complessa disciplina risultante dal codice Rocco in materia di libertà personale mostrava un'impronta di tipo autoritario, che prescindeva dall'idea di una relazione funzionale tra carcere preventivo e la stretta necessità processuale a favore di un superiore interesse dello Stato, nella prospettiva della difesa sociale se non addirittura in quella della conservazione dell'ordine politico del Governo fascista.

Di fronte a un codice che aveva sanzionato una precisa prevalenza del principio di autorità sul principio di libertà, la Carta costituzionale del 1948 ha operato un netto ribaltamento nella scala dei valori recepita dal legislatore del '30, identificando nella persona umana il valore-base del sistema positivo e ripudiando quella tendenziale subordinazione della libertà personale agli interessi dello Stato che la dottrina fascista aveva enfatizzato25. Tra i diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica

“riconosce e garantisce” a tutti, assume una posizione senza dubbio prioritaria il diritto alla libertà personale26.

25 GREVI V., voce Libertà personale dell'imputato, cit., pp. 322 ss. 26 GREVI V., Libertà personale dell’imputato e Costituzione, cit., p. 1.

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2. La disciplina di cui all'art. 13 Cost.

L'impostazione della previsione di cui all'art. 26 dello Statuto albertino, indusse l'Assemblea costituente a scegliere una diversa formula quanto al bene garantito, la “libertà personale”. A questo riguardo la neo disciplina contiene tracce di indirizzi diversi tra loro: un primo orientamento ispirato da un accentuato garantismo (come reazione al sistema normativo ereditato dal fascismo e alla prassi che su di esso si era sviluppata27), che punta a far prevalere una prioritaria

logica della libertà in esame rispetto all'intero impianto del nuovo sistema costituzionale democratico; un secondo indirizzo che tende a coniugare una nozione esclusivamente individualistica della libertà personale (come libertà solo “negativa”: libertà dallo Stato), con una diversa nozione della stessa che invece recuperi un ruolo nei pubblici poteri in chiave di promozione della libertà stessa; infine un indirizzo legato alla tradizione culturale prefascista che tende alla conservazione degli elementi portanti di questa tradizione28.

La Carta costituzionale riconosce «una tutela che è centrale nel disegno costituzionale, avendo a oggetto un diritto inviolabile, quello della libertà personale, rientrante tra i valori supremi, quale indefettibile nucleo essenziale dell'individuo, non diversamente dal contiguo e strettamente connesso diritto alla vita e all'integrità fisica, con il quale concorre a costruire la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona»29. Viene a delinearsi una

libertà la cui fisionomia mostra un'identità più specifica rispetto al

27 L’Assemblea costituente, memore dell’annullamento dei diritti di libertà a opera del regime fascista, decise di aprire la prima parte della Costituzione con un articolo dedicato alla libertà personale, intesa come condizione indispensabile per poter godere di qualsiasi altra libertà.

28 CARETTI P., voce Libertà personale, in Digesto disc. pub., vol. IX, Utet, Torino, 1994, pp. 232 ss.

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paradigma della libertà individuale prevista dall'art. 26 dello Statuto, leggibile in un'ottica personalistica e rientrante nel novero di quei diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost.30 La libertà personale, dunque,

primeggia tra valori tutelati dalla Costituzione, sia per la sua intrinseca natura, sia perché costituisce una sorta di presupposto di tutti gli altri diritti di libertà, in quanto logicamente li precede e li condiziona, assicurandone la piena esplicazione a ogni individuo31.

Il principio dell'inviolabilità della libertà personale, sancito solennemente nell'art. 13 Cost., si rivolge principalmente all'ambito processuale a tutela del soggetto sottoposto alle vicende giudiziarie, prevedendo una serie di garanzie nel corso del procedimento penale32.

La Corte costituzionale, chiamata a esprimersi su cosa si dovesse intendere per libertà personale, sostenne che «il diritto di libertà personale non si presenta affatto come illimitato potere di disposizione della persona fisica, bensì come diritto a che l'opposto potere di coercizione personale, di cui lo Stato è titolare, non sia esercitato se non in determinate circostanze e con il rispetto di talune forme. Il grave problema di assicurare il contemperamento tra le due fondamentali esigenze, di non frapporre ostacoli all'esercizio di attività di prevenzione dei reati e di garantire il rispetto degli inviolabili diritti della personalità umana, appare in tal modo risoluto attraverso il riconoscimento dei tradizionali diritti di habeas corpus nell'ambito del principio di stretta legalità. La libertà personale si presenta pertanto come diritto soggettivo perfetto nella misura in cui la Costituzione impedisce alle autorità pubbliche l'esercizio della potestà coercitiva personale. Correlativamente, in nessun caso l'uomo potrà essere

30 DI CHIARA G., Libertà personale dell'imputato e presunzione di non

colpevolezza, cit., p. 305.

31 GREVI V., Libertà personale dell’imputato e Costituzione, cit., p. 2. 32 A tal riguardo, l'entrata in vigore nel 1988 del codice di procedura penale

rappresenta un evento di grande rilievo per la corrispondenza del dettato costituzionale all'attuale disciplina della libertà personale.

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privato o limitato nella sua libertà se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi sia provvedimento dell'autorità giudiziaria che ne dia le ragioni»33. La Corte ha voluto sottolineare che

la libertà personale si traduce in libertà dagli arresti arbitrari e nella pretesa di evitare indebite coercizioni fisiche sul proprio corpo.

Inizialmente accolta una nozione assai rigida di libertà personale, in altre pronunce si è delineato un orientamento tendente ad attribuire alla fattispecie prevista dall'art. 13 Cost. un significato meno angusto rispetto a quello circoscritto dal concetto di integrità fisica. A tal fine, i giudici della Consulta, pur mantenendo fermo il tradizionale riferimento alla garanzia dell'habeas corpus, hanno ritenuto in alcune decisioni di superare la consueta impostazione che induceva a identificare le misure incidenti sulla libertà personale come quelle contrassegnate dall'esercizio di una coercizione fisica sulla persona, estendendo l'ambito anche a profili inerenti alla libertà morale e alla dignità sociale dell'individuo, assumendo il criterio della «degradazione giuridica» come parametro per assoggettare le misure di prevenzione alla disciplina della libertà personale34. Sul punto, non

tutta la dottrina è concorde nel riconoscere che nell'art. 13 Cost. rientri sia il diritto di disporre della propria persona senza coercizioni fisiche o materiali, sia il diritto di disporre liberamente di sé senza coercizioni morali e senza imposizioni che sottopongono la persona al potere altrui.

Lo stesso art. 13, comma II, Cost. prevede che le limitazioni della

33 Così Corte cost., sent. 03/07/1956, n. 11, § 7 del Considerato in diritto.

34 La Corte costituzionale ha esteso la tutela della libertà personale sia a ogni forma di menomazione della libertà quando tale implichi un assoggettamento totale della persona all'altrui potere (Corte cost., sent. 27/03/1962, n. 30) sia a qualsiasi menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona (Corte cost., sent. 30/06/1964, n. 68).

BRESCIANI L.,voce Libertà personale dell'imputato, in Digesto disc. pen., vol.

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libertà personale siano disposte «per atto motivato dell'autorità giudiziaria» e «nei soli modi stabiliti dalla legge». Viene così enunciato il “principio della riserva di legge assoluta” e il “principio della riserva di giurisdizione”, oltre che un obbligo di motivazione del provvedimento restrittivo. Per quanto concerne il primo, la norma costituzionale affida, in via esclusiva, al legislatore ordinario, la disciplina delle limitazioni della libertà personale, prevedendo in sostanza che sia solo la legge a stabilire i presupposti e i modi per cui si possa procedere alla coercitio libertatis. Secondo parte autorevole della dottrina, la riserva di legge dovrebbe intendersi anche come “rinforzata”, ovvero il legislatore deve stabilire le limitazioni della libertà personale solo in conformità ai principi e per fini previsti dalla Costituzione. Il secondo comma, inoltre, delinea un altro principio, quello della riserva di giurisdizione, per cui si prevede che le restrizioni della libertà dei singoli soggetti siano disposte con atto motivato dell'autorità giudiziaria35. Tale autorità deve esprimersi con

provvedimento motivato, indicando tutte le ragioni di fatto e di diritto che determinino o che abbiano determinato la limitazione della libertà. Ciò vale ad assicurare alla riserva di giurisdizione un significato “sostanziale”, permettendo una più compiuta garanzia della libertà personale anche nei confronti di provvedimenti arbitrari della autorità giudiziaria non solo per mezzo del ricorso in Cassazione previsto dall'art. 111 Cost. (recursus per saltum), ma anche attraverso l'istituto del riesame delle misure coercitive, in virtù del quale l'imputato, in termini brevissimi, può chiedere al Tribunale della libertà il riesame, anche nel merito, dell'ordinanza che abbia disposto la misura36.

35 Per autorità giudiziaria deve intendersi l'autorità “giudicante” e non quella “requirente”. Nel c.p.p. del 1930 le attribuzioni di cui all'art. 13 Cost. venivano riconosciute invece anche al pubblico ministero, prevedendo la possibilità per quest'ultimo di poter emettere provvedimenti limitativi quali ordini di cattura e di arresto (artt. 73 ss. e 505, ult. co., c.p.p. del 1930).

36 RUOTOLO M., Art.13 Cost. in Commentario Cost., vol. I, Utet, Milano 2006, p. 327.

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C'è da constatare che, se da un lato l'art. 13 Cost. sancisce i principi cardine in tema di restrizioni della libertà fisica dell'individuo, dall'altro risulta miope in ordine alle ragioni della restrizione della libertà personale ante iudicatum. Si intravede, dunque, il problema di quale dev'essere la finalità dell'applicazione di una misura restrittiva della libertà in corso di processo. La soluzione al cosiddetto «vuoto dei fini» è da ricercarsi nella lettura logico-sistematica del raccordo tra l'art. 13 e 27, comma II, della Costituzione.

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3. L'excursus storico della presunzione d'innocenza

A partire dal movimento riformatore37, la discussione sulla presunzione

d'innocenza viene progressivamente affrontata nei vari ordinamenti. Intaccato l'assolutismo del potere, con l'affermazione dell'anteriorità dei diritti individuali sullo Stato, la tutela dell'innocente si impone come problema cardine del sistema penale. La sicurezza dei cittadini, dice Montesquieu38, «non è mai posta in pericolo maggiore che nelle

accuse pubbliche o private. È dunque dalle leggi penali che dipende principalmente la libertà del cittadino» poiché «quando l'innocenza dei cittadini non è garantita, non lo è neppure la libertà». Il pensiero dei “nuovi” giuristi condannò le pratiche dell'Ancien Régime, trovando il punto di confluenza nella Déclaration des droits de l'homme et du citoyen del 1789 che, all'art. 9, recita: «Tout homme étant présumé innocent jusqu'à ce qu'il ait été déclaré coupable, s'il est jugé indispensable de l'arrêter, toute rigueur qui ne serait pas nécessaire pour s'assurer de sa personne, doit être sévèrement réprimée par la Loi». Cesare Beccaria scrive «un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch'egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata»39.

La complessità del dibattito si riflesse negli scontri tra la scuola classica e la scuola positiva. Il primo orientamento promuoveva il principio della presunzione di innocenza premendo per il suo esplicito riconoscimento legislativo. Tra i suoi massimi esponenti, Francesco Carrara40 era convinto che «non si può negare l'innocenza di un uomo

37 Si fa riferimento implicito all'illuminismo.

38 Così MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, cit., pp. 321 ss. 39 Così BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, cit., p. 60.

40 Carrara sosteneva che la libertà era lo stato ordinario degli imputati, mentre il carcere era lo stato eccezionale preordinato non solo alle esigenze del processo ma anche alle strette necessità di sicurezza.

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preso in sospetto finché non si dimostri la sua reità»41; tuttavia,

nonostante il convinto sostegno alla presunzione di innocenza, riteneva che le ragioni dell'ordine sociale e di difesa della collettività, ben radicate nella cultura liberale, potessero giustificare la necessità di una restrizione della libertà del “potenziale innocente”. Giovanni Carmignani, invece, guardava a tale presunzione come il risultato di una valutazione probabilistica: nella sua opera Elementi di diritto criminale sosteneva infatti che «la base della presunzione è ciò che ordinariamente accade: più spesso avviene che gli uomini si astengan dal delinquere, anziché commettan delitti». Per contro, il pensiero positivista promuoveva un sistema improntato sulla difesa sociale, ritenendo che la presunzione di innocenza costituisse una grave pericolo di indebolimento dell'azione dello Stato contro la criminalità. Per Raffaele Garofalo la presunzione de qua era un principio da rifiutare poiché sbiadiva l'azione processuale dello Stato; più moderatamente Enrico Ferri ne auspicava un congruo ridimensionamento. Lo stesso Ferri, infatti, nel suo discorso alla Camera del 22 maggio 1912 disse che «la famosa presunzione di innocenza deve valere di più per coloro che hanno dei boni precedenti… e deve valere meno per gli altri; perché è ingenuo mettere come fondamento della procedura la presunzione di innocenza, quando si è colto in flagranza un ladro abituale o un omicida, già condannato per reati di sangue».

Il contrasto tra le due opposte opinioni, l'una favorevole e l'altra contraria al riconoscimento normativo della presunzione, si fece particolarmente acceso durante i lavori preparatori del codice di procedura penale del 1913. Durante la stesura prevalse la corrente contraria al riconoscimento della presunzione di innocenza, di cui fu portavoce Lodovico Mortara che definì il codice «non una legge che

41 Così CARRARA F., Diritto Penale e Procedura Penale, in Opuscoli di diritto criminale, vol. V, Prato, 1881, pp. 17 ss.

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tutela l'innocente, ma uno strumento di difesa sociale contro il delitto»42.

Nella relazione ministeriale del Guardasigilli Alfredo Rocco al progetto preliminare del codice di procedura penale del 1930 peraltro rileva che «il progetto, come del resto il codice del '13, respinge in pieno l'assurda presunzione di innocenza, che da taluni si vorrebbe riconoscere a favore dell'imputato. Questa è una stravaganza derivata da quei vieti concetti germogliati con la Rivoluzione francese, per cui si portano ai più esagerati e incoerenti eccessi le garanzie individuali... una tale enormità, una così patente inversione del senso logico e giuridico, che non può essere ammessa neppure come modo di dire». Guglielmo Sabatini nel 1931 scriveva che «le norme processuali non sono dirette a tutelare una aprioristica innocenza presunta, ma a raggiungere tutti i complessi scopi a cui tende l'instaurazione e lo svolgimento del processo, specialmente nei rapporti della personale situazione concreta in cui viene a trovarsi il giudicabile nel corso del procedimento»43.

Il dibattito costituzionale, avviatosi in un clima vibrante per le tensioni ideali e per i fermenti di rinnovamento post regime, fa registrare una diffusa consapevolezza di quanto lo spirito della giustizia penale esiga di essere innovato44. In quel contesto si discute non tanto sull'esigenza

di accogliere il principio d'innocenza, bensì sull'individuazione della formula più idonea per esprimerlo al più alto livello della gerarchia delle fonti. I lavori preparatori dell'art. 27, comma II, Cost. lasciano emergere le tracce della svolta terminologica che avrebbe condotto alla dicitura definitiva della norma. La prima Sottocommissione, nella

42 DI CHIARA G., Libertà personale dell'imputato e presunzione di non

colpevolezza, cit., pp. 311 ss.

43 Senato della Repubblica V Legislatura, 271ª SEDUTA PUBBLICA, Resoconto Stenografico, martedì 28 Aprile 1970, www.senato.it - p. 14313.

44 DOMINIONI O., Art. 27 comma II Cost., in Commentario Cost. Branca, Zanichelli, Bologna, 1991, pp. 188 ss.

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seduta del 17 settembre 1946, aveva approvato il testo proposto dagli on. Mancini e Tupini: «L'innocenza dell'imputato è presunta fino alla condanna definitiva», tuttavia il Comitato di redazione operò una modifica del testo45: «L'imputato non è considerato colpevole sino alla

condanna definiva». Con quest'ultima dizione, l'attuale secondo comma dell'art. 27 Cost., la presunzione d'innocenza viene così convertita in considerazione di non colpevolezza46. Dal dibattito

maturato in seno all'Assemblea costituente sembra trasparire la convinzione che la formula della “non colpevolezza” sia stata scelta per evitare che l'uso dei termini “presunto” e “innocente” potesse esporre la garanzia alle antiche accuse di illogicità tecnico giuridica47.

Lo confermerebbe la circostanza che, anche dopo l'adozione della formula negativa, si sia continuato a parlare “senza riserve” di presunzione di innocenza, riconoscendo la sostanziale equivalenza tra le due formule48.

45 La modifica del testo fu approvata dalla commissione “dei settantacinque”. 46 Cfr. ILLUMINATI G., La presunzione d'innocenza dell'imputato, Zanichelli,

Bologna, 1979, p. 20.

47 Si fa riferimento alla tesi della intrinseca illogicità della presunzione di innocenza elaborata da Vincenzo Manzini il quale, facendo leva sul significato tecnico del concetto di presunzione, definiva “paradossale” e “contraddittorio” il principio della presunzione di innocenza.

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4. Il principio di non colpevolezza ex art. 27, comma II, Cost.

Il principio di non colpevolezza fu indubbiamente un traguardo di notevole significato innovativo, avente il merito di aver messo in luce la volontà di realizzare un approccio sempre più capace di superare l'innocuità delle enunciazioni di routine, invero «un principio nuovo che illumina tutto il percorso del procedimento penale, che assicura all'imputato una posizione giuridica, di fronte alla pretesa punitiva dello Stato, diversa da quella che il precedente ordinamento gli dava»49.

La presunzione de qua, sancita dalla Costituzione all'art. 27, comma II, opera nella duplice veste di regola di giudizio e di regola di trattamento. Con riguardo alla prima facies, la presunzione di non colpevolezza va collegata alla struttura del processo e, nello specifico, alla tecnica di accertamento del fatto: spetterà al pubblico ministero provare la colpevolezza dell'imputato al fine di ottenere una sentenza di condanna (l'imputato non dovrà provare la propria estraneità ai fatti al fine di ottenere una sentenza assolutoria) e, di conseguenza, “nel dubbio” il giudice dovrà orientarsi sulla non colpevolezza dell'imputato50. Per quanto concerne, invece, la seconda valenza

operativa, la presunzione di non colpevolezza si riferisce alla condizione dell'imputato nel corso del processo. Anche se il sospetto implicito nell'ipotesi di colpevolezza non può ovviamente essere eliminato, l'imputato va trattato come se fosse innocente, di conseguenza è inibito ogni trattamento che presume un soggetto colpevole fino a quando non sopravvenga una sentenza irrevocabile a contenuto condannatorio, viene così fissato il divieto a carico del

49 Così Cass., 22 gennaio 1962, in Comm. Cost. Branca, Zanichelli, Bologna, 1991, p. 163.

50 Si individua così nell'art. 27, comma II, Cost. il fondamento del criterio classico dell'in dubio pro reo.

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giudice di assimilare l'imputato al colpevole. In particolare, deve ispirarsi alla presunzione d'innocenza la disciplina dalla libertà personale: anche se nel corso del processo si rivela necessaria l'applicazione di misure coercitive, queste non possono svolgere una funzione di sanzione immediata, a carico di una persona della quale non è stata ancora accertata la responsabilità51. Veniva avvertita

l'esigenza diretta a delimitare la carcerazione preventiva, che doveva essere contenuta entro i limiti di “necessità assoluta”. Inoltre, sempre in base al principio costituzionale, si è posto in rilievo l'esigenza di assicurare un trattamento differente tra il detenuto in esecuzione di una condanna definitiva e colui che è sottoposto a custodia preventiva. A differenza dell'art. 6 n. 2 della Cedu e dell'art. 14 par. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che usano fedelmente la più classica formulazione “positiva” della presunzione d'innocenza, in quanto loro presupposto è che ogni accusato viene considerato innocente fintantoché la sua colpevolezza non sia “legalmente accertata”, l'art. 27, comma II, Cost. preferisce evitare il diretto accostamento della posizione dell'imputato a quella dell'innocente optando per una impostazione “negativa” dell'antico canone dell'in dubio pro reo. Il principio risulta così definito con un ribaltamento di prospettiva, nel senso che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva»52.

La Corte costituzionale, fin da subito, ha riconosciuto la centralità del principio sancito nell'art. 27, comma II, Cost.: con la sent. n. 64 del 1970 viene stabilito che «la detenzione preventiva va disciplinata in modo da non contrastare con una delle fondamentali garanzie della libertà del cittadino», id est «la presunzione di non colpevolezza dell'imputato», precisando che la detenzione stessa «in nessuno caso

51 Cfr. ILLUMINATI G., La presunzione d'innocenza dell'imputato, cit., pp. 28 ss. 52 CHIAVARIO M., Processo e garanzie della persona, vol. II, Le garanzie

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può avere la funzione di anticipare la pena da infliggersi solo dopo l'accertamento della colpevolezza». I giudici costituzionali perciò ritengono ammissibili i provvedimenti restrittivi in itinere iudicii «unicamente in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo»53. La portata di tale

pronuncia tuttavia viene notevolmente temperata dal momento che la Corte, nella medesima occasione, ha negato l'illegittimità costituzionale del mandato di cattura obbligatorio, sostenendo che «nell'ambito di una valutazione politica discrezionale, la legge possa stabilire ipotesi nelle quali al giudice sia fatto obbligo di emettere il mandato di cattura», sempre che «si tratti di una ragionevole valutazione dell'esistenza di un pericolo derivante dalla libertà di chi sia indiziato di particolari reati». Venne così mantenuto un regime nel quale il ricorso al mandato di cattura obbligatorio riguardava una serie piuttosto ampia di fattispecie penali, rispetto alle quali appariva difficile ritenere soddisfatto il parametro della ragionevolezza. Inoltre per tutti questi casi, i giudici bocciarono le censure sul divieto di concessione della libertà provvisoria, senza sviluppare su tale scelta alcuna concreta argomentazione. La scelta della Consulta da un lato riconosce come ammissibili solo quelle misure coercitive aventi finalità di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo, dal momento che la detenzione preventiva non può avere la funzione di anticipare la pena, dall'altro lato riconosce una certa “discrezione politica” che sembra riecheggiare, nell'ambito della carcerazione preventiva, le sagome della presunzione di colpevolezza54.

Qualche anno dopo tale pronuncia, il giudice delle leggi enfatizza la tesi della “finalità plurima” della carcerazione preventiva che, tra

53 Così Corte cost., sent. 04/05/1970, n. 64, § 3 del Considerato in diritto. 54 In tal senso, MARZADURI E., Law in the books e law in action: la libertà

personale tra rispetto della presunzione di non colpevolezza ed anticipata esecuzione delle sanzioni detentive, in www.leglislazionepenale.eu, 19.09.2016,

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l'altro, indicava quest'ultima come «rafforzato presidio di difesa sociale»55. Nel 1980, a livello di individuazione delle finalità della

custodia preventiva, si ebbe una decisione che, senza andare in conflitto con i passaggi salienti della sentenza n. 64, avrebbe consentito alla funzione di prevenzione sociale di presentarsi come un legittimo presupposto dei provvedimenti restrittivi in corso di processo56: «una restrizione della libertà dell'imputato, fondata anche

su sufficienti indizi o elementi di colpevolezza, ben può essere mantenuta, senza incontrare ostacoli costituzionali, per la salvaguardia di un interesse - la tutela della collettività dalla commissione di gravi reati - d'indubbio rilievo costituzionale e in accertato collegamento con la condotta e la persona dell'imputato, della cui libertà si faccia questione»57. Nel concetto di cautela processuale vengono insomma

incluse non solo le esigenze strettamente processuali, ma anche finalità di prevenzione generale.

Un'inversione di tendenza viene operata dalla Corte nel 1995: contrariamente alla sentenza n. 64 in cui viene affermato che «la detenzione preventiva (...) va disciplinata in modo da non contrastare con (…) la presunzione di non colpevolezza», con un'ambigua presa di posizione i giudici costituzionali ritengono che la garanzia espressa nell'art. 27, comma II, Cost. sarebbe «manifestamente non conferente» al profilo della restrizione della libertà personale in corso di processo, posto che il piano cautelare risulterebbe «del tutto distinto da quello concernente la condanna e la pena»58. Un assunto che vede l'esclusione

della presunzione di non colpevolezza dal novero dei parametri

55 Così Corte cost., sent. 23/01/1974, n. 17, § 3 del Considerato in diritto. 56 MARZADURI E., La prassi applicativa delle disposizioni sulla custodia

cautelare ed i sofferti rapporti con la garanzia sancita nell'art. 27 comma 2 Cost., in AA.VV., Diritti individuali e processo penale nell'Italia repubblicana, D.

Negri e M. Pifferi (a cura di), Giuffrè, Milano, 2011, pp. 272 ss. 57 Così Corte cost., sent. 23/01/1980, n. 1, § 4 del Considerato in diritto. 58 Così Corte cost., ord. 24/10/1995, n. 450 del Considerato.

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costituzionali della libertà personale59. La Corte in quell'occasione fu

chiamata a esprimersi sulla compatibilità costituzionale dell'art. 275, comma 3, c.p.p., in particolare sulla doppia presunzione iuris tantum di sussistenza delle esigenze cautelari e iuris et de iure di adeguatezza della sola custodia in carcere: essa sembra escludere la presunzione, sia pure relativa, in ordine ai pericula libertatis, affermando che la sussistenza dell'an della cautela, non può prescindere dall'accertamento della loro effettiva ricorrenza di volta in volta; ritenendo per contro che la scelta del tipo di misura, ovverosia il quomodo della cautela, non impone ex se l'attribuzione al giudice dell'analogo potere di apprezzamento60.

Da questo preoccupante indirizzo giurisprudenziale, prendono le distanze tutta una serie di numerose pronunce con le quali, a partire dal 201061, non solo si allontanano dall'assunto con cui la Corte anni prima

aveva asserito che la presunzione di non colpevolezza fosse «estranea (…) all'assetto e alla conformazione delle misure restrittive che operano sul piano cautelare»62, ma vanno a incidere significativamente

sull'esteso catalogo di fattispecie delittuose per le quali era stata ipotizzata con il “pacchetto sicurezza” del 2009 l'operatività delle presunzioni di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p.63.

Indubbiamente, sotto il profilo strettamente normativo, la concretizzazione del principio di non colpevolezza non è stata affatto semplice, dal momento che tutto il codice di procedura penale del 1930

59 Cfr. ILLUMINATI G., Ripartire dalla Costituzione, in Leg. pen., n. 1, 2006, p. 388; PAULESU P. P., La presunzione di non colpevolezza dell'imputato, cit., p. 71.

60 MAZZA O., Le persone pericolose (in difesa della presunzione d'innocenza), in www.penalecontemporaneo.it, testo della relazione svolta al Convegno annuale dell'Associazione Franco Bricola dedicato al tema “Pericolosità e giustizia penale”, Udine, 25-26.03.2011, pp. 9 ss.

61 A partire dalla sent. n. 265 del 2010 e fino alla sent. n. 48 del 2015. 62 Così Corte cost., ord. 24/10/1995, n. 450 del Considerato.

63 MARZADURI E., Law in the books e law in action: la libertà personale tra

rispetto della presunzione di non colpevolezza ed anticipata esecuzione delle sanzioni detentive, cit., p. 4.

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si basava sul principio opposto. L'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale64 ha rappresentato un evento di notevole significato

per valutare la corrispondenza al dettato costituzionale del principio di non colpevolezza e, in generale, della disciplina della libertà personale. Il legislatore dell'88 assumerà una posizione più stringente e ricca di preoccupazioni di tutela sostanziale, rompendo ogni automatismo fra imputazione e misura coercitiva.

64 Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, entrato in vigore il 24 novembre 1989.

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5. Il riconoscimento della tutela a livello sovranazionale

Per chiudere il cerchio dei principi fondamentali in tema di libertà personale, va ricordato che il principio della presunzione d'innocenza è presente, seppur con formulazioni lessicali differenti, in tutte le principali Carte internazionali. La riflessione sul come intendere tale presunzione, peraltro, ha portato alla presentazione del cosiddetto “Libro verde sulla presunzione di non colpevolezza”65. Con questo

progetto la Commissione delle Comunità europee si pone il fine di verificare, attraverso la raccolta di informazioni fornite dagli Stati membri e nella prospettiva di armonizzazione dei sistemi processuali penali, l'effettiva valenza del principio di non colpevolezza, ovvero che venga inteso e applicato sostanzialmente nella stessa maniera in tutta l'area dell'Unione europea.

Su questo versante, la recente direttiva 343 del 201666 si prefigge lo

scopo di uniformare le varie legislazioni nazionali in tema di garanzie processuali penali, al fine e di recuperare la fiducia reciproca nella giurisdizione degli Stati membri. La direttiva viene articolata in diversi profili che incidono in modo effettivo sulle garanzie dell'imputato: l'onere della prova, il diritto al silenzio e alla non autoincriminazione, il divieto di presentare in pubblico l'imputato come colpevole, il divieto di adottare misure coercitive di stampo condannatorio prima della decisione definitiva, il diritto a presenziare al processo, sono tutti ambiti concreti sui quali si misura la tenuta democratica del sistema penale e il diritto effettivo a un equo processo. Difatti, l'affermazione contenuta nell'art. 3 della direttiva 343/2016, per cui vi è l'espresso

65 Il “Libro verde sulla presunzione di non colpevolezza” fu presentato il 26 aprile 2006 dalla Commissione delle Comunità europee.

66 Direttiva 2016/343/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sulla presunzione di innocenza e sul diritto di essere presente al processo (GU L 65 dell'11.03.2016).

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riconoscimento della presunzione di innocenza «fino a quando non sia stata legalmente provata la colpevolezza», viene intesa nel senso che il momento conclusivo di tale presunzione coincide con il passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla responsabilità penale. Questo è un significativo passo avanti rispetto alla Convenzione europea dal momento che, in passato, non vi è stata interpretazione univoca sul momento in cui cessava l'operatività della presunzione di innocenza. La medesima presunzione, inoltre, viene considerata anche come regola di trattamento e riferita, in particolare, alle misure coercitive ante iudicium. In questa prospettiva, l'art. 5 vieta che gli indagati e imputati possano essere presentati come colpevoli attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica67.

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali68 prevede all'art. 6 par. 2, in maniera analoga

alla direttiva sopra rammentata, che la persona accusata di un reato è da considerarsi «presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». In un'ottica comparatistica, si rileva che la garanzia prevista dalla Convenzione non è perfettamente coincidente con il dettato costituzionale: infatti, secondo l'art. 27, comma II, Cost. la presunzione opera «fino alla condanna definitiva»69, mentre la norma convenzionale prevede che «ogni

persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata», rinviando per l'esatta individuazione della nozione sul piano tecnico, ai singoli ordinamenti

67 Questa precisazione non vieta l'applicazione di misure coercitive per ragioni di sicurezza, tutela del processo o pericolo di fuga. DE CARO A., La recente direttiva europea sulla presunzione di innocenza e sul

diritto alla partecipazione del processo, in www.quotidianogiuridico.it,

23.02.2016

68 La Cedu è stata firmata a Roma il 4 novembre del 1950 ed è stata ratificata a seguito della legge 4 agosto 1955, n. 848.

69 Da questo punto di vista, sussiste una evidente affinità lessicale con l'art. 5 della Costituzione brasiliana del 1988 ove si stabilisce che nessuno può essere considerato colpevole prima di una decisione “finale” e “inappellabile”.

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nazionali. La disposizione della Cedu esprime perciò un concetto analogo alla presunzione costituzionale che, tuttavia, si limita a stabilire come dies ad quem un semplice accertamento legale della colpevolezza70 che potrebbe anche coincidere, in una interpretazione

restrittiva, con la sentenza di primo grado71. Oltre a ciò, se da un lato la

presunzione convenzionale implica la legalità del processo, dall'altro anche nell'art. 27, comma II, Cost., se pur in assenza di un espresso riferimento, la legalità è ugualmente desumibile dall'art. 111, comma I, Cost. ove si esige che il giusto processo sia regolato dalla legge72.

La situazione, dal punto di vista del diritto alla libertà, è resa dall'art. 5, par. 1, Cedu per cui «Ogni persona ha diritto alla libertà personale e alla sicurezza». L'accomunamento di questi due profili - sicurezza e libertà personale - sembra indicare l'ampia valenza, riconosciuta anche dall'art. 2 Cost., del concetto di libertà personale e la sua funzione di tutela anche di diritti diversi da quelli più tipicamente concernenti l'imputato73. La norma poi sviluppa e definisce una scissura: «Nessuno

può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge». I “casi” che legittimano la violazione del diritto di libertà sono predefiniti dalla stessa norma (lett. a-f), mentre i “modi” devono essere previsti dalla legge74. Nella specificazione di cui alla

lett. c, nel disciplinare l'arresto o la detenzione durante la pendenza del procedimento penale, la Convenzione legittima la restrizione della

70 Il riferimento all'accertamento legale può essere inteso, anche se l'impostazione non è pacifica, come “sentenza che accerta la colpevolezza” a prescindere dalla definitività della medesima, quindi indipendentemente dall'autorità di cosa giudicata dell'atto giurisdizionale medesimo.

71 Cfr. DE CARO A., Libertà personale e sistema processuale penale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2000, p. 238.

72 BUZZELLI S. - CASIRAGHI R. - CASSIBBA F., Diritto a un equo processo, in AA.VV., Corte di Strasburgo e giustizia penale, G. Ubertis e F. Viganò (a cura di), Giappichelli, Torino, 2016, p. 164.

73 In tal senso, DE CARO A., Libertà personale e sistema processuale penale, p. 239.

74 FÙRFARO S., Le limitazioni alla libertà personale consentite, in AA.VV., Le misure cautelari personali, G. Spangher e C. Santoriello (a cura di), Giappichelli, Torino, 2009, pp. 8 s.

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