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SATIRA VII
Rimedio
al signor Amaranco
Io mi vi scuso avanti ch’io vi scriva ch’io volea un fascio far di mie fatiche ma sono un mar che non ha fondo o riva: gl’era un volervi dir quante formiche
abbia la state, o stelle il ciel sereno, 5 o aprile e maggio fiori, o luglio spiche.
Oltra ciò, la mia penna in un baleno va di trasto in sentina, e a mio dispetto scompiscia altrui, né a mio voler l’affreno.
Però, quelle serbandomi nel petto, 10 vi scrivo ’l mio rimedio, e vi dimostro
a medicar (s’avete alcun difetto), anzi n’avete, anzi abbiam tutti ’l nostro (come suol dirsi) impiccato alla porta,
e vel farò veder con questo inchiostro. 15 Fu al tempo antico una persona accorta
che fece un uomo e l’impastò di smalto e lo fe’ viver ch’era cosa morta,
il quale andò poi con le donne in salto
e ne fe’ nascer tanti che s’arrabbia 20 talora andar da san Marco a Rialto.
Or, per che chi l’avea fatto di sabbia, per riscaldarlo furò ’l fuoco al sole, fu cagion che li vene rogna e scabia,
ferza, lattime, vermini e varole, 25 febre, fianchi, renella e gelosia,
martel d’amor, pelatina e carole, e quei mali che stanno in fantasia
167 che per molto mirar nell’orrinale
non li conosce l’Abioso o il Pavia; 30 quali, sendo rinchiusi in un boccale,
non pria l’aperse l’uom fatto di creta, che saltar fuor come mosche o zenzale, e l’ossa marce e fer la pella vieta
all’uom terrigno, onde al buon fornaciaro, 35 ch’era cagion del mal, ne venne pieta
e a tutti i mali usò qualche riparo,
diede onzioni, empiastri, erbe, siloppi, e i cristeri anco da lui incominciaro,
gl’occhiali a’ loschi e diè le crocce a’ zoppi, 40 le becche a’ gobbi e i brachieri a’ chillosi,
niente diede a’ par miei perch’eran troppi. Trovò un rimedio ancora a’ mal franciosi di cui gl’animi nostri sono infetti,
non per sanar ma far manco noiosi: 45 ne diè due sacchi. Un grande, in cui i difetti
suoi ciascun porti i più grandi e i più grossi quali per non veder dietro si getti:
vuol che doppo le spalle ognun s’addossi
i suoi vizi, e così parranno un pelo, 50 anzi, esser ne parrà leggieri e scossi.
L’altro, un sacchetto picciol, ma d’un velo trasparente, che mostra l’altrui mende come lanterna un acceso candelo:
questo davanti a gl’occhi nostri pende, 55 questo ne fa sudar, questo ne impaccia,
questo dal nostro carco ne difende. Onde a chi salta in bestia, a chi minaccia per ch’al sacchetto suo son troppo intento
168 sia detto ch’io fo pittima e fomento
al mio mal con l’altrui, che se li piace facciala al suo del mio, ch’io son contento. Or, voi (se ’l vostro v’aggrava o dispiace)
tenete gl’occhi in l’altrui sacco intenti 65 e porterete ogni gravezza in pace.
Verbigrazia le lingue maldicenti vi tassano che voi per parer dotto non credete più alto che i correnti:
quest’è gran soma, e resterete sotto 70 se non avesse avanti per un specchio
almen de’ venti, il sacco de’ diciotto. Non pur nell’Alemagne, ove gli è vecchio questo peso, onde il fratacchion Lutero
messe al mondo tal pulce nell’orecchio, 75 ma nell’Italia ancor (né v’è mestiero
molto andar longi) fia chi vi riscuota, chi faccia ’l vostro carco atto e leggiero. Non parrebbe oggidì saper un iota
a qual dottor si sia, se non dimostra 80 che openion lo stimoli o percuota.
E non pur gl’uomin dotti all’età nostra, ma il barcaruolo e ’l fabro e ’l marangone v’aiutano a portar la soma vostra;
il fachin, la fantesca e lo schiavone 85 fan del libero arbitrio anatomia
e torta della predestinazione:
quello ’l vuol zoppo, e questo vuol che sia carro da buoi, ch’a trarlo in su si stenta,
né può tenersi ov’all’ingiù s’invia; 90 e così la teologia diventa
169 ne fa strazio, la pela e la tormenta.
Ben voi sapete onde procede questo
senza ch’io ’l dica: i pergoli moderni 95 han condutta la fede a pollo pesto,
perché quando dovrian de’ ben superni esserne tromba o de gl’inferni danni, e dimostrarne come l’uom s’eterni,
oggi pur ch’un predicator s’affanni 100 in parlar tosco in parer boccaccesco,
e in questo abbia sudato gl’anni e gl’anni, purché l’abbia chiamato sotto ’l desco Quintiliano o Tullio seco a cena,
non cederia quel grado a san Francesco. 105 Purch’ei vi sappia, or con voce alta e piena
(senza bisogno) or con parlar sì basso ch’egli stesso che parla s’ode a pena, con bella barba interpretarvi un passo
della Scrittura, onde v’allenti ’l morso, 110 o vi gratti l’orecchia, o vi dia spasso,
questo sarà vero appoggio e soccorso di Santa Chiesa, ch’andaria in rovina s’ egli a porvi la man non fosse accorso.
Pur ch’el mal uso ch’al peccar n’inchina 115 sappia trar di nascoso in violenza
e questioneggi di lana caprina,
questo arà più concorso e più udienza che se fosse un san Pavolo, e da tutti
sarà tenuto un fonte di scienza, 120 e in tanto son di sue prediche i frutti,
che con sue sottigliezze alte e fastose mette in dubbio ’l cervel per fin a’ putti. Or, per tornar, se gravi e ponderose
170 son l’openion vostre, abbiate avanti 125 l’altrui, e fien le vostre fiori e rose.
Se il volgo vi tenesse un graffia santi di fuora via, come sono oggi molti
che non sel toccherian se non co’ guanti,
poi dentro hanno i pensieri e i sensi involti 130 in mille e più bruttezze e nel segreto
meriteriano vivi esser sepolti, gettate pur el vostro sacco a drieto
che ’l viver spirital de’ tempi nostri
di mille o più vi farà l’occhio lieto. 135 Quanti pur ieri andavano pe’ chiostri
de’ conventi infilzando Ave Marie, biasciando e borbottando Patar nostri,
quali oggi per provar se per più vie
s’ascende in Ciel godon con la mogliere 140 e ridonsi or delle fratil pazzie?
Quanti del suo non darieno un bicchiere d’acqua fredda e fan trar l’altrui scarsella oltra ’l suo grado, oltr’ogni suo potere,
per mantener quest’ospedale e quella 145 chiesa, per far a fanciulle la dote,
e di lor carità sol si favella? e cento argani grossi e cento ruote
non trarrebbero un soldo in cent’un anno
da queste genti sì sante e divote? 150 Basta che s’affaticano, e che vanno
pesando questo e quel per l’opre sante, che dell’altrui gran cortesie si fanno, in tanto, al prete, al famiglio, alla fante,
negano ’l suo salario, e ’l ben servito 155 che dien aver già dodici anni innante.
171 Ma quel ch’è peggio, tal si mostra a dito
maritator di fanciulle che spesso fa la credenza di quelle al marito.
E tanto ha lor l’ipocrisia permesso 160 che i vostri occhi vedran far mille mali
né ’l crederete a’ vostri occhi voi stesso. Come già avvenne d’un di questi tali, non sono ancor mill’anni, il quale aveva
più scropoli che tutti gli speziali, 165 che, mirandolo in viso vi diceva:
- Non ti fidar! - ma poi col collo torto avria fatto saltar Anton da Leva. Questo, per carità tutto arso e morto
d’un’orfanella, aveale per tal via 170 furfantata gran dote in tempo corto,
ma perché non pigliasse mala via tenea Alibecche notte e giorno seco contemplando quel ben ch’al Ciel n’invia.
Volse al fin la disgrazia e ’l destin cieco 175 che ’l dolce contemplar lor fu interdetto
(di ch’egli rinnegò quasi ’l pax teco): pur vie più santo che ser Ciapelletto giura averla tenuta casta e pura
gl’anni, non pur i mesi, a’ fianchi in letto; 180 e la sua dote di cui egl’avea cura
per consolar la perduta dolcezza fu resa alla fanciulla con l’usura. Forse in mezzo tenean per sicurezza
la sbarra, come alcune sette nuove 185 che in letto sperimentan lor fortezza:
dorme insieme uomo e donna, e al far le prove xenocratesche è testimonio un legno
172 che non vede, non parla e non si muove.
Parvi che ’l mondo abbia trovato ordegno 190 d’andare al Ciel? da vencer gl’appetiti?
da far le fiche al tenebroso regno? tener un legno in mezzo che ne inviti a contentezza e in quei furori dica:
- Non passate, io son qui: siate avvertiti! - ? 195 Se quella santa al viver santo amica
che prova i suoi soldati in tal duello mettesse in mezo un ramoscel d’ortica, io direi ch’ell’avesse più cervello,
ma né ortica, né spiedi o s’ivi fosse 200 il fuoco, terria a segno quella o quello:
non frenan quel furor, mar, fiumi o fosse, non si ritien con tetti, porte o mura, e nel letto staran forti alle mosse;
la figlia appresso ’l padre è mal sicura 205 in camera, non pur sotto lenzuola,
e un baston farà forza alla natura. Deh, perché donque a così dolce scuola non concorreno a gara le persone
già che per simil prove al Ciel si vola? 210 Ma per dir la mia ferma oppenione
io ho volto un magazin di carte e trovo ch’un spirital può saltar un bastone: che sia il vero, un santon dal tempo nuovo
che diceva ogni giorno il Verbum Caro, 215 che conoscea l’altrui busca nell’uovo,
ch’a quanti sono scritti in calendaro dicea l’intemerata e apria le porte del paradiso col suo breviaro,
173 che, ove udiva qualcun parlar d’amore,
volea seco vederlo infin a morte. Chi avesse alla comar tocco l’onore,
guarda la gamba, il fuoco aspro e penace
l’avria brusciato vivo infin al cuore, 225 un cane, un orso, un fier lupo rapace
ch’un sott’occhio a una vergine volgesse, mai seco non avea triegua né pace.
Udiva a san Fantin tutte le messe,
sempre era in orazion, sempre in preghiera 230 che la figliozza buona sorte avesse.
La commar ch’era vedova e leggiera lo tenea in casa, adorava per santo,
pareale aver l’arra del Cielo in terra;
alla fine il compar, lupo col manto 235 d’agnello, alla figliozza di nov’anni
fece di due stanze una, a sangue e a pianto: bel tratto da compar di san Giovanni!
da santolo divoto! o Cielo, o cosa
da far luteranarsi ’l Pretegianni! 240 Or s’affanna la sua comar piatosa
a medicar la figlia, e si lamenta ch’egli tal tentazion tenne nascosa,
ch’ella sa ben che l’avversiera tenta
gl’uomini santi, e forse gl’averebbe 245 senza dolor la tentazione spenta.
Pensate voi se stato al quia sarebbe sotto ’l caldo del letto il buon compare se a quell’età rispetto e a Dio non ebbe!
Cento altri sacchi vi potrei mostrare 250 di simil mercanzia, se pur bisogna
174 Voi sapete del santo da Bologna
che, sendo vecchio, e per santo adorato,
tolse moglier, né sel tenne in vergogna, 255 ma non per questo, era men santo e grato,
se fosse stata una moglie a bastanza, s’almen fosse di donne contentato: quel ch’el privò d’onor, di nominanza,
ch’el fe’ bandir, fu ch’al fin fo scoperto 260 andar dietro alla bolognese usanza,
e ch’egli avea per forza un uscio aperto come ’l prete che in piazza di san Marco ardeste in questi dì per bene merto.
Questo può far sì lieve ’l vostro carco 265 che ipocresia non vi darà più noia
e però leggiermente me ne varco. Ma vi resta un gran peso che v’annoia, per cui tanto sudor talor vi cola
che voi potreste un dì lasciar le cuoia: 270 questo è ’l pensier di quella vostra mola,
certo non mola da mulin a vento, cui bastar debbia la vostra acqua sola, qual (se ben voi macinate frumento
secondo ’l poter vostro) non per questo 275 sente mai pieno ’l suo largo palmento.
Questo peso di lei v’è sì molesto
che (a quel che voi l’altr’ier me ne scriveste) chi non v’aiuta farete del resto,
però, per darvi medicine preste, 280 e liberarvi da sì grave pena
o lasciarvi col sacco nella peste, gettate ’l sacco suo dietro la schena, ché senz’altro farà leggiero ’l peso
175 la mia valente vedova da Siena, 285 qual avendo di sé buon conto reso
e rotte ottanta lance a botta salda è degna che ’l valor di lei sia inteso. Questa, vicina a cinque croci, e calda
del suo marito in lei passo e sepolto, 290 senza ’l pan onto non potea star salda.
Un giovan, che pur or mutava ’l volto, nervoso e forte, e ch’anco a Messalina averia ’l pizzicor sopito o tolto,
tolse a saldar le piaghe alla meschina, 295 ma era (quantunche magro divenuto)
un giogner olio e legna alla fucina. Come i medici fanno tolse aiuto di cinque uguali a lui, valenti in giostra,
ciascun di lor ben lombato e membruto: 300 “Riuscirò meglio in campo ch’alla mostra”,
ma doppo rotte aver trentasei lance, quella quintana ancor salda si mostra. Vedendo al fin ch’altro volea che ciance
a spontar tal potenza, a suon di corno 305 si venne a pareggiar queste bilance:
quaranta quatro li giostranti forno,
le botte ottanta, et ella, ogn’or più franca, si dolea che sì tosto venne il giorno,