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MICROPERMANENTI E COLPO DI FRUSTA: L’ESPERIENZA ITALIANA DOPO LA LEGGE N° 57/2001 A CONFRONTO CON IL CONTESTO EUROPEO

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MICROPERMANENTI E COLPO DI FRUSTA: L’ESPERIENZA ITALIANA DOPO LA LEGGE N° 57/2001 A CONFRONTO

CON IL CONTESTO EUROPEO Avv. Marco De Fazi

“L’APPORTO DELL’AVVOCATO”

Che oramai fosse imminente l’attivazione del processo di regolamentazione normativa del risarcimento del danno alla persona nel contesto italiano era ben noto a qualunque operatore del settore, ed in specie a colui al quale – l’Avvocato - viene quotidianamente richiesto l’opportuno ausilio professionale per apprestare i mezzi necessari a far valere i propri diritti.

Il problema del resto era fortemente sentito anche in sede parlamentare europea, se è vero che fin dall’anno 1999, all’esito della Conferenza di Tampere1, ove vennero delineati i principi per cui l’accesso alla giustizia per il cittadino o l’operatore economico europeo non avrebbe dovuto incontrare un ostacolo nella incompatibilità o complessità degli ordinamenti degli Stati membri, si ritenne l’obbiettivo fondamentale della realizzazione di una “Carta Verde” delineante, giusta i risultati della Commissione alla udienza del 20 febbraio 2000, i principi per l’adozione di strumenti idonei per facilitare l’accesso alla giustizia.

In questo contesto all’interno delle istituzioni europee si è intrapresa una consultazione tra gli Stati membri per addivenire all’obbiettivo di garantire degli standard minimi di risarcimento uniformi in tutto il territorio Comunitario, e contestualmente dare le indicazione per l’adozione di una proposta di Direttiva Comunitaria, ove, almeno negli aspetti essenziali, possano essere concordate le linee guida delle problematiche legate alla riparazione delle conseguenze dei fatti criminosi (intesi in senso lato)2.

Rimanendo ancorati al contesto nazionale della Repubblica Italiana, purtroppo, a fronte di un sapiente lavoro di “self-restraint”3 compiuto negli ultimi lustri dalla giurisprudenza di merito e legittimità sotto l’impulso di una quanto mai fertile e creativa spinta dottrinale, che ha dato ampie garanzie di affidabilità ed uniformità di base di giudizio nella sede istituzionale della tutela giurisdizionale dei diritti, non ha fatto riscontro un’altrettanto sapiente opera del legislatore italiano, il quale, dando prevalenza ad interessi settoriali di chiara matrice economica, è intervenuto in maniera del tutto inappropriata in un ambito ove l’esigenza della certezza del diritto trova sempre il suo necessario contemperamento nell’altrettanto vitale esigenza di garantire il pieno rispetto e

Avvocato, Roma

1 La Commissione istituita dal Consiglio Europeo riunito il 15 e 16 ottobre 1999 per realizzare l’obbiettivo della cooperazione nella legge civile tra gli stati membri, adottò un documento in data 20 febbraio 2000 per la risoluzione dei problemi cross border denominato “Carta verde”

2 Gli obbiettivi della Commissione sono quelli di presentare una proposta legislativa ove vengano stabiliti da un lato standard minimi di risarcimento nella CEE e dall’altro di garantire un agevole accesso alla tutela risarcitoria indipendentemente dal luogo ove si è verificato il fatto criminoso, con notevole vantaggio per la risoluzione dei risarcimenti nelle vertenze cross-border

3 Nonostante l’ampio margine lasciato al potere equitativo del Giudice, le liquidazioni hanno seguito un sempre maggiore uniformità: in Europa esempio luminoso dell’autoregolamentazione in difetto di disciplina organica viene dall’Inghilterra, ove i Giudici hanno dimostrato notevole autocontrollo nella liquidazione del quantum

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tutela dei fondamentali valori garantiti dai nostri principi costituzionali, oltre che dalle direttive dei principali organismi sovranazionali4.

Come è invece ben noto il legislatore italiano, dopo il clamoroso esordio governativo registrato nel marzo del 2000 (cfr. D.L. 70/20005), naufragato in sede di conversione in conseguenza della generalizzata levata di scudi avverso il discutibile provvedimento, è intervenuto sulla materia del risarcimento del danno alla persona con un provvedimento legislativo promulgato esattamente un anno dopo (L.57/20016), regolamentando la sola materia delle micropermanenti (definite dal legislatore “lesioni di lieve entità”) e peraltro limitando l’ambito di operatività della legge ai soli danni relativi alla circolazione stradale.

A questo punto, poiché appare superfluo ogni ulteriore commento sull’operato del Parlamento Italiano, il nostro lettore potrà essere più interessato agli effetti pratici derivati dal nuovo quadro normativo al patrocinatore legale investito del compito di garantire la tutela del danneggiato, piuttosto che ad essere coinvolto sull’ennesima dissertazione sui limiti della recente legiferazione, vuoi per quanto universalmente ritenuto ovvio (l’opportunità di regolare solo i danni ritenuti di lieve entità ed in un solo settore della realtà circostante) vuoi per quanto di controverso (i vincoli al potere equitativo del Giudice di apprezzamento del danno da fatto illecito).

Dunque l’interrogativo è quale tutela per la persona che, in conseguenza del fatto illecito altrui, riceve una menomazione della propria integrità psico-fisica di

“lieve entità”? E quali problemi si deve porre l’avvocato officiato del mandato di conseguire un celere e giusto risarcimento in ipotesi che queste lesioni rientrino nell’alveo delle c.d. micropermanenti?

Prima di addentrarci nella risposta a tale quesito non si può prescindere dal rilevare, preliminarmente, che il difensore ha l’obbligo di tutelare gli interessi della parte danneggiata in conformità con le regole del diritto vigente, e quindi ineludibilmente vincolato alle disposizioni generali e speciali apprestate dall’ordinamento.

Purtuttavia non può non constatarsi come l’attuale sistema presenti notevoli incongruenze, frutto anche di una frettolosa e lacunosa legiferazione, alla luce delle quali la stessa rappresentazione al cliente dei diritti di cui in concreto potrà essere azionata la tutela potrebbe apparire di non facile esecuzione:

circostanza che però non può certamente esonerare il patrocinatore dall’attuare una strategia difensiva completa, contribuendo così in modo essenziale alla applicazione pratica della legge, anche al fine di darne un adeguata interpretazione giurisprudenziale in sintonia con la previgente disciplina – essenzialmente codicistica7 - dell’ordinamento, ed occorrendo, qualora se ne dovesse ravvisare la necessità ed opportunità, a denunciarne personalmente i vizi di incostituzionalità.

Ciò posto occorre brevemente delineare quale contesto, normativo e giurisprudenziale, l’avvocato si trova a dover tenere a mente nella valutazione dell’obbiettivo finale del conseguimento del giusto risarcimento.

La fase transitoria che si sta attraversando (giova ricordare che prima del recente intervento del legislatore erano stati apprestati degli organici progetti di

4 Il Consiglio d’Europa nella risoluzione n.7-75 ha dettato la linea guida per cui il risarcimento del danno alla persona deve essere ispirato all’”idée della réparation intégrale”

5 D.L. 28 marzo 2000 n.70, art.3

6 L. 5 marzo 2001 n.57 Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati

7 Sulla liquidazione del danno per equivalente, cfr. artt.2056, 1223 e 1226 Cod. Civ.

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legge 8) pone il grave problema del coordinamento tra la coesistenza di vari concetti di danno risarcibile, e non solo limitatamente alla materia oggetto della presente trattazione.

E’ indubbio che l’interprete deve fare i conti, oltre che con le norme di diritto cogente, con l’esperienza della prassi giurisprudenziale, che costituisce fondamentale testimonianza ed indiscutibile banco di prova della loro vita ed applicazione concreta.

La giurisprudenza infatti, antesignana ed ispiratrice dell’attuale lavoro del legislatore, da tempo aveva compiuto una fertile produzione, tendente ad una sempre maggiore e graduale uniformazione, di varie tecniche liquidative: sicchè può ritenersi che l’attuale introduzione nel nostro ordinamento delle prime definizioni di danno biologico vada sicuramente ascritta tra i meriti dell’interprete giurisprudenziale, atteso che, secondo i vari dicta seguiti alla predetta Corte Cost. 184/1986, questo pregiudizio viene identificato come categoria concettuale dalla oramai tendente onnicomprensività nei danni che abbiano determinato lesioni corporali (da intendersi sia quali afflizioni permanenti del soma che della psiche).

La prima delle iniziative legislative ove il danno biologico trova ingresso è costituita dalla riforma I.N.A.I.L.9, ove il questo danno viene definito, in via sperimentale – sic! - come lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona (omissis) in misura indipendente dalla capacità di produrre reddito del danneggiato.

La struttura ontologica di tale prima storica definizione legislativa, sia pure realizzata in una disciplina settoriale, appare consegnata al legislatore da un poderoso lavoro giurisprudenziale che trova le sue origini in una nota sentenza del 197410 e il suo suggello nella appena menzionata storica sentenza 184/198611 della Corte Costituzionale.

A questa prima definizione venne a seguire in epoca immediatamente successiva quella di cui al controverso D.L.70/2000, la cui formula viene traghettata nell’attuale art.5 della L.57/2001, laddove il legislatore, come già visto ancora una volta in ambito settoriale, ed “in attesa di una disciplina organica sul danno biologico”, stabilisce i criteri per il risarcimento dei danni alla persona di lieve entità12, sancendo nello stesso articolo che tali danni devono intendersi quelli da cui derivino lesioni con postumi pari od inferiori al 9 per cento, e statuendo al successivo comma 3 che agli effetti di cui al comma 2, per danno biologico si intende la lesione all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, e che tale danno è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione del reddito del danneggiato: la legge ancora una volta delega, al successivo comma 5, il Ministero della Sanità, di concerto con il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, la predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psico- fisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità.

8 cfr. tra le altre (allo stato se ne contano ben sei), A.S.4093/1999 e A.C. 6817/2000, considerate di maggior esaustività nella regolamentazione della materia, ed entrambe antecedenti l’A.C.

7115/2000, contenente la bozza della attuale disciplina

9 D.Lgs.23 febbraio 2000 n.38, attuato con la predisposizione delle relative tabelle con D.M.12 luglio 2000

10 Trib. Genova 25 maggio 1974, Rocca c. Ferrarese in Giur. It. 1975, con nota di BESSONE e ROPPO

11 Corte Cost. 14 luglio 1986 n.184 Repetto /A.M.T.Genova e Saporito, in Foro It., 1986, I, 2053

12 co.2 art.5 L.5 marzo 2001 n.57

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Dunque il compito dell’avvocato, gratificato di una tabella fondata su dei valori monetari (quello del punto di invalidità, pari ad Euro 619,75) e sulla sua diversificazione in relazione ad un coefficiente determinato dalla legge in ragione del crescere della invalidità, e ad altro coefficiente di abbattimento in ragione del progredire dell’età (lo 0,5 a partire dall’undicesimo anno di età), alla quale potrà far concreto riferimento al momento dell’attuazione delle tabelle demandate alla predetta commissione interministeriale (ed a tutt’ora inattuate n.d.r.), potrebbe risultare semplificato.

La realtà è ben altra, in quanto l’avvocato si trova avanti ad un sistema ingiustamente frantumato e dove convivono almeno tre diverse regolamentazioni della stessa materia (quella delle lesioni da circolazione stradale, quella di matrice INAIL, e quella da illecito di natura diversa): inoltre il professionista non può prescindere nella tutela del cliente che abbia subito lesioni corporali dall’indicazione di un febbrile lavoro giurisprudenziale protrattosi per oltre un venticinquennio. In forza dei principi emersi da questo lavoro, ogni risarcimento, ricorrendone ovviamente gli estremi in rapporto agli aspetti del caso concreto, deve essere personalizzato in ragione dei c.d.

“aspetti dinamici” del danno alla persona13.

Nella realizzazione di questo obbiettivo le problematiche che il patrocinatore dovrà affrontare possono essere inquadrate secondo i seguenti angoli di prospettiva:

Ø La valutazione del dato anatomo-disfunzionale: in questa fase si evidenzia nella sua centralità il necessario rapporto di collaborazione con lo specialista medico-legale, essendo l’esame del danno nel suo aspetto statico primario compito dello specialista sulle cui valutazioni si dovrà fondare l’intera strategia stragiudiziale e processuale dell’avvocato;

Ø La ricerca degli aspetti del caso concreto: occorrerà, tratte le dovute considerazioni dall’elaborato del proprio consulente, valutato se del caso il discrimine tra i danni derivanti dalla maggior sensibilità soggettiva del soggetto leso e quelli invece inerenti alla reale maggior afflittività della lesione, esaminare gli effetti negativi sulla vita del soggetto leso, offrendone il necessario corredo probatorio, ed occorrendo i riflessi negativi sul patrimonio, qualora la lesione corporale determini una diminuzione della produttività;

Ø Valutare il complesso delle menomazioni peggiorative verificatesi in danno alla complessiva esistenzialità del soggetto e frutto della ricerca di cui al punto che precede: campo questo di indagini tipicamente legale, consistente nella individuazione non solo della loss of amenities, ma di ogni altro riflesso negativo, purchè giuridicamente rilevante, molto spesso dalle caratteristiche oggettive (di qui l’inappropriato richiamo della legge 57/2001 alle “condizioni soggettive” come parametro di “ulteriore risarcimento”, concetto peraltro di difficile intelligibilità);

Ø Provare nel corso della fase istruttoria della causa, conseguentemente alla introduzione della lite esitata ad infruttuoso dialogo (troppo di sovente in realtà “monologo”) transattivo, tutti i rilevanti elementi differenziali della fattispecie, anche ponendo il Giudice in condizione di utilizzare lo strumento previsto dagli artt.2727 e segg. Cod. Civ.

La concorrenza dei plurimi impianti risarcitori potrà portare l’avvocato a dover affrontare un ulteriore ordine di problemi: non saranno pochi, infatti, i casi in cui il danno fisico si verificherà in occasione della circolazione stradale ma in

13 la giurisprudenza in questo senso è uniforme: Cass., 11 aprile 1997 n.3170; Cass. 17 giugno 1996.5542; Cass., 13 aprile 1995, 4255

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concomitanza con la prestazione lavorativa assicurata dall’istituto previdenziale, la cui disciplina, come s’è visto, coincide con il disposto normativo della regolamentazione delle lesioni di lieve entità: fatto assai frequente se si pensa ai numerosi infortuni in itinere, ipoteticamente regolabili sia dall’art.13 del D.Lgs.

38/2000 che dall’art.5 della L.57/2001.

Quid iuris in tale ipotesi? La necessità del coordinamento tra le norme che già per la “zona” non oggetto della franchigia previdenziale (invalidità superiori a 6 punti di invalidità ma inferiori a 9), si appalesa in tutta la sua evidenzia nelle ipotesi di lesioni che abbiano determinato postumi superiori al 9 percento: la problematica è di rilevante importanza, vuoi ai fini dell’art.28 della L.990/69 in merito della rivalsa degli enti previdenziali, vuoi ai fini della determinazione del quantum risarcibile.

Sembrano remoti i tempi in cui il Tribunale di Milano14 tentava, in costanza della vigenza dell’art.74 del D.P.R. 1124/1965, che come noto consentiva la costituzione di una rendita vitalizia in caso di infortunio o malattia determinanti una invalidità tale da ridurre l’attitudine al lavoro, di consentire la liquidazione di un “danno differenziale”, coincidente con la quota residua di invalidità concretante mera afflizione del bene salute, la cui tutela si poneva in termini concorrenziali con il danno alla capacità lavorativa, nel frattempo inglobato nella struttura del danno biologico e fatte salve le contraddizioni degli effetti dell’applicazione della norma di cui all’art.4 L.39/77, volta a risarcire un danno, sotto molti aspetti, finitimo a quello che era oggetto delle tutela INAIL.

È opportuno rilevare che, non appena definitivamente caposaldato l’orientamento della giurisprudenza che disancorava il risarcimento del danno biologico quale danno alla integrità psico-fisica dai riflessi delle alterazioni alla capacità produttiva15, permettendo tra l’altro un più agevole coordinamento tra la disciplina del danno biologico da illecito civile e la regolamentazione dell’indennizzo INAIL, nel volgere di breve tempo la novellazione di cui al D.Lgs.

38/2000 virtualmente riaccentrava i due sistemi di tutela, lasciando aperto il grave problema, di cui questa non appare la sede di discettare, della sovrapposizione del danno biologico indennizzabile INAIL ed il danno biologico da illecito civile di diritto comune, riaprendo le porte, in virtù della soppressione dell’art.74 del Testo Unico, ad una nuova vita del danno alla capacità lavorativa ex art.4 L.39/77 come danno patrimoniale da lucro cessante.

Per mantenerci però nell’ambito della nostra trattazione, ed al di là dell’evidenziato problema di coordinamento tra le ipotesi tutt’altro che residuali di danno biologico risarcibile secondo la disciplina generale dell’illecito civile ed indennizzabile ai sensi della regolamentazione indennitaria INAIL, si ribadisce che l’avvocato non può non porsi il problema del superamento delle apparenti barriere normative16 per raggiungere l’obbiettivo, nel rispetto dei principi dell’ordinamento, di conseguire l’integrale ed effettivo risarcimento del danno sofferto dalla persona offesa dall’illecito.

14 Trib. Milano, 19/03/1992 che recitava testualmente: “L'indennità erogata dall'Inail è rapportata alla riduzione della capacità lavorativa generica che, a sua volta, è una delle componenti del danno biologico. Accogliendo un criterio valutativo unitario, si può ritenere che la capacità lavorativa di un soggetto incida nella liquidazione complessiva del danno biologico quantomeno nella misura di 1/3. A seguito della sentenza n. 356 del 1991 della Corte costituzionale, va pertanto esclusa la surroga dell'ente previdenziale solo per l'ammontare che residua dalla differenza tra il danno biologico e la suddetta percentuale, già indennizzata dall'Inail.”

15 Cass. 15 dicembre 2000 n.15859

16 Si tenga a mente che, tra l’altro, non sono state ancora apprestate le tabelle delegate dalla legge al Governo per la individuazione delle lesioni di “lieve entità”

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Dovere che può ritenersi assolto sia con la apprestazione di adeguati mezzi difensivi forniti di adeguato e pertinente corredo probatorio, che contribuendo all’applicazione della legge in conformità con i precetti costituzionali della Repubblica.

Indicazioni assolutamente interessanti in questo senso provengono da una recente ordinanza di un Magistrato romano17, con la quale è stata rimessa alla Corte Costituzionale la discussa normativa delle lesioni di lieve entità, rilevata la illegittimità costituzionale della norma sotto plurimi rilevanti profili, che possono essere così riassunti:

1. La incostituzionalità della definizione del danno biologico nella parte in cui l’art.5 comma 3 della predetta legge determina una disparità di trattamento per la lesione del bene salute a seconda che derivi da fatto illecito o da sinistro conseguente alla circolazione dei veicoli a motore o dei natanti;

2. La incostituzionalità del 2°comma dello stesso articolo nella parte in cui stabilisce il valore economico del punto, sottraendolo alla disciplina ex art.2056 c.c., nella misura di £.1.200.000 (pari ad Euro 619,75), introducendo un sistema indennitario che impedisce la effettiva tutela del bene pregiudicato ed inoltre basato su una illegittima uniformità ed irrisorietà della misura economica, escludendo qualunque valutazione dei casi concreti;

3. Il profilo di incostituzionalità del comma 2 lettera b dell’art.5 in relazione alla predeterminazione di un importo irrisorio e rigido per ogni giorno di inabilità assoluta, indipentemente dalla tipologia e gravità delle lesioni e dalle caratteristiche personali del leso;

4. La incostituzionalità del comma 4 dell’art.5 nella parte in cui stabilisce che il danno viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato, denunziando che la detta parafrasi appare inidonea a fungere da criterio direttivo nella liquidazione per la omessa determinazione del contenuto delle condizioni soggettive e per la sottrazione alla valutazione equitativa;

5. La norma viene altresì sotto l’ulteriore profilo della incostituzionalità dell’obbligo per il danneggiato di comunicare i suoi dati reddituali (notoriamente indifferenti ai fini della valutazione del danno biologico) e per la concessione indiscriminata all’assicuratore di ulteriori 90 giorni per proporre offerta risarcitoria oltre quello di 60 giorni a titolo di condizione di procedibilità processuale.

Il commento in limine alla voluminosa denunzia del Giudice romano non può prescindere dalla valutazione di effettività della violazione dei principi generali dell’ordinamento effettuata dal Legislatore nella indiscriminata e “confessata”

arbitraria opera di frammentazione del danno biologico, aggravata dall’inerzia dimostrata nella coltivazione dei già sopra menzionati progetti organici di riforma del danno alla persona.

La giurisprudenza di merito e legittimità nel frattempo ha dimostrato di mantenere il punto sulla propria definizione di danno biologico quale evento pregiudizievole alla salute, configurandolo come danno evento interno alla fattispecie lesiva, diverso sia dai danni morali subbiettivi e dai danni patrimoniali intesi quale danno conseguenza in senso stretto18.

La Cassazione continua a perorare il principio per cui la caratteristica della aredditualità del danno biologico impone che la valutazione del pregiudizio in

17 Ordinanza Giudice di Pace di Roma, VII Sezione, Giudice Fazzari, 14 gennaio 2002 in Dir. e Proc. Civ., 2002, 291

18 Cass. Sez. Lav. 15 gennaio 2001 n. 456

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questione venga compiuta sulla base di un parametro uniforme che consenta ai soggetti danneggiati di ricevere, a parità di lesioni, un risarcimento uguale per tutti, indipendentemente dalla capacità di guadagno di ciascuno.

L’unitarietà del danno impone d’altra parte che nella sua liquidazione si tenga conto di tutte le ripercussioni che la lesione (danno evento) ha determinato sullo

"standard" di vita pregressa del soggetto (danno conseguenza).

Da ciò la necessità che il parametro uniforme sia integrato da un parametro flessibile, che consenta una adeguata personalizzazione del risarcimento al caso concreto.

Per altro verso la Cassazione ha ritenuto, sia pure in epoca antecedente alla entrata in vigore della L.57/2001, che In tema di invalidità, qualora i postumi permanenti, anche se di modesta entità o micropermanenti ai fine della liquidazione del danno biologico, menomino la capacità lavorativa specifica e producano una corrispondente diminuzione della capacità di guadagno e quindi del reddito derivante dall’attività in concreto svolta dal soggetto, la liquidazione del danno da lucro cessante deve avvenire con un criterio (quello tabellare) che sia idoneo ad assicurare un risarcimento proporzionale al pregiudizio ricevuto, sulla base del reddito professionale accertato ,19 con ciò lasciando intendere la certa sopravvivenza e compatibilità di un sistema di liquidazione omogeneo con il disposto dell’art.4 L.39/77, e con i già visti problemi di coordinamento e compatibilità con la riforma INAIL.

La Suprema Corte, coerentemente con il principio in questione, ha altresì sancito che allorchè la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti una attività lavorativa (ovvero quando, pur non svolgendo ancora alcun lavoro ma essendo presumibile che lo svolgerà in futuro) e il grado di invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (cosiddette

“micropermanenti”), un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa (nota o prevedibile) in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore diverso pregiudizio riconoscibile a titolo di danno alla salute, ovvero di danno morale20:con ciò svincolando il maggior danno di carattere patrimoniale, sia dalla effettività della attività lavorativa che dall’escamotage previsto dalla L.57/2001 per l’ulteriore risarcimento previsto per le misteriose ragioni subbiettive.

Lo stato attuale della giurisprudenza evidenzia come la giurisprudenza manifesti ancora consistenti differenze nell’apprezzamento del valore del risarcimento da lesione del bene della salute, diversi essendo sul territorio nazionale i parametri base elaborati nelle realtà locali, come si evince dalla tabella che segue21:

1. valore del punto fisso: Tribunali di Bologna, Genova e Pesaro, che utilizzano il criterio del triplo della pensione sociale;

2. crescita del punto continua all’aumentare della percentuale di invalidità permanente accertata (sia essa lineare, più che proporzionale, ecc.): Tribunali di Milano, Brescia, Trento, Pordenone, Parma, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, Lecce, Sassari;

19 Cass, Civ. Sez. III, 6 dicembre 2000 n.15499, Gliosci c. Soc. Meie Ass.ni est. Perconte Licatese

20 Cass. Civ. Sez.III 9 gennaio 2001 n.239, Soc. Generali c. Polacco

21 fonte: Quaderni ISVAP 2002

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3.crescita del punto "a scalino" per fasce percentuali non uguali per tutte le tabelle: fasce variabili a seconda del grado di invalidità: Tribunali di Venezia, Padova, Belluno, Treviso, Rovigo;

4. fasce costanti: Tribunale di Cagliari;

5."range" diversi per fasce percentuali: Tribunali di Torino, Mantova, Piacenza, Brindisi, Palermo.

Fare fronte seriamente a questa vera e propria proliferazione di prassi giurisprudenziali locali non poteva certo ritenersi obbiettivo da realizzare con una legge che sembra destinata ad essere condannata proprio in considerazione della sua “settorialità”: i vizi di fondo della L.51/2001, come è stato argutamente rilevato, in sede di commento alla ordinanza del Giudice di Pace di Roma22, consistono: a) nel non poter condividere l’idea per cui le lesioni che si collocano al di sotto di una certa soglia (nella specie il 10% d invalidità permanente) possano essere collocate in una categoria ad hoc : una lesione che per il medico legale si colloca al di sotto di una certa percentuale di invalidità posta sotto il 10% (ad esempio la perdita dell’olfatto, della milza o di una ovaia) può comportare delle conseguenze pregiudizievoli tutt’altro che lievi;

b) la categoria delle “lesioni di lieve entità” non annovera solo il colpo di frusta, che pare essere l’obbiettivo primario della legge in questione; c) la legge finisce col confondere la c.d. questione delle micropermanenti con le problematiche dell’alter ego di queste, meglio note come la altrettanto famosa questione del

“colpo di frusta” e o dei “colli deboli” (che indubbiamente costituisce “un”

problema ma non può essere considerato “il” problema come efficacemente rimarcato dall’autore in commento) finendo per giustificare un inappropriato intervento legislativo che determina la frantumazione del sistema risarcitorio del danno alla persona, introducendo disparità di trattamento (in violazione dell’art.3 della Costituzione) e, come pure non si è mancato di rilevare, la potenzialità di innescare nuovi accesi contrasti.

Si finisce di fatto in questo modo per sottomettere i diritti delle persone afflitte da pregiudizi che appare decisamente fuori luogo denominare lievi ad interessi di parte non meritevoli di siffatta tutela.

Di fatto questa situazione non può che evidenziare come l’auspicata riforma organica del settore da un lato, e la opportunità di lasciare il giusto margine all’apprezzamento del Giudice nella valutazione concreta del pregiudizio (o meglio delle conseguenze del pregiudizio) dall’altro, sono state scavalcate in ragione di interessi contingenti con inadeguate soluzioni legislative, in ragione delle quali, mercè l’illusione di aver calmierato il più chiacchierato settore del risarcimento del danno alla persona, si è posto un potenziale freno al processo di regolamentazione organica della materia.

Nelle more l’avvocato non può che continuare a sopperire alle lacune organiche del sistema continuando a lavorare sui dati offerti dal danneggiato, essendo ancora libero il Giudice di usare il suo prudente apprezzamento nella individuazione del pregiudizio sofferto dalla vittima del fatto illecito, e di apprezzarne le integrali conseguenze derivatene in suo danno al fine dell’erogazione di un giusto risarcimento.

22 BONA L’art.5 perviene all’esame della Consulta: profili di illegittimità costituzionale dei criteri di liquidazione del danno biologico; cfr. anche NANNIPIERI, La legge sulle microinvalidità: una soluzione inadeguata da rivedere; sull’argomento cfr. ROSSETTI , Il danno da lesione alla salute, Padova, 2001

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Marco De Fazi Avvocato in Roma

PEOPIL representative for Italy

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