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Le micropermanenti (colpo di frusta) nei microdanni da tamponamento: rapporto di causalità tra azione e danno. La C.T.U. ergonomica o biomeccanica. La giurisprudenza dei giudici di pace: due anni dopo

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Le micropermanenti (colpo di frusta) nei microdanni da tamponamento: rapporto di causalità tra azione e danno.

La C.T.U. ergonomica o biomeccanica.

La giurisprudenza dei giudici di pace: due anni dopo

Avv. Angelo Del Borrello*

Com’era prevedibile la proliferazione delle microlesioni da tamponamento, ha raggiunto vertici non più controllabili con notevoli danni, non solo per gli assicuratori ma anche e soprattutto per l’utenza. Le cause? Un mercato ingolosito per i facili introiti, favoriti dalle larghe maglie delle fin troppo note “tabelle milanesi”, una legislazione insufficiente ed una giurisprudenza di merito molto rinunciataria o, se si vuole, molto “attenta” verso i piccoli danni corporali.

E’ il caso che si continui a dire che siamo giunti ad un punto di non ritorno? Dobbiamo ancora continuare ad assistere all’ignobile fenomeno dell'indissolubilità del vincolo tamponamento=lesione e invalidità permanente?

Vi sarete accorti che ormai non c’è urto di lamiere o di carrozzeria che non “produca”

immancabilmente “il colpo di frusta” al conducente e, perché no? Al passeggero della vettura colpita, urtata, tamponata, scalfita, sfiorata o appena accarezzata.

Si è detto che la distorsione del rachide cervicale è la patologia del terzo millennio.

E non c’è stata previsione più azzeccata.

E non c’era da spremersi le meningi più di tanto se solo si pensa, per un attimo, mente al fatto che chiunque, a fronte di un danno macchina di qualche centinaio di migliaia di lire, pur in presenza di una abbondante documentazione sanitaria (fino a che punto compiacente?) aveva la sicurezza di portare a casa alcuni milioni con buona pace dell’estensore della sentenza, convinto di aver amministrato con saggezza la giustizia sulla base di una precedente non consolidata giurisprudenza che aveva, purtroppo, non elevato a prova certa e inconfutabile la relazione del consulente medico legale dell’Ufficio, e con buona pace anche dell’assicuratore del danneggiante al quale non rimaneva altro da fare che…aumentare i premi per far quadrare i conti.

Arricchimento dei furbi, impoverimento degli automobilisti!

Con l’avallo della giustizia? Con la garanzia della sentenza? Il tutto “In nome del Popolo Italiano”?

Si è preteso troppo. E le conseguenze finalmente (!), anche sotto un profilo penale, (l’impunità per i furbi era evidente) stanno apparendo all’orizzonte.

Dr. Luigi Delpino (Il Gazzettino del settembre 1997) procuratore aggiunto della Procura Circondariale di Venezia “…Non se ne può proprio più” (parole del redattore) per i troppi furbi…

Ma chi sono i furbi?

Testo dell’articolo “….sono i molti, troppi – secondo il Dr. Delpino - che, dopo essere stati coinvolti in incidenti stradali non certo gravi, querelano per lesioni colpose, anche quando di lesioni ce ne sono ben poche: o non ce ne sono per niente.”

“Ed il procuratore ha detto basta. Si rifiuta di perdere tempo dietro a certe pratiche che sembrano create ad hoc più per premere sulle assicurazioni e guadagnare più soldi che per chiedere ed ottenere giustizia”.

* Avvocato, Milano

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“Insomma un colpo di frusta è facile da simulare e, se serve per raddoppiare la posta in gioco, ben venga una querela”.

“Una moda che il Dr. Delpino vuole contrastare. Così, non appena s'imbatte in incidenti quantomeno poco chiari, che fanno nascere dubbi, il procuratore aggiunto, chiama un perito”.

“E’ un accertamento tecnico – spiega Delpino – che ha lo scopo di stabilire se le lesioni lamentate dalla persona offesa siano o meno conseguenza dell’incidente stradale”.

“E nel caso in cui il perito accerti che si tratta di una “bufala” bella e buona?”

Dr. Delpino: “Allora chiedo l’archiviazione del caso e mando tutto al Tribunale per accertare l’eventuale calunnia”.

Nel convegno dell’AIDA Piemontese del 17 ottobre 1996 (Saint Vincent) il Dr. Luciano Roasio, Direttore Generale della S.A.I., società leader nel settore RCA, denunciava il fenomeno e ne sottolineava la gravità avendo raggiunto un livello tale, in termini di costi, non più sopportabile sia per gli assicuratori sia per la società civile.

Egli in proposito poneva due domande che esigevano risposte impellenti e risolutive proprio dai Giudici di Pace, i più esposti sul fronte delle micropermanenti attesa, la loro competenza per valore:

la prima: se da un lato è provato che l’evoluzione tecnologica ha consentito di realizzare veicoli sempre più sicuri per l’incolumità degli occupanti (cavallo di battaglia di tutte le case automobilistiche) com’era possibile che le lesioni (e soprattutto le microlesioni) invece di diminuire erano clamorosamente aumentate? Nonostante che negli ultimi anni si era assistito ad una diminuzione delle denunce di sinistri auto, la percentuale delle richieste risarcitorie per danni alla persona era andata sempre più aumentando con punte superiori a tutti gli altri generi di danno. Nella tipologia, poi, del danno alla persona, la microlesione faceva da padrona.

La seconda: com’era possibile, quindi, che la distorsione del rachide cervicale appariva sempre più “connessa” al tamponamento e soprattutto, in altissima percentuale, alla serie dei microtamponamenti, agli urti a tergo, a quei “contatti” che a malapena si avvertivano?

Ed ancora: com’era possibile, in altre parole come era spiegabile che la distorsione del rachide cervicale (colpo di frusta) nel mondo intero provocava un'invalidità permanente (danno biologico) nel 25% dei casi, mentre in Italia quella percentuale saliva al 90%? (Dati convegno AIDA S.Vincent 17.10.1996).

Qualcosa, evidentemente, non funzionava e non funziona nella realtà del nostro Paese.

Delle due l’una: o i colli degli italiani sono geneticamente più deboli di quelli stranieri o dobbiamo concludere che da noi il ricorso al Magistrato (senza alcun rischio di imputabilità) per ottenere il risarcimento di un danno (alla persona) inesistente o quasi, costituisce una specie di pensione sociale cui tutti possono aspirare.

Il Dr. Mario Pascucci, Presidente del Gruppo AXA=UAP, in un recente convegno tenuto a Milano il 5.2.1998 dall'Organizzazione SCOR ITALIA, ha rincarato la dose.

Il parco macchine circolante in Italia ammonta a 37.360.976 veicoli pari all’11,3% in più rispetto al 1996.

Non vi è stato nel 1997 un aumento influente della frequenza dei sinistri.

Tuttavia l’incremento del numero dei sinistri corporali in quattro anni si è quadruplicato.

Danni alla persona: + 24,90% 1997 rispetto ai danni materiali.

L’incremento del costo medio del pagato è stato pari al 47,5%.

La dilatazione del fenomeno delle micropermanenti è evidente in modo drammatico: in un sinistro su tre vi è richiesta per micropermanenti.

La lesività in Italia è, per questo tipo di danno, superiore tre volte alla media europea.

Le cause? Sinistri in frode all’assicuratore.

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Le domande poste da Roasio a S.Vincent e le reali ed allarmanti denunce pronunciate dal Dr. Pascucci in Milano non possono trovare delle valide e convincenti risposte se non attraverso le decisioni dei Giudici di Pace quotidianamente chiamati alla risoluzione del problema dei microdanni.

Non vi sono altre vie perché ormai la speculazione sulle micropermanenti in sinistri stradali, così appena classificabili, è diventata un “sistema” inserito ed alimentato da “un mercato”

esaltato, tra l’altro, e reso appetibile vieppiù dalla certezza del conseguimento di locupletazioni favorite tra l’altro dalle vecchie e nuove ormai universali “tabelle milanesi”.

Chi riesce a “spuntare” un 2-3% di danno biologico ed una inabilità temporanea dei “soliti”

30 di totale e 20 di parziale, sicuramente porta a casa da 10 a 15 milioni di lire italiane.

Corriere della Sera del 17.3.1998, titolo:

Assicurazioni: aumentano le truffe alle Compagnie.

Testo: nel ’96 sono aumentate le truffe a danno delle Imprese di Assicurazione. Nella R.C.A. l’importo complessivo è cresciuto del 15,2% raggiungendo i 438 miliardi (dati ISVAP).

E’ una lotta impari? E’ probabile. Noi la vogliamo fare con voi e presso i Giudici di Pace senza trascurare i Pretori e i Tribunali quando quelle insane domande vengono portate presso tali Magistrature.

I mezzi? Quelli del processo civile. Le norme scritte, le vive e quelle “trascurate”

nell’ultimo trentennio.

Non intendiamo certamente in questa sede ricercare le cause remote del grave fenomeno ma non vi è dubbio che al suo nascere, alla sua lievitazione e, da ultimo, alla sua istituzionalizzazione, hanno concorso le larghe maglie offerte dal nostro sistema processuale civile.

Nel giuoco, nonostante i rigorismi offerti dalla recente riforma, il danneggiato o presunto tale non è tenuto a quantificare le sue richieste né a fornire una valutazione tecnica del danno reclamato e neppure a fornire la prova del nesso di causalità tra la lesione lamentata e l’azione colposa posta in essere dal soggetto responsabile.

E’ sufficiente, per l’introduzione della domanda, che si limiti, senza alcuno sforzo, a riferire di essere stato “toccato” dalla vettura del convenuto, e di aver “comunque” riportato un danno al mezzo e…per l’effetto…di aver subito una distorsione del rachide cervicale.

E più di tanto non deve preoccuparsi di scrivere perché al “collegamento” tra l’azione e l’evento ci pensa il C.T.U. medico legale al cui “contributo” il Giudice non può sottrarsi perché non può decidere se non ha una “certificazione” medica che avalli o escluda la pretesa risarcitoria dell’attore.

Il C.T.U. medico legale, fedele al giuramento di far conoscere al Giudice la verità, sulla base naturalmente della documentazione medica prodotta, “conferma” tutto, e nel 90% dei casi spunta l’agognato danno biologico: al più può discostarsi di un punto o anche mezzo (ne abbiamo viste troppe…) dalla valutazione del collega di parte che il danneggiato si è, naturalmente, premurato di produrre in giudizio.

Con buona pace del Prof. Farneti, luminare della medicina legale italiana, il quale nel convegno di Volterra del 1993 sulle micropermanenti, ebbe a riferire che nell’ambito di una tale tipologia di danno, esiste una certa ascientificità nelle valutazioni, in particolare per quanto riguarda la distorsione del rachide cervicale, in quanto non esistono strumenti tecnici per valutare in modo soddisfacente questo genere di lesioni.

Ed il Giudice di fronte ad una C.T.U. che “accerta”, ad esempio, un 3% di danno biologico, a fronte di un riconoscimento di colpa del convenuto danneggiante (come negare di averlo

“toccato”?) non può fare altro che…accogliere la domanda e applicando le tabelle di Milano realizzare le aspettative dell’attore.

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Tutto secondo le regole? Formalmente, forse, sì, ma non secondo le norme sostanziali, come si vedrà e come noi ci accingiamo a dimostrare.

E il convenuto? Lotta finché può e se in un primo momento cedeva, oggi non si concede più...al massacro!

La soluzione del problema della proliferazione dei danni da “colpo di frusta” nella competenza per valore dei Giudici di Pace, diretta a deflazionarla ovvero a contenerne gli effetti perversi, a nostro avviso, non può essere ricercata se non nel sistema delle regole processuali in vigore con la reviviscenza di quelle sostanziali, dettate nella materia che qui ci occupa, e da molto tempo trascurate o, se si vuole, dimenticate.

I Giudici di Pace di Milano sono stati i primi in Italia ad avvertire che qualcosa nel sistema non funzionava, quel sistema, tanto per intenderci, che li aveva portati ad accettare le domande per micropermanenti sulla sola “testimonianza” del C.T.U. medico legale.

Era il loro “ausiliare” che parlava ma alla fine, quando dovevano tradurre in sentenza le

“decisioni” del medico legale, c’era un qualcosa che “strideva”.

E la via nella quale si poteva trovare un certo sollievo fu aperta dai Giudici del Tribunale di Bologna i quali (Dott. Giovanni Artieri, relatore) con la sentenza 12.3.1996 (R.G. n. 13206/91), in un caso in cui si pretendeva il risarcimento di un danno da colpo di frusta in un tamponamento che aveva provocato un danno alla vettura, pagato con £. 540.000=, ed un danno alla persona (tassista) accertato dal CTU in corso di causa, hanno respinto la domanda sul presupposto che “nella fattispecie concreta non sussista alcuna valida prova circa il nesso causale tra le medesime (lesioni) e l’incidente per il quale è processo”.

E così argomentavano:

“Occorre considerare che le cosiddette microlesioni cervicali presentano una particolarità che le distingue da qualsiasi altro tipo di lesione, sia pure di modestissima entità: e cioè che la loro sussistenza non risulta connessa con un fattore produttivo tipico, ma anzi può facilmente derivare da attività fisiche del tutto normali, connesse ad usuali comportamenti di vita dell’individuo (…Il semplice incespicare per le scale…o anche ricevere una amichevole pacca sulle spalle). Il che comporta, come logica conseguenza, che l’accertata presenza di una microlesione cervicale in un momento successivo al verificarsi di un evento traumatico astrattamente idoneo a produrla, non può automaticamente integrare la piena prova del nesso causale; perché, invece, proprio la circostanza nota che qualsiasi individuo può facilmente essere portatore di una simile lesione, anche indipendentemente da un conclamato evento produttivo, deve indurre alla massima prudenza”.

Ed ancora, continuando:

“In altri termini occorre tenere presente che, nel caso di microlesione cervicale, il giudizio sul rapporto causa=effetto ha sempre natura semplicemente probabilistica, ma mai di certezza; sicché si impone un attento esame di tutte le circostanze del caso concreto, onde stabilire se il grado di probabilità appare sufficientemente elevato da permettere di considerare il nesso causale come provato. Sotto tale profilo, infatti, nemmeno un accertamento medico può assumere rilevanza decisiva, dal momento che il medico legale, quand’anche riscontri la presenza di una sofferenza cervicale, non è in grado di determinare con sufficiente approssimazione il momento della sua insorgenza”.

Ed infine:

“Risulta ovvio come, nel compiere l’esame sopra indicato, il primo e più importante elemento da prendere in considerazione è costituito dalla violenza del fattore traumatico,

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giacché qualora questa risulti tale da produrre, con elevato grado di probabilità, una lesione del tipo in esame, allora non pare lecito dubitare della sussistenza di idoneo nesso causale.

Nella fattispecie concreta in esame l’urto tra i due veicoli fu certamente di modestissima entità, come dimostrato dalla lievità dei danni (£. 398.000= n.d.r.).

E d’altra parte occorre anche considerare la diversa massa delle due vetture, la superiore per il taxi (vettura tamponata n.d.r.) e la sua costituzione a tre volumi, tale da consentire un primo assorbimento del colpo tramite la deformazione delle parti strutturali del baule e del cofano posteriore”.

Abbiamo voluto riportare quasi per intero il testo della sentenza del Tribunale di Bologna perché l’estensore, pur accettando il principio probabilistico, del tutto condivisibile, ha riportato alla luce il tema del nesso causale, l’asse portante del tema responsabilità, escludendo (e se ne sentiva il bisogno…) che una CTU medico legale potesse essere assunta a prova del rapporto causale.

Alle corte:

q come porsi di fronte ad una richiesta di risarcimento di un danno configurabile nella

“fenomenologia” del “colpo di frusta” o ad esso assimilabile quando il “danno” non è provato nelle forme certe ovvero non è compatibile con la tipologia dell’incidente stradale portato in giudizio?

q quali mezzi adottare nel corso del processo civile per tentare di contrastare le non sempre accettabili domande di risarcimento per microdanni?

Perché, in buona sostanza, delle due, l’una: o si paga tutto, rimanendo nel sistema o si tentano tutte le vie per isolare ed arginare il fenomeno fino a stroncarlo o, quantomeno, a decongestionare gli effetti indubbiamente perversi.

Non è certamente questa la sede per tratteggiare un sistema la cui collocazione richiederebbe la partecipazione del Giudice penale né intendiamo entrarvici per illustrarne gli aspetti e gli effetti, ma nessuno può proibirci di sottolineare come quel fenomeno si sia man mano costituito per avere gli addetti trascurato il richiamo dei princìpi sui quali si fonda, secondo il vecchio ed il nuovo codice, la proponibilità della domanda.

L’art. 2697 Cod. Civ. così recita:

ONERE DELLA PROVA:

“Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

Il contenuto di questo articolo, cardine del sistema civilistico italiano, è stato ignorato o pretermesso dai legali e “dimenticato” dal Giudice insieme all’art.115 C.P.C. (non abrogato) che, sotto un profilo fattuale, dispone che il Giudice “…deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti…”.

Se Tizio ritiene che Caio, con atto doloso o colposo (art. 2043 Cod.Civ.) abbia leso la sua persona, moralmente o materialmente (in un incidente stradale) e, quindi, ritenendosi offeso o danneggiato, intenda “far valere in giudizio” il suo diritto alla integrità morale o fisica, “deve provare i fatti” che egli porrà a fondamento della domanda con la quale ha avanzato la pretesa risarcitoria.

E nel “fatto” non è compresa solamente l’azione di danno (tamponamento o figura di sinistro analoga) ma anche e soprattutto l’effetto sulla persona, soggetto passivo del comportamento del responsabile.

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Non solo: ma agendo nell’ambito degli artt. 2043 e 2054 Cod.Civ. non deve limitarsi a provare il fatto-evento ma, condizione irrinunciabile, il nesso di causalità tra l’azione del responsabile e il danno comunque configurato e comunque rappresentato.

Deve, in altre e più semplici parole, provare che l’azione del responsabile, attraverso il tamponamento, ha inferto alla sua persona (conducente o trasportato sul mezzo non colpevole) un colpo tale (“di frusta”) da avergli provocato, di riflesso, la distorsione del rachide cervicale…con tutte le conseguenze che il medico legale successivamente accerterà e valuterà.

Il Giudice (art. 115 C.P.C.) naturalmente deve giudicare sulla fondatezza o infondatezza delle domande proposte da parte attrice, sulla base delle prove da questa dedotte e non su altro.

Fatalità ha voluto che per il raggiungimento di tali obiettivi non si sia fatto ricorso alle cosiddette prove legali (orali e documentali) ma (la consuetudine a volte prende il sopravvento) all’aiuto del medico legale il quale, nominato C.T.U., non ha mai risposto (e né lo poteva fare) alla domanda sul nesso di causalità tra azione ed evento, ma si è limitato a fornire al Magistrato ragguagli sullo stato delle conoscenze e degli accertamenti (quando possibili) non trascurando (obiettivo irrinunciabile) di pervenire comunque ad offrire una valutazione delle conseguenze di quanto “visto e costatato”.

Che poi, se, quanto “accertato” (con buona pace del Prof. Farneti) ha avuto una diversa origine, la cosa potrebbe non aver interessato l’ausiliare del Giudice teso, com’è sempre, a pervenire ad una valutazione “del danno” (ma quale?).

La tacita rivoluzione in tema di prove ha portato a risultati nefandi.

Le prove, orali e documentali, sono quelle tassativamente indicate dalla legge (prove legali) e non altre. Non sono ammessi surrogati di prova nel nostro sistema processuale.

La C.T.U. non è un mezzo di prova.

Essa (medico legale, meccanica, cinematica, contabile, ecc.) non è un mezzo di prova deducibile dalle parti sulla quale il Giudice (art. 115 C.P.C.) può fondare la sua decisione. E’

un mezzo tecnico di accertamento che potrà servire al Giudice, ove ammesso, per acquisire notizie e conoscenze su materie che non rientrano nel suo bagaglio culturale e tecnico.

Servirsi delle C.T.U. per superare la prova prevista dall’art. 2697 Cod.Civ. significa far violenza alle norme scritte e pervenire a risultati (sentenze) non condivisibili.

Ci rendiamo conto che “smontare” un meccanismo ormai entrato a torto nel sistema del processo per il caso singolo che abbiamo posto ad oggetto di questa nostra discussione non è facile.

Non è facile tornare sui principi dettati dal Codice di sostanza: il meccanismo per ottenere laute prebende in microtamponamenti con il simulacro della distorsione cervicale è ben oliato.

Perché, allora, non opporre alla C.T.U. medico legale una indagine tecnica che possa affermare o negare se a fronte di una certa azione abbia fatto seguito o meno un certo effetto?

Se non si può negare al danneggiato (o presunto tale) il diritto di chiedere ed ottenere (90%

dei casi) il ricorso al medico legale (C.T.U.) per accertare se ci sia stata la distorsione del rachide cervicale (senza alcun riferimento al nesso causale) perché (principio del contrappeso) negare al danneggiante il diritto di pretendere il ricorso ad una C.T.U. (ergonomica o biodinamica) per accertare se quell’effetto sia stato possibile? O comunque rapportabile alla tipologia dell’incidente o alle conseguenze meccaniche sul mezzo?

Noi non sappiamo, da profani, che cosa scientificamente si intenda per distorsione del rachide cervicale provocata da azione violenta esterna (colpo di frusta). Ma non possiamo non registrare, confrontando la realtà italiana con i dati riportati dalla letteratura internazionale, che il “colpo di frusta” produce invalidità permanente nel 25% dei casi nel mondo intero, mentre da noi quella percentuale sale al 90% dei casi.

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Sia ben chiaro: non intendiamo negare l’esistenza del danno a seguito di una violenza esterna. Vogliamo solamente conoscere se, a fronte di un vantato danno di tale tipo, corrisponde una adeguata forza esterna che ne possa giustificare l’insorgenza.

Per poter risalire alla ricostruzione empirica della potenzialità lesiva sul conducente dell’auto e sui passeggeri, ogni qual volta ci si trovi di fronte ad un tamponamento di lieve o lievissima entità occorre rilevare i seguenti elementi (Rel. Ing. Bruno Martini al Convegno di Volterra):

q circostanza in cui si trovava il veicolo tamponato (fermo o in movimento). Se in movimento indicarne approssimativamente la velocità;

q tipo e massa del veicolo tamponante;

q tipo e massa del veicolo tamponato;

q loro identificazione per numero di targa;

q profondità della deformazione impressa al veicolo tamponato nella direzione d’urto;

q angolazione della linea d’urto rispetto al piano longitudinale del veicolo tamponato;

q illustrazione fotografica, possibilmente nelle diverse angolazioni, del danno subito dal veicolo tamponato.

Ad un effetto (presunto) X deve corrispondere una forza Y. Se una tale naturale corrispondenza non c’è, l’effetto danno non esiste e se viene lamentato o preteso ci troviamo di fronte ad un falso (e quindi ad un tentativo di truffa) ovvero al tentativo di introdurre nel processo una domanda per un danno che ha avuto altra e diversa origine.

Se la C.T.U., allora, come si è detto, non è un mezzo di prova disponibile dalle parti ma un mezzo di accertamento tecnico-scientifico, per consentire al Giudice di acquisire conoscenze non di sua competenza, perché non utilizzarla per accertare se esiste o meno, nei casi in esame, quella corrispondenza tra forza esterna e danno?.

Il punto di partenza esiste: la traccia dell’urto (fanalino rotto o incrinato, leggera ammaccatura ecc.) che deve essere, ovviamente, evidenziata e portata alla diretta conoscenza del giudicante.

Ed al C.T.U. si chiederà:

q la leggera ammaccatura (appena visibile e riparabile con una spesa di 100 e 200 mila lire, IVA e manodopera comprese) su, per esempio, una Mercedes di peso X, da parte, ad esempio, di una Panda, di peso Y (inferiore), da quale forza può essere stata provocata?

q ed una volta accertata tale forza (che avrà una misura) può questa forza aver inferto alla Mercedes (sempre nell’esempio di prima) una percussione tale da provocare nell’occupante un contraccolpo (colpo di frusta) da incrinargli la regione sub-occipitale?

La competenza per valore del Giudice di Pace per danni da circolazione stradale è di

£.30.000.000.

La risoluzione del problema che qui abbiamo succintamente trattato non può essere di altra magistratura.

Compete al Giudice di Pace ricercare delle soluzioni che siano conformi a giustizia e che impediscano il proliferare di situazioni non più tollerabili sia dal punto di vista giuridico- processuale che da quello socio-economico.

E il 1997 è stato l’anno della svolta.

Il Giudice di Pace di Bologna Dott. Valentino Possenti con sentenza 5.5.1997 (danno macchina £. 500.876=; colpo di frusta denunciato con 5% di biologico oltre a inabilità temporanea) respingeva la domanda dell’attore e dopo aver disposto per una CTU medico- legale e per una CTU ergonomica così motivava:

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“L’attore è tenuto, ex art. 2697, a dimostrare il rapporto di causalità tra l’evento fatto illecito ed il danno lamentato alle cose e alla persona, con l’onere di sopportare le cause ignote, senza la prova del nesso eziologico non può avere alcun risarcimento”.

“Per i danni alla persona derivanti da incidenti stradali, specie nel caso delle cosiddette micropermanenti, tale prova risulta spesso difficoltosa, ma tale difficoltà non può certo portare il Giudice ad accettare o a decidere in base alla inversione dell’onere della prova”.

E sulla C.T.U. medico-legale:

“non può essere considerata prova la C.T.U. che riconosce nell’attore una invalidità permanente del 5% e neppure tutta la serie di fatti dimostrati ed innegabili che sono seguiti al tamponamento e chiariti durante l’istruttoria”.

E le ragioni le esplicita oltre quando a commento della C.T.U. medico legale del Dr. Notari rileva:

“La CTU del Dr. Notari, poi, sulla scorta dei dati raccolti e unitamente considerati, dà il colpo di grazia alla tesi attorea; infatti, non ritiene possibile (parole di Notari) esprimere un giudizio sul nesso di causalità in termini di certezza”.

E sulla stessa linea si mosse il Giudice di Pace di Bologna Dott. Flavio Roversi con la sentenza n. 695/97 del 2.6.1997. Anche qui: danno macchina da tamponamento £. 537.318=.

Danno alla persona: biologico 5%, ITT 30 giorni, ITP 20 giorni. Domanda respinta per le lesioni perché dopo la CTU medico legale e quella ergonomica l’attrice non ha raggiunto la prova del nesso eziologico tra l’azione del responsabile tamponante e il danno lamentato.

Il Giudice di Pace di Milano, Sez. IX civile, Dott. Francesco Marra, con la sentenza n. 5590 del 7 ottobre 1997 (danno macchina £. 730.981, danno alla persona richiesto con permanente e temporanea), dopo aver fatto espletare sia la CTU ergonomica che quella medico legale, accoglieva solo in parte la richiesta di parte attrice (per la inabilità temporanea) sul duplice presupposto che il medico aveva escluso la permanente sulla base di quanto espresso dal CTU ergonomico. Anzi il Giudice rilevava come "la relazione ergonomica del CTU non è per niente incerta e dubitativa, come sostiene l’attrice. Il CTU riferisce di non poter dare una risposta rigorosamente scientifica desunta dalla applicazione di un modello astrattamente elaborato in base a tutti i dati necessari, che nel caso in esame mancano; ma sulla scorta di coerenti considerazioni di tipo qualitativo, intorno agli elementi disponibili, conclude che si è trattato di tamponamento di scarsa entità e pertanto non atto a provocare traumi con postumi permanenti sull’occupante del veicolo tamponato.

Conclusione del tutto concordante con quella del CTU medico legale, secondo cui non sussistono postumi permanenti a carico dell’attrice”.

Il Dott. Mario Cosentino, Giudice di Pace di Milano, con la sentenza n. 6806 del 21.11.1997, ha, crediamo, fissato un punto fermo nella vasta problematica delle micropermanenti in microtamponamenti.

Qui i colpiti nella cervicale erano due: madre e figlio, entrambi con lamentati danni biologici con un danno alla vettura tamponata di £. 70.000!

Il Giudice Cosentino, con rigore giuridico, ha voluto capire, entrando in tutti gli aspetti che il caso (del tutto emblematico ma ormai di scuola) presentava, “...rivelandosi le lesioni conclamate, almeno in prima considerazione, manifestamente non compatibili con la lievità del tamponamento subito dagli attori, desumibile dalla notevole esiguità dei danni materiali riportati dai veicoli coinvolti…”.

E così concludeva: “…Stante dunque l’accertata totale assenza di nesso di causalità determinante tra le lesioni denunciate ed il fatto sinistro narrato, lesioni quindi pretese ma rimaste prive di riscontri sul piano probatorio...” respingeva tutte le domande dopo che aveva ottenuto dai due CTU, medico ed ergonomico, la conferma della infondatezza delle pretese degli attori.

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E sembra a noi doveroso sottolineare il fatto che il Giudice Cosentino ha voluto riconoscere l’opera preziosa del tecnico ergonomico quando, con brevi e semplici parole, ne ha sottolineato

“il rigore scientifico” con il quale “ha escluso che le sollecitazioni ricevute dagli attori in conseguenza del patito urto sul posteriore del loro autoveicolo, così come accertato, possano aver prodotto ai medesimi danni fisici (con postumi permanenti e/o inabilità temporanea totale o parziale).”

Esiste, ed in che proporzione, un rapporto, sempre nel tema che qui ci interessa, tra la C.T.U.

medico-legale e quella ergonomica? Noi riteniamo che un rapporto o un’altra qualsiasi relazione, anche temporale, non vi sia o, se si vuole, non vi possa essere perché agli effetti probatori la seconda esclude la prima.

Se è vero, com’è vero, che con la C.T.U. medico-legale si intende accertare se una lesione, comunque conseguita, possa aver determinato a carico del leso, una certa invalidità, e se è vero, com’è vero, che con la C.T.U. ergonomica si vuole conoscere se l’azione meccanica del danneggiante (o presunto tale) possa aver cagionato (nesso causale) l’evento lamentato (con tutte le ormai… “naturali conseguenze”) non si vede a quale titolo le conclusioni del tecnico ergonomico possano essere connesse a quelle del medico legale o, addirittura, poste come condizione per il ricorso a quest’ultimo.

La valutazione del medico legale, in sede di consulenza d’ufficio, non sempre può essere richiesta se, in prima battuta, il Giudice ha la certezza fisico-matematica che l’evento di danno lamentato non può essersi determinato sulla base delle conseguenze oggettive portate in giudizio dal soggetto contro il quale è stata proposta la domanda di risarcimento.

Se il nesso di causalità è escluso dall’accertamento tecnico il ricorso al medico legale appare del tutto superfluo e, in una certa misura, molto oneroso per le parti processuali.

Vi si potrà ricorrere, a nostro avviso, solo quando le conclusioni del tecnico ergonomico non sono certe ed accettabili oppure lasciano aperta ogni altra eventualità.

E’ vero che la C.T.U. medico-legale non potrà dare risposte sufficienti sul nesso di causalità, per le ragioni sopra esposte e chiaramente illustrate dal Tribunale di Bologna, ma è materiale in più che il Giudice, peritus peritorum, potrà utilizzare nella sua decisione.

Spesso accade che il Giudice ricorra al medico legale anche quando dal tecnico ergonomico ha avuto risposte più che plausibili sul punto focale del quesito: un tale atteggiamento non può che essere apprezzabile perché costituisce una garanzia maggiore sull’equità del giudizio.

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