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L’appello “irrinunciabile”, in difesa del doppio grado di giudizio. Inaugurazione anno giudiziario 2020 dei penalisti italiani

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22 febbraio 2020

L’appello “irrinunciabile”, in difesa del doppio grado di giudizio. Inaugurazione anno giudiziario 2020 dei penalisti italiani

Intervento del Vice Presidente del CSM David Ermini

Saluto tutti i presenti e ringrazio l’Unione delle camere penali per l’invito a questo convegno di inaugurazione dell’anno giudiziario. Mi dà l’occasione, sollecitato dai temi al centro della vostra iniziativa, di svolgere alcune riflessioni che vorrei condividere con voi.

1. Giusto dieci giorni fa, in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio, al Csm abbiamo ricordato la figura di Vittorio Bachelet, mio lontano ma indimenticato predecessore alla vicepresidenza. Mi piace ricordare Bachelet anche in questa occasione non solo perché, in quei tempi cruenti di terrorismo e leggi speciali, difese sempre le regole dello Stato di diritto e i principi costituzionali, ma soprattutto per lo passione spesa nel superare la crisi della giustizia a favore di una larga e condivisa azione riformatrice: “A difesa della libertà di tutti e soprattutto dei diritti dei più deboli – diceva – non potrà non esserci un comune impegno di tutte le forze sociali e politiche per avere leggi sempre più giuste”.

Seguire l’esempio di Bachelet vuol dire anzitutto condividere l’idea che il significato vero e profondo della democrazia lo si coglie esclusivamente, per usare ancora le sue parole – nella “tutela dei diritti faticosamente conquistati”, la sola e unica via “per una maggiore giustizia nella società”.

2. La tutela dei diritti fondamentali è veramente il fine ultimo della giurisdizione, l’unica via della giustizia. Questa tutela implica una magistratura libera, autonoma e indipendente, poiché solo grazie all’indipendenza la funzione giurisdizionale può essere svolta in modo imparziale e da una posizione di terzietà ed equidistanza dai confliggenti interessi in giuoco. Ma implica allo stesso tempo una avvocatura altrettanto libera, indipendente e autonoma poiché – come ricordava Piero Calamandrei – “solo là dove gli avvocati sono indipendenti, i giudici possono essere imparziali;

solo là dove gli avvocati sono rispettati, sono onorati i giudici; e dove si scredita l’avvocatura, colpita per prima è la dignità dei magistrati, e resa assai più difficile e angosciosa la loro missione di giustizia”.

Ma se magistrati, avvocati e accademici sono i coprotagonisti e partecipano su un piano di parità alla funzione giurisdizionale, io ritengo – l’ho già detto all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Corte di cassazione e lo voglio ripetere qui – che nella comune battaglia a difesa della giurisdizione quale fondamento del sistema democratico e di giustizia non vi possano essere divisioni tra le diverse categorie di operatori del diritto, la cui reciproca legittimazione è presupposto indispensabile del contributo di ciascuna all’attuazione dei principi e delle garanzie stabilite dalla Costituzione.

3. Io resto fermo su questo punto. Viviamo gli anni della ‘retrotopia’, come diceva il sociologo Zygmunt Bauman: “Abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso”. Anni in cui il rischio di derive regressive per quello che riguarda diritti e giurisdizione non è affatto teorico. Il populismo è un fenomeno che ha ormai un radicamento forte a livello europeo e nel nostro Paese e il suo tratto peculiare sta proprio in una certa impazienza nei confronti delle regole e delle formalità del diritto.

La Polonia, in tal senso, è un caso di scuola per quello che riguarda il funzionamento istituzionalizzato del populismo, che è sostanzialmente il primato dell’oligarchia al governo, autoproclamatasi interprete della volontà generale, sulla legislazione costituzionale e ordinaria. Un caso assai preoccupante alla luce dell’approvazione recente della legge che incide pesantemente sul potere giudiziario. Ma ci sono anche Romania e Ungheria. C’è poi la Turchia, il cui dossier di

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adesione all’Unione europea è ancora aperto, paese dove molti giudici e avvocati hanno visto lesa o messa in pericolo la loro libertà personale.

Dico questo per ricordare che non abbiamo di fronte un fenomeno passeggero né un fenomeno circoscritto e limitato, ma un fenomeno centrale nella crisi che stanno vivendo le democrazie liberali. E’ un dato di fatto su cui non si può glissare nel momento in cui al populismo penale si oppongono le regioni del diritto. Così come è un dato di fatto che i ritardi della giustizia e i processi inevasi ingenerano sfiducia e animano nei cittadini sentimenti di rabbia e vendetta che sono il miglior carburante per politiche giudiziarie più attente al consenso che ai diritti.

4. Sapete bene che ho sempre considerato un azzardo e un errore, nonché una lesione del principio della ragionevole durata, modificare la disciplina della prescrizione al di fuori e prima ancora di interventi organici e sistematici di riforma, come se la minaccia di un giudizio senza fine possa taumaturgicamente deflazionare e accelerare i processi. Ora c’è un disegno di legge delega licenziato dal consiglio dei ministri che contiene misure di efficienza. Il Csm, quando sarà investito del parere, esprimerà le sue valutazioni e dunque, per quanto mi riguarda, al momento mi astengo dal dare giudizi.

E però, ritengo che il codice Vassalli debba effettivamente essere sottoposto a un tagliando, ma ritengo anche che la giustizia penale imponga una riforma più complessiva, che adegui sì il codice di rito ma nello stesso tempo metta mano anche al codice sostanziale procedendo a un’ampia depenalizzazione. Abbiamo troppe norme penali e troppe norme spesso senza sanzioni realmente efficaci ed effettive. Una forte depenalizzazione – e credo che su ciò vi sia un larghissimo accordo tra i tecnici e gli operatori del diritto – potrebbe davvero sgravare procure e tribunali di un’infinità di “microprocessi” dando così modo di concentrarsi sui reati contro la persona e il patrimonio, sui reati economici e su altri reati gravi.

E poi bisognerebbe riportare il rito accusatorio alla sua vera natura, puntando con più decisione e incentivando senza timidezza i riti alternativi; bisognerebbe razionalizzare e rendere più celeri le fasi pur senza intaccarne la struttura; bisognerebbe intervenire sull’udienza preliminare in modo da renderla effettivamente udienza-filtro. Soprattutto, anche se al riguardo va riconosciuto un maggior impegno rispetto al passato, bisognerebbe investire di più nella macchina della giustizia.

Insomma, più depenalizzazione, più patteggiamenti, più strumenti e risorse per decongestionare il processo riportandolo sui binari di una giustizia celere e giusta.

5. Ma tutto ciò implica che la giustizia non sia più terreno di scontro politico. Implica quel “comune impegno di tutte le forze sociali e politiche” che auspicava ai suoi tempi Vittorio Bachelet. I cittadini devono poter contare su procedimenti brevi e giusti e sul rispetto dei loro diritti. In questi giorni, in diverse interviste, ho invitato i partiti ad abbandonare rivalse, veti, ricatti e ultimatum perché sono convinto che nella tutela della giurisdizione e dei valori costituzionali tutti debbano stare dalla stessa parte. La politica potrà riconquistare la primazia nella guida della società solo attraverso riforme armoniche e condivise, non inseguendo gli umori della piazza o legiferando con norme spot e di corto respiro.

Ma lo stesso invito alla collaborazione mi sento di rivolgerlo a tutti gli attori della giurisdizione, avamposto di frontiera nella promozione e difesa dei valori fondanti la società democratica. Nel clima di questi nostri tempi, se è vero che il populismo sul piano penale minaccia la cultura dei diritti e delle garanzie, mi appaiono dannosi ancor più che sterili arroccamenti corporativi, contrapposizioni di principio o polemiche forzate.

“Come la loro storia ci dice, i diritti – scriveva Stefano Rodotà – non sono mai acquisiti una volta per tutte. Sono sempre insidiati, a rischio. La loro non è mai una vicenda pacificata. I diritti diventano così, essi stessi, strumenti della lotta per i diritti”. Le mura della Costituzione sono fortunatamente solide e l’argine della Corte costituzionale (come si evince dalla bella intervista alla presidente Marta Cartabia) è saldo, ma la ‘lotta per i diritti’ e la difesa del giusto processo e della giurisdizione è la vera sfida che chiama a raccolta tutti i giuristi e impone un impegno pragmatico e 2

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un dialogo costante tra magistratura e avvocatura. Senza divisioni e contrasti, perché l’obiettivo è comune, ed è quello di riconquistare la fiducia dei cittadini nella giustizia.

Ringraziandovi per l’attenzione, auguro buon anno giudiziario a tutti.

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