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INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2013

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2013

INTERVENTI DEI RAPPRESENTANTI

DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

VICEPRESIDENTE MICHELE VIETTI………9

INTERVENTI DEI CONSIGLIERI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

CORTE D’APPELLO DI ANCONA

CONSIGLIERE PAOLO AURIEMMA ... 17

CORTE D’APPELLO DI BARI

CONSIGLIERE ANGELANTONIO RACANELLI ... 33

CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA

CONSIGLIERE NICOLÒ ZANON ... 43

CORTE D’APPELLO DI BRESCIA

CONSIGLIERE PAOLO CORDER ... 53

CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

CONSIGLIERE FRANCESCO VIGORITO ... 73

CORTE D’APPELLO DI CALTANISSETTA

CONSIGLIERE BARTOLOMEO ROMANO ... 83

CORTE D’APPELLO DI CATANIA

CONSIGLIERE GIOVANNA DI ROSA... 91

CORTE D’APPELLO DI FIRENZE

CONSIGLIERE ANNIBALE MARINI... 103

CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA

CONSIGLIERE ANIELLO NAPPI ... 109

CORTE D’APPELLO DI LECCE

CONSIGLIERE GIUSEPPINA CASELLA... 115

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4

CORTE D’APPELLO DI MESSINA

CONSIGLIERE TOMMASO VIRGA... 127 CORTE D’APPELLO DI MILANO

CONSIGLIERE VITTORIO BORRACCETTI ... 139

CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

CONSIGLIERE ALESSANDRO PEPE ... 151

CORTE D’APPELLO DI PALERMO

CONSIGLIERE FRANCESCO CASSANO... 165

CORTE D’APPELLO DI POTENZA

CONSIGLIERE ALBERTO LIGUORI ... 175 CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA

CONSIGLIERE MARIANO SCIACCA... 195

CORTE D’APPELLO DI ROMA

CONSIGLIERE RICCARDO FUZIO... 209

CORTE D’APPELLO DI TORINO

CONSIGLIERE ROBERTO ROSSI ... 219

CORTE D’APPELLO DI TRENTO

CONSIGLIERE PAOLO ENRICO CARFÌ ... 229

CORTE D'APPELLO DI VENEZIA

CONSIGLIERE FILIBERTO PALUMBO ... 239

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INTERVENTI DEL VICE SEGRETARIO GENERALE, DEI MAGISTRATI DELL'UFFICIO STUDI E

DEI MAGISTRATI SEGRETARI

CORTE D’APPELLO DI GENOVA

VICE SEGRETARIO GENERALE MARCO PATARNELLO... 251

CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO MAGISTRATO UFFICIO STUDI FULVIO TRONCONE

CORTE D’APPELLO DI CATANZARO MAGISTRATO UFFICIO STUDI GABRIELE FIORENTINO

CORTE D’APPELLO DI SALERNO MAGISTRATO UFFICIO STUDI STEFANO ERBANI

CORTE D’APPELLO DI TRIESTE

MAGISTRATO UFFICIO STUDI ALESSANDRO D’ANDREA…...…261 CORTE D’APPELLO DI PERUGIA

MAGISTRATO SEGRETARIO GRAZIA MICCOLI. ... 271

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

INTERVENTO DEL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA

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INTERVENTO DEL VICE PRESIDENTE MICHELE VIETTI ALL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO 2013

ROMA, 25 GENNAIO 2013

Signor Presidente della Repubblica, Eminenza rev.ma,

Signor Presidente del Senato, Signor Presidente della Camera, Signor Ministro della Giustizia,

Signor Rappresentante della Corte Costituzionale, Signori Ministri,

Signor Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Signor Presidente della Corte di Cassazione,

Signor Procuratore Generale, Signor Avvocato generale,

Signor Presidente del Consiglio nazionale forense, Signori Magistrati,

Autorità,

Signore e Signori

Come il Presidente Lupo, per la terza volta ho l'onore di rappresentare il Consiglio Superiore della Magistratura alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario.

Nella prima ho svolto alcune considerazioni circa lo stato complessivo della giustizia nel nostro paese, evidenziando come esistano realtà che, al

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netto delle generali difficoltà finanziarie ed organizzative comuni a tutti gli uffici giudiziari, riescono tuttavia a garantire un servizio efficiente ai cittadini.

Lo scorso anno ho ragionato delle zavorre che impediscono alla macchina giudiziaria di procedere con celerità, evidenziando cosa "non potevamo più permetterci".

Debbo dare atto al governo Monti, ed al ministro Severino in particolare, di aver realizzato significativi passi per un'inversione di rotta.

La revisione delle circoscrizioni giudiziarie - scampata anche a recenti insidie parlamentari e che dovrà vedere il suo necessario completamento con la revisione delle piante organiche attualmente all'esame del Consiglio Superiore - costituisce l'archetipo della nuova filosofia che deve, a mio parere, accompagnare anche i futuri interventi legislativi: privilegiare nella magistratura la prospettiva del servizio rispetto a quella del potere; anteporre le esigenze di efficienza del sistema alle prerogative dello status.

Analogamente va salutata con favore la c.d. legge anticorruzione, che finalmente adegua, soprattutto sul versante della prevenzione, la legislazione italiana agli standard europei e consente al nostro Paese di adempiere ad obblighi internazionali da tempo sottoscritti.

Con uguale favore va giudicata l'introduzione dei tribunali per le imprese, che rispondono all'obiettivo di garantire all'utenza una risposta più specializzata, più prevedibile e quindi più celere.

Nell'ottica di assicurare efficaci strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, capaci di deflazionare l'insostenibile domanda di giustizia ordinaria, l'obbligatorietà della mediazione e' un principio da non abbandonare, pur nel rispetto della pronuncia della Corte costituzionale.

Il ricorso alla giustizia togata non può essere l'unica via di risoluzione del contenzioso: in paesi altrettanto civili l'attività di conciliazione

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stragiudiziale assorbe gran parte del ceto forense, con risultati appaganti sia per lo Stato, sia per i professionisti, sia per i loro clienti.

L'introduzione del filtro nell'appello civile, con qualche margine di miglioramento, corrisponde all'idea secondo cui non possiamo più permetterci tre gradi di giudizio per ogni controversia, a prescindere dalla sua natura e dal suo valore.

Ma credo che l'inaugurazione dell'anno giudiziario, per non essere rituale, debba consentire di volgere il capo non verso il passato ma soprattutto verso il futuro. L'anno che inauguriamo vedrà un rinnovamento profondo della politica italiana.

La centralità mediatica dello scontro tra politica e giustizia sembra, negli ultimi tempi, meno pronunciata, ancorché non manchino censurabili recrudescenze.

Antiche giaculatorie di persecuzioni hanno finito per imboccare il discendente declivio della noia.

La dimensione finalmente tecnica dell’approccio ai temi della giustizia ha svelato la faccia della luna sin qui in ombra: la giustizia come fattore di produzione e infrastruttura essenziale per il rating economico e morale di una nazione rispetto al resto del mondo.

Della giurisdizione sono così stati valorizzati profili che il clamore dello scontro aveva fatalmente occultato: il dato organizzativo; la valutazione dell’impatto della giurisdizione sul mercato; l’attenzione all’efficienza; la necessità di seri meccanismi che favoriscano prevedibilità e stabilità delle regole praticate.

Insomma, con un pizzico di speranza nella provvidenza e con una consapevole e misurata dose di ottimismo della volontà, mi pare si possa affermare che ci troviamo all’alba di un giorno nuovo: quello nel quale si possa immaginare di chiedere alla classe politica indicata dal voto popolare,

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un impegno straordinario in favore della giustizia e un'attenzione operosa alla quotidiana funzionalità della macchina e alla sua efficienza.

Questo appello non sollecita riforme epocali, frutto spesso di narcisismo legislativo, né spinge verso improbabili panacee. Richiede due fattori essenziali: dialogo e competenza.

Il dialogo: immaginare che esista la possibilità di condurre a termine un processo di rinnovamento di qualsiasi settore senza il concorso di tutti i protagonisti di quel mondo e senza gli stakeholder che ne popolano il contesto, è operazione fatalmente miope.

Ciò è particolarmente vero proprio con riguardo alla giustizia, dove l’interesse particolare dei singoli non può non essere coniugato con quello superiore della collettività e trovare in questo misura e proporzione. Per la giustizia non si possono aprire tavoli di contrattazione perché nessuno ha la disponibilità dell’interesse che è in gioco; ciascuno, però, è chiamato a dare la propria interpretazione dell’interesse comune; ciascuno a fornire la propria prospettiva; ciascuno a spiegare il proprio ruolo in un contesto più ampio che lo trascende. La giustizia, come pochi altri grandi temi del vivere civile, si nutre di pluralità ed unità, di concorso necessario di fattori diversi. E di qui, dunque, l’essenzialità dell’apporto di tutti.

Ma, per rendere possibile il dialogo, è necessario che gli interlocutori posseggano anche la dote della competenza.

Il passaggio dalla stagione dei tecnici al ritorno della politica deve mantenere, anche rispetto al mondo giudiziario, quella cognizione di causa che, sola, può attribuire autorevolezza e credibilità, indispensabili per por mano alle riforme. Ciò vuol dire mantenere anche quello stile «istituzionale»

che, come ha esemplarmente dimostrato in questo settennato il Presidente Napolitano, fa sempre prevalere l'interesse generale rispetto ai ruoli personali.

Questo e' il metodo.

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Quanto al merito mi limito a suggerire alla politica, nel pieno rispetto della sua autonomia, un decalogo, senza presunzione di accostamenti biblici.

1) riforma delle misure alternative alla detenzione, per ridurre l'inumano sovraffollamento carcerario, appena censurato anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

2) riforma della prescrizione, oggi strumento di elusione del giudicato e incentivo alla dilatazione dei tempi processuali.

3) riforma dei riti processuali civili e penali, da rigidi percorsi ad ostacoli a flessibili strumenti di accertamento dei diritti.

4) riforma delle impugnazioni, da figure a parallelepipedo ripetitivo a piramide selettiva.

5) riforma degli istituti societari che consentono la provvista per la corruttela.

6) riforma delle intercettazioni tutelando le istituzioni - come ci ha insegnato la Corte costituzionale - e insieme lo strumento investigativo, i terzi estranei e la libertà di informazione.

7) riforma della magistratura onoraria.

8) riforma delle giurisdizioni, equiparandone le garanzie di autonomia e di indipendenza.

9) riforma della responsabilità civile dei magistrati, facendone uno strumento efficace di tutela dei cittadini, senza tentazioni punitive.

10) riforma del sistema delle incompatibilità per i magistrati che si candidano, per garantire l'imparzialita' dell'istituzione.

Le riforme competono alla politica.

La magistratura deve avere dal canto suo la capacità, la forza e la lungimiranza, di sentirsi attribuita per intero e senza limitazioni la responsabilità della giurisdizione, nel contesto della imprescindibile integrazione dell'ordinamento nazionale con quello europeo e nella

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consapevolezza che l'applicazione delle norme non può mai risolversi in una violazione dei diritti fondamentali della persona.

La giurisdizione è la casa in cui abita il Giudice: né può egli limitarsi a chiedere che altri vi faccia ordine; né può sempre dolersi del numero delle visite.

La magistratura sappia e voglia continuare con coraggio sulla strada del cambiamento.

Adottare regole più severe nella valutazione dell’impegno individuale;

punire senza compromessi o cedimenti comportamenti opportunistici;

premiare le differenze, senza l’indulgenza generalizzata che appiattisce;

rendere il merito percezione di buon senso e non solo il frutto di alambicchi matematici; cancellare le appartenenze come elemento di differenza tra le persone; richiedere sempre professionalità e competenza, sobrietà e rigore morale: e' quello che il Primo Presidente ha chiamato "l'etica della responsabilità", riferita alla dimensione dei doveri.

Questi sono i punti di una ritrovata maturità di un mondo finalmente consapevole del proprio alto ufficio e della propria insostituibilità, ma anche conscio che il proprio maggior tesoro, la propria essenza, la propria fonte di legittimazione è, e resta, l’autorevolezza del corpo e la credibilità dei propri membri.

In questo laico sacerdozio a servizio della legalità, il vulnus di uno propaga le proprie ombre su tutti.

La magistratura deve trovare formule che sappiano renderla sempre più protagonista della vita collettiva a servizio della legalità.

Nella generale consapevolezza che, come ci ricorda S. Agostino nel De Civitate Dei: «Remota iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?»

(Togliete il diritto e che cosa resterà a distinguere lo Stato da una grossa banda di briganti?)

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INTERVENTI DEI CONSIGLIERI PRESSO LE

CORTI D’APPELLO

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CORTE D’APPELLO DI ANCONA

INTERVENTO DEL CONSIGLIERE PAOLO AURIEMMA

1. Introduzione e saluti

Rivolgo a Lei, signor Presidente, al signor Procuratore Generale, ai Magistrati della Corte e della Procura Generale, ai signori Avvocati, alle Autorità e a tutti i presenti il saluto, cordiale, del C.S.M. che ho l’onore di rappresentare.

Il Presidente della Corte di Appello ha riferito in modo ampio e completo sullo stato dell'amministrazione della Giustizia, con particolare riferimento alla situazione del distretto. Ritengo fosse nelle intenzioni del Legislatore, e certamente in quelle dei partecipanti, far sì che detta cerimonia non si riduca ad un rituale stancamente ripetuto ogni anno, nel quale, ci si limiti ad elencare lamentele e ad enunciare petizioni di principio spesso irrealizzabili, in quanto poco calate nella realtà quotidiana del Paese soprattutto tenuto conto della situazione specifica dell’amministrazione della Giustizia.

Il C.S.M. ha, invece, inteso la cerimonia come un momento nel quale si registra la possibilità di informare la collettività sul modo nel quale la Giustizia è amministrata, dei risultati raggiunti e delle difficoltà incontrate nell’esercizio quotidiano della giurisdizione.

In questa prospettiva, si deve cogliere l’occasione di un momento di pubblico dibattito e di pacato confronto fra magistrati, avvocati ed esponenti delle istituzioni sui complessi temi della Giustizia.

In tale contesto ritengo debba inserirsi il contributo di riflessione del

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della c.d. funzione di amministrazione della giurisdizione, che si propone di richiamare alla vostra attenzione non soltanto i profili di indubbia difficoltà registratisi nell'amministrazione della Giustizia, ma anche le positive azioni adottate per superare le indubbie sofferenze del sistema.

E’ stata, come di consuetudine, redatta una relazione sull’operato del Consiglio nell’anno 2012, nel corpo della quale è effettuata un’analisi approfondita dei diversi campi dell’intervento consiliare in relazione ai molteplici profili dell’attività giudiziaria.

Pare opportuno, peraltro, segnalare alcuni temi di particolare rilievo, in relazione ai quali, alla registrazione della sussistenza di una grave crisi ed alla richiesta di decisi interventi da parte degli altri Organi dello Stato, si accompagna l’offerta di una piena collaborazione e di una completa assunzione delle responsabilità da parte del governo autonomo della magistratura, nelle sue diverse articolazioni, e dei magistrati tutti.

2. La riforma dell’organizzazione territoriale degli uffici giudiziari e del personale.

Deve, anzitutto, segnalarsi, nell’ambito della funzione di stimolo esercitata dal CSM per l’avvio ed il completamento del processo riformatore sui temi dell’ordinamento giudiziario e sui principali temi del funzionamento della giustizia, la riforma della allocazione territoriale degli uffici del Giudice di Pace, attuata con il d.lgs. n. 156/2012, come pure la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, prevista dalla legge delega n. 148/2011 ed attuata con il d.lgs. n. 190/2012.

La questione, invero annosa, della miglior distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, degli organici dei magistrati e del personale amministrativo, e quella dell'informatizzazione degli uffici giudiziari, determina un effetto diretto sulle stesse attribuzioni del Consiglio che risultano, in sostanza, vanificate ove il sistema giudiziario non sia messo in

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grado di fornire una risposta tempestiva ed effettiva alla domanda di Giustizia, nel rispetto del principio costituzionale, proprio anche del diritto internazionale, della durata ragionevole del processo.

La restituzione dell’efficienza e della credibilità al “servizio Giustizia”

è l’obiettivo e l’auspicio, in primo luogo, della magistratura, che in tale direzione si è sempre impegnata, e rinnova in questa sede, a partire dal Consiglio, tale impegno.

Un’analoga assunzione di impegno concreto si chiede al Ministro della Giustizia, nostro interlocutore diretto, e, per suo tramite, al Governo e al Parlamento.

Invero, la richiesta di una maggiore produttività degli uffici giudiziari e dei magistrati italiani appare difficilmente riscontrabile, come reso evidente dai dati nazionali delle definizioni dei procedimenti e dalla stessa comparazione operata da autorevoli organismi europei con i dati degli altri Paesi. Risulta, infatti, in sostanza, un’ottima produttività dei magistrati italiani, pur a fronte di un ridotto “tasso di liquidazione dell’arretrato”. Tale arretrato, pertanto, deve farsi risalire in via principale alle “disfunzioni di sistema” dell’organizzazione giudiziaria.

Occorre, in tale prospettiva, pur non eludendo la necessità di assicurare il mantenimento degli attuali livelli di produttività dei magistrati, affrontare alcuni snodi fondamentali dell’organizzazione giudiziaria, senza accedere alla logica degli interventi urgenti ed emergenziali, cercando e realizzando, quindi, soluzioni strutturali, organiche e definitive, in un’ottica di complessiva razionalizzazione del sistema.

E’, ad esempio, un fatto oramai a tutti noto che l’attuale dislocazione sul territorio degli uffici giudiziari e del personale di magistratura ed amministrativo sia storicamente superata e sostanzialmente inefficace, perché

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L’assetto delle circoscrizioni giudiziarie come sino ad ora le conosciamo risale, d’altro canto, alla legge Rattazzi del 1875 ed è giunto sostanzialmente immutato fino a noi.

Deve, peraltro, darsi atto che con una scelta coraggiosa,– ed anche grazie alle istanze che hanno trovato un idoneo riscontro in sede consiliare ed una notevole sollecitazione nella magistratura associata, il Parlamento ha promulgato la legge delega che ha permesso di determinare una nuova dislocazione degli Uffici giudiziari sul territorio nazionale.

Sebbene la delega sia stata esercitata tra notevoli difficoltà, e nonostante possano formularsi alcune obiezioni circa le scelte effettuate dal Ministero con riferimento ai Tribunali, alle Procure ed agli Uffici del Giudice pace da sopprimere, il giudizio su tale intervento non può che essere, complessivamente, positivo.

Si tratta ora, di procedere oltre, riorganizzando le piante organiche, al fine di procedere al definitivo superamento di una struttura organizzativa oramai inefficiente, che trova tuttavia ancora molti soggetti interessati alla sua difesa.

Vi è l’opportunità di far sì, in un Paese che non ha meno magistrati di quanti ne abbia, proporzionalmente, la media dei paesi europei, che sia previsto un impiego più razionale del personale di magistratura, favorendo la specializzazione e la migliore e più efficiente organizzazione degli uffici.

Oltre un secolo è trascorso prima di giungere a questo risultato.

Molti cambiamenti si sono registrati in questo arco temporale nei settori dell’economia, della tecnologia e dell’ordine sociale e culturale del Paese.

Si è consci che la riorganizzazione degli uffici sul territorio non è la soluzione definitiva ai problemi della giustizia; molteplici sono i fattori che determinano tali problemi, dai carichi di lavoro, al sottodimensionamento delle piante organiche del personale amministrativo, ai codici di rito farraginosi e novellati secondo criteri emergenziali non armonizzati in

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sistema, al numero degli avvocati largamente superiore ad ogni media europea.

Tuttavia, non può negarsi che un passo importante sia stato fatto verso la maggiore efficienza del sistema giudiziario, sì da poter, al contempo, affermare che tale intervento costituisce un contributo rilevante alla funzionalità complessiva della giurisdizione.

Occorrerà, tuttavia, lavorare ancora a fondo sull'organizzazione , affrontando, ed in questo il Consiglio sarà in prima linea, la revisione delle piante organiche dei singoli uffici, con la consapevolezza che un errore in tale materia potrebbe rendere meno efficiente il complessivo intervento di riordino.

Per tale ragione il CSM eserciterà la massima attenzione sulla materia, fornendo, nell’esercizio del proprio ruolo istituzionale, ogni utile contributo, anche attraverso l’espressione di un parere che è in via di predisposizione.

Non può, poi, non farsi un riferimento, in tema di organizzazione del sistema giudiziario, al personale delle cancellerie (questione a parte va fatta per il personale informatico e statistico). Certamente è necessaria ed opportuna una redistribuzione delle risorse umane. Tuttavia, appare opportuno sottolineare che essa non deve muovere da una pregiudiziale affermazione di accettabilità o, addirittura, di sovradimensionamento delle piante organiche amministrative. Si tratta, invece, di provvedere alla redistribuzione, così come di stabilire la pianta organica complessiva del personale amministrativo, sulla scorta dell’applicazione delle moderne tecniche di scienza dell’organizzazione e dell’amministrazione, ricercando una sapiente sinergia con l’informatizzazione dei servizi giudiziari.

3. L’introduzione dei nuovi istituti processuali

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legislatore non soltanto nella riforma delle circoscrizioni giudiziarie, ma anche su temi di diritto processuale, peraltro anch’essi in larga parte riferibili alla ricerca di una migliore efficienza della risposta giudiziaria.

Si fa riferimento ai pareri resi dal CSM in relazione alla disciplina volta a costituire il Tribunale delle imprese e alla normativa diretta alla revisione del sistema delle impugnazioni civili.

Sul primo tema il Consiglio ha ritenuto apprezzabile e condivisibile il tentativo di sviluppare la specializzazione dei giudici quale strumento di efficienza e di qualità della risposta giudiziaria per assicurare una risposta celere e qualitativamente elevata ad una tipologia di cause che, per il loro oggetto, hanno una rilevante incidenza sul sistema economico e, per la loro complessità, richiedono di essere trattate da magistrati dotati di una approfondita conoscenza della materia.

E’ stato, peraltro, rilevato, in funzione propositiva, che la riforma si è limitata ad intervenire su un settore limitato rispetto al più ampio contenzioso riguardante le imprese, avendo considerato le sole controversie endosocietarie o relative agli appalti pubblici.

E’ stato ritenuto auspicabile l’ampliamento del novero delle materie attribuite al neo Tribunale delle imprese alle liti in materia di contratti

“commerciali”, alle procedure legate all’insolvenza civile, oltre che ai procedimenti in tema di antitrust, di pubblicità ingannevole e comparativa ex lege n.145/2007, in materia di pratiche commerciali scorrette di cui al codice del consumo, di subfornitura nelle attività produttive (art. 9 legge n.

192/1998).

E stata, inoltre, auspicata l’introduzione di una specifica disciplina delle ipotesi di connessione tra le controversie devolute alle sezioni specializzate e quelle soggette alla disciplina contenziosa cd. “ordinaria”, sottolineandosi che l’applicazione delle regole ordinarie del codice di

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procedura civile (art. 40 c.p.c.) non è in grado di garantite la necessaria omogeneità delle soluzioni.

Infine, è stata evidenziata la necessità di rivedere il sistema di impugnazioni introducendo un filtro per l’appello, sempre in funzione di una accelerazione del procedimento in materia di diritto di impresa.

Si tratta di un contributo critico, che il Consiglio ha inteso fornire al Ministro al fine di potenziare la capacità del “Tribunale delle Imprese” di garantire l’accelerazione della risoluzione delle controversie nel diritto di impresa, anche nella prospettiva di sollecitare ulteriori, futuri, interventi normativi correttivi e implementativi.

Ed, in effetti, taluni di tali suggerimenti sono stati recepiti nel successivo decreto legge 83/2012 in materia di revisione della struttura e dei presupposti delle impugnazioni civili, in relazione al quale pure il Consiglio, in vista della conversione in legge, non ha mancato di fornire il proprio apporto, suggerendo alcune integrazioni sul piano della organizzazione degli uffici di secondo grado, come pure, nel quadro del riordino delle piante organiche conseguente alla riforma delle circoscrizioni giudiziarie, il necessario adeguamento degli organici delle corti di appello.

Da ultimo, in relazione all'attività propulsiva della sesta commissione sul tema delle riforme intese a migliorare la performance degli uffici giudiziari, occorre ricordare l’apertura di una pratica, con conseguente avvio della relativa fase istruttoria, diretta a sollecitare una iniziativa legislativa diretta alla modifica della cosiddetta “legge Pinto” . Si tratta, in particolare, di valutare se sia possibile sottrarre, quanto meno in prima battuta, l’accertamento e la liquidazione del danno connesso all'irragionevole durata dei procedimenti al circuito giudiziario, così alleviando sensibilmente il carico del quale sono attualmente gravati gli uffici di Corte di Appello.

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4. L’attuazione dell’art. 37 della legge n. 111/2011.

L’art. 37 del d.l. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, ha introdotto le “Disposizioni per l’efficienza del sistema Giudiziario e la celere definizione delle controversie” ed ha previsto, al primo comma, che i dirigenti degli uffici giudiziari redigano annualmente un programma per la gestione dei procedimenti civili pendenti.

Il Consiglio ha dovuto, quindi, prendere atto della scelta del legislatore di imporre ai dirigenti una cadenza annuale di programmazione dell’attività finalizzata allo smaltimento dei procedimenti civili, scelta inserita negli interventi in materia di processo civile che dalla seconda metà del 2011 sono stati attuati per sostenere e rilanciare l’economia.

La disposizione ha assegnato al Consiglio Superiore della Magistratura il compito di individuare i “carichi esigibili di lavoro”, dei quali i dirigenti devono tener conto per la redazione del programma per la gestione.

Il ruolo del Consiglio è stato, altresì, contemplato in fase di valutazione dei risultati, giacché nel comma secondo della norma in esame si prevede che i programmi siano trasmessi al Consiglio“ai fini della valutazione per la conferma dell’incarico direttivo” ai sensi dell’art. 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160.

Si è posto, quindi, subito il problema di un intervento in sede di normazione secondaria, finalizzato a chiarire il ruolo del Consiglio rispetto all’attività dei dirigenti come disegnata nella norma in esame.

Con Risoluzione approvata in data 2 maggio 2012 (circolare 4 maggio 2012, prot. 10356) sono state previste delle disposizioni in ordine ai programmi di gestione nell’esercizio del potere di emettere direttive per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici giudiziari.

Le direttrici fondamentali dell’intervento consiliare sono state:

- l’individuazione di un metodo unico nazionale di elaborazione dei programmi;

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- l’esigenza di una visione complessiva degli uffici tra settore civile e settore penale (c.d. equilibrio intersettoriale);

- l’indicazione ai dirigenti di adottare programmi realisticamente realizzabili, perché fondati su dati corretti, concreti ed oggettivi;

- la valorizzazione di un procedimento partecipato di formazione dei programmi e di individuazione dei carichi esigibili;

- la redazione del programma di gestione avendo riguardo all’individuazione dei settori prioritari e alla considerazione delle risorse disponibili;

- la creazione del primo sistema nazionale di valutazione dei risultati gestionali: il format di programma;

- il controllo sui risultati dei programmi di gestione, con previsione di rendicontazione in ordine agli obiettivi raggiunti ovvero in ordine alle ragioni relative al loro mancato raggiungimento.

Il Consiglio ha ritenuto che ai fini dell’individuazione dei carichi esigibili, utili per individuare l’effettiva, reale e fisiologica produttività dell’ufficio giudiziario in un dato periodo storico, sia necessario:

- individuare la produttività quadriennale trascorsa dell’ufficio, con riferimento alle sentenze e ai procedimenti altrimenti definiti, specificando successivamente il dato di produttività sezionale o settoriale;

- determinare la produttività di ciascun giudice per anno e, quindi, la produttività media della sezione, del settore o dell’ufficio, tenendo conto dell’effettiva presenza in ufficio dei magistrati (al netto di esoneri, assenze, aspettative ecc.).

In sostanza, una volta individuata la media di produttività anno/giudice della sezione o del settore nel periodo quadriennale precedente alla

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riferimento. Nella logica dell'art. 37 d.l. 98/2011, dunque, i "carichi esigibili"

sono i livelli di rendimento ragionevolmente preventivabili in ragione delle effettive capacità di lavoro dei singoli magistrati destinati all'ufficio cui si riferisce un programma di gestione.

Il Consiglio ha, quindi, assunto un ruolo attivo anche in ausilio agli uffici giudiziari, onde consentire le corrette elaborazioni dei dati statistici utili per la programmazione annuale richiesta dall’art. 37.

A tale ultimo fine, sono stati elaborati dall’Ufficio statistico del Consiglio (istituito di recente – con delibera del 13 giugno 2012 - in seguito al lavoro del Comitato Paritetico CSM-Ministero della Giustizia, avendo quest’ultimo messo a disposizione due funzionari della DgStat) una serie di dati, poi inviati agli uffici per utilizzarli nella redazione dei programmi di gestione per l’anno 2013.

Successivamente, ai fini di rendere più semplice il lavoro dei dirigenti, si è consentito agli uffici di dialogare direttamente con le funzionarie dell'ufficio statistico del Consiglio sui problemi connessi ai dati forniti agli uffici, con ulteriore previsione dell'istituzione di un canale diretto tra gli uffici ed il Consiglio per segnalare problemi e criticità in vista di una analisi complessiva dei progetti da definire dopo il loro deposito ed in vista di possibili modifiche della circolare consiliare.

5. Definizione dei rapporti tra il CSM e la neo istituita Scuola:

approntamento degli strumenti di raccordo delle rispettive funzioni e competenze.

L’anno trascorso ha assunto, peraltro, particolare importanza in ragione dell’avvio della attività della Scuola Superiore della Magistratura.

Il Capo dello Stato ha ricordato la rilevanza di tale istituzione affermando che questa dovrà “assicurare una crescita, tra i nostri magistrati, del livello di professionalità, arricchendone anche l'apertura europea, e

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insieme della complessiva consapevolezza della missione che ad essi assegna la Costituzione repubblicana”.

Sin dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 26 del 2006, istitutivo della Scuola, il Consiglio Superiore, nella prospettiva di offrire una leale collaborazione con il Ministero della Giustizia, ha mantenuto una interlocuzione assidua con tutti gli organismi interessati al fine di favorire, nell’ambito delle proprie competenze, il concreto avvio della nuova struttura formativa.

Nell’ambito di tale interlocuzione il Consiglio ha, peraltro sottolineato la necessità di introdurre alcuni adattamenti al sistema normativo delineato dalla legge, al fine di assicurare l’uniformità dell’offerta formativa rivolta ai magistrati italiani su tutto il territorio nazionale, trattandosi di un obiettivo inderogabile al fine di assicurare una omogenea risposta alle esigenze di giustizia dei cittadini.

Con la Scuola, sia pur nei diversi ruoli istituzionali, il Consiglio ha collaborato e continuerà a collaborare.

Costituiscono plastico esempio di tale collaborazione, e del tangibile contributo che il Consiglio ha fornito ed intende fornire anche in futuro al processo di formazione ed aggiornamento dei magistrati, l’ approvazione delle linee guida della formazione per l’anno 2013 , così come il varo del regolamento e delle direttive per la formazione dei MOT, adottati, si sottolinea, in assoluta sintonia con la Scuola.

Dalla relazione consuntiva dell’attività della scuola, che l’organo di autogoverno intende richiedere nelle forme che sono in via di definizione, si potranno, peraltro, certamente trarre spunti di riflessione e di confronto, anche in funzione delle direttive che, in futuro, il CSM dovrà fornire, nell’ambito delle competenze affidategli dalla legge.

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nuova struttura. Sulle solide fondamenta esistenti si tratta di costruire un sistema formativo moderno in grado di individuare, con costante aderenza al mutamento sociale e del sistema giuridico, i nuovi bisogni formativi.

Quanto realizzato dal CSM in venti anni di formazione costituirà una piattaforma sul quale potrà poggiarsi la futura formazione dei magistrati, traendone stimolo ed impulso, nella consapevolezza che la legittimazione della magistratura presso i cittadini non deriva, certamente, dal consenso, per scelta della nostra Costituzione, ma deve fondarsi su una adeguata selezione tecnica nella fase di dell’arruolamento dei magistrati , come pure di un costante ed adeguato aggiornamento professionale che deve accompagnare tutta la vita professionale del magistrato, perché solo un magistrato dall’elevato standard professionale può assumere l’ autorevolezza necessaria per il buon esercizio della fondamentale funzione della giurisdizione, presidio insostituibile di legalità per tutto il Paese.

6. Le innovazioni in tema di valutazioni di professionalità periodiche dei magistrati

Occorre, infine, sottolineare la modifica della normativa secondaria in materia di valutazione di professionalità, nel tentativo di rimuovere, come già fatto in precedenza, alcune criticità esistenti.

Con delibera del 25 luglio 2012 sono state introdotte alcune modifiche alla circolare numero 20691 dell'8/10/2007 in materia di valutazione di professionalità dei magistrati.

Le modifiche si sono rese necessarie al fine di assicurare, nei limiti del possibile, la contemporanea, o quantomeno ravvicinata, definizione della procedura di valutazione della professionalità per tutti i magistrati nominati con il medesimo decreto ministeriale.

Con la precedente delibera del 19/10/2011 il CSM aveva stabilito che il requisito del conseguimento della valutazione di professionalità richiesta

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nell'ambito di procedure di tramutamento di magistrati poteva ravvisarsi esclusivamente a seguito della positiva definizione della procedura di riconoscimento formale della valutazione di professionalità, segnandone, dunque, la natura "costitutiva" e non meramente dichiarativa. Tale soluzione interpretativa ha avuto un’immediata ricaduta nelle procedure di tramutamento, atteso che il requisito della valutazione di professionalità, prevista nell'ambito di procedure di tramutamento, può ritenersi maturato esclusivamente in caso di un formale riconoscimento della stessa da parte del CSM, in esito della specifica procedura di valutazione professionale, e non quale mera conseguenza della maturazione dell'anzianità di servizio a tal fine necessaria.

Si è inteso, in tale quadro, superare le situazioni di ingiustificato pregiudizio derivanti dalla frequente non corrispondenza del formale conseguimento della valutazione di professionalità con la maturazione, largamente antecedente, dei requisiti necessari per ottenerla, determinate dalla intempestività dei presidi del governo autonomo nel definire la procedura di riconoscimento.

Il fatto che la complessiva procedura per la valutazione di professionalità non riuscisse a concludersi quasi mai in epoca ragionevolmente vicina alla data in cui il magistrato interessato aveva acquisito il diritto ad essere valutato, ha determinato una significativa eterogeneità dei tempi complessivi nelle singole procedure. La durata di ciascuno scrutinio è dipesa, infatti, dalla sollecitudine, lasciata alla solerzia personale o alle condizioni esterne di fattibilità, con cui lo specifico magistrato, il dirigente dell'ufficio cui era addetto, il consiglio giudiziario territorialmente competente e, infine, il CSM avevano assolto alle incombenze procedimentali loro assegnate.

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Si è verificato, in concreto, che magistrati con la medesima anzianità di servizio vedevano riconosciuta la valutazione corrispondente in termini cronologici molto diversi.

Ne sono conseguite possibili discriminazioni dal punto di vista della legittimazione a formulare l’istanza di tramutamento o del conferimento di incarichi, difficilmente giustificabili dal punto di vista ordinamentale.

Si è reso quindi necessario individuare strumenti di regolamentazione secondaria più idonei a realizzare una generalizzata abbreviazione della durata dei tempi di definizione delle procedure di valutazione periodica dei magistrati e predisporre strumenti di governo del fenomeno diretti ad attenuare gli effetti distorsivi appena delineati, favorendo una contemporanea o quantomeno più ravvicinata possibile definizione delle procedure di valutazione della professionalità per tutti i magistrati nominati con il medesimo decreto ministeriale.

La soluzione adottata dovrebbe, una volta a regime, evitare che possa maturare un pregiudizio in capo ai magistrati che intendano partecipare ad un determinato concorso interno, in conseguenza del ritardo della definizione delle procedure di valutazione ; le distorsioni e le disparità di trattamento più evidenti saranno, comunque, certamente eliminate.

Si è coscienti di aver chiesto un ulteriore sforzo sia ai dirigenti che ai Consigli Giudiziari, già tenuti ai tanti adempimenti che il nuovo ordinamento giudiziario richiede ma, al contempo, sappiamo – perché lo abbiamo constato in tante occasioni precedenti - che a tale richiesta i magistrati componenti dei consigli territoriali corrisponderanno, per la loro notevole professionalità e l’innegabile senso di responsabilità.

Le soluzioni adottate eviteranno, così, che magistrati con la medesima anzianità subiscano legittimazioni significativamente differenziate nel tempo in ragione delle vicende contingenti della specifica procedura di progressione in carriera cui sono sottoposti.

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A tal fine è prevista una linea di intervento su due fronti: da un lato un meccanismo che prevede una gestione dei tempi predeterminata e contingentata ad opera della stessa normativa secondaria consiliare, tendenzialmente unitaria per magistrati aventi anzianità analoga, in quanto nominati con il medesimo decreto; dall'altro lato, un significativo mutamento delle procedure previste per il prelievo dei provvedimenti a campione, uno dei punti di maggiore criticità dal punto di vista della dilatazione dei tempi di definizione delle pratiche, con un contestuale snellimento nel numero dei verbali di udienza necessari per la valutazione.

7. L’attività internazionale

Questa autorevole sede è, infine, il luogo più adatto per ricordare la rilevante attività svolta dal CSM nell’ambito dei rapporti con enti ed istituzioni internazionale.

Nell’anno appena trascorso l’attività costante e proficua svolta in sede internazionale dal Consiglio è stata largamente apprezzata ed ha consentito di restituire alla magistratura italiana una posizione di prestigio e di vertice all’interno della rete dei Consigli di Giustizia d’Europa, l’organismo noto con la sigla ENCJ.

Il riconoscimento del prestigio internazionale acquisito si riscontra anche nelle numerose, proficue relazioni bilaterali che dimostrano come gli altri paesi, con particolare riferimento a quelli che da tempi più recenti si sono affacciati alla realtà della Unione Europea od intendono in futuro farne parte, guardino con straordinario interesse al Consiglio superore della magistratura quale modello di autogoverno della magistratura.

Non possono non segnalarsi, peraltro, a dimostrazione del respiro extraeuropeo dell'attività del Consiglio, gli accordi siglati anche con Paesi di

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Possono citarsi l’accordo stipulato con l’Autorità Palestinese, destinato a favorire la formazione dei Magistrati di quel Paese così come l’accordo di collaborazione concluso con il Consiglio Superiore della Magistratura Iracheno. Da ultimo, deve, infine rammentarsi il trattato di cooperazione con la magistratura Afgana. Si tratta di accordi, spesso conclusi su sollecitazione di Paesi che guardano all’ordinamento giudiziario italiano come ad un prezioso modello. Tali accordi non rafforzano, peraltro, esclusivamente il prestigio della nostra Magistratura o del Consiglio Superiore che qui ho l’onore di rappresentare, ma costituiscono un rilevante riconoscimento per tutto il nostro Paese ed alla sua cultura giuridica, ritenuta, evidentemente, un modello al quale ispirarsi.

8. Conclusioni

Dalla breve panoramica che precede si evince che molto è da fare e notevoli sono le difficoltà che si prospettano.

Si assicura, tuttavia, in tutti i componenti del Consiglio alberga la consapevolezza che, anche in questa fase finale della consiliatura, è possibile e necessario raggiungere ulteriori importanti risultati nell’interesse della Magistratura e della collettività, nel cui nome viene, appunto, quotidianamente esercitata la funzione giurisdizionale.

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CORTE D’APPELLO DI BARI

INTERVENTO DEL CONSIGLIERE ANGELANTONIO RACANELLI

Signor Presidente, signor Procuratore Generale, Eccellenza,signori colleghi della Corte e degli altri uffici del Distretto, signori magistrati onorari,signori rappresentanti delle istituzioni,signori avvocati, signori funzionari ed impiegati degli uffici giudiziari, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, signore e signori, desidero rivolgere a voi tutti il saluto del Consiglio Superiore della Magistratura che ho l’onore di rappresentare in questo distretto, al quale sono particolarmente legato da ragioni personali.

Ed infatti è con viva emozione che partecipo a questa cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario nel distretto di Bari, città nella quale sono nato e nella quale, nell’ormai lontano 1990, ho compiuto i primi passi del mio percorso professionale come uditore giudiziario.

In primis rivolgo il mio convinto ossequio al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ed il modo migliore per farlo è quello di citarne le parole: in più occasioni il nostro Presidente della Repubblica ha affermato la necessità di “equilibrio e rispetto” nei rapporti tra i vari poteri dello Stato, equilibrio e rispetto che sono indispensabili “nel rapporto tra chi è costituzionalmente deputato ad esercitare il controllo di legalità e ha specificamente l’obbligo di esercitare l’azione penale e chi è chiamato, nel quadro istituzionale e secondo le regole della Costituzione, a svolgere funzioni di rappresentanza democratica e di governo”.

Come ogni anno, l’ufficio studi del Consiglio ha predisposto una relazione sull’attività svolta dal Consiglio nell’anno 2012 attraverso l’esame degli atti di maggior rilievo e l’analisi del ruolo svolto dall’organo di governo

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Mi soffermerò in questo breve intervento su alcuni aspetti particolarmente meritevoli di riflessione.

Nella mia qualità di componente del Consiglio Superiore della Magistratura e quindi dell’organo costituzionalmente chiamato a tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e di ciascun magistrato non posso in questa sede non rilevare che finalmente i toni si sono abbassati, nonostante ancora recentemente abbiamo ascoltato con preoccupazione accuse generiche ed immotivate nei confronti di magistrati. In passato abbiamo ascoltato con sconcerto e preoccupazione reiterate dichiarazioni provenienti da autorevoli esponenti delle istituzioni che indubbiamente ledevano il prestigio e l’indipendente esercizio della giurisdizione. L’auspicio è che sia definitivamente alle nostre spalle una stagione di sterile contrapposizione tra politica e giustizia, anche se la campagna elettorale in corso rischia di determinare ancora una volta un innalzamento dei toni.

In questa sede non posso esimermi da una breve riflessione sul problema dei magistrati candidati: personalmente non vedo nulla di scandaloso. Richiamo la disposizione costituzionale che garantisce e promuove il diritto all’elettorato passivo di tutti i cittadini e, quindi, anche dei magistrati. La limitazione contenuta nell’art. 98 Costituzione è del tutto mancante nell’art. 51 Costituzione, attesa l’evidente ed indiscussa diversità dei beni giuridici tutelati dalle norme in oggetto: sarebbe sicuramente incostituzionale una norma che escludesse in via generale il diritto di elettorato passivo dei magistrati. Ritengo che il contributo dei magistrati, così come quello dei rappresentanti di altre categorie professionali, possa essere positivo. Diverso è il discorso su eventuali paletti, che in parte già esistono, sulle condizioni e sulle modalità di queste candidature così come sul rientro in ruolo dei magistrati dopo la competizione elettorale e/o dopo l’esperienza politica. Infatti il diritto costituzionale all’elettorato passivo, in sintonia con le costanti affermazioni della Corte Costituzionale, può subire limitazioni

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giustificate dalla necessità di tutelare l’autonomia e l’imparzialità della funzione giurisdizionale: limitazioni che,però, non possono aggravare oltre la ragionevolezza il pregiudizio di carriera derivante al magistrato dalla scelta di impegnarsi in incarichi pubblici, disincentivando obiettivamente tale impegno. Il vero problema è rappresentato dalle modalità di accesso dei magistrati alle candidature politiche, basate il più delle volte sulla sovraesposizione mediatica dei magistrati. E’ su quest’aspetto che bisogna incidere. Un importante nodo da sciogliere, nonostante la nuova normativa in materia disciplinare, è quello dei rapporti con i mass-media: ancora oggi assistiamo ad evidenti violazioni sul punto: qui occorre sicuramente una maggiore vigilanza da parte dei capi degli uffici. Ancora una volta mi piace citare le parole del nostro Presidente della Repubblica che, in più occasioni, ha invitato i magistrati “a non cedere a esposizioni mediatiche o a sentirsi investiti di missioni improprie ed esorbitanti oppure ancora a indulgere ad atteggiamenti impropriamente protagonistici e personalistici che possono offuscare e mettere in discussione la imparzialità dei singoli magistrati, dell’ufficio giudiziario cui appartengono, della magistratura in generale”.

Ormai da alcuni anni, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, siamo costretti a prendere atto dello stato comatoso nel quale versa la giustizia. Molteplici sono le cause e molteplici le possibili soluzioni:

la brevità di quest’intervento non mi consente di esaminare nel dettaglio la situazione.

Ho ascoltato con molto interesse la dettagliata relazione del Presidente dr. Caferra sulla situazione nel distretto di Bari.

Nell’anno appena trascorso il Governo ed il Parlamento, dopo decenni di discussioni, sono riusciti ad approvare la revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Non si può non esprimere soddisfazione per la decisione,

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concreta dell’intervento ha suscitato, perplessità dovute in particolare ad alcuni criteri discutibili contenuti nella legge delega.

Si è parlato di riforma epocale ma forse anche per motivi scaramantici è meglio evitare l’uso di certi aggettivi.

Ho considerato discutibile il metodo adottato, discutibili i criteri guida individuati e le modalità di attuazione perché ancora una volta si è proceduto con la logica del taglio lineare che può forse- ma anche questo è discutibile- aiutare a conseguire obiettivi di risparmio finanziario ma non favorisce certo l’ormai necessario recupero di efficienza del sistema giudiziario. Sarebbe stato necessario usare il bisturi e non l’accetta.

Ma ormai siamo di fronte ad una legge dello Stato ed il compito di noi tutti è quello di contribuire, ciascuno per la propria parte di competenza, ad applicarla. In queste settimane il Consiglio è chiamato ad esprimere un parere sul progetto di rideterminazione delle piante organiche che non riguarda solo gli uffici toccati dalla riforma ma riguarda tutti gli uffici giudiziari e prevede modifiche anche per gli uffici giudiziari del distretto di Bari. Il Consiglio è attualmente in attesa delle osservazioni e riflessioni che verranno dai Consigli Giudiziari. Tra qualche settimana sarà anche pubblicato un bando per posti di secondo grado.

Personalmente ritengo che nell’anno appena trascorso il Consiglio Superiore sia stato timido in più occasioni: nella difesa dei magistrati della Procura di Palermo impegnati in una delicata indagine, in più occasioni oggetto di attacchi delegittimanti, come nei pareri resi, ad esempio, in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie e sulla legge anti-corruzione.

A proposito della legge anticorruzione, una valutazione tecnico- giuridica ci porta a dire che si tratta di un passo in avanti apprezzabile solo per alcuni limitati aspetti (ad esempio l’aumento delle pene per il reato di corruzione nonché l’introduzione di nuovi reati) ma sicuramente incompleto e insufficiente. Si poteva e si doveva fare di più. Ho già detto in un’altra

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occasione che abbiamo già assistito ai primi effetti negativi della nuova legge anticorruzione: in Cassazione ci sono già state le prime sentenze di prescrizione per fatti di concussione mediante induzione. Aspettiamo ora di vedere anche gli effetti positivi dell’intervento legislativo. Ma sicuramente è necessario intervenire ancora a livello legislativo sotto vari aspetti: i fenomeni di corruzione e di malcostume sono sempre più diffusi e quello che più sconcerta è che, come acutamente osservava uno scrittore e critico letterario (Marco Belpoliti), “la vergogna non c’è più. Quel sentimento che ci suggerisce di provare un turbamento, oppure un senso d’indegnità di fronte alle conseguenze di una nostra frase o azione, che ci induce a chinare il capo, abbassare gli occhi, evitare lo sguardo dell’altro, a farci piccoli e timorosi, sembra scomparso…la vergogna è diventata un tabù!”.

E’ ormai ineludibile un intervento organico di riforma del processo penale, che sempre più spesso gira a vuoto verso l’ineluttabile esito delle dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione. Sono necessari interventi legislativi sia di natura sostanziale sia di natura processuale (penso ad interventi di depenalizzazione, ad interventi in materia di prescrizione, di abuso del processo, di notifica degli atti, di processo agli imputati irreperibili etc…).

L’auspicio è che nella nuova legislatura non si parli più di riforme ordinamentali: l’inefficienza e la durata irragionevole del processo penale non dipendono certo dall’attuale assetto ordinamentale.

L’attuale assetto costituzionale della magistratura costituisce un punto imprescindibile.

Una riflessione che considero importante deve riguardare anche la questione del divieto di ultradecennalità nell’esercizio delle medesime funzioni. In Consiglio la riflessione è già aperta: su richiesta di alcuni

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negli uffici giudiziari dei limiti temporali allo svolgimento delle medesime funzioni introdotto dall’art. 19 d.l.vo 160/2006 al fine di proporre eventuali modifiche normative”. Anche la magistratura associata deve avere il coraggio di fare autocritica: la temporaneità nell’esercizio delle medesime funzioni è stato un cavallo di battaglia di alcune componenti della magistratura associata, recepito prima nella normativa secondaria del Consiglio Superiore e poi dal legislatore in sede di riforma dell’ordinamento giudiziario. Occorre riflettere sulla questione in modo laico, senza pregiudizi e idee precostituite:

vi sono diversi elementi da valutare. Bisogna monitorare quello che è successo in questi anni per valutare la necessità di eventuali interventi modificativi, rimettendo eventualmente in discussione il principio del divieto di ultradecennalità come principio assoluto ovvero rendendo meno rigida la previsione normativa del limite di permanenza in una funzione ovvero riducendo le funzioni per le quali applicare il principio del limite di permanenza massima.

Peraltro, recenti scelte legislative sembrano voler puntare sempre di più sulla specializzazione, scelta che appare contraddittoria con il divieto dell’ultradecennalità.

Intervenendo qui a Bari, non è possibile ignorare la necessità che si restituisca serenità agli uffici giudiziari baresi: è auspicabile che le indagini in corso presso la Procura di Lecce su magistrati in servizio in questo distretto siano svolte sollecitamente, con la dovuta riservatezza e portino tempestivamente ad una parola definitiva. Il Consiglio, in passato, per la parte di sua competenza, è intervenuto ed in tempi relativamente brevi ha posto un punto fermo sulla vicenda, sia pure dopo una vivace discussione.

Attualmente sono all’esame del Consiglio alcune pratiche che riguardano gli uffici giudiziari baresi: l’auspicio è che anche queste pratiche vengano definite tempestivamente.

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Non posso non esprimere in questa sede, anche per il mio passato di pubblico ministero, un particolare apprezzamento per l’operato della Procura di Bari che, nonostante le difficoltà di organico (indubbiamente l’organico della Procura di Bari risulta sottodimensionato rispetto ad altre realtà più o meno simili), negli ultimi anni ha dimostrato rinnovato impegno investigativo, conseguendo significativi risultati non solo investigativi ma anche processuali, grazie anche all’impegno della magistratura giudicante, pur essa gravata da significativi problemi di organico. Carenze di organico giustamente prese in considerazione nella proposta di rideterminazione delle piante organiche elaborata dal Ministero.

Nell’anno appena trascorso significativa è stata anche la modifica della circolare in materia di valutazioni di professionalità in punto di tempi di definizione delle relative pratiche: l’obiettivo è quello di arrivare tendenzialmente nella stessa data al riconoscimento della valutazione di professionalità prevista per tutti i magistrati dello stesso concorso. Come presidente attuale della IV Commissione, competente per le valutazioni di professionalità, posso sicuramente respingere le ingiustificate accuse di lassismo nelle valutazioni: i dati statistici degli ultimi anni provano esattamente il contrario. Il rischio, semmai, è quello opposto di un eccesso di rigore che non tiene nella dovuta considerazione la situazione complessiva di lavoro del singolo magistrato, il cui rendimento non dipende esclusivamente dalla sua persona. Un problema sul quale occorre riflettere è anche il rapporto tra procedimenti disciplinari (specie quelli per ritardi nel deposito dei provvedimenti) e valutazioni di professionalità che, non dimentichiamolo, rappresentano un momento significativo nel sistema del governo autonomo della magistratura. Spesso si verifica la seguente situazione: vi sono magistrati che in sede disciplinare subiscono la condanna alla sanzione

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accessoria della perdita di anzianità: assistiamo ad un paradosso (so già che mi si obietterà che diversi sono i profili di valutazione), paradosso per il quale ritardi valutati in sede disciplinare non così gravi da determinare la sanzione della perdita di anzianità, laddove ritenuti rilevanti (come quasi sempre accade) in sede di valutazione di professionalità determinano di fatto una perdita di anzianità. Vi è una differenza fondamentale tra valutazione disciplinare e valutazione di professionalità: in sede di valutazione di professionalità i controlli devono essere di sintesi e a consuntivo mentre lo strumento disciplinare riguarda fatti specifici e determinati e non valutazioni di insieme. Personalmente auspico che quella che nei primi due anni di consiliatura è stata una posizione minoritaria all’interno del Consiglio possa trovare una più larga condivisione. Non è possibile ignorare il carico di lavoro che grava mediamente su ciascun magistrato, carico di lavoro che, in determinate sedi e per determinate funzioni, può sicuramente essere definito inesigibile.

A proposito di condizioni di lavoro, parlando qui a Bari non posso non fare riferimento alle disastrate condizioni, sotto il profilo edilizio, nelle quali si trovano gli uffici giudiziari baresi: è giunto il momento che le autorità competenti in materia prendano le doverose iniziative.

La brevità del tempo a disposizione non mi consente di soffermarmi su altri aspetti meritevoli di considerazione ma ritengo doveroso esprimere qualche riflessione anche su quello che non funziona all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura. Non possiamo far finta che non sia successo niente in quest’anno appena trascorso: l’incidente della famosa mail “fuggita dal sen” di un consigliere, incidente ormai noto anche al di fuori della magistratura, perché oggetto di interventi e commenti anche sulla stampa, mette in evidenza un fenomeno che esiste e che non può essere negato: le degenerazioni del correntismo. All’interno della magistratura se ne discute da tempo ma mentre finora c’era qualcuno che diceva che il fenomeno non

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esisteva e qualcuno che diceva che riguardava solo gli altri, mentre pochi ne affermavano l’esistenza, ora la consapevolezza sulla sua esistenza è più diffusa. E’ necessario evitare anche il semplice sospetto che il criterio dell’appartenenza correntizia possa giocare un ruolo nelle nomine: il problema c’è e riguarda tutti. E’ necessario trovare soluzioni anche perché l’ormai totale trasparenza dell’attività consiliare consente a ciascun magistrato di seguire e controllare tutto ciò che viene fatto nella sede centrale del governo autonomo.

Personalmente da sempre sostengo la necessità di una riduzione degli spazi di discrezionalità del Consiglio, specie nella nomina dei direttivi e dei semidirettivi attraverso l’introduzione di una normativa secondaria più stringente.

Strettamente collegata a quest’aspetto è anche la questione del rispetto del giudicato amministrativo: in alcune circostanze ciò non si è verificato, anche sulla base di una non condivisibile concezione quasi sovrana del Consiglio manifestata da alcuni componenti. D’altronde è stata la stessa Corte Costituzionale che in sede di conflitto di attribuzioni sollevato dal Consiglio Superiore della Magistratura in passato ha ribadito il principio della effettività della tutela affidata alla funzione giurisdizionale che rappresenta una garanzia indefettibile per ciascun magistrato e per la sua indipendenza anche nei confronti del Consiglio Superiore.

Voglio chiudere questo mio intervento facendo mie le parole con cui Alessandro Galante Garrone, storico e magistrato, chiudeva un suo saggio:

“Proprio come aveva scritto,nella sua ultima lettera prima della fucilazione, un partigiano diciannovenne Giacomo Ulivi: “Dobbiamo rifare noi stessi”. E’

questo il nostro filo di speranza: l’obbedienza al comandamento: dobbiamo rifare noi stessi”.

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CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA

INTERVENTO DEL CONSIGLIERE NICOLÒ ZANON

Rivolgo a Lei, signor Presidente, al signor Procuratore Generale, al rappresentante del Ministero della Giustizia, a tutti i Magistrati, al Presidente dell’Ordine degli Avvocati e a tutti i signori Avvocati, alle Autorità e a tutti i presenti il saluto cordiale del C.S.M. che ho l’onore di rappresentare.

Permettermi in primo luogo di rivolgere un pensiero di particolare riconoscenza al Presidente della Repubblica, sotto la cui alta guida si è svolto anche quest’anno di consiliatura. E’ motivo di conforto, da una parte, la Sua continua, vigile attenzione al buon funzionamento dei lavori del Consiglio, dall’altra la Sua particolare attenzione ai problemi della giustizia in generale, che si nutre spesso di forti richiami alla necessità di garantire, presso i cittadini, la massima credibilità della funzione giudiziaria e della Magistratura come istituzione.

Una questione che coinvolge proprio la credibilità e la fiducia di cui deve godere la Magistratura presso la pubblica opinione ha impegnato il Consiglio, tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013: si tratta delle delibere che hanno concesso l’aspettativa ai magistrati che hanno presentato la propria candidatura alle prossime elezioni politiche. La concessione di queste aspettative costituisce un atto dovuto per legge, e in ordine a tali richieste il Consiglio non possiede alcuna discrezionalità valutativa. Si tratta dell’esercizio del diritto costituzionale di elettorato passivo, che spetta a tutti i cittadini, e quindi anche ai magistrati. Tuttavia, non sfugge ad alcuno che il

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parte dei magistrati, solleva questioni molto delicate, che coinvolgono proprio il bene più prezioso di cui gode la funzione giudiziaria: l’immagine d’imparzialità e indipendenza presso l’opinione pubblica. Giacché tale subitaneo passaggio rischia di gettare un’ombra di parzialità sull’attività pregressa, e fa sospettare che taluno abbia esercitato le proprie delicatissime funzioni per acquisire un consenso da spendere poi nell’agone politico. Senza contare le questioni che si pongono per la reimmissione nei ruoli al termine dell’esperienza politica, questione sulla quale peraltro sia la legge che le circolari consiliari pongono già qualche utile, anche se migliorabile, paletto.

Deliberando come dovuto su queste richieste di aspettativa, il Consiglio non ha potuto far altro che manifestare il proprio disagio, reiterando la richiesta di un intervento legislativo equilibrato, che cerchi di contemperare meglio di quanto non accada attualmente, da una parte, un diritto costituzionale inviolabile (l’elettorato passivo), e dall’altra le esigenze costituzionali di indipendenza e imparzialità della funzione giudiziaria. Nel corso delle varie legislature, varie proposte sono state presentate, sia in ordine alle questioni accennate, relative alle elezioni politiche, sia in ordine alle elezioni amministrative, per le quali, come è noto, in base alla legge attuale è addirittura possibile che il magistrato, purché si candidi alle elezioni o venga nominato assessore in una regione diversa da quella in cui svolge le funzioni, non deve nemmeno collocarsi in aspettativa e può quindi svolgere contemporaneamente la funzione politico-amministrativa e quella giudiziaria.

Lacuna normativa assai grave, che ci si augura finalmente il prossimo legislatore possa colmare.

Accanto a riforme non fatte, vi sono per fortuna quelle fatte. E il Csm si è così trovato ad accompagnare un anno nel corso del quale alcuni fondamentali aspetti dell’amministrazione della giurisdizione - cui il Consiglio è preposto – hanno visto importanti innovazioni.

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Penso in primo luogo all’attuazione delle deleghe previste dalla legge n. 148 del 2011, e cioè alla nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero e alla riforma della allocazione territoriale degli uffici del Giudice di Pace, attuate rispettivamente con i decreti legislativi n. 155 e n.

156/2012.

La questione della miglior distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, degli organici dei magistrati e del personale amministrativo, è, come noto, questione annosa. L’attuale dislocazione sul territorio degli uffici giudiziari e del personale di magistratura ed amministrativo è storicamente superata e sostanzialmente inefficace, non in linea con la attuale realtà demografica, sociale ed economica delle varie aree del Paese.

Deve, quindi, darsi atto che con una scelta coraggiosa – che il Csm non ha mancato di sostenere e sollecitare – è stata approvata la legge delega che ha permesso di determinare una nuova dislocazione degli Uffici giudiziari sul territorio nazionale.

Il giudizio su tale intervento non può che essere, complessivamente, positivo, giacché esso dovrebbe favorire una maggiore efficienza ed efficacia all’attività giudiziaria, nonché consentire risparmi.

Si tratta ora, di procedere oltre, riorganizzando le piante organiche, al fine di procedere al definitivo superamento di una struttura organizzativa oramai inefficiente.

Non ci si può nascondere, tuttavia, che si tratta di un percorso ricco di insidie, procedurali e di merito. Non solo perchè si tratterà di vedere all’opera le volontà politiche della prossima legislatura, ma anche perché proprio la vicenda della riforma delle circoscrizioni giudiziarie permette di osservare in controluce molti difetti della nostra organizzazione istituzionale. Fuor da ogni agiografia, questa vicenda è istruttiva perché mostra quanto sia difficile nel

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