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ROMflNZOilffWFJSTUUE

enm

Pubblicazione

m ensile C onto c o p p. co n l a p o s ta

Casa E d itrice S o n zo g n Via Pasquirolo, 14 - Milano

(2)

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(3)

LA CITTA DEL SOLE

Romanzo d ’avventure di GASTONE SIMONI

1.

N e l q u a le B o n ifa z io p e r d e in o p in a ta m e n te la p r o p r ia tr a n q u illit à .

— N on ha mai veduto la Luna, lei?

■— Io?... V eram ente...

— Male! M olto male! U n buon reporter non deve m ai cader aaile nu ­ vole com e lei sta facendo in questo m om ento!... Lei dunque non ha mai veduto la Luna? Ne avrà certam ente sentito parlare, spero...

L ’ironia che era in quest'ultim a d o m an d a non fu colta subito dallo spi­

rito p acato e tardo di Bcnifazio Tranquilli il quale ne riportò piuttosto l’im­

pressione di u n a staffilata per il suo am or proprio di croniqueur che si rite­

n ev a inform atissimo. E bbe l’im pulso di rispondere al suo direttore con una di quelle frasi che troncano netto una discussione e scavano un abisso fra due persone nate per intendersi. M a si contenne.

— Q ualche volta... A scuola... — rispose con altrettanta ironìa.

— Benissimo, lo le offro una magnifica occasione p er colm are questa deplorevole lacuna e, insiem e, di distinguersi tra i suoi colleghi.

Bonifazio Tranquilli, cronista per professione, m a p o e ta p er tem p era­

m ento, aveva curvato il capo sotto il rabbuffo. Il direttore del potentissim o Corriere del mattino aveva scelta per quel giorno la sua vittim a : conveniva perciò rassegnarsi, ascoltare in silenzio o, tu tt’al più, rispondere brevem ente (( sì » ad ogni proposito; m a soprattutto eira necessario guardarsi d a così benché minimo tentativo di giustificazione. Le collere del direttore erano, d ’altronde, passeggere e, in fondo, quella specie di barbablù troneggiante dietro la sua m astodontica scrivania, era un b ra v u o m o incapace di far male ad una m osca, e, tanto m eno, quindi, ai suoi redattori che egli am ava considerare com e figlioli, chissà mai perché sem pre bisognosi, di tanto in tanto, di u n a energica e severa correzione.

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Bonifazio Tranquiiii chinò dunque il capo sotto il rabbuffo direttoriale.

L a sua grossa testa rotonda, irta di capelli rossicci, avrebbe richiam ato 1 im m agine di un cam po di spighe m ature curvate sotto una raffica di vento se m ai fosse stato possibile che quei capelli, ritti sul cranio com e stecchi, si piegassero sotto un azione qualsiasi.

— Sissignore... — borbottò sogguardando il cipiglio del suo direttore, in attesa di spiegazioni.

— Benissimo! — aggiunse costui rasserenandosi. — V edo che lei ha già com preso. Bravo! Sono contento di lei... Ed ora vada.

— Sissignore... M a... — si arrischiò a protestare Bonifazio che non aveva inteso nulla.

— C ertam ente! Passi d a ll’am m inistratore, p er tutto quello che potrà occorrerle. V e d a però di non esagerare nelle spese. Buongiorno! — E d il burbero direttore ricacciò il naso in mezzo ad un enorm e cumulo di cartelle dattilografate sulle quali si d ied e a praticare gran tagli, con certi energici tratti di p en n a che facevano schizzare 1 inchiostro ad un buon palm o di distanza. .

Bonifazio, interdetto, non si mosse. D oveva senza dubbio esservi eq u i­

voco. Egli non aveva com preso u n a sillaba delle parole del suo direttore, e d attese perciò, sperando che costui si decidesse a spiegarsi. Ma l'altro, borbottando e tentennando il capo secondo i m ovim enti della p en n a con­

tinuò p er dieci minuti buoni a cincischiare di cancellature le sue cartelle, senza accorgersi del suo giovane réporter il quale, insensibilm ente, per ti­

midi tentativi, si era avvicinato alla scrivania fin quasi a toccarla.

Allora Bonifazio Tranquilli osò. Si rischiarò la gola tossicchiando d iscre­

tam ente e, vedendo infine inutile ogni tentativo, raccolse tutto il suo c o ­ raggio a due m ani :

— Signor direttore!... — chiam ò discretam ente.

—• Ah?! Che c ’è? Siete voi? A n cora qui? Che cosa volete? — gridò il barbablù sobbalzando sulla sua poltrona e passand o dal « lei » al « voi », segno infallibile di collera.

— N ulla... — balbettò Bonifazio — N ulla... Volevo soltanto sap ere...

— Eh? Che cosa volete ancora sapere? M a in quale lingua parlo d u n ­ que io? D a quando in qua si discutono i miei ordini? Signore! — gridò al colmo dell indignazione. — Eseguite l’ordine che vi ho dato! A ndate, signore!

A ndate! E ...

Non finì. Bonifazio Tranquilli, visibilm ente im pressionato da quello scop­

pio di indignazione, aveva infilata la porta, perdendosi prudentem ente nei corridoi.

| *i* »¡»

Non c’eiu evidentem ente di meglio da fare che passare d a ll’ufficio d e l­

l'am m inistratore .

Bonifazio Tranquilli v’entrò, quindi, tentando di assum ere l'aria spy- valda di chi sa perfettam ente il fatto suo.

— Eccomi qui! — dichiarò al capo-contabile perentoriam ente.

— Ah! È. lei, d u n q u e?...

— Sì. Sono io. Non vedo perchè dovrebbe essere un altro — ribattè Bonifazio, vincendo l ’ultim a titubanza.

2 GASTONE SIMONI

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— Benissimo. Lei dunque partirà questa sera, per...

— Eh? P e r...?

— Precisam ente. P er G enova...

Bonifazio Tranquilli respirò.

—- ... dove s’im barcherà sull’« A ero-espresso » per T ripoli... — con­

tinuò im placabile l’im piegato. —• D a Tripoli, con altro mezzo aereo p ro ­ seguirà fino a K artum , nel m edio Egitto...

Bonifazio incominciò a preoccuparsi seriam ente. Di abitudine m etodiche e di aspirazioni sedentarie, egli si era cacciato, quasi senza saperne il p e r­

chè, nella prim a redazione ch e gli aveva aperte le porte e, poiché un certo talento di croniqueur facile e brillante non gli m ancava, aveva fatto strada abbastanza presto. T utto sarebbe andato, a seconda dei suoi desideri, se egli non avesse am ato più la propria tranquillità personale che il rischio dell avventura. Questo nuovo colpo, perciò, alle sue aspirazioni di indo­

lenza sognatrice, che gli giungeva, p er di più, inaspettato e improvviso com e il classico colpo di fulmine, gli cagionò un affrettato batticuore : il che era senza du bbio assai poco confacente alla professione che aveva scelto, la quale offriva del resto assai p iù rischi ai battaglieri che lauri ai poeti sognatori.

— Da K artum — riprese Io spietato am m inistratore — dovrà raggiun­

gere Porto Florence sulle rive del lago V ictoria N ianza... quasi esattam ente sull’E quatore...

— V a b en e ... M a... -— tentò di protestare Bonifazio Tranquilli, al quale il coraggio necessario ad affrontare quel viaggio di seim ila chilom etri in aeroplano andava m ancando m an m ano che l’im piegato parlava.

— P recisam en te... M a non è tutto qui... — riprese im perturbato l’am ­ m inistratore.

— A h!... N on... non è tutto qui?... — gem ette l ’infelice Bonifazio.

— No. Da Porto Florence, lei ripartirà subito organizzando una piccola carovana per ricercare la spedizione astronom ica del professor Stowe il quale ha stabilito sulle falde del K enia... G uardi lì, quella carta... H a tro­

vato?... M a sì... sull’E quatore... V e d rà : K enia... 5240 m etri... sul livello d el... M a guardi, dunque, la carta!... E cc o : un poco più a destra... Be­

nissimo.

Bonifazio Tranquilli sudava abbon dantem ente quando, dopo qualche m inuto abbandono gli uffici di am m inistrazione stringendo nella destra un fascio di biglietti di b anca e nella sinistra, alcuni talloncini di cartone che dovevano essere senza dubbio i biglietti... p er viaggiare su quei diabolici mezzi di trasporto che si chiam ano direttissim o ed aeroplano.

# # *

Bisognava essere decisam ente ed inguaribilm ente pigri com e Bonifazio Tranquilli per non apprezzare al loro giusto valore le bellezze di quel viaggio aereo attraverso il M editerraneo e gran p arte d e ll’Africa, p er un lungo tratto di seim ila chilom etri.

M a, com unque si fesse, il reporter del « C orriere del m attino », te tra ­ gono a quel genere di emozioni, non era affatto soddisfatto dell’onore che gli era stato im partito.

La notte fu trascorsa da Bonifazio in piccola parte nei preparativi del

LA CITTA DEL SOLE 3

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4 GASTONE SIMON!

viaggio, e per la p arte m aggiore a m aledire in cuor suo il « New York H erald », il suo proprietario G ordon B ennett, il suo red atto re Stanley che avevano per primi inaugurata la pessim a m anìa di andare a spasso attra­

verso l ’Africa, col pretesto di cercare un altro pazzo — Liwingstone — che, invece di vivere tranquillo nel nativo D ew onshire e di perm ettersi, al più, qualche passeggiata sullo Strand o in Picadilly Street, aveva avuto la pessim a id ea di andare a m orire nelle m iasm atiche foreste d el m edio Congo.

Che cosa c entrava il signor Bonifazio Tranquilli, redattore del « Cor­

riere del m attino » nelle faccende personali dell’astronom o Stow e? Che costui avesse avuta la balzana id ea di piantare il suo osservatorio sulle falde del K enia, invece di contentarsi degli agi e delle com odità d e ll’osser­

vatorio di Cam bridge era ragione sufficiente p e r disturbare un povero gio­

vanotto al quale, invece, i propri com odi piacevano più che le avventure e che preferiva la quiete raccolta delle sue tre stanzucce appollaiate alla som m ità d i u n grande fabbricato m ilanese, a tutte le bellezze naturali ed esotiche che si potevano del resto am m irare egualm ente nelle cartoline illu­

strate o nelle relazioni dei viaggiatori?

Costui si era perduto? Eh, tanto peggio! U n pazzo di m eno in questo povero m ondo che è fatto p er la gente tranquilla e non ... p e r i vagabondi irrequieti! V oleva vedere la Luna più da vicino? E che im porta all’um anità d ella L u na? Le cose andrebbero per questo m eno peggio? No. D un qu e...?

E salando quel « dun q u e », che aveva tutto il valore di un principio filo­

sofico, il reporter del « Corriere del m attino » prese posto nella sua cuccetta a bordo dell’A ero-Espresso del Nord-Africa, dove si gettò sbadigliando e m aledicendo in cuor suo gli astronom i indiscreti che avevano la peregrina id ea di piantare le loro ten d e proprio a ll’E quatore del m ondo.

Bonifazio Tranquilli e ra ingiusto, qualche volta : quando specialm ente la realtà della vita quotidiana lo faceva bruscam ente precipitare dal suo settim o cielo popolato di fantasie, fino in m ezzo alla povera um anità inca­

pace, a suo vedere, di vivere saggiam ente la vita, col curioso pretesto di correre attraverso il m ondo il quale — per quanto Bonifazio potesse giudi­

carne, — non valeva proprio la p en a che ci si scom odasse p er vedere com ’era fatto, dal m om ento che ta n ta brava gente l ’aveva già fatto d a un pezzo scrivendo centinaia di volumi di viaggi, di avventure e di costumi.

Fu perciò con m alcelato disprezzo che egli considerò a d uno a d uno, a p p e n a alzandosi sui gomiti per sogguardare attraverso i vetri del finestrino, i viaggiatori che si affrettavano a prender posto nella im m ensa carlinga d ell’aero-espresso. Passarono sotto i suoi occhi d u e francesi dal viso inve­

rosim ilm ente glabro, un grosso tedesco che si issò a fatica attraverso il breve sportello, alcuni ufficiali italiani diretti verosim ilm ente in Libia ed un giovanotto smilzo, dal viso intelligente e dagli occhi irrequieti che si precipitò, meglio che non si accom odasse, nella cabina o ccup ata dal nostro eroe, nella quale la cuccetta rim asta vuota gli era stata evidentem ente asse­

gnata. Bonifazio sospirò. Che egli non avesse fortuna nep pu re nei com ­ pagni di viaggio? Quello, com unque, pareva troppo irrequieto e troppo ìu- moroso per essere un com pagno di cabina bene accetto al pacifico reporter.

Q uando, finalm ente tutti i viaggiatori ebbero preso posto, il velivolo, spinto dai suoi robusti motori, dopo di aver corso per qualche centinaio di m etri sullo specchio d ’acq u a dell’aeroporto si levò dolcem ente p re n ­ d endo quota e puntò risolutam ente verso il sud. Bonifazio Tranquilli so­

spirò per l’ultima volta e chiuse gli occhi disponendosi a dormire.

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LA CITTA DEL' SOLE 5 A h, i sonni deliziosi nella cuccetta del velivolo, sospeso tra il m are ed il cielo, senza scosse e senza sbalzi, cullati dal ronzìo uguale e dolce dei motori e dal fremito sonoro delle due grandi eliche prodiere!

Eonifazio socchiuse delicatam ente le palpebre per am m irare lo sp etta­

colo grandioso delle prim e stelle che incom inciavano a p alpitare nel cielo, simili a m iriadi di lucciole. Tutto ciò, veram ente, gli parve troppo belle p er non esser degno di qualche m inuto di osservazione.

11 suo com pagno di cabina, frattanto, si era addorm entato. Bonifazio lo considerò per un istante, gli inviò, attraverso la breve corsia che separava le due cuccette, un sorriso di sim patia, e si dispose a seguirne l'esem pio.

Il velivolo che si e ra levato ad alta quota, filava ora velocem ente verso il sud. T utto era silenzio, nell’interno della carlinga e fuori nell infinità del cielo, dentro il quale pareva che il velivolo scivolasse, quietam ente e d o l­

cem ente, sul ritmo eguale dei due potentissim i motori, dolce e m onotono com e una ninna-nanna.

Bonifazio richiuse gli occhi, e si abbando nò soavem ente al sonno.

II.

La r e a ltà n e m ic a d e lla lo g ic a .

Q uanto tem po dorm ì? Bonifazio non avrebbe saputo dirlo, quando fu destato im provvisam ente da uno strano rum ore che non era quello dei motori. A prendo gli occhi, il suo sguardo corse rapidam ente al finestrino : fuori, lontanissim e continuavano a brillare le stelle, in un cielo nero-azzurro com e l’inchiostro stilografico. Chi si m uoveva, dunque, a bordo del veli­

volo in quell’ora tardissim a della notte?

Q ualcuno, indubbiam ente, si m uoveva : con m olte cautele, strisciando sul pavim ento, avanzando con la lentezza piena di terrori di chi non vuol farsi udire, qualcuno percorreva la corsìa che tagliava esattam ente a m età la fila delle cabine, da p rua a p oppa, e tagliata a sua volta, in corrispon­

denza di ogni cab in a d a pesanti panneggiam enti color verde cupo.

Bonifazio tese l’orecchio. Il suo cuore aveva incom inciato a b attere p re ­ cipitosam ente. Egli ne sentiva fin quasi alla gola i colpi violenti e precipi­

tati che gli m ozzavano il respiro. Come tutti coloro che sono decisam ente inclinati alla vita contem plativa, Bonifazio Tranquilli era, senza dubbio, un tim ido : pauroso sarebbe dir troppo, che, se si tolgono i sintomi della p au ra vera e propria i quali nel nostro eroe avevano m anifestazioni piut­

tosto visibili, questo sentim ento negativo dello spirito era il più spesso in

f i e T O contrasto col sentim ento opposto che Bonifazio Tranquilli sapeva va­

gam ente chiam arsi coraggio.

Se ci fosse perm esso il giuoco di parole, direm m o che Bonifazio era p au ­ roso per tem peram ento e coraggioso per necessità : e veram ente più d ’uno fra coloro che lo conoscevano sapeva bene che cosa pensare dei folli

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terrori di Bonifazio Tranquilli, sotto l’influenza dei quali, egli era capacis­

simo dei gesti più tem erariam ente audaci.

Bonifazio tese dunque l’orecchio. 11 rom bo regolare dei due motori gli im pediva di identificare lo strano rum ore che egli aveva udito a distanza di pochi passi nel buio del corridoio.

A lzato sui gomiti guardò verso la cuccetta del suo com pagno : costui doveva essere senza dubbio nel più profondo sonno, a giudicare dalla sua respirazione lenta e regolare e dall’assoluta im mobilità d el corpo a b b a n ­ donato sulla cuccetta.

In q u eiristan te m edesim o il rum ore si rip etè, più vicino, ora, e più distinto .Non si scorgeva ancora nulla; m a senza dubbio, colui che strisciava sul pavim ento di linoleum era là, dietro il panneggiam ento verde che, in­

fatti, Bonifazio credette di veder ondeggiare per un attim o.

Prim o im pulso del giovane fu quello di gettarsi d alla su a cuccetta im­

pu gnando la rivoltella che egli teneva, per eccesso di precauzione a p o r­

tata di m ano sotto il guanciale. Ma, decisam ente, il suo tem peram ento di timido ebbe il sopravvento : tra il pensiero e l’azione un attimo bastò p er­

chè la risoluzione prim itiva fosse cancellata d a u n ’altra. Bonifazio T ra n ­ quilli rim ase perciò immobile nella cu ccetta sforzandosi di respirare il più rum orosam ente possibile p er sim ulare il sonno profondo.

M a, con gli occhi sbarrati — oh, com e sbarrati! — egli no n abban do nò il panneggiam ento che aveva veduto ondeggiare p o c ’anzi e dietro il quale, senza dubbio, Yindividuo aspettava il m om ento d ’agire.

Finalm ente, un lem bo del panneggiam ento si sollevò. U n’om bra più cu p a d e ll’om bra circostante avanzò lentam ente, strisciando coi ventre a terra fino a toccare le due cuccette, ed u n ’altra om bra la seguì con le stesse precauzioni.

— Diavolo! — pensò Bonifazio. — Sono due! — Poi un altro pensiero sconcertante lo inchiodò definitivam ente sul fondo della cuccetta.

— Che diam ine vogliono? Sacr...! N o n l ’avranno mica con m e? — E strinse nel pugno nascosto sotto il guanciale la sua fedele pistola.

I d u e uomini non l ’avevano evidentem ente con lui. Uno di essi si levò sulle ginocchia, appoggiandosi delicatam ente alla cuccetta del giovane com ­ pagno di Bonifazio e sussurrò :

— Dorme!

— E l’altro?... — chiese u n a voce soffocata.

— Non senti com e respira? È ubriaco fradicio!...

Bonifazio frem ette, rivoltato. Egli, com pletam ente astem io, si sentì tan to atrocem ente insultato d a quel sospetto che provò di nuovo l’impulso di get­

tarsi dalla cuccetta im pugnando la sua rivoltella.

__Canaglie! — pensò, stringendo i denti per non ripetere l’ingiuria ad a lta voce.

__ D ’altronde abbiam o di che ridurlo al silenzio... — disse uno dei due uomini.

— Chi è?

— Uhm! Un giornalista... Sì... per la faccenda Stow e...

— Ah! Un curioso, quindi...

__ N o... Non credo... Possiamo lasciarlo vivere... E poi, un cadavere è sem pre d ’incomodo.

— Che gente delicata! — pensò Bonifazio frem endo.

— Potrem m o lanciarlo in m are...

6 GASTONE SIMONI

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— È presto detto... E poi, dopo tutto, non credo che sia pericoloso...

H a una faccia da bam boccione...

Bonifazio Tranquilli frem ette insieme di terrore e di sdegno. Bamboc- cione? A lui? P erchè parlavano di lui senza tem a d ’errore quei due figuri...

G iornalista... faccenda Stow e...

T utto questo appunto dette a Bonifazio una specie di m alessere fisico che in tu tt’altri avreb be potuto scam biarsi p er p au ra bella e buona, m a che in lui, al contrario era il sintomo di u n a im pensata esplosione di audacia.

— E cco... Credo di aver trovato... — sussurrò una delle d ue voci.

— C he?... 1 docum enti?

— N ella custodia di allum inio...

— Sei sicuro?...

— Sicuriss...

La parola morì nella strozza dell’uom o che la pronunziava. D all'alto d ella sua cuccetta, senza riflettere che il suo abbigliam ento notturno — un leggerissimo pigiam a di seta — lo m etteva senza dubbio in condizioni di inferiorità fisica, Bonifazio Tranquilli era balzato sulle due om bre, im pu­

gnando la sua rivoltella.

—• A lto là, canaglie! — gridò abbrancando alla gola il prim o che gli fu a tiro, m entre l’altro, annaspando nel buio ten tav a di fuggire.

Nello stesso tem po il giovane che dorm iva si destò al rum ore della lotta.

Con la prontezza che è caratteristica dagli audaci, egli intuì la situazione e, lasciando Bonifazio alle prese col suo uom o, rincorse il fuggitivo che non eb b e il tem po di oltrepassare il panneggiam ento.

— A lto là, mio bel signorino! — gridò soprattutto con l’intenzione di richiam are l’attenzione del personale di bordo. — Ferm atevi o sparo!

E lo afferrò per le braccia riducendolo all’im potenza con u na destrezza ed un vigore delle quali non si sarebbe creduto cap ace quel piccolo corpo m ingherlino.

Il giovane sconosciuto aveva raggiunto, senza dubbio, il suo scopo. Non erano trascorsi che pochi secondi dal suo grido e lo steward di bordo, due m eccanici ed il p ilota di cambio si erano precipitati in suo soccorso, sol­

levando anche d a terra Bonifazio il quale vi teneva solidam ente inchiodato il suo avversario.

Q uando, finalm ente i due, ridotti all’im potenza, furono trasportati nella celletta di p o p p a destinata ai bagagli, Bonifazio Tranquilli, senza attendere il ritorno del suo giovane com pagno di cabina che aveva voluto personal­

m ente accom pagnare i due prigionieri alla loro cella, si gettò nella sua cuccetta sbuffando.

Í& ^

— Signore... Vi ringrazio di cuore... E tanto più cordialm ente, in...

— N on c ’è di che, signore, vi prego...

— Voi non im m aginate quanta gratitudine vi debb a p e r avermi svegliato a tem po...

—- C redete? — dom andò burbero Bonifazio Tranquilli, il quale non era, evidentem ente, in vena di com plim enti. — C redete di doverm i davvero della riconoscenza?

— [Moltissima, signore... E vi accerto...

LA CITTA DEL SOLE 7

(10)

— Vi credo... Vi credo! — interrup pe bruscam ente il reporter — Che cosa ne direste, perciò, se vi proponessi di rip rendere il sonno interrotto in così m al punto?

Se il tono d ella voce era garbato, la proposizione dovette sem brarlo assai m eno al giovane sconosciuto il quale, bo rb ottand o qualche scusa, si distese nella sua cuccetta volgendo il viso alla parete.

Bonifazio Tranquilli considerò per un istante il suo suscettibile com ­ pagno di viaggio, crollò le spalle e si riavvolse voluttuosam ente tra le coperte.

Due minuti dopo russava com e un contrabasso.

Q uesta volta il sonno del nostro eroe fu interrotto soltanto l’indom ani dalla voce dello steward che annunciava ai viaggiatori la fine del viaggio.

In u n baleno Bonifazio Tranquilli fu vestito. 11 suo com pagno di viaggio era già balzato dalla cuccetta e stava dando gli ultimi tocchi alla sua toeletta alquanto som maria,

— Buon giorno, signore! — esclamò allegram ente il reporter ben di­

sposto dal lungo sonno ristoratore.

— Buon giorno, signore — rispose lo sconosciuto. — Tripoli? — chiese poi indicando vagam ente col dito fuori del finestrino.

— T ripoli... — conferm ò Bonifazio sorridendo.

Fuori non si scorgevano che le nuvole, un poco più in basso del veli­

volo, il quale pareva veleggiare al disopra di un immenso m are di fiocchi di lana, che il sole illum inava dal di sotto traendone stranissimi effetti di luce.

Bonifazio non si ingannava. Non era trascorsa m ezz’ora, ed il velivolo, arrestati i motori incom 'nciò il più bel volo librato che il réporter avesse m ai provato, abbassandosi rapidam ente.

L ’aeroplano attraversò, rapido com e una palla di fucile, un im m enso m are di nebbia che nascose nel suo grigiore uniform e la luce rossastra del sole.

— N uvole... — com m entò lo sconosciuto sorridendo.

Poi il sole apparve di nuovo; ed allora, i due com pagni di viaggio spin­

sero i Icro sguardi oltre il finestrino, in basso dove era ap p arsa la superfice azzurra del M editerraneo, liscia com e un drappo di seta, sul quale si scor­

gevano alcuni puntini neri sem oventi.

Più lontano, lievem ente in rilievo le coste frastagliate della piccola Sirte apparivano com e u n a vaga neb b ia grigiastra.

— Il signore vorrà favorirmi il suo n om e... — chiese lo steward entrando.

— I due ladruncoli saranno consegnati alla polizia italiana a T ripoli...

Il giovanotto si volse vivam ente.

— Il mio nom e?

— Ed anche quello del signore che fu testim one d ell’aggressione,.. — aggiunse lo steward indicando Bonifazio.

— Giusto! — esclam ò il réporter — D im enticavam o i du e... ladruncoli...

— Dove sono?

— Nel bagagliaio... a p oppa.

-—- Ne siete sicuro? — disse Bonifazio sbad atam en te.

— Diamine! Il signore mi p erdoni... M a ve li ho rinchiusi io perso­

nalm ente...

— A lia b u o n ’ora! E sarà necessario presentarci alla polizia per il verbale?

8 Ga s t o n e s im o n i

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L e fa n c iu lle si m o ssero , si a v v ic in a ro n o ... (P a g . 21).

(12)

—> Non credo, signore... A m eno che il signore non voglia sporgere denunzia.

— D enunzia? N eppur per sogno! — esclam ò vivam ente il giovanotto — S olam ente... Ecco. S arebbe possibile vedere un poco in viso quei d u e si­

gnori ?

— Possibilissimo, signore... 11 signore non ha che a recarsi a p o p p a ; stanno infatti liberandoli provvisoriam ente dalla loro prigione. .

— V eniam o! P recedeteci.

E lo steward si avviò lungo il corridoio.

In quell’istante m edesim o si udirono alcune esclam azioni di m eraviglia.

Poi uno dei m eccanici si avanzò quasi correndo verso il gruppo.

— Stefano! — gridò allo steward — i prigionieri...!

— E bben e? Che c ’è?

— Li avete liberati voi?

— lo? Siete pazzo? N eppur per sogno!

— Scusate... H o trovato il portello ap erto ... e la gabbia vuota!

— Im possibile...

— T an to possibile che è vero, Stefano. 11 bagagliaio è affatto vuoto!

— S acr...! A vete le traveggole? Q ualcuno li ha du nq ue liberati? In q u e­

sto caso debbono essere a bordo!

— Se non si sono gettati dal finestrino... — osservò ironicam ente il gio­

vanotto sconosciuto.

— Signore! A bbiam o volato sem pre alla quota di duem ila metri!

— Q uanti passeggeri avete a bcrdc? — chiese il giovanotto intervenendo,

—- D iciotto... Siamo al com pleto...

— Bene. E quanti paracadute?

—• Diciotto, naturalm ente, per i passeggeri... Due per i piloti, due per i m otoristi, uno p er lo steward. V entitré in tutto.

— C ontate dunque i vostri paracad u te e, dal m om ento che i nostri u o ­ mini non sono più a bordo, saprem o che cosa pensarne.

Il m eccanico corse a prua, tornando dopo qualche minuto.

—• E bbene? — interrogò lo steward.

— Ci sono tutti! — rispose il m eccanico costernato.

— Che cosa?

— I p aracadute, diam ine!

— Perdio! Io non ci capisco più nulla! — brontolò Bonifazio Tranquilli sbalordito.

Il solo che non perdesse la calm a fu il giovanotto che era stato vittim a d e ll’aggressione.

— Bene. C ontate dunque i passeggeri.

— Ecco u n ’idea! Vi ringrazio, signore! Diremo dunque : due...

— E sattam ente. — esclam ò il giovanotto — lo ed il signore qui p re ­ sente facciam o due. Non ve n e rim angono che sedici.

— Sì, signore... sedici... — borbottò il disgraziato Stefano, il quale, evidentem ente, non si raccapezzava più, allontanandosi p er contare i suoi passeggeri.

La sua assenza non fu lunga. Di lì a qualche m inuto, infatti, Stefano ri­

com parve balbettando.

—• S ignore... scusatem i... I passeggeri vi sono tutti...

— N aturalm ente! I nostri due uomini non saranno m ica fuggiti a volo...

Siete b en certo che ci siamo proprio tutti?

10 GASTONE SIMONI

(13)

LA CITTÀ DEL SOLE H

— Certissimo. Del resto, se il signore vuol seguirmi potrà aiutarmi a riconoscere i suoi due aggressori di stanotte...

— Vi seguo...

— Ed anche il signore... — aggiunse Stefano — 11 signore ne h a atter­

rato uno, se non erro ...

— Eccom i... M ancherà molto all’arrivo ?

— V enti minuti circa, signore. A bbiam o tutto il tem po di ispezionare tutto l ’apparecchio.

— Q u an d ’è così, spero bene di riconoscere il mio uomo di stanotte, anche se si fosse truccato com e un trasform ista.

I due passeggeri, seguiti dallo steward e dal m eccanico incom inciarono infatti il loro giro.

Le cabine, separate l una d all’altra da un sem plice panneggiam ento di velluto verde, erano disposte lungo la carlinga d e ll’apparecchio che il cor­

ridoio percorreva da un estrem ità all’altra. Erano nove in tutto, oltre la grande ca b in a prodiera per l’equipaggio ed il bagagliaio a p o p p a.

L ’ispezione non fu quindi nè lunga nè diffìcile. P artend o d a p o p p a i quattro uomini si diressero a prua, percorrendo la fila delle cabine entro le quali gettarono sguardi fuggitivi ed insiem e indiscreti.

Sfilarono sotto gli occhi dei quattro uom ini, due tedeschi, sei ufficiali coloniali italiani, un inglese, un levantino, due arabi vestiti all'eu ro p ea e due com m ercianti italiani. L ’ultim a cabina, quella di prua, era affatto vuota.

— ... quattordici... — contò Bonifazio Tranquilli arrestandosi. — Dia­

volo. Ne m ancano due.

— Com e, d ue? — esclam ò Stefano disorientato. — Io ne ho contato sedici pochi m inuti or sono...

— Q uattordici, volete dire...

— No. Sedici. H o detto che l’apparecchio era al com pleto. Quindi non dovrebbe esserci alcuna cabina vuota...

— Q uesta è vuota, p erò... — osservò il giovanotto sconosciuto.

— E non dovrebbe esserlo, dal m om ento che fino a pochi minuti fa era occupata.

— Da chi?

— Da due grossi signori che parevano tedeschi...

— Voi confondete senza dubbio con la cabin a di p o pp a.

— Ma no. Era proprio q uesta... Ne sono sicurissimo.

— V ediam o! — esclam ò il giovanetto. — Siam o calmi. . Non ci gua­

dagnerem m o nulla a perdere la testa. Voi siete certo che la cabina era occu p ata pochi minuti fa?

— Certissimo.

— Da due grossi signori?

— Due grossi... esattam en te... Non capisco quindi...

— A spettate. Ed ora non ci sono più?

— Come v ed ete... — esclam ò Stefano sconcertato.

— D unque possiam o concludere...

— lo, non concludo nulla, signori... Non capisco affatto...

— V olete dare u n ’occhiata allo sportello d ’uscita?

— Allo sportello? Non pensate ch e...

— Che se ne siano andati tranquillam ente per i fatti loro? Come se fos­

sero in un tram elettrico? Bah! E perchè no, d o p o tutto? M a guardate dunque!

(14)

Stefano corse verso p o p p a e ritornò dopo qualche istante trafelato e spaurito .

— Signore! Signore! Lo sportello è aperto! Si sono gettati giù... d a mille m etri...

— E bbene? Che vi dicevo, io?

— No è orribile, signore...

— Orribile? E perchè? — rispose calmissimo Bonifazio che aveva seguito attentam ente la discussione senza intervenire. — Dopo tutto se lo hanno fatto, è certo che essi potevano farlo...

12 GASTONE SIMONI

111.

I l fr a n c e se si d iv e r te .

Bonifazio si trovò senza saper com e sulla calata del porto di Tripoli, accanto al suo giovane com pagno che la faccen da dei due m ariuoli spariti aveva m esso di buon um ore.

— Voi proseguite, senza dubbio? — dom andò il giovanotto.

— Sì, per la linea del Sudan. Deve esservi un dirigibile che fa il ser­

vizio trisettim anale da 1 ripoli a K artum ...

— Vi avrò com pagno di viaggio, d unq ue...

— Ah!? V errete a K artum anche voi? — chiese Bonifazio stupito.

Il giovanotto sorrise.

— V ado un poco più innanzi... Ho l’intenzione di spingerm i fino a P orto Florence, sulle rive del lago V ictoria...

— Eh? Port Florence? A vete detto Port Florence?

— Sì. Che c’è di strano? — chiese stupefatto il giovanotto. — N on è poi in capo al mondo!

— N o... M a gli è che, an ch ’io, sono diretto al lago V ictoria... Il mio direttore...

— Benissimo! Farem o il viaggio in com pagnia, quindi, se non vi di­

spiace...

— D ispiacerm i? T utt altro... Q u an d ’è così, ripariam o ad u na m ancanza comune : io mi chiamo Bonifazio Tranquilli e sono redattore viaggiatore del

« Corriere del m attino » in viaggio di servizio...

— Ah! Giornalista! — esclam ò il giovanotto con una sfum atura di di­

sappunto. — Ed io... Paolo Ludovisi... ingegnere... in viaggio di...

— D i...? — incalzò curiosam ente Bonifazio.

— Di... nulla... Viaggio : ecco tutto. Il m ondo mi piace ed ho voglia di vederlo tutto.

Bonifazio sorrise. N onostante si trattasse, com e egli pensava, di un irrequieto m aniaco, quel giovanotto gli era sim patico. Gli tese perciò' cor­

dialm ente la m ano :

— Alla buon ora! — esclamò. — Ecco un viaggio che non è del tutto

(15)

spiacevole, se mi h a fruttato una conoscenza com e la vostra. Ed oia vo­

gliamo far colazione? C onoscete Tripoli?

— Un poco...

— G uidatem i, dunque.

L ’ingegnere Paolo Ludovisi si mosse e Bonifazio gli tenne dietro. 1 due giovani passarono rapidam ente davanti agli uffici d ella Dogana, passarono dinanzi all’arco di M arco Aurelio, percorsero un breve tratto del bastione che si allaccia al vecchio castello spagnolo e sboccarono nella larga ed ani­

m ata sciarra Aziziah.

N on fu difficile trovare una trattoria, fra le m olte eleganti e lussuose che nella più bella via di Tripoli si sono stabilite dopo l’occupazione italiana e, quando dop o u n ’ora, i due giovani ne uscirono la loro amicizia aveva fatto passi d a gigante. Bonifazio che era nonostante tutto, il più espansivo tra i d u e giunse a proporre il confidenziale « tu » in luogo del freddo e conven­

zionale « voi » che i due nuovi amici avevano usato fino a quel m om ento.

Scendere nella perla della Sirte e n on visitarla nei suoi aspetti più ca ra t­

teristici sarebbe im perdonabile ad un viaggiatore qualunque; m a e ra ad d i­

rittura u n delitto per un giornalista. Bonifazio propose perciò all’am ico, un piccolo giro e P aolo Ludovisi offrì volontieri di servirgli d a guida.

— C he cosa vuoi dunque vedere? — chiese all’amico.

— T utto, che diam ine! — rispose Bonifazio co n l ’ard ore del neofita.

— T utto? È. un p o ’ troppo, am ico mio. Basterà u n a visitina « a volo d ’uccello » attraverso le vie più caratteristiche : suìi el T u r c l la piazza del P ane, il ded alo degli zenl^t (vicoli) e delle sciarra (via) che si diram ano dalle tre sciarra principali, la grande m oschea, sciarra R iccardo, il lungo-m are V olpi... la hata degli ebrei... Tripoli caratteristica è tu tta qui.

— A ndiam o, dunque — esclam ò allegram ente il giornalista.

I due giovani s'incam m inarono lentam ente. Su/j el Turclj con i suoi ca­

ratteristici negozi, con i suoi bazars nei quali si parlano tutte le lingue orientali, d a ll’arabo all ebraico, al turco al greco, dove sciam ano arabi, beduini, candioti, maltesi, greci, turchi, berberi, ebrei, sudanesi, fellah ed europei, interessò vivam ente Bonifazio Tranquilli il quale si fermò curiosa­

m ente davanti alle m ostre, non senza che qualche venditore cerim onioso gli si facesse incontro pronunziando il sacram entale :

— Es salàm alèlj.. Uq ’ud! (Salute! Si accomodi).

Fu ap p u n to uscendo d a uno di codesti negozi che Bonifazio Tranquilli provò la strana sensazione che qualcuno lo seguisse e si volse vivam ente.

Il suo m ovim ento fu così rapido che Paolo Ludovisi lo imitò istintivam ente.

— Che c’è? Che cosa hai veduto? — chiese stupito.

— N ulla... Mi p arev a... M a forse è u n a sciocchezza.

— Dilla com unque.

— E bbene, non mi darai del visionario? H o creduto di vedere l’uomo di stanotte.

— Uhm! È. possibile!

— Credi? Cam m iniam o ancora un poco senza m ostrarci di esserci ac­

corti di n ulla... Poi ci volterem o im provvisam ente. Bisognerà bene che si tradisca.

I due giovani cam m inarono infatti per un centinaio di m etri ancora. Poi, d improvviso, Paolo si voltò bruscam ente ed il suo gesto fu tanto repentino

che qualcuno si volse curiosam ente.

LA CITTÀ DEL SOLE 13

(16)

M GASTONE SIMONI

— Perdio! Eccolo! — gridò l’ingegnere spiccando la corsa per attra­

versare la strada.

Al grido un uom o che cam m inava sul lato opposto a quello tenuto dai due giovani si volse bruscam ente verso la m ostra di un negozio, m a non tanto rapidam ente che anche Bonifazio lo riconoscesse.

— È lui! Diavolo! Non mi sfuggirà questa volta! — gridò seguendo Paolo Ludovisi che aveva già guadagnato qualche passo su di lui.

Lo spione, vedendosi scoperto, si diede a correre a sua volta, urtando un panciuto ebreo che usciva in quell’istante d a un a porta. L ’incidente trattenne per qualche secondo i d u e inseguitori e quell’attimo bastò perchè il fuggitivo svoltando in un vicolo uscisse d alla calca.

Ma Bonifazio non intendeva ab b an donare l’inseguim ento, nonostante !e grida indignate di qualche passante alla vista d ell’ebreo caduto sconcia­

m ente attraverso il m arciapiede.

Se 1 ebreo ha l ’onore di dividere coll’europeo l’odio fanatico dell'arabo m ussulm ano, il prim o è sem plicem ente « im m ondo ebreo » m entre l’euro ­ peo, è assai peggio, il « cane infedele ». E ra naturalissim o perciò !o sdegno d i alcuni zelanti arabi, i quali lungi dal portare soccorso al caduto, si pre cipitarono all’inseguimento dei due europei con la m aligna speranza che si trattasse di ladri da consegnare all’autorità, m entre una folla urlante ed eccitata si raccolse intorno a ll’ebreo.

— Shu fi.

— M a ba’ rif!

— Haga.

— Mashdallah! (1)

— Jallah! (2)

Q ueste grida, sul tono acuto che è caratteristico degli arabi si incrocia­

rono vivam ente, m a l’ultim a intim azione fu senza dubbio rivolta all’ebreo, perch è questi si levò gem endo ed invocando lam entosam ente tutti i p a ­ triarchi d a G iacobbe in avanti, m entre gli arabi che lo circondavano si scan­

sarono con un gesto di ribrezzo.

Gli altri, coloro cioè che si erano d ati a ll’inseguim ento degli europei, si perd ettero nel dedalo delle stradicciuole che circondano il sufc e dopo qual­

che m inuto la via tornò tranquilla ed insiem e anim ata come per 1 innanzi.

* * *

L ’ingegnere più agile e più snello del com pagno lo aveva oltrepassate di qualche m etro. Dietro di lui, Bonifazio, ansava. 11 fuggiasco era stato intraveduto d a entram bi ancora una volta in mezzo ad u n a m inuscola piazza ed era scom parso di nuovo, in un vicolo oscuro.

Paolo fu costretto ad arrestarsi. L ’uom o era senza dubbio sparito in u n a delle catapecchie sudice e sordide che fiancheggiavano il vicolo.

Alcuni arabi seduti indolentem ente contro il m uro levarono a p p e n a gli occhi p er considerare p er un attim o i due europei che si erano arrischiati fino in quel luogo nel quale nessun cristiano osava avventurarsi.

(1) C h e è a c c a d u to ? — N o n lo so ! — N u lla ! — B rav o ! (2) V a tte n e !

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F rattanto gli arabi inseguitori si avvicinavano. Se ne sentivano le grida furibonde nella piazzetta d alla quale i due giovani avevano perduto di vista il loro uom o.

— Diavolo! Ci siamo tirati addosso tutta questa gente! — esclam ò Bo­

nifazio addossandosi p rudentam ente al muro.

—• È un b ell’impiccio! — brontolò l’ingegnere — Siete arm ato?

—• Non avreste p e r caso l ’intenzione di far fuoco?

— Eh, diam ine! Se fosse necessario, sì!

In q uell’istante due arabi erano apparsi correndo, alla im boccatura del vicolo.

— H e d e hi! (eccoli!) — gridò con una voce acuta di falsetto verso i com pagni.

Ed u n a piccola folla di arabi si precipitò nel vicolo circondando i due europei.

Bonifazio Tranquilli si vide perduto. V edendosi contro i visi minacciosi degli arabi che urlavano qualche cosa che egli non riusciva a com prendere, dim enticò in un attim o i propositi di pru d en za espressi poco prim a e trasse la rivoltella, p u ntandola sugli avversari più vicini.

— Indietro, canaglie! — uriò. — Il prim o che fa un passo è un uomo morto!

Fiato sprecato! Sia che gli arabi non com prendessero, sia che il loro furore non am m ettesse discussioni, essi non tennero conto dell’intim azione e si avanzarono ancora urlando alcune parole che parvero a Bonifazio un insulto, tanta era l’ostinazione con la quale erano ripetute.

— Che cosa vogliono? — chiese al com pagno che, accanto a lui si era addossato ad una porta, sulla quale b attev a gran colpi di tallone.

— N on lo so! N on capisco! Non sparare!

— Diavolo! Ci farem o m assacrare!

— A spetta! Sto battendo alla porta!

Uno degli arabi si avanzò fino a toccare il giornalista con la m ano tesa.

— Indietro! — urlò Bonifazio. — N on ci libererem o mai di questa gente?

Indietro!

Come se le sue grida fossero un segnale, la folla degli arabi avanzò an ­ cora, prem endo d a ogni lato i due giovani. L ’ingegnere p erd ette a sua volta la calm a e, pu n tan d o la rivoltella tentò di farsi largo.

R intronò un colpo d ’arm a d a fuoco.

—• Non sparare! Sacr!... — gridò l ingegnere.

— Io non ho sparato! — urlò Bonifazio.

Ma il colpo di rivoltella, il quale del resto, non aveva ferito alcuno, eccitò la folla degli arabi fino al parossism o.

Q uattro fra i più risoluti si avanzarono fino ad afferrare i due giovani per le braccia con l’evidente intenzione di trascinarli verso la piazzetta.

— Lasciatem i! Largo! -— urlarono con tem poraneam ente i due europei, lasciando partire un colpo delle loro pistole.

Due arabi caddero. Gli altri, vedendo cadere i com pagni, dopo un attim o di esitazione si precipitarono contro gli europei, furibondi.

L ’ingegnere e Bonifazio arretrarono istintivam ente tentando di add os­

sarsi al m uro, decisi a vender cara la pelle. Sopraffatti dalla folla de<di arabi che si era precipitata contro di loro, rincularono vivam ente, portando indietro la m ano sinistra per trovare sul m uro un appoggio. Ma le loro mani incontrarono il vuoto. A rretrando ancora di un passo inciam parono in un

LA CITTA DEL SOLE 15

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16 GASTONE SIMONI

ostacolo; troppo ' vivam ente per poter conservare l’equilibrio e caddero riversi.

Gli arabi gettarono un grido di trionfo.

Bonifazio chiuse gli occhi istintivam ente aspettan do la fine e fu viva­

m ente stupito di doverla attendere qualche secondo che gli parve lungo quanto l’eternità.

Poi, con suo più grande stupore le grida degli arabi cessarono d ’incanto Un uom o, un arabo anch esso che Bonifazio intravide socchiudendo un occhio, passo sopra il corpo dei due europei caduti e si avanzò pronun­

ziando alcune parole in arabo le quali ebbero per effetto di placare l ’ira della folla com e già Giove tonante doveva scatenare gli elem enti o placarli col solo aggrottam ento delle ciglia.

$ $ $

— Ecco u n a degna persona che avrebbe diritto alla nostra gratitudine intiera se ci facesse l’onore di m ostrarsi ed il piacere di rilasciarci in li­

bertà! — brontolo Bonifazio scuotendo 1 ingegnere che si era adagiato sopra un soffice divano, fum ando u n a sigaretta che aveva trovato in una scatola di cuoio sopra un m inuscolo tavolino di cedro.

G ià da circa u n ’ora i due giovani si trovavano in quel luogo, intuendo appena vagam ente il m odo col quale vi erano giunti.

L ’ingegnere aveva già in parte ricostruita la scena e Bonifazio giurava

d i esser nato con la camicia. La fortuna li aveva infatti protetti in m odo

miracoloso. M entre la folla degli a T a b i eccitati li prem eva d a ogni p arte, la p orta contro la quale i due giovani erano ad do ssati si aperse. Bonifazio e l’ingegnere non trovando più l’ostacolo che le loro m ani cercavano, ave­

vano arretrato fino ad inciam pare nello scalino ed erano caduti riversi. Nello stesso istante un uomo, daH’interno della casa si era fatto sull’uscio ed erano bastate alcune parole p er placare gli arabi e p e r allontanarli. Poi, m entre qualcuno chiudeva la porta, alcuni servi avevano rialzati i du e giovani, trasportandoli nel salottino nel quale si trovavano e dove li ave­

vano lasciati a d attendere.

M a l’uom o, l’uomo misterioso che, quasi col solo gesto della m ano li aveva salvati d a una m orte terribile, colui il quale era evidentem ente il loro ospite, era sparito senza rivolger loro la parola, altrettanto m isterio­

sam ente come era apparso in così buon punto.

—• Bah! In fin dei conti non è molto gentile costui! — esclam ò il gior­

nalista che incom inciava a seccarsi.

L ’ingegnere non rispose.

Bonifazio Tranquilli si alzò indolentem ente dal divano sul quale era seduto e fcce un rapido giro lungo le pareti della stanza. Si trattava di un vasto vano ottagonale, il quale non presentava nelle sue otto pareti alcuna apertu ra che potesse sem brare u n a finestra. L a luce vi pioveva d all’alto, da una specie di lucernario ap pena velato da un a leggera m ussola color di rosa che diffondeva un vago bagliore dolcissimo sui cuscini e sui divani dei quali secondo 1 uso orientale era grande abbondanza, m entre scarseg­

giavano assolutam ente i mobili in legno rappresentati d a un minuscolo tavo ­ lino di cedro e da qualche alzata carica di ninnoli e di confettiere.

L ’ispezione non parve tranquillizzare il nostro eroe, il quale, visibilm ente

(19)

M istre ss E lp h is to n g u a rd ò il m a rito con u n ’a ria d i so v ra n o d is p re z z o ... (P a g . 28).

(20)

¡preoccupato, incominciò a grattarsi la nuca, il che era segno in lui di estre­

mo im barazzo.

— Paolo! — esclamò finalm ente. — A vete notato che non vi sono porte in questo luogo?

— Eh? Non ci sono porte? Da che parte sarem m o dunque entrati?

— lo non lo so, amico mio. 11 fatto è che dietro questa tappezzeria non c ’è nulla che assomigli a una p o rta...

Le pareti erano infatti ricoperte di tappezzerie di seta e di mussolina a vivaci colori, senza alcuna soluzione di continuo.

L ’ingegnere si alzò finalm ente dal suo posto e, seguendo l’esem pio del com pagno si diede ad esplorare la p arete passandovi nervosam ente la m ano. Come ebbe com piuto il giro della stanza, Bonifazio lo interrogò :

—■ E bbene?

— Uhm! Ecco u na faccenda che non è chiara... — borbottò l’ingegnere.

— Q uesto nostro ospite ha tutta l’aria di un carceriere... A vete provato a chiam are?

— Toh! È u n ’idea! Se c 'è un cam panello è segno che si può servirsene.

— O alm eno tentane... V edo qui un cordone... — finì l’ingegnere.

— Prova.

Paolo afferrò il cordone e lo tirò vivam ente. In lontananza si udì lo squillo argentino di u n cam panello. I d u e amici si guardarono l ’u n l'altro ed attesero.

Non era trascorso un m inuto che un lem bo della tappezzeria si mosse lasciando il passaggio a due fanciulle bellissime, vestite graziosam ente nel costum e orientale, di un paio di calzoncini di m ussola cadenti sulle c a ­ viglie in pieghe abbondanti e d ’un corpetto di color rosso vivo sul quale spiccava il bianco abbagliante della cam icia di cui si scorgevano l’incolla­

tura e le m aniche chiuse al polso con due bottoncini di perle. I piedi delle due fanciulle, piccolissimi e rosei erano infilati in due m inuscole babbucce ricam ate d ’argento e d ’oro.

I d u e giovani considerarono sbalorditi l ’apparizione, degn a in tutto dei fantasiosi racconti delle « Mille e u n a notte ».

— Diavolo! — esclamò Bonifazio riavendosi per prim o. — Che il nostro ospite si chiam i addirittura H aarhun el R aschid? (1)

Paolo Ludovisi si avanzò verso le due fanciulle che si erano graziosa­

m ente inchinate.

— Il vostro pad rone? — interrogò. — A bbiam o bisogno di parlare al vostro p ad ro n e... — ripetè poi vincendo l’im barazzo che gli cagionava la presenza delle due bellissime arabe.

— Misà ’l kherr jà afàndi (2) — rispose una delle du e fanciulle con una voce adorabilm ente flautata. E l’altra, traducendo, ripetè in un italiano assai approssim ativo, ma su quelle fresche labbra, graziosissimo :

— II... sera del prosperità... signore...

— H o capito! È il saluto — esclam ò Bonifazio. — Buona sera, signo­

rine! Si può du nque parlare al vostro signore?

L a mimica con la quale il giornalista accom pagnò la sua richiesta fece ridere le d u e fanciulle, e colei che parlava l’italiano si affrettò a rispondere.

(!) F a m o so C aliffo d i B a g d a d a ll’e p o c a d e l q u a le si v erificò il m a ssim o sp le n d o re d e lla civ iltà a ra b a .

(1) L e tte r a lm e n te : (sia q u e s ta p e r te). L a se ra d e lla fo rtu n a , m io sig n o re .

18 GASTONE SIMONI

(21)

— S e m ù ’ A b d el A ziz parlerà questo sera con sidi frangije...

Il giornalista intuì più che non com prendesse.

— D unque questo signor Sem ù... eccetera parlerà questa sera coi signori francesi che siamo poi noi?

La fanciulla felice di essere com presa accennò vivam ente di sì col capo

—■ Il che significa che fino a questa sera alm eno noi siamo prigionieri del signor Sem ù?... A proposito! Si chiam a dun q u e Sem ù il vostro padrone?

La fanciulla accennò vivam ente di no col capo.

— E com e dunque? -— incalzò Paolo intervenendo.

La piccola arab a fece uno sforzo per spiegarsi intelleggibilm ente e vi riuscì alm eno in parte.

— S em ù... — spiegò — come dite voi, frangije... vuol dire A ltezza...

Sua A ltezza...

— Eh? — esclamò Bonifazio sobbalzando. — Noi sarem m o ospiti di uno che h a diritto al titolo d i... AJtezza? E chi è dunque costui?

— S e m ù ’ A b d el Azir... — ripetè la fanciulla incrociando le braccia e chinando il capo rispettosam ente.

Paolo scoppiò a ridere. E videntem ente l’avventura lo divertiva.

LA CITTÀ DEL SOLE |9

IV

N o tte a ra b a .

L ’ingegnere ed il giornalista si guardarono 1 un 1 altro sbalorditi. Le due fanciulle avevano mosso un passo indietro ed erano scom parse dietro la tappezzeria senza lasciar traccia del loro passaggio in mezzo a q u ellam - m asso di stoffe di seta e di broccato che ricoprivano le pareti.

— Diavolo! C ’è dunque u n a portai — gridò Bonifazio precipitandosi contro la p arete nel luogo nel quale le due piccole arabe erano scom parse.

M a le sue m ani non incontrarono che il m uro, freddo, com patto, solidis­

simo, del quale si potevano sentire le asperità anche sotto il riparo soffice delle tappezzerie.

Paolo era rim asto assorto, considerando attentam ente il luogo, senza m ostrare di accorgersi della devastazione che Bonifazio aveva portato fra le stoffe preziose e delicate che egli, nella sua precipitazione strappava senza riguardi dai loro sostegni.

— Siamo prigionieri! Di dove diavolo sono uscite quelle due ragazze?!

Paolo!

— Che c ’è, dunque? — chiese l’ingegnere più calmo.

— C ’è che siamo presi! Siamo presi com e sorci in trappola! —- gridò Bonifazio strappan do un lem bo della tappezzeria e tentando il m uro con le mani febbrili.

— Lo so — rispose Paolo senza scomporsi. — M a so anche che, con molta verosimiglianza non potrem o uscire da questa prigione im bottita

(22)

20 CASTONE SIMONI

senza il perm esso del nostro cerceriere. Ci conviene perciò restare calmi, risparm iare le forze e d i nervi per il m om ento in cui sarà necessario agire.

Sei fum atore tu? P rova a fum are u n a di queste sigarette... Sono deliziose...

E ti faranno b en e ... Ti sentirai, dopo, più calm o... com e m e... Guarda!

E l ’ingegnere si adagiò voluttuosam ente sopra uno dei divani aspirando lunghe boccate di fumo azzurrognolo, dal lieve arom a di gelsomino.

— Provale, dunque! Del resto l’uom o che ci ospita con tan ta com odità e che, in fin dei conti ci ha salvata la vita può bene farsi desiderare per qualche ora... Credi tu che ci guadagnerem o molto abban do nan do ci alla devastazione com e tu stai facendo? 11 nostro ospite è un orientale... H a senza dubbio i suoi gusti e le sue idee... R ispettiam oli... stasera ci spieghe­

rem o meglio senza dubbio.

11 discorsetto era abbastanza sensato e Bonifazio dovette convenirne a m alincuore, sebbene qualche cosa nella voce stanca d el com pagno e nei suoi gesti che erano, p er contro, brevi e febbrili, egli intuisse qualche cosa che non gli parev a norm ale.

—• Bah! — esclam ò avvicinandosi al divano. — Dopo tutto hai forse ragione. Ci spiegherem o meglio stasera... Dammi dunque una di codeste sigarette.

E Bonifazio, seguendo l'esem pio del com pagno, si abbandonò sul d i­

vano, accese una grossa sigaretta di un bel tabacco color biondo chiaris­

simo, dal lieve profum o di gelsomino e ne aspirò golosam ente alcune boccate.

Bonifazio, con gli occhi fìssi alla parete della quale aveva d evastata la tappezzeria alla quinta boccata di fumo gettò la sigaretta nel piccolo bacile colm o d ’acq u a, sul minuscolo tavolino di cedro.

T en tò di alzarsi e non vi riuscì. Le sue gam be gli parevano diventate di piom bo fra i cuscini di seta. T entò di m uovere le braccia per scuotere P aolo, il quale sul divano vicino continuava a fum are immobile com e un idolo... N eppure questo gesto, così lieve in apparenza, gli riuscì p er in­

tiero. Le braccia torpide, pesanti come le gam be gli ricaddero inerti lungo i fianchi.

Gli occhi soltanto, sbarrati, fissi al lem bo d ella tappezzeria che p en deva dalla p arete di fronte, parevano aver conservata tutta la loro vitalità; ed il cervello stesso si rifiutava ai pensieri che la volontà avrebbe voluto im­

porre. I pensieri più strani ed i più eterogenei, si affollarono senz’ordine nella m ente di Bonifazio, si accavallarono, si sovrapposero in u n caos inestricabile.

Ma gli occhi vivevano e vedevano.

11 lem bo azzurro della tappezzeria ondeggiò per un attimo, e cad d e lie­

vem ente, lasciando scorgere il grigiore sudicio della p arete contrastante ru ­ dem en te col colore vivo della tappezzeria che nascondeva le altre facce d el muro. Ed ecco anche quel colore azzurro cupo si smorzò, divenne più chiaro, le pareti parvero allontanarsi indefinitam ente, aprirsi sopra un oriz­

zonte azzurro, sul quale spiccavano colonnati di m arm o nero e bianco. E negli intercolonnii ecco apparire una form a vaga di veli ondeggianti... due form e... L e d u e fanciulle di p o c’anzi...

Bonifazio fece un ultimo sforzo disperato.

—• Paolo! — gem ette tentando invano di raggiungere il com pagno sul divano vicino.

(23)

L ’ingegnere im mobile balbettò qualche cosa : una strana parola che egli ripetè quattro o cinque volte con una m onotonia strana ed esasp eran te :

— H ascisc... H ascisc... H asc...

La stanza vasta quanto l’orizzonte si popolò di piccole arabe suggestive avvolte in veli candidi e rosei che ondeggiavano secondo le m ovenze dei corpi flessuosi. E tutte avevano il viso coperto da un leggerissimo velo rabescato d ’argento o d ’oro, dietro il quale brillavano grandi occhi neri1 nobilissimi.

Le fanciulle si m ossero, si avvicinarono... I veli lievem ente scom posti rivelavano con una au d acia irresistibile le form e snelle e forti, che i m ovi­

m enti felini delle fanciulle m ettevano in m aggiore evidenza. Poi i veli caddero del tutto e le fanciulle si diedero a correre, raggiunsero il corpo inerte di Bonifazio, lo strinsero da presso, lo soffocarono sotto u n ’onda profum ata di seta e di mussola. Bonifazio tentò di gridar e non vi riuscì.

U na delle fanciulle, quella stessa che pochi minuti innanzi serviva d a in­

terprete, gli fu sopra, lo avvinghiò con le braccia profum ate e Bonifazio non vide più nulla.

Q uando il giornalista si destò provò una strana oppressione al petto che qualche cosa prem eva cagionandogli u n a sensazione dolorosa. A pri gli occhi e non vide nulla. P ercepì solam ente un rum ore vago, indefinito, simile a d una specie di ronzìo metallico del quale Bonifazio non sepp e com pren­

d ere l’origine.

Inconsciam ente stese le m ani p er liberare il petto dal p eso che lo o p ­ prim eva. Incontrò dapprim a una form a rotonda, cald a e liscia d a un lato, le m ani corsero sopra u n a fronte, sentirono le cavità di due occhi, incon­

trarono un naso, una bocca, un m ento...

— S acri... — borbottò Bonifazio. — A.ncora la ragazza? — E scosse la testa che gli p esava sul petto, afferrandola per i capelli fini e lisci.

A quel gesto rispose u n a specie di grugnito che non era precisam ente femminile.

— Diamine! — esclamò il giornalista tornando im provvisam ente alla realtà. — Paolo!

— Bonifazio! — chiam ò la voce assonnata dell’ingegnere.

— Sei tu? Dove sei?

— Q ui... A ddosso a te!...

— Diavolo! Dove siam o dunque?

— Mah! N on capisco più nulla... Che co s’è questo rum ore?

— Io non lo so più di te ... sem brerebbe un m otore d ’aeroplano...

— Uhm! N on si vede più in là del proprio naso in questo m aledetto

d u c o. . . V ediam o... Qui dovrebbero esserci i cuscini... esclam ò l’inge­

gnere protendendo le mani.

Ma le sue d ita non incontrarono che una superficie liscia, fredda, m e­

tallica, interrotta qua e là da lilievi regolari, rotondi i quali parevano teste di chiavarde. M a nessuna traccia di cuscini o di divani. A nche i corpi dei due giovani posavano sulla stessa superficie dura e liscia simile a quella di lastre m etalliche. Ne avevano le m em bra indolenzite.

— Ah! triplici bestie! — gridò Bonifazio im provvisam ente.

— Che c ’è ? 'H a i trovato qualche cosa?

•— Ma no! C ’è che noi eravam o nella stanza tap p ezzata d ’azzurro e m o­

LA CITTÀ DEL SOLE 21

(24)

biliata di cuscini... nella quale ci siamo addorm entati... come se ci avessero dato un narcotico...

— Toh! Quelle sigarette! — esclamò Paolo illuminato im provvisam ente d a u n ’idea. — Ho avuto l'im pressione che contenessero dell hascisc...

— Diavolo! Dove ci hanno cacciati, dunque?! Ci hanno evidentem ente narcotizzati per trasportarci...

— A bordo di un aeroplano, evidentem ente — finì l’ingegnere ricono­

scendo finalm ente lo strano ronzìo che egli aveva notato fino dal suo ri­

svegliarsi.

— Ecco una faccenda che non mi p ar m olto chiara. L ’hanno dunque:

proprio con noi? — brontolò Bonifazio.

— Mio povero am ico. L ’hanno precisam ente con me solo... E dal m o­

m ento che tu eri in mia com pagnia...

— A ncora i francesi? — interrogò il giornalista.

— E videntem ente no, dal m om ento che siamo stati attirati in u na casa araba. 1 francesi potrebbero benissimo essere complici o... strum enti.

— E, scusami, perchè mai dovrebbero averla con te? Proprio con te...

Li conosci tu, dunque?

— No. M a vi sono cose che tu ignori e che, senza dubbio costituiscono tutta la spiegazione di questa faccenda. Siamo prigionieri, amico mio e, p e r il m om ento in condizioni d a non poter fare il minimo tentativo per li­

berarci. Raccogliam oci dunque e conserviam o le nostre forze. Q uesto m a­

ledetto aero plano si ferm erà pure in qualche p osto... H ai la pazienza di ascoltarm i?

Bonifazio che si era levato bruscam ente in piedi b attè col capo nel soffitto assai basso. M asticò u n ’im precazione e si abbassò di nuovo.

— U n arabo? — borbottò. — Deve trattarsi di un arab o assai progredito se si p erm ette il lusso di possedere aero p lan i... R accontam i dunque, am ico mio : ti ascolto.

* * *

Le spiegazioni di Paolo Ludovisi furono brevi e chiarissim e. Bonifazio intuiva ora quali motivi potevano aver anim ato il loro sconosciuto nem ico a rapirli nel bel mezzo di u n a via di Tripoli inscenando la piccola com ­ m edia d ell’ebreo e deH’inseguim ento. Erano caduti come fanciulli in u na trap p o la tesa loro m olto abilm ente. I due francesi aggressori a bordo del- l ’aereo-espresso di Tripoli ed il misterioso personaggio che si faceva ch ia­

m are A ltezza ¡avevano senza alcun dubbio relazione fra loro : e d ’altronde, ora, Bonifazio ricordava benissimo di aver sorpreso, in parte, la conver­

sazione dei d u e ladri d e ll’aereo-espresso, i quali parevano più che altro preoccupati di impossessarsi di certi docum enti che dovevano prem ere loro moltissimo.

—• Q uesti vostri docum enti li av ete ancora con voi? — chiese finalm ente dopo un attimo di esitazione.

—• Sì — rispose l’ingegnere. — E questo mi preoccupa m aggiorm ente.

N on com prendo più, cioè, se costoro tengano più al possesso dei miei d o ­ cum enti oppure ad assicurarsi d ella m ia persona. A m eno che...

— A meno che non abbiano bisogno di entram bi? È così?

— Lo temo.

22 GASTONE SIMONI

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