Post hegeliani
Dopo la morte di Hegel, 1831, la scuola hegeliana è attraversata da violente contrapposizioni. In un primo momento il problema si focalizza sulla questione del rapporto tra la filosofia hegeliana e il cristianesimo.
In una fase successiva la polemica si estende al significato politico della filosofia hegeliana.
Rappresentazione religiosa e concetto filosofico,
realtà e ragione sono le tematiche dominanti.
Desta e sinistra hegeliana
La destra hegeliana, i vecchi hegeliani, insistono sulla
intima conciliazione tra la filosofia di Hegel e
l’ortodossia religiosa, mentre la sinistra (giovani
hegeliani) sostiene una posizione ateista della
filosofia hegeliana. Feuerbach fu tra quest’ultimi.
Feuerbach (1804-1872)
Inizialmente Feuerbach fu un discepolo di Hegel, ma dopo la sua morte maturò in rifiuto del maestro. Egli critica di Hegel:la concezione speculativa della storia come tappa per la realizzazione dell’assoluto; il preteso “cominciamento assoluto”, di fatto nella Logica Hegel sostenendo che al pensiero si giunge solo partendo dall’essere e “non”, dimentica che il vero cominciamento del pensiero è la sensibilità. La filosofia hegeliana ha inoltre, sostiene Feuerbach, la
“presunzione” di ritenersi assoluta, quando anch’essa è una filosofia relativa, legata ad un contesto storico.
Hegel nei confronti delle altre teorie filosofiche ha
assunto un atteggiamento acritico, per cui tutte
posseggono una verità che poi andrà a confluire nella
sua filosofia. Le due essenziali caratteristiche
negative che hanno dominato la filosofia hegeliano
sono: la frattura tra il pensiero e la sensibilità e
l’atteggiamento acritico nei confronti dei
predecessori.
La rivalutazione del sensibile
Nella filosofia hegeliana abbiamo un soggetto
(l’astratto, lo Spirito, Dio) e l’oggetto o predicato (il
concreto: l’essere, l’uomo). Bisogna rovesciare
questo sistema per affermare, riproporre l’autentica
soggettività, ovvero l’uomo. Feuerbach attraverso il
capovolgimento dell’idealismo voleva delineare la
sua nuova filosofia fondata sulla riabilitazione del
sensibile.
Critica al Cristianesimo
Feurbach sostiene che “il mistero della teologia è
l’antropologia”. Egli sostiene che i discorsi su Dio
sono in realtà dei discorsi sull’uomo, una forma di
antropologia inconsapevole. La religione è vera e
falsa. Vera giacchè è una prima forma di
autocoscienza dell’uomo, un oscuro presentimento
della propria autocoscienza. Falsa perché l’uomo
proietta se stesso fuori di sé, nella illusoria figura di
un Dio personale e trascendente.
Bisogna emancipare l’uomo, questo deve riappropriarsi di se stesso e ciò avviene annunciando l’inconsistenza del Dio trascendente. Liberando l’uomo da Dio avremo una nuova era nella storia del mondo, il compiuto riconoscimento del senso intrinseco al suo esistere.
Il cristianesimo è ormai arrivato al tramonto. La cultura, la
scienza, la tecnica, l’intera forma di vita dell’uomo moderno
si rivelano essere intrinsecamente anticristiane, orientate al di
qua e indifferenti a qualsiasi tipo di realtà trascendente.
La fede in contrapposizione all’amore
Per Feuerbach, la fede è l’antitesi dell’amore, mentre
quest’ultimo unisce, il primo separa. L’amore identifica
l’uomo con Dio e Dio con l’uomo, e quindi unisce gli uomini
da loro. La fede separa l’uomo da Dio e quindi l’uomo
dall’uomo. Nella fede, infatti, la legittima aspirazione
dell’individuo umano alla felicità si configura come egoistico
desiderio di beatitudine e di vita eterna individuale,che spinge
l’uomo a vivere unicamente in vista della propria salvezza
personale. Si tratta del trionfo della soggettività egoistica.
La filosofia di Feuerbach
L’intento di Feuerbach è di liberare l’amore dalla fede al fine di indirizzare nuovamente e direttamente l’amore dell’uomo all’uomo, preservandolo così dallo smarrirsi nell’amore di Dio.
Egli propone una filosofia dei sensi. Rivendica di
fatto la necessità che la filosofia prenda le mosse dal
finito e non dall’infinito, dal particolare non
dall’universale, dal concreto e non dall’astratto.
Il suo progetto di quello di trasformare lo spirito e
l’astratta autocoscienza hegeliana nella nuova figura
di un uomo concreto, riscoperto nella sua
individualità e corporeità, sensibilità e finitezza. Così
egli vuole dare piena dignità alla corporeità e alla
sensibilità dell’uomo
Kierkegaard (1813-1855)
Polemico nei confronti della filosofia accademica, che gli pare veicolo di un pensiero astratto e morto, Kierkegaard intende invece il filosofare come esercizio attivo, finalizzato a produrre mutamenti nell’atteggiamento verso la vita e nei comportamenti.
Egli cercò infatti anche un modo di comunicare che
riuscisse riprodurre la mobilità, la concretezza e al
vicinanza alla vita.
Le maschere
In base al modo di comunicare egli distinse le sue opere in comunicazione diretta ed indiretta. La prima è firmata, la seconda invece comprende opere pubblicate con degli pseudonimi.
Gli pseudonimi non sono delle maschere per proteggersi dal
giudizio altrui, ma per distanziare sé stesso, il suo proprio
punto di vista, da quelli espressi nelle maschere. In questo
modo, ciascuno pseudonimo acquista l’autonomia necessaria
per rappresentare una possibilità d’esistenza. Kierkegaard
non si identifica pienamente in nessuna di esse.
La comunicazione indiretta è efficace
Lo scrivere è e deve essere un’azione e un esistere
personale che si rivolge non a un pubblico, ma al
singolo, come da esistente ad esistente. Egli vuole
costringere gli uomini a diventare attenti alla verità. Il
suo intento non è quello di dare risposte, ma di
sollevare domande. Il lettore delle sue opere deve
essere scosso, deve potersi guardare nelle sue opere,
riconoscersi o distanziarsi, vivere l’esperienza,
insomma la sua attenzione deve essere risvegliata.
Gli stadi della vita
Tre sono i fondamentali stadi sul cammino della vita:
l’estetico, l’etico e il religioso.
Kierkegaard affronta le prime due figura nell’opera Aut-Aut.
L’esteta vive il rapporto con la vita come godimento e come
rappresentazione del godimento. La sua sfera è il gioco,
l’immaginazione. L’esteta è privo di un contenuto reale della
propria soggettività, è qualcosa solo nell’immaginazione. Egli
vive nell’orizzonte della possibilità infinita, senza mai
compiere il movimento della realizzazione. La sua vita è
dominata dalla disperazione egli è tutto ma in realtà è niente.
L’etico
L’esteta può o non accettare la disperazione allontanandola, ossia ripresentando il gioco della distrazione, oppure accettarla con atto di scelta libera.
A questo punto entriamo nella sfera etica. Nell’atto
della scelta l’Io diventa Sé, la personalità si istituisce,
dal piano della possibilità infinita, si passa a quello
della realtà. Chi si è scelto è ciò che è divenuto, e
quindi si riconosce nell’azione. La scelta si configura
come un rivelarsi a sé e al mondo.
Il matrimonio come esempio di scelta etica
Il matrimonio rivendica la continuità dell’amore; al mistero si sostituisce l’intesa, alla conquista il possesso. Esso rappresenta la serietà della vita.
Conduce ad una riflessione interiore, per cui “non si
fa conto di ciò che si perderà, ma di ciò che si
guadagnerà perseverando”.
La sfera religiosa
Pur essendo la scelta etica un passo importante per
l’uomo, esso non rappresenta lo stadio ultimo del suo
cammino. L’uomo nella scelta etica, sceglie ciò che
già esiste, quando però egli “addita l’idealità come
scopo e presuppone che l’uomo sia in grado di
raggiungerlo” fa una scacco all’etica. Sull’uomo
grava il peccato quindi per poter effettuare una vera
scelta deve accettare la propria colpa e quella della
specie. In una parola deve pentirsi.
Kierkegaard analizza la vita religiosa in due opere:
Timore e tremore, e Il concetto dell’angoscia. Nella
prima opera egli presenta la collisione tra etica e
religione nella figura di Abramo, che secondo il
racconto biblico Dio richiede di sacrificare il figlio
Isacco. Nella seconda opera, partendo dal peccato
originale giunge alla dimensione dell’angoscia come
costitutiva dell’esistenza dell’uomo.
Dal peccato all’angoscia
Il peccato originale è rottura di una condizione di innocenza.
In questa condizione non si percepisce il bene ed il male, che
nascono di fatto con il peccato originale. Come si passa
dall’innocenza al peccato? Kierkegaard non dà una
spiegazione di questo passaggio dice soltanto che questo
passaggio porta con sé l’angoscia. Essa è infatti possibilità del
male e del bene. Accompagna l’uomo in tutte le sue culture e
situazioni. Essa è tuttavia condizione di apertura verso la
libertà, poiché “distrugge tutte le finitezze scoprendo tutte le
loro illusioni”. Più l’angoscia è grande più grande è l’uomo.
La critica ad Hegel