• Non ci sono risultati.

Capitolo III La Scuola dei traduttori di Toledo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo III La Scuola dei traduttori di Toledo"

Copied!
51
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo III

La Scuola dei traduttori di Toledo

La massima realizzazione della « Convivencia » a livello filosofico si ebbe con la scuola dei traduttori di Toledo. Fu anche attraverso l'attività di questo centro di studi che la civiltà Occidentale medievale aquisì alcune opere fondamentali della filosofia greca e testi di filosofia araba attraverso le traduzioni latine di testi di origine greca, araba; non dobbiamo infatti dimenticare che, il Medioevo fu dal punto di vista teologico sia il promotore e sostenitore della concezione religiosa del

teocentrismo e al contempo un periodo in cui il mondo latino cominciò

ad acquisire la conoscenza di molti testi antichi, arricchendo di materiali nuovi il proprio patrimonio culturale. Ma prima di cominciare a parlare più propriamente della scuola toledana è opportuno concentrarci su di un aspetto fondamentale per la comprensione dello spirito storico in cui essa è inserita, ovvero la « Rinascita del XII secolo ».

3.1 La cultura del XII secolo: Rinascita.

Dopo l'anno Mille si ebbe in Europa un periodo di intenso risveglio economico e culturale, dovuto all'evoluzione della struttura politica del continente. Si svilupparono le città e, con esse, la classe dei mercanti

(2)

nonché un'intensa rete di quelle originali istituzioni propri dell' epoca medievale, ovvero i Comuni; in questo contesto fiorì un'importante occasione di scambi culturali. Gli uomini del XII secolo concepivano il loro tempo come un secolo di grandi innovazioni, di sviluppo e di rinnovamento, come ci conferma lo studio di G.B. Lardner84, il quale

afferma come le idee di rinascita ˮ e di resurrezione ˮ, riferite ad un passato lontano e viceversa, ebbero una funzione di rottura con un passato più recente. Le sue conclusioni mettono in evidenza le nozioni di rinnovamento ˮ e di riforma ˮ, ed inoltre l'autore attribuisce importanza alle nozioni di giovinezza, di fioritura, di rigoglio, di vitalità esuberante. É questo un momento della storia medievale che ha risentito positivamente di importanti sviluppi scientifici e tecnologici nonché delle nuove tendenze filosofiche e culturali che proprio in questo secolo si affermarono. Questo sentimento, che racchiude il contesto storico che andremo adesso ad analizzare, ci risulterà più chiaro, grazie anche alla seguente citazione dall'opera di Chenu:

« […] il fatto rinascita non si riduce ad un'imitazione appassionata dei capolavori letterari, estetici, scientifici, filosofici dell'Antichità greco-romana, imitazione che, al

84 Ladner G.B, Terms and Ideas of Rewal, in Renaissance and Renewal in the Twelfth

Century, ed. Benson R.L and Constable G., Cambridge, MA: Harvard University

(3)

limite, finirebbe per essere una restituzione archeologica. Comporta alla lettera, con tutta la relatività dei tempi, dei luoghi e delle persone, una rinascita, un'esistenza nuova, un'iniziativa dello spirito. L'imitazione è allora al servizio dell'invenzione, anche là dove si nutre»85.

Quindi non dobbiamo pensare, che il XII secolo fosse un epoca che, per così dire, puntasse le sue risorse sull'imitazione di modelli antichi, così come fu il rinascimento italiano del XV secolo. Il movimento di rinascita nel medioevo puntò a riscoprire, a resuscitare, quelli che erano i saperi antichi. Così se il Rinascimento italiano, ridiede vita nuova ad autori della classicità greca e latina, quali ad esempio Cicerone, Cesare, e tanti altri ancora, la Rinascita del XII secolo puntò più che altro sulla riscoperta del sapere scientifico antico, e di autori come Galeno, Ippocrate ed ovviamente Aristotele. Questa riscoperta non è da intendersi in modo passivo; gli autori e i dotti del XII secolo desideravano conoscere il pensiero scientifico antico, cercando di rielaborarlo attraverso le loro conoscenze, rielaborando ciò che potevano derivare dai sapienti antichi. A questo punto è interessante notare cosa lo studioso Giles Constable scrisse su questo aspetto di novità del XII secolo; Constable riferendosi anch'esso alla renovatio ed restauratio di questa

(4)

epoca scrive:

« L'accezione positiva più netta ed evidente del termine

novus si trova in riferimento alla vita spirituale

personale. Gli scritti spirituali del XII secolo, sono ad opera di membri degli ordini religiosi riformati sia di scrittori più tradizionali, sono pieni di riferimenti al

novus e alla novitas, (…).».86

L'espressione di « Rinascita del XII secolo » è un'invenzione degli storici moderni, essa si deve principalmente al medievalista americano C.H.Haskins87 il quale fu il primo a sollevare il problema storiografico

riferito a questo concetto. Lo studioso si accorse che questo fenomeno storico non poteva spiegarsi al di fuori del contesto di sviluppo che aveva conosciuto in quel periodo l'Occidente cristiano, ovvero i grandi fattori di espansione: la crescita demografica, il dissodamento e la valorizzazione di terre nuove, l'incremento della produzione, lo sviluppo delle città, i progressi degli scambi e dell'economia monetaria. Tutto questo componeva il quadro di un economia creatrice di ricchezze e di una

86 Constable G., L'idea di innovazione del XII secolo in (a cura di) Constable G., Il

secolo XII: la «renovatio» dell'Europa cristiana, Il mulino, Bologna, 2003.

87 A lui spetta l'onore di aver dato pieno significato a questa espressione scegliendola anche come titolo del suo libro, divenuto uno dei classici sul quale studia argomenti questo periodo storico: Haskins C.H, La rinascita del XII secolo. Il Mulino, Bologna, 1998.

(5)

società dinamica, che offriva ai più intraprendenti, malgrado il peso delle gerarchie tradizionali, molteplici possibilità di mobilità e di promozione88. Il dinamismo del XII secolo è dovuto anche ad una

dinamicità sociale molto intensa, elemento comune, come abbiamo potuto vedere nel primo capitolo, in al-Andalus e subito dopo, nel caso specifico di Toledo. Dobbiamo però avere ben chiaro che la rinascita che stiamo trattando, è figlia anch'essa di un movimento di riforma e rinnovamento antecedente. Infatti nel XI secolo, troviamo la riforma gregoriana, ovvero la riforma della Chiesa a seguito delle dichiarazioni promulgate da papa Gregorio VII e dei suoi successori. Questo periodo di riforma conclusasi nel 1122 con il celebre concordato di Worms ristabilì il normale funzionamento delle istituzioni ecclesiastiche. La riforma della Chiesa fu un grande momento di risveglio religioso che abbracciò la maggior parte dei secoli XI e XII89. Questo movimento corrispondeva ad

una aspirazione profonda del popolo cristiano di ritrovare il vero ed originale spirito religioso, che appariva ormai andato diradandosi:

« [...] i fenomeni soprattutto intellettuali e culturali descritti sotto il nome di Rinascimento del XII secolo

88 Vitolo G., Medioevo. I caratteri originali di un'età di transizione, Sansoni, Firenze, 2000 pp 195-206.

89 Constable G., Renewal and Reform in Religious Life: Concepts and Realities, in

Renaissance and Renewal in the Twelfth Century, ed. R.L. Benson and G. Constable,

(6)

non possono essere considerati a prescindere da questo vasto movimento di mutamento religioso. Praticamente tutti gli autori di questo Rinascimento sono stati, come vedremo, uomini di Chiesa; nessuno spirito laico ha guidato i loro passi; la renovatio culturale alla quale essi lavoravano era ai loro occhi una componente della

reformatio della Chiesa e della società cristiana; (…) è

come un momento della storia della cultura cristiana del Medioevo che oggi viene interpretato il Rinascimento del XII secolo.».90

Da una prospettiva di geografia culturale Haskins riconosce all'Europa del XII secolo due grandi centri di cultura, l'Italia del Nord e la Francia Settentrionale. Sebbene tali centri fossero visti dallo studioso come centri dominanti, è nelle frontiere dei paesi musulmani, agli estremi geografici della cristianità, come appunto la regione iberica della Castiglia, che Haskins riconosce la fonte dell'alimentazione di questo intenso periodo di ricrescita, in quanto, proprio in questa zona, si sviluppò uno dei centri di traduzione che in misura maggiore di altri alimentò l'Occidente di versioni latine, di numerose opere greco-arabe, una delle fonti, essenziali

90 Verger J., Il rinascimento del XII secolo, Editoriale Jaca Book SpA, Milano, 1997. pag. 21

(7)

del rinnovamento intellettuale, ovvero, la città di Toledo. Questo è il periodo in cui si determina un diverso assetto delle varie discipline dello scibile, la cui organizzazione, come poi si vedrà nel caso specifico della città castigliana, tende ad una più spiccata attenzione verso i temi di carattere scientifico senza, tuttavia, eludere la sfera teologica. Ciò comporterà il realizzarsi di un approccio alla realtà, alla cultura così come alla speculazione filosofica del tutto nuovo, rispetto ai precedenti canoni. Fino al XII secolo comunque i contatti intellettuali tra Europa cristiana e mondo arabo furono insignificanti e di scarso rilievo; ma

« Quando, nel XII secolo, il mondo latino cominciò ad assorbire le esperienze culturali d'Oriente, i pionieri della nuova cultura si volsero principalmente alla Spagna, dove ad uno ad uno vennero a ricercare la chiave del sapere che il mondo arabo vi aveva deposto nei vari campi della matematica, dell'astronomia, dell'astrologia, della medicina e della filosofia; e per tutto il secolo XII e durante il secolo XIII la Spagna rappresentò agli occhi di quanti vivevano al di là dei Pirenei la terra misteriosa dell'ignoto da esplorare. Comincia quindi in Spagna la grande avventura dell'uomo di cultura europeo.»91.

(8)

3.2 L'alba del movimento di traduzione dall'arabo al

latino

Il Medioevo latino fu quindi animato dall'instancabile ricerca di nuovi materiali con cui arricchire le proprie conoscenze, inclusi quelli redatti in altre lingue. La traduzione rappresentò quindi il mezzo fondamentale attraverso cui il mondo latino stabilì un contatto con le altre culture. Nel corso del Medioevo si sono delineate due correnti di traduzioni distinte e autonome: da una parte un filone a carattere religioso, nell'Alto Medioevo; dall'altra, un filone di carattere scientifico, nel Basso Medioevo, che comprendeva traduzioni di testi matematici, astronomici e astrologici, medici, filosofici. C'è da specificare però che il punto di partenza per questo ramo di studi non è da ricercarsi in Spagna, bensì proprio nel nostro paese, nel sud-ovest italiano in un territorio che comprende l' attuale Lazio e Campania, culminando in quella che verrà detta la scuola di Salerno. Pur parlando di una città specifica, dobbiamo innanzitutto porre come spazio di tale movimento l'intero Mezzogiorno d'Italia e come contesto temporale l'indomani della guerra greco-gotica e la conquista longobarda fatti avvenuti alla fine della prima metà del V secolo92. Intorno a questa data cominciò ad instaurarsi l'interesse per la

pratica medica, sebbene solo di pratica si trattasse, infatti fino al X

(9)

secolo, i medici e gli studiosi salernitani non ebbero grande risonanza in Europa durante il dominio carolingio93.

Possediamo, infatti, che dimostrano che prima dell'attività di traduzione di Costantino l'Africano a Salerno non esistesse una letteratura medica94.

Questo salto all'indietro tra Spagna ed Italia è giustificato dalla figura e l'importanza che ha la professione di medico tra l'XI e il XII secolo. In quest'epoca i medici erano i primi ed i più efficaci ambasciatori e Salerno era la scuola più all'avanguardia per quanto riguarda le scienze mediche a livello pratico95. Tornando alle influenze tra culture, la scuola di Salerno

promuoveva tra i suoi studenti e professori le pratiche derivanti dalla tradizione greco-latina, sviluppatesi nei secoli precedenti a Bisanzio e portate in Italia grazie alla attività di traduttore di Costantino l'Africano.

3.2.1 Costantino L'Africano (Tunisi, 1110 – Montecassino 1087)

Sappiamo poco della biografia di Costantino; alcune notizie, tuttavia, sono riportato da Pietro Diacono (Roma 1107 - 1159) nella sua Chronica monasterii Casinensis:

93 Vitolo G.; La scuola medica salernitana come metafora della storia del

Mezzogiorno in Jacquart D. e Paravicini Bagliani (a cura di), La Scuola Medica Salernitana. Gli autori e i testi. Convegno internazionale Università degli Studi di Salerno, 3-5 novembre 2004, Sismel, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2007 p. 539.

94 Lawn B.; I Quesiti salernitani, p. 36-40

95 Théry R.P.G., Tolède. Grand ville de la renaissance mèdièvale. Point de jonction

entre les cultures musulmane et chrétienne. Le circuit de la civilisation méditerranéenne. Oran Editions Heintz Freres 17, boul Dr Molle 1944. pp 3-4

(10)

« Costantino l'Africano, monaco di Montecassino, fu dottissimo negli studi filosofici, maestro dell'oriente e dell'occidente, un nuovo luminoso Ippocrate. Partito da Cartagine, di cui era originario, si recò a Babilonia e qui fu istruito compiutamente in grammatica, dialettica, scienza della natura (physica), geometria, aritmetica, scienza magica (matematica), astronomia, negromanzia, musica e scienza della natura (physica) dei Caldei, dei Persiani, dei Saraceni. Partito di qui raggiunse l'India, e ivi si gettò ad apprendere il loro sapere. Padroneggiate completamente le arti degli Indi, si diresse in Etiopia, dove ancora si imbevve delle discipline etiopiche; una volta ricolmo completamente di queste scienze, raggiunse l'Egitto e si impadronì a fondo delle arti degli Egizi. Dopo aver dedicato dunque trentanove anni all'apprendimento di queste conoscenze, tornò in Africa: quando lo videro così ricolmo del sapere di tutte le genti meditarono di ucciderlo. Costantino se ne accorse, balzò su una nave ed arrivò a Salerno dove per un po' si tenne nascosto,

(11)

fingendosi povero. Fu poi riconosciuto dal fratello del re di Babilonia, anch'egli giunto li, e fu tenuto in grande onore presso il duca Roberto. Di qui però Costantino se ne andò, raggiunse il monastero di Cassino e, accolto assai di buon grado dall'abate Desiderio, si fece monaco. Sistematosi nel monastero, tradusse moltissimi testi da diverse lingue.96».

L'opera di Costantino come traduttore, contenuta nella De viris

illustribus Casinesibus e nella stessa Chronica di Pietro Diacono presenta

due grossi problemi: per prima cosa, la mancanza di completezza; in secondo luogo, il fatto che le opere le opere elencate non presentano riferimenti al nome dell'autore né la qualifica di traduzioni, e passarono così per originali. Costantino era un medico poliglotta, quindi per lui era semplice studiare direttamente sui testi in lingua e poi riportarli in un altra97. Tuttavia, pur riconoscendo che vi sono molte lacune nel suo

lavoro di traduttore, non può negarsi il lavoro pionieristico di Costantino per quanto riguarda le traduzioni mediche dall'arabo; l'introduzione del

96 Cfr. Agrimi J., Crisciani C., Malato, medico e medicina nel Medioevo, Loescher, Torino, 1980, pp.152-153.

97 Théry R.P.G., Tolède pp.3-6, dello stesso avviso è la D'Alverny, che ne parla nell'opera D'Alverny M.T Translations and Translators in (a cura di) D' Alverny M.T., La transmission des textes philosophiques et scientifiques au Moyen Age, Ashgate Publishing Limited, Galliard (printers) Ltd, Great Yarmouth, Norfolk, Great Britain, 1994. p. 423.

(12)

nuovo corpus, derivato dal lavoro costantiniano, contribuì all'avanzamento dell'intera medicina, sino ad allora caratterizzata da un indirizzo prevalentemente pratico e legata agli aforismi di Ippocrate e da altre opere tradotte direttamente dal greco. Secondo alcuni autori, come ad esempio Brian Law, il processo di accrescimento nella letteratura medica iniziò molto prima dell'arrivo di Costantino a Montecassino; ma è altrettanto innegabile che la figura di questo traduttore consentì la crescita significativa del numero dei testi di medicina che furono poi assimilati e dettero i giusti stimoli per incrementare le ricerche della scuola salernitana98. Tra le opere tradotte da Costantino, due in

particolare hanno esercitato una forte influenza l'Isagoge e il Pantegni, entrambe improntate agli insegnamenti galenici99.

Gli studiosi che si rivolgono alla storia delle traduzioni, in particolare a quelle del XII secolo, devono basarsi su tipi di fonti composite per cercare di conoscere il background dell'opera tradotta: la scoperta di nuovi documenti riguardanti l'autore della traduzione, lo studio attento e preciso dei manoscritti della tradizione ed infine la comparazione dell'opera tradotta col testo originale; permettono però di valutare la destrezza o l'inadeguatezza del traduttore, i suoi metodi e di scoprire le

98 Lawn B., Op. cit, pag. 38

(13)

sue particolari abitudini, i suoi modi d'esprimersi e quindi anche il suo proprio vocabolario100.

3.2.2 Adelardo da Bath ( Bath, 1070 – 1160)

Altro grande precursore del movimento delle traduzioni in Spagna. Questo autore è originario della Britannia; studiò musica in Francia, si recò a Salerno e viaggiò nel sud Italia, arrivando sino in Sicilia e da qui si diresse in Siria a studiare la filosofia araba101. Incerte sono le notizie che

abbiamo su di lui circa gli inizi della sua carriera di traduttore. La sua ultima opera conosciuta, ovvero il Trattato sull'astrolabio, viene datata intorno al 1150; questo indica come data approssimativa di nascita all'incirca il 1080. Adelardo ha origine da una famiglia modesta: si pensa che il padre potesse essere al seguito dell'allora vescovo di Wells. Crescenso e perfezionadosi negli studi, Adelardo divenne poi studente di astronomia a Tours ed in seguito insegnante a Laon come attesta il passo seguente, tratto dall'incipit delle «Questione naturales» :

« Ricordi, caro nipote, che sette anni fa, quando ti lasciai (che ancora eri un ragazzo) con altri miei studenti, studiai a Laon e da qui partiì per dirigersi ad imparare la

100 D' Alverny M.T., Op. cit. pp 426 101 D' Alverny M.T, Op. cit. pp.440-441.

(14)

scienza dai Saraceni, viaggiando per la Sicilia, la Palestina, fino a Tarso in Cilicia.102».

Ed in seguito giustifica la sua scelta di partire alla volta dei luoghi della falsafa, affermando:

« […] we agreed amongst ourselves that I would investigate the studies of the Arabs according to my ability, but you would become no less proficient in the security of French opinions.103».

Da questo estratto, possiamo comprendere che il vero desiderio di Adelardo era quello di arrivare a conoscere non solo la filosofia degli arabi, ma più in generale la loro identità culturale. Burnett crede che uno dei probabili maestri Arabi di Adelardo, possa essere riconosciuto nella figura del filosofo Pietro Alfonsi (Huesca, 1062 ca. - 1140 ca.), il quale aveva avuto come maestro un ebreo educato in un ambiente arabo a Huesca in terra aragonese, battezzato come cristiano nel 1106, una figura importante per la conoscenza in Europa dei testi scientifici arabi104.

102 Burnett C. (edited and translated by); Adelard of Bath, Conversations with his

Nephew. On the Same and the Different, Questions on Natural Science, and On Birds, Cambridge university press p. 91

103 Burnett C., Ibidem

104 Burnett C., The institutional context of arabic-latin translations of the Middle Ages:

(15)

È molto probabile che Adelardo, tornato in Inghilterra, avesse portato con sé un certo numero di testi, tradotti in latino volta per volta. Abbiamo comunque ben pochi riferimenti biografici su Adelardo; infatti, per un primo approccio alla sua figura è necessario accostarsi ed utilizzare le sue stesse opere, che consistono in parte di traduzioni, ma anche di opere originali105. I suoi interessi principali erano esclusivamente di tipo

scientifico e le sue traduzioni hanno segnato una svolta decisiva nella storia della scienza medievale. Importantissima la sua traduzione degli

Elementi di Euclide, imprescindibile punto di riferimento per la

geometria. Di quest'opera esistono varie traduzioni tra cui quella attribuita a Boezio, di cui ci restano alcuni frammenti; ma la prima traduzione dall'arabo è senz'altro quella di Adelardo, della quale possediamo tra versioni Adelardo I, II, III106, ma la loro attribuzione ad

Adelardo è ad oggi inattendibile. Secondo Haskins fu il primo traduttore, a connettersi sebbene indirettamente con la Spagna; infatti, le tavole astronomiche da lui tradotte nel 1120 furono frutto dapprima di un lavoro dell'astronomo spagnolo Maslama, il quale basò suddette tavole secondo teaching and research between Middle Ages an Renaissance. Proceedings of the Colloquium London, Warburg Insitute, 11-12 March 1994, Brepols, Turnhout

belgique, La Haye, 1995.

105 Haskins C.H., Studies in the History of Medieval Science pag.20 e Gibson M;

Adelard of Bath in Burnett C. (edited by) Adelard of Bath, An english and arabist of the early Twelfth century.

106 Ad introdurre questa denominazione è stato l'articolo di Clagett The medieval Latin

Translations from the Arabic of the Elements of Euclid, in Isis, 44 (1953), p.16-42 in cui

si ipotizzava che Adelardo a distanza di tempo avesse tradotto o rielaborato due volte l'opera euclidea.

(16)

il meridiano di Cordoba.

Adelardo è un personaggio, eclettico e, secondo Burnett le opere scritte di suo pugno possono essere viste come un trittico107. La più importante

tra queste opere è le Quaestiones naturales: una risposta alle domande del nipote su cosa Adelardo avesse imparato dai suoi studi sugli arabi, E' un libro in forma di dialogo tra nipote e zio. Il nipote pone settantasei domande (che nella struttura dell' opera corrispondono a capitoli) riguardante i fenomeni naturali, in particolare ciò che riguarda i quattro elementi. In questa opera si presenta lo spirito originale a carattere scientifico di Adelardo, in essa il filosofo solleva la questione della forma della terra, che lui crede rotonda, e di come essa rimanga ferma nello spazio, arrivando fino agli studi sulla gravità dei corpi. Burnett sostiene che leggendo le «Quaestiones Naturales» si ha come l'impressione che, prima di scriverle, Adelardo avesse già tradotto alcuni testi dall'arabo, o comunque ne conosceva già a fondo la materia.

Con Adelardo abbiamo si nota che cominciano ad intrecciarsi il movimento traduzione e la Spagna. Con questo però non dobbiamo pensare che nella penisola iberica non fossero già attivi alcuni autori e traduttori, alcuni cominciavano ad essere prolifici, mentre altri si dirigevano in Spagna per cercare testi che si supponevano, in mano ai

107 Burnett C., Adelard of Bath and the Arabs in Burnett C., Arabic into Latin in the

Middle Ages: the translators and their intellectual and social context, Ashgate

(17)

Saraceni. Per parlare della scuola di Toledo ed entrare nel vivo di questo discorso, dobbiamo soffermarci, su qualche questione propedeutica ai fini dell'organizzazione del discorso in questo particolare ambito, il movimento delle traduzioni nella città castigliana, il movimento apologetico di Toledo.

Questo movimento si inserisce in quel filone di traduzioni dell'alto medioevo che abbiamo definito a carattere religioso: in esso si prediligeva la traduzione di testi agiografici, canonici e liturgici. Lo sfondo di questo particolare interesse, come si sarà intuito erano i rapporti di buon vicinato che intercorrevano tra musulmani, cristiani ed ebrei a Toledo. Ideologicamente però l'Islam veniva visto come una sorta di idolatria, o almeno così era nella coscienza popolare, in quanto conosciuto come invasore straniero, ed eretico nell'Europa oltre i Pirenei.

3.2.3 Pietro il Venerabile (Alverna, 1092 ca. - Cluny, 1156)

Ed è qui che troviamo la figura di Pietro il Venerabile, grande viaggiatore e uno dei più noti abati dell'abbazzia benedettina di Cluny, svolse importanti affari diplomatici per conto del papa Innocenzo III. Le note biografiche che di lui ci sono rimaste lo dipingono come un uomo devoto al suo compito, monaco impeccabile svolse le sue mansioni con una continuità che nulla poté interrompere infatti unico evento importante

(18)

della sua vita è stata proprio l'inizio del suo abbaziato108. Ai fini del

nostro discorso, questo autore è importante sopratutto per essere stato a capo del movimento apologetico, di Toledo. Fu lui che iniziò ad interessarsi all'Islam, fino ad arrivare a far tradurre il Corano in latino:

« A tal fine (Pietro il Venerabile) ha mobilitato alcuni tra gli arabisti toledani più conosciuti, Roberto di Ketton, Ermanno di Carinzia (il Dalmata), Pietro di Poitiers ed un certo Maometto, che non sappiamo ricondurre a nessuna figura in particolare. Questo lavoro è stato completato nel 1143, e si è posto come la base per un'ampia confutazioine dell' Islam, a cui l'abate di Cluny credeva che San Bernardo, abate di Citeaux potesse essere interessato.109»

Il comportamento di Pietro il Venerabile ci viene descritto efficacemente da Leclercq come segue:

« dominato da questi due sentimenti (…): l'amore degli uomini e l'amore della verità.110»

108 Leclercq J., Pietro il Venerabile, Editoriale Jaca Book, Milano, 1991. 109 Thèry R. P. G., Op.cit , pag.11

(19)

Nel 1143 l'abate di Cluny scrisse una lettera a San Bernardo (Fontaines-Lès-Dijon, 1090 – Ville-Sous-La-Ferté. 1153), nella quale gli espone il suo piano di traduzione del Corano. Pietro, infatti, conosceva benissimo sia il libro sacro degli arabi, sia il Talmud, e secondo lui, utilizzando l'esempio dei Padri della chiesa, era giusto, conoscere ogni lato di una professione eretica, per poi essere capaci di confutarla. L'immagine che Pietro ha dell'Islam è quella di una setta di eretici, lontani dalla verità rivelata del cristianesimo e che egli voleva salvare, come un missionario. Egli, infatti, voleva che i cristiani, e specialmente i dotti, fossero in grado di comprendere e conoscere la religione islamica, in modo da riconoscerne le lacune ed i difetti, e da riuscire a salvare quel popolo dall'ignoranza, riuscendo a dargli una via per la salvezza dell'anima. Il viaggio di Pietro il Venerabile si pone quindi come una crociata intellettuale ˮ, per così dire; con lo scopo non della conversione dei musulmani al cristianesimo, ma, bensì evitare ai cristiani di credere nelle favole e nelle leggende che in Occidente si raccontavano sugli infedeli arabi. È facile comprendere perché, nei secoli, la figura di Pietro il Venerabile sia sempre stata accostata ad una visione di grande lungimiranza:

(20)

accadrà ad alcuni cristiani di trovarsi a contatto con dei musulmani, occorre fin d'ora forgiare delle armi per premunirli; se non serviranno nel presente, almeno saranno pronte al momento di combattere. Così ha fatto Salomone, la Chiesa non deve essere meno magnanima: «Nello stato di un grande re alcune cose vengono fatte per la difesa, altre per la bellezza, altre volte per l'una e per l'altra.». »111

Questo è lo spirito che ispirò Pietro il Venerabile, quando decise di creare una collezione di testi relativi alla fede musulmana. Il suo interesse principale era quello di provvedere a colmare le lacune dei teologi cristiani, dando loro una visione veritiera ed appropriata della Legge araba e della vita del loro profeta Maometto. Questa grande impresa prese vita, come si è visto dalla citazione di Thèry grazie a Roberto di Ketton, Ermanno di Carinzia detto il Dalmata, Pietro da Poitiers ed infine il saraceno Maometto, che adesso si pensa, grazie agli studi di D' Alverny, possa essere riconosciuto con lo stesso Roberto.

(21)

3.2.4 Roberto di Ketton ( Chester, 1110 ca. - 1160 ca.)

Matematico, astrologo, alchimista ed astronomo, nativo inglese, visse nella prima metà del XII secolo. Intorno al 1140, attratto dalla scienza araba, Roberto si trovava nell'ispanica valle dell'Ebro, assieme al suo amico Ermanno di Carinzia, con il quale andò alla ricerca dell testo tolemaico dell'Almagesto. Tuttavia la sua ricerca terminò presto a causa dell'incontro con l'abate Pietro il Venerabile, nel 1142, il quale commissionò loro la traduzione di alcuni testi sacri musulmani in cambio di una cospicua somma di denaro; da questo evento, si deve ricavare, la giustificazione della fama di Roberto di Ketton, in quanto la traduzione del Corano a cura dello stesso, fu la prima traduzione latina, del libro sacro arabo112. Terminato il progetto della Collectio Toletana, i due

traduttori si separarono senza aver mai trovato il famoso Almagesto. Verso il 1143, Roberto fu nominato arcidiacono di Valdonsella, una piccola città vicino Pamplona; in seguito si recò a Roma dal Papa, con il quale instaurò un buon rapporto di amicizia113. Oltre che all'opera di

traduzione dei testi religiosi islamici a Roberto è attribuita anche la prima

112 D'Alverny M. T., Quelques manuscscrits de la 'Collectio Toletana', in Constable G., Kritzeck J. (a cura di), Petrus Venerabilis, 1156-1956: Studies and texts

Commemorating the Eighth Centenary of his Death, Studia Anselmiana 40, Herder,

Roma, pp. 202-218.

113 Burnett C., Ketton, Robert of (fl. 1141- 1157), Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; Duque Á.J.M., El inglés Roberto,

traductor del Corán: estancia y actividades en España mediados del siglo XII, in

(22)

traduzione dell'Algebra di Muhammad ibn Musa al-Kwārazmī114; opera

che ha portò in Europa la spinta per avviare allo studio di questo ramo della scienza matematica. Possiamo quindi affermare che gli interessi di Roberto, nel campo scientifico, ci avvicinano sempre di più all'ambiente di ricerca e allo spirito di lavoro presente nella Toledo a cui facciamo riferimento in questa dissertazione.

3.3.5 Ermanno di Carinzia ( Istria, 1100 ca. - 1160 ca.)

Filosofo e astrologo di origine slava vissuto anch'egli attorno alla prima metà del XII secolo, Ermanno era noto per la profonda conoscenza dell'arabo e del latino. Un po' più giovane di Adelardo, è riconosciuto come uno dei pionieri nel campo delle scienze arabe. Le poche notizie biografiche che abbiamo su di lui, ce lo dipingono come uno studente in territorio francese, al seguito del maestro Thierry di Chartres. Strinse poi amicizia con Roberto di Ketton, con il quale nel 1142 si trovava in Spagna, entrambi alla ricerca dell'Almagesto di Tolomeo. Ma anche Ermanno venne precettato da Pietro il Venerabile, per dar frutto al progetto di quest'ultimo, nel tradurre i testi sacri arabi. Ermanno portò a

114 Nativo probabilmente di Baghdad intorno al 780. É stato un matematico, astronomo, astrologo e geografo persiano.Visse a Baghdad presso la corte del califfo al-Ma`mūn, che lo nominò responsabile del Bayt al-Hikma. É l'autore dell' al-Kitab al-muktasar fi hisab al-jabr wa al muqabala, del quale dobbiamo la prima traduzione a Roberto di Ketton.

(23)

compimento le traduzioni del «De generatione Mahumet» e del «Doctrina Mahumet». Lo ritroviamo poi nel 1143 a Tolosa, dove completò la traduzione del Planisfero di Tolomeo, per poi trasferirsi a Beziérs, nel sud della Francia115. Gli interessi di Ermanno erano

prevalentemente rivolti all'astronomia, all'astrologia ed alla matematica, ed anche lui come Roberto di Ketton, cominciò ad inserirsi in quello che sarà il filone scientifico, proprio dell'esperienza toledana; esperienza dalla quale nacque il suo capolavoro, il «De Essentiis», che si presenta come un'introduzione alle scienze naturali, ma che non riscosse grande successo tra i contemporanei. Permase in Ermanno anche una volontà di persuadere gli islamici circa la verità dei dogmi cristiani. Infatti, nel «De

Essentiis», troviamo alcune pagine nelle quali il filosofo dalmata riflette

sull'idea di tentare a redarguire i musulmani sul concetto di trinità di Dio, dimostrando loro come sia lo stesso Dio a presentarsi agli uomini, quando essi lo cercano in modo a Lui degno.

Furono questi autori quelli che potremmo definire precursori ˮ del movimento di traduzione nella penisola iberica, oggetto di questo elaborato; ma non solo, infatti abbiamo parlato del movimento apologetico che era presente a Toledo in contemporanea al movimento

115 Burnett C., Hermann of Carinthia, in Dronke P. (a cura di), A History of

(24)

delle traduzioni scientifiche, questo movimento lega a sé questi personaggi. Prese il via da Pietro il Venerabile, il primo che dette il via agli studi di islamistica in Occidente. Come abbiamo visto, infatti, egli commissionò a Roberto di Ketton e Ermanno di Carinzia, la prima traduzione in latino del Corano, il territorio iberico era una naturale terra di elezione per questo fenomeno grazie alla convivencia delle tre religioni e quindi alla predominanza della cultura araba su quella cristiano-giudaica ed infine per il processo di arabizzazione subito da queste, in particola modo dai cristiani. Possiamo quindi notare che è tramite un sottointeso vincolo, tra la realizzazione delle traduzioni e l'utilizzo delle medesime, che si iniziano a porre le basi per un progressivo ampliamento del movimento delle traduzioni, cosa che effettivamente trova le sue prime fasi di sviluppo dalla seconda metà del XII secolo. Infatti a partire dal 1150 circa e per poco meno di un secolo, la sede più eminente del movimento di traduzione dall'arabo è la città di Toledo.

3.3 La Scuola dei Traduttori di Toledo

Il ruolo di primissimo piano svolto dalla Spagna nella storia delle traduzioni specialistiche medievali ha richiamato l'attenzione di numerosi studiosi nel corso degli ultimi due secoli, producendo risultati eterogenei.

(25)

La denominazione Scuola di Toledo ˮ, con la quale ci si riferisce al movimento di traduzioni dall'arabo condotto in Spagna tra il XII e il XIII secolo, non solo non rende giustizia alla profonda portata culturale di questo straordinario movimento di traduzione, ma ha anche dato origine alla leggenda secondo cui sarebbe esistita fisicamente un'istituzione didattica, a Toledo, in cui i traduttori volgevano i testi dall'arabo in latino e insegnavano regolarmente ad alcuni studenti. Comunque tale istituzione (chiamiamola così per comodità) sarebbe stata fondata da Raimondo, arcivescovo di Toledo e mecenate di traduttori. È indubbio che l'attività di traduzione abbia conosciuto un periodo aureo in Spagna tra il XII e il XIII secolo, ma dal punto di vista peculiarmente storico, le cose stanno in modo diverso. Innanzitutto dobbiamo dire che la scoperta di una presunta Scuola di Toledo si deve allo storico Amable Jourdain, da sempre indicato come il primo studioso ad aver richiamato l'attenzione sul fenomeno delle traduzioni in Spagna. Gli studi di Jourdain116 lo hanno

portato a parlare di «collège des traducteurs»117 e dell'arcivescovo di

Toledo Raimondo. In realtà, con l'espressione «collège des traducteurs» Jourdain si limitava a riconoscere la mera esistenza di un gruppo di traduttori che operava a Toledo e dintorni, non di un istituto didattico;

116 Jourdain A., Recherches critiques sur l'âge etl'origine des traductions latines

d'Aristote et sur des commentaires grecs ou arabes employèes par les docteurs scolastiques, ed. rivista e ampliata a cura di C.Jourdain, Joubert, Paris, 1843.

(26)

quanto a Raimondo, a causa di una serie di trascrizioni paleografiche errate, Jourdain credeva fermamente che fosse un mecenate dei traduttori. Egli è stato accreditato come lo scopritore della Scuola di Toledo, pur non avendone mai parlato in questi termini. In verità il concetto di « Schule » non fu introdotto da Jourdain ma dal classicista tedesco Valentin Rose118. Basandosi sulle testimonianze del filosofo Daniele di

Morley e della sua opera « Philosophia »119 (scritta tra il 1175 e il 1187),

in particolare il prologo della stessa, Rose sancì per la prima volta alcuni punti fondamentali:

1. Esisteva una scuola di Toledo intesa come Istituto pedagogico o «Schultätigkeit» ovvero un luogo, in cui si svolgevano attività formative vere e proprie e dove parallelamente i traduttori volgevano i testi arabi in latino.

2. A capo della Scuola c'era Gerardo di Cremona, il più prolifico dei traduttori.

3. Nella scuola, oltre all'attività traduttiva, si tenevano regolarmente lezioni.

4. La sede dell' Istituto era all'interno della cattedrale di Toledo.

118 Rose V., Ptolemaeus und die Schule von Toledo, in Hermes: Zeitschrift für

Klassische Philologie, 8, 1874.

119 Di cui l'ultima edizione fa capo a quella di Maurach G. in Mittellateinisches

(27)

Fu proprio l'opera di Morley che dette a Rose la più forte evidenza riguardo alle attività che venivano svolte a Toledo. Daniel, come molti suoi compatrioti del periodo, si recò in Francia, a Parigi, ma trovo solo dotti che ignoravano la vera filosofia, esponendo solo qualche norma di diritto romano. Qua gli giunsero voci sulla « dottrina degli arabi », le quali consistevano nella affrontare come argomento principale le arti del quadrivio, che in quel periodo fiorivano a Toledo, grazie alla spinta delle teorizzazioni dei filosofi arabi, da cui lo studente rimase rapito, nell'udire i « più saggi filosofi del mondo120 ».

Tornato quindi in Inghilterra, mise per scritto, le meravigliose cose che aveva visto e le disciplinae di Toledo, la sua « Philosophia » è il frutto di questo suoi ricordi. In essa egli parla della figura di Galippo il mozarabo, che aveva incontrato a Toledo e che con i suoi discorsi sulla creazione del mondo, le problematiche legate ad essa ed agli elementi ed ancora il mondo sovralunare, la natura della stelle e la valenza scientifica dell'astrologia lo aveva rapito e coinvolto. Qui è gia chiaro come Rose sia arrivato a concepire alcune delle caratteristiche della « Scuola di Toledo », resta solo da cercare di capire, perché il classicista tedesco, aveva posto come figura principale di questa istituzione, quella di

120 Philosophia, 2 : Sed quoniam doctrina Arabum, que in quadruvio fere tota existit, maxime his diebus apud Thletum celebratur, illuc, ut sapientiores mundi philosophos audirem, festinanter properavi.

(28)

Gerardo da Cremona; ancora una volta dobbiamo rifarci a Morley ed alla sua opera, al termine della quale Daniele descrive, una lectio tenuta da Gerardo da Cremona:

« Sed quoniam doctrina arabum, que in quadruvio fere tota existit, maxime his diebus apud Toletum celebratur, illuc ut sapientiores mundi philosophos audirem festinanter properavi. […] Cum vera predicta mystagogis et aphiris auditoribus suis affirmaret Girardus Tholetanus, qui Galippo mixtarabe interpretante almagesti latinavit, obstupui ceterisque qui lectionibus eius assidebant molestius tuli, eique velud indignatus omeliam beati Gregorii in qua contra mathematicos disputat, obieci121

Fu tramite poi le traduzioni gerardiane che Daniele di Morley, riuscì a compiere letture di filosofia araba, e di alcune opere di Aristotele sulle scienze naturali122. Le conclusioni di Jourdaine e Rose trattennero molti

studiosi dal condurre nuove ricerche sulla « Scuola di Toledo », ma già quest'ultimo arrivò a comprendere che definire l'ambiente toledano come scuola, era comunque troppo generalizzato; infatti, Rose si spinse al

121 De Morley D., Philosophia magistri danielis de merlai ad iohannem Norwicensem

episcopum, in Rose V, Op.cit., pp. 347-8.

(29)

punto di definire tale fenomeno come un circolo di studiosi coordinati nelle loro attività da figure importanti, come ad esempio Gerardo da Cremona (questione che amplieremo nel capitolo a lui dedicato). In tale contesto c'era spazio per dedicarsi a differenti mansioni: reperimento dei testi, trascrizione, traduzione e diffusione, il risultato poi era collettivo. È comunque un errore parlare di « scuola » dal momento che mancarono la continuità e l'organizzazione del magistero e che l'unico vincolo tra i diversi traduttori o gruppi di traduttori era puramente geografico e di mecenatismo, questa affermazione è sostenuta dall'arabista Juan Vernet il quale scrisse:

«Molti di loro lavorarono in città molto distanti da Toledo e le opere orientali non solo si traducevano in latino, ma anche in ebraico, ponendole delle scuole cattedraliche e della sinagoga, passando da queste vie per il resto d'Europa.123».

Altri autori, come Gonzáles Palencia e Américo Castro, sembrano essere dello stesso parere. Il primo sostiene che:

123 Vernet J., La cultura hispnoárabe en Oriente y Occidente, Barcelona, Ariel, 1978 pag.114

(30)

« Gli storici della filosofia e della scienza nel medioevo, sono soliti dare per certo l'esistenza di un corpo organizzato, che risponda al nome di Escuela de Traductores de Toledo. Gli scarsissimi documenti che fino ad ora possediamo non permettono di affermare l' esistenza di un tale centro di traduzioni (…)124» .

E il secondo che:

« In realtà non esistette niente di somigliante a una scuola organizzata, ma i traduttori, che fecero le proprie versioni per rispondere alla curiosità filosofica e scientifica dell'Europa cristiana; sus tareas pareva già esistesse prima del XII secolo, e non furono limitate al gruppo di Toledo, anche se essa fu il centro principale di quelle attività.125»

Fu Charles Homer Haskins che iniziò a farsi strada l'ipotesi che non fosse mai esistita una vera scuola di traduttori, tesi che si scontrava con quella di Jourdain, che vedeva nell'arcivescovo Raimondo il mecenate dei

124 Gonzáles Palencia A., El arzobispo Don Raimundo de Toledo, Barcelona-Madrid, 1942 pag.118

125 Castro Á., España en su historia. Cristianos, moros y judios, Barcelona, Crítica, 1983 pag.40

(31)

traduttori toledani. Marie-Thérèse D'Alverny e Charles Burnett, grazie a un'analisi meticolosa dei codici sparsi per l'Europa, hanno permesso non solo di comprendere in maniera più approfondita il movimento di traduzione sviluppatosi a Toledo, ma anche di ridimensionare molti miti costruiti nel corso degli anni. Riprendendo Burnett ad esempio è possibile individuare tre fattori che, convergendo alla metà del secolo, determinarono lo sviluppo dell'attività toledana:

1. In primo luogo, il trasferimento a Toledo, tra il 1140 ed il 1141, della biblioteca dell'ultimo dei Banu Hud, importante famiglia araba di Zaragozza.

2. Inoltre, la presa del potere da parte degli Almohadi in Marocco e in Spagna nel 1147, e la forte campagna di repressione che ne seguì e che spinse alla fuga numerosi mozarabi, ebrei e musulmani, per i quali Toledo era la meta più vicina e culturalmente più prossima.

3. Infine, nel 1152, la nomina ad arcivescovo di Toledo di Giovanni di Castellmoron – Giovanni II- che incrementò i legami con il clero francese ed europeo, la cui presenza a Toledo fu cospicua e attestata dalla formazione di un quartiere francese nella città in questo periodo ( Arrebal de los Francos).

(32)

A partire dalla metà del XII secolo, sono quindi presenti a Toledo: 1) una vasta mole di testi in arabo ed ebraico; 2) un consistente numero di mozarabi, ebrei ed arabi con una buona conoscenza del volgare spagnolo e dell'arabo; 3) infine numerosi membri del clero, di origine o formazione francese, con un vivo interesse verso la teologia e la filosofia. Burnett individua in questi tre punti salienti, le condizioni materiali per il movimento di traduzione toledano. Infatti l'insieme degli studenti traduttori è molto eterogeneo geograficamente parlando; essi si installarono dapprima in altre principali città spagnole. Infatti in un primo tempo, troviamo come punto geografico, del movimento, la regione dell'Ebro, dove lavoravano Ermanno di Carinzia e Roberto di Ketton, che traducevano sia per conto di Pietro il Venerabile, sia opere scientifiche. Dicendo questo non voglio certo negare il ruolo di Toledo, ma voglio solo far notare come, si siano prodotte allo stesso tempo anche in altre regioni le opere di traduzione, prima che l'arcivescovo Raimondo se ne incuriosisse per poi dare lo spunto ai sapienti di Toledo, per tradurre le opere in latino.

Il secondo momento delle traduzioni in terra iberica, si svolse sempre nella valle dell'Ebro, dove si intensificò, ma poi si espanse e raggiunse la Catalogna, la Navarra, e finalmente, toccò Toledo. Questo periodo che

(33)

potremmo delimitare con coordinate storiche abbastanza precise, si racchiude nello spazio storico che va dal 1120 al 1160, ovvero si conclude con l'arrivo di Gerardo da Cremona a Toledo. Questo secondo momento delle traduzioni è riconosciuto come il più confuso ed il più vago, ma probabilmente il più importante, a causa degli interessi vari, che esso racchiude, dai quali scaturì l' impulso definitivo che ha dato il via al movimento scientifico e filosofico presso i latini. Grande esponente di questo secondo periodo fu il team di traduttori composto da Domenico Gundisalvi e Ibn Dawud (Avendauth). Infine troviamo il terzo momento della trasmissione del sapere arabo all'Occidente nel XII secolo, che fu dominato dalla figura di Gerardo da Cremona.

Quindi possiamo riassumere dicendo che il movimento delle traduzioni in Occidente consta di un primo risveglio delle curiosità dei latini verso i valori culturali scaturiti dal mondo arabo. Poi, il desiderio di conoscere di più stimolò ulteriori sforzi di ricerca. Un secondo punto di questo sviluppo è una febbrile e spontanea opera di traduzione, che porta a tradurre di tutto, in un ordine sparso, senza piani né discernimento. Fino ad arrivare poi all'assorbimento delle teorie scientifiche e filosofiche di Aristotele. Concludendo questa parte di paragrafo possiamo dunque affermare che il vero e proprio merito dei traduttori toledani del XII secolo resta quello di aver fatto conoscere in Occidente, oltre alla scienza

(34)

orientale, anche quella greca, grazie ad un procedimento di mediazione, molto prima che venissero elaborate le prime versioni direttamente dall' originale greco.

Allo stato attuale delle conoscenze sembra ragionevole ritenere che una scuola in senso fisico non sia mai esistita e che l'arcivescovo di Toledo, Raimondo, non abbia avuto alcun ruolo promotore nella fioritura delle traduzioni in Spagna. Sebbene gli studiosi negli anni siano giunti sempre a conclusioni inconciliabili tra loro, alla luce di quello che è stato detto fino ad adesso, è possibile per noi affermare che Toledo fosse una fucina di traduzioni dall'arabo e di ciò ne da uno spaccato, perfetto ed essenziale a noi per proseguire nel nostro elaborato lo studioso Monneret de Villart:

« L'avventuroso studioso europeo che prendeva la via della Spagna e arrivava a Toledo era completamente ignaro della lingua araba e prendeva i primi contatti con qualche membro del clero cristiano indigeno (mozarabo), che naturalmente parlava il volgare romanico, conosceva più o meno bene l'arabo, ma non aveva alcuna preparazione scientifica che potesse renderlo atto a comprendere le grandi opere islamiche. I due assieme ricorrevano ad uno studioso ebreo: questo ignora il latino,

(35)

ma sa bene l'arabo e il volgare ed è uomo di cultura scientifica e filosofica. E' lui che traduce frase per frase il testo arabo in volgare, il mozarabo dal volgare lo rende in latino, naturalmente con tutta la difficoltà della sua preparazione scientifica, della sua imperfetta conoscenza della lingua e della differenza di pronuncia col latino che parla lo studioso occidentale; questo infine cerca di dare una forma letteraria al testo che gli viene trasmesso col doppio veicolo del mozarabo e dell'ebreo. Si comprende quindi, attraverso un procedimento così travagliato, l'imperfezione di quelle traduzioni latine che sono giunte sino a noi.126»

L'estratto qui sopra ci introduce ad un problema che sarà fondamentale nel capitolo successivo. Intanto, parafrasando tutto ciò che è presente in questa parte del mio elaborato, possiamo dire che Toledo si stava ponendo a metà del XII secolo come un centro di cultura predominante e propedeutico a quelle che saranno poi le università che nasceranno in Europa un secolo più tardi. Toledo è il crocevia tra due culture che devono l'una all'altra molto, la confermata, elaborata e ricca scienza araba

126 Monneret de Villart U., Lo studio dell'Islam in europa nel XII e nel XIII secolo, Città del Vaticano 1944, pp 4-5

(36)

e la scarna, povera e priva di testi di studio della scienza latina.

Vorrei presentare adesso le teorie esposte in un saggio, da Foz Clara127, che si domanda in che modo il lavoro di traduzione tra il XII ed

il XIII secolo, può essere ascritto entro la formula di «Scuola di Toledo» o «Scuola dei Traduttori di Toledo». Innanzitutto la studiosa ci mostra, quali sono i dubbi che hanno scaturito in lei questa domanda. Il primo tra i quali riguarda proprio il fatto che nessun documento dell'epoca, riporta questa o quella particolare denominazione, nessuno parla di una scuola. Possiamo trovare qualcosa per quanto riguarda il XII secolo tramite la testimonianza del già citato Daniele di Morley, il quale ci parla dell' organizzazione degli studi nella città castigliana, ma non facendo riferimento ad un'impronta di una qualche istituzione particolare che regolava lo sviluppo dei lavori di traduzione, ma riconosce che tale lavoro è stato molto importante e pieno di vitalità a Toledo. Ed anche per quello che riguarderà il XII secolo non è possibile riscontrare un denominazione tale, da parlare di scuola, in quanto le varie iniziative culturali patrocinate da Alfonso X, non lasciano alcuna prova tangibile, neanche in questo caso è possibile parlare di scuola. Anche lo studio della Foz ci riporta, alle teorie di Rose e di Jourdain, inserendo però due autori

127 Foz C., El concepto de Escuela de traductores de Toledo (ss. XII – XIII) in Chamosa J.L., Guzman T., Santoyo J.C., Rabadan R. (edición a cargo de), Fidus

Interpres. Actas de las Primeras Jornadas Nacionales de Historia de la traducción. Volumen I, Universidad de León - Servicio de Publicaciones, León, 1989, pp. 24-30.

(37)

che hanno dibattuto circa la denominazione che poteva definire il fenomeno toledano. Valentín Garcia Yebra128, il quale attribuisce alle

attività del XII secolo il titolo di « escula toledana de traducciones

arabigo-latinas » o « escuela toledana de traducciones latinas »,

diventando poi nel XIII secolo « escula de traductores en lengua

vulgar ». Altro autore che si è fermato a riflettere sulla denominazione da

utilizzare per descrivere il fenomeno iberico è Reyna Pastor de Torgneri129, che propone le due dominazioni di « escula de traductores de

Toledo » per quello che riguarda il XII secolo, mentre per il XIII parla di

« escuela alfonsí ». Per quanto riguarda García Yebra, quindi, la definizione, può essere riscontrata su di un piano filologico in quanto la denominazione cambia, quando cambiano le modalità di traduzione ovvero, nel XII secolo si convertivano i testi arabi in latino, mentre nel XII si era passati a tradurli nel volgare romanzo, che poi vedremo darà origine allo spagnolo, per l'appunto castigliano, perché nato in Castiglia, regione iberica, che ha come capoluogo Toledo. Invece per la de Togneri, la denominazione è da trovarsi su di un piano prettamente storico, ella parla di Traduttori di Toledo, per quanto riguarda il XII secolo, mentre con la venuta di Alfonso X detto El Sabio, si può parlare di scuola

128 García Yebra V., En torno a la traducción: Teoría, crítica, historia. Vol.1, Editorial Grados, Madrid 1983.

129 Pastor de Torngneri R., Del Islam al Cristianismo en las fronteras de dos

formaciones económico-sociales: Toledo siglos XI-XIII, Ediciones Peninsula,

(38)

alfonsina. Arriverà poi come si è visto Haskins ad affermare che risulta difficile parlare di un vera e propria istituzione scolastica.

Riassumendo, il pensiero che conclude il saggio della Foz è il seguente; la traduzione nel XII secolo non era da intendersi come un sapere o una disciplina a se stante, ma era sopratutto il mezzo attraverso il quale si poteva accedere alla sapienza araba, per ricavarne profitto per il sapere occidentale. Motivo avvalorato dalla consuetudine di affidare traduzioni, anche importanti a studiosi che non conoscevano la lingua d'origine, e questo mostra quanto fosse fondamentale non la traduzione quanto l'opera stessa come oggetto di studio, e la traduzione come unico modo per cogliere l'eredita araba. L'esempio è quello di Gerardo da Cremona che giunto a Toledo alla ricerca dell'Almagesto.

A ragion veduta dunque dobbiamo ammettere che, per quanto comode, le denominazioni di « Scuola dei traduttori di Toledo » o di « Scuola di Toledo », per designare questa impresa di traduzione che dal XII secolo arriva al XIII devono di essere usate con cautela, in quanto l'uso del termine scuola ˮ può apparire ambiguo ed inappropriato. Come vedremo nelle conclusioni di questo elaborato, si può comunque affermare che è possibile parlare se non di un'istituzione fisica, almeno di un' indirizzo di pensiero, che può essere riconosciuto come scuola.

(39)

dietro l'etichetta « Scuola dei Traduttori di Toledo »; ci addentriamo adesso nel primo periodo della scuola toledana parlando del suo massimo esponente Domenico Gundisalvi.

3.4 Domenico Gundisalvi (1110 ca. - 1181)

Importante filosofo e traduttore del XII secolo, egli è personalità di spicco del primo periodo del movimento delle traduzioni a Toledo. Gundisalvi si formò in Francia130, ricoprì la carica di arcidiacono di

Cuéllar, cittadina a poca distanza dalla più ben conosciuta Segovia. Svolse la sua attività a Toledo a partire dal 1162, ed il suo nome appare in numerosi documenti che si spingono fino al 1181. Si pose inizialmente sotto la guida di Giovanni II, portando avanti la traduzione di numerose opere di filosofia dall'arabo al latino, fu uno dei primi e più notevoli rappresentanti della cultura medievale spagnola, oltre ad essere il tramite tra la filosofia aristotelico-platoneggiante degli Arabi e la cultura latina. Il nome di Domenico Gundisalvi è strettamente connesso con quello di Avendauth, con il quale formò quella che si crede fosse la più celebre coppia di traduttori, benché la loro collaborazione sia oggi testimoniata solamente da una traduzione, che si riconosce essere lo Šifā avicenniano. Ma prima di iniziare a collaborare con Ibn Dawud, Gundislvi,

130 D'Alverny M.T., Translations and Translators in Burnett C., La transmission des

(40)

collaborava con Giovanni Ispano (Iª metà XII sec.), come ci è dimostrato dalla dedica del Fons vitae di Salomon Ibn Gabirol a Raimondo, predecessore dell'arcivescovo Giovanni II al quale poi verrà dedicata la traduzione avicenniana131. Ma prima di spingerci a parlare delle opere da

loro tradotte e di quelle scritte da Gundisalvi, è importante soffermarci sulla figura di Avendauth.

3.4.1 Abrahm Ibn Dā`ʾūd (o Avendauth) (1110 ca. - 1180 ca.)

La biografia di questo traduttore è misteriosa ed enigmatica; già dagli studi di Jourdain la sua figura veniva confusa con quella di Giovanni di Siviglia (Iª metà XII sec.), problema storiografico che alla metà del secolo scorso la D'Alverny ha rinominato come la leggenda di Avendauth. Jourdain, dopo aver studiato il prologo del « De anima » di Avicenna, rese nota l'esistenza di un filosofo ebreo convertito che aveva collaborato con Gundisalvi, partendo dalla dedicatoria dell' opera stessa:

« Reverendissimo Toletane sedis archiepiscopo et Hispaniarum primati Iohannes Avendeuth israelita, philosophus, gratum debitae servitudinis obsequium132

131 D'Ancona C,. La trasmissione della filosofia araba dalla Spagna musulmana alle

università del XIII secolo in D'Ancona C., ( a cura di) Storia della filosofia nell'Islam medievale. Vol.II, Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi editore

S.p.a, Torino, 2005

(41)

Lo sbaglio di Jourdain sta proprio in questo, egli vide nel nome « Iohannes » (al nomintativo), quello che la maggior parte dei manoscritti è indicato con « Iohanni » (al dativo); successivamente lo studioso, unì il nome « Iohannes » alle tre parole seguenti dell'estratto, ovvero « Avendeuth israelita, philosophus », e da qui fu fermamente convinte che questo fosse il nome del collaboratore di Domenico. Ma cinquant'anni dopo, uno studio di Bédoret133 riuscì ad

identificare « Iohanni », come Giovanni II succeduto al vescovo Raimondo dopo la sua dipartita. Ora noi sappiamo che Domenico ebbe due collaboratori, che furono appunto Giovanni Ispanico ed Avendauth. Ma come possiamo con certezza sapere che nella Toeldo del XII secolo esistesse un'uomo che rispondeva al nome di Abrahm Ibn Dā`ʾūd? Il primo passo per questa identificazione fu compiuto proprio da Jourdain, il quale intuì che l'« Avendeuth israelita, philosophus » della dedica altri non era che un: « ebreo convertito al cristianesimo134». È stato poi con il

meticoloso e lungo lavoro di ricerca della D'Alverny che la misteriosa figura di Avendauth venne svelata. La studiosa riuscì nell'intento comparando le analisi tra le fonti dei manoscritti e la dedica del De

anima e del Prologus dello Šifa di Avicenna, riuscendo a comprendere

133 Bédoret H., Les premières versions tolédanes de philosophie. OEuvres d'Avicenne, in «Revue Néoscolastique», 41 (1938), pp. 380-98.

(42)

che Avendauth altri non era che Abraham ibn Dawud, filosofo ebreo, attivo nella seconda metà del XII secolo a Toledo:

« Che dire in effetti di Avendauth? Egli esalta la nobiltà della ragione que fa la dignità dell'animo umano ed afferma il dovere della ricerca, per i modi di procedere dell'intelligenza le verità che sono, per la maggior parte degli uomini, un oggetto di credenza. C'era a Toledo un filosofo ebreo che professava queste stesse dottrine e che le espose in una lettera celebre destinata ai suoi correligionari. Egli si chiamava Abraham ibn Daud135».

3.4.2 Gundisalvus e Avendauth: un'équipe di traduttori

La tecnica di traduzione adottata da questi traduttori, può essere descritta da una frase del prologo del Liber de anima di Avicenna, tradotto a Toledo proprio da Gundisalvi e Ibn Dawd. Infatti Avendauth scrive in esso:

«Me verba vulgariter proferenter, et Domino Archidiacono, singula in latinum convertente ex arabico

135 D' Alverny M.T., Avendauth? in Homenaje a Millás-Vallicrosa, Barcelona

(43)

translatum.»

Avendauth leggeva il testo in arabo, lo traduceva mentalmente in volgare romanzo e dettava quindi la sua traduzione sempre in volgare. A questo punto interveniva Gundisalvus il quale dapprima lo traduceva mentalmente in latino e infine lo trascriveva. Come afferma anche Brasa-Díez:

« […] qui, a Toledo, e nel Rinascimento del XII secolo, troviamo due personaggi, un ebreo e un cristiano, che utilizzano tre lingue: arabo, castigliano volgare, latino. ».

Quindi l'attività di traduzione usata a Toledo prevedeva la possibilità di utilizzare tre idiomi diversi136. Cercando di schematizzare, il

procedimento era più o meno questo: partendo dall'opera in arabo, un traduttore che, prima di tutto leggeva l'opera in lingua araba ad alta voce, traducendola simultaneamente in lingua volgare, in questo caso specifico questi erano i compiti di Avendauth. Successivamente il testimone passava nelle mani di Gundisalvi il quale dapprima udiva il suo collaboratore tradurre l'opera in volgare e poi a sua volta traduceva mentalmente le parole di quest'ultimo in lingua latina, trascrivendo poi il

(44)

prodotto finale. L'inconveniente di questo procedimento sta nei numerosi tipi di errori che potevano capitare durante il lavoro di traduzione, ovvero:

1. possibile errore di lettura da parte dello specialista che leggeva l'opera in arabo, imputabile a più di una causa, lo stato dei libri, le parole sbiadite, una scarsa luminosità dell'aula di lavoro od anche una semplice svista del lettore;

2. se era stato commesso un errore di lettura, era ancora più probabile il formarsi di un'inesattezza al livello della traduzione in volgare romanzo137.

I seguenti due punti durante il processo di traduzione erano ad appannaggio del secondo traduttore il quale, per un errore di ascolto del volgare, poteva riportare in modo inesatto, il concetto espresso in latino, derivandone così anche un'errore di scrittura nell'opera finale. Il rapporto tra Domenico e Avendauth ci viene testimoniato, come ho detto prima, dalla traduzione del sistema delle scienze edificato da Avicenna nel Kitāb al-Šifā. In una delle sue opere Marie Therese D'Alverny ha sostenuto però che a progettare questo lavoro di traduzione dal

137 «Da rilevare è inoltre il fatto che il volgare romanzo era già utilizzato come lingua intermedia, benché solo oralmente. Esso, infatti, non veniva ancora trascritto perché costituiva un semplice canale di passaggio tra l'arabo e il latino» cit. in Paltrinieri E.,

(45)

capolavoro di Avicenna, fosse stato Ibn Dawud; ella stessa ci spiega nella sua opera, « Notes sur les traductions médiévales d' Avicenne »:

« Come abbiamo detto, il Kitāb al-Šifā' è un'enciclopedia, o meglio, per impiegare un termine più conforme alla cultura e al vocabolario del XII secolo, una somma di filosofia teorica. L'epistemologia di avicenna risale infatti ad una divisio philosphiae di tipo alessandrino e si avvicina alla classificazione trasmessa da Boezio all'Occidente medievale. Le varie parti di quest'opera sono abbastanza squilibrate, e l'autore stesso spiega nel prologo di essersi limitato a riassumere i libri del Quadrivio, ma di avere in compenso arricchito del frutto delle proprie speculazioni quelle sezioni del programma che gli sembravano più interessanti […] Ma le qualità didattiche del maestro arabo non impedivano che il suo testo fosse di difficile accesso, e ciò spiega perché il progetto di traduzione fu realizzato solo in parte. Il progetto sembra essere stato concepito da un dotto israelita di nome Ibn Dā`ʾūd, che cercò di suscitare l'interesse di un personaggio potente – probabilmente

(46)

l'arcivescovo di Toledo – in grado di fare da patrono all'impresa. Assistito da un accolito latinista assai maldestro (riconosciuto in Domenico Gundisalvi), offrì al possibile mecenate l'introduzione del Libro della

guarigione138

Gundisalvi lavorò per la maggior parte della sua attività di traduttore, con lo scopo di dare una forma ed una sistematizzazione, della filosofia esposta nelle opere dei falasifa, occupandosi anche di operare su autori precedenti ad Avicenna come ad esempio la Risāla fī al- ˊ aql 139,

attribuita a Gundisalvi dallo studioso D. Salman, opera che ha goduto di un vasta circolazione negli ambienti latini. È proprio a Gundisalvi che si deve l'arrivo delle opere di Al-Fārābī in Europa, in quanto primo che ha dato il via alla scia delle traduzione delle opere di questo importante

failasuf. Tornando, invece, alla collaborazione di Domenico con

«Avendauth israelita, philosophus», grazie agli studi di D'Alverny, citati

138 D'Alverny M.T., Notes sur les traductions médiévales d'Avicenne, in D'Alverny M.T., Avicenne en Occident, Librairie Philosophique J. Vrin, 6, Place de la Sorbone V, Paris, 1993 pp. 337-358.

139 Epistola sull'intelletto. Breve trattato farabiano, importante sia a livello di dottrine esposte, che per la stessa tradizione filosofica araba, ebraica e latina a posteriori. Tradotto in in latino da Gundisalvi ebbe molta importanza e fortuna nella filosofia del XII secolo. L'opera si presenta a noi come un dizionario filosofico, incentrato, su cosa si deve intendere per «intelletto», in diversi ambiti del pensiero. Cfr. Martini Bonadeo C., Ferrari C., Al-Fārabī in D'Ancona C., (a cura di) Storia della filosofia

nell'Islam medievale Vol.I, Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi editore s.p.a,

(47)

appena poche righe sopra, sembra ormai certo che Ibn Dā`ʾūd, si fosse concentrato sulle opere avicenniane, per rispondere, ai bisogni ed alle preoccupazioni dei sui contemporanei latini, in quanto Avicenna veniva visto come massimo filosofo:

« […] considerato un puro e semplice rappresentante della tradizione aristotelica o, all'estremo opposto (...) esponente del pensiero religioso islamico.140»

Non c'è alcun dubbio, infatti, che la filosofia di Avicenna, dipenda fortemente dalla tradizione aristotelica, anche se non esclusivamente. Non c'è dubbio anche che la fortuna dei testi avicenniani, sia dipesa dal fatto che il pensiero aristotelico abbia fatto scuola in occidente ed ha

140 Bertolacci A., Il pensiero filosofico di Avicenna in D'Ancona C., (a cura di) Storia

della filosofia nell'Islam medievale Vol.II, Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio

Einaudi editore s.p.a, Torino, 2005 pag 530. L'immagine di Avicenna come rappresentante vero e puro della tradizione aristotelica, ci viene offerto nel magistrale capolavoro del Sommo poeta Dante Alighieri, nel IV canto dell'Inferno. Ci troviamo nel cerchio infernale de Limbo, luogo che secondo la concezione dantesca accoglie, gli adulti giusti del mondo pagano ed anche gli infedeli del tempo cristiano. Come specificherà poi Virgilio nel Purgatorio (III vv.34-5), si tratta di coloro che seguirono tutte le virtù morali e intellettuali, mancando la fede. Avicenna viene nominato al v.143 del IV canto della prima cantica dantesca, dove siede assieme ad Averroè nella « filosofica famiglia » di quei pensatori che resero onore alla figura dello Stagirita. La Commedia evidenzia quattro punti fondamentali della figura di Avicenna: 1) È visto come un rappresentante della cultura araba e non della religione islamica. 2) Viene raffigurato come uno tra i discepoli di Aristotele. 3) La sua filosofia non supera i limiti del mondo latino. 4) La sua cultura e filosofia, danno un apporto culturalmente positivo allo scibile in generale, in quanto slegato dalla fede musulmana. In questo senso è possibile affermare che Dante vide in Avicenna, un fenomeno culturale non-religioso, proficuo e di grande importanza. Tramite questa nota, ho voluto giustificare ed esemplificare la lettura che si dette delle opere avicenniane in occidente.

Riferimenti

Documenti correlati

Specifically, the hybrid process performance in terms of the final cost of produced fresh water will be tested against the variation of operating pressure and feed flow rate of

XIII secolo, Città del Vaticano 1944, pp.. Al riguardo ha fornito chiarezza il contributo del tedesco Valentin Rose: la scuola di Toledo era da intendere

first protecting position 31 (Figs. Following a force 50 acting along at least one direction going from said chin guard 3, in particular from the central portion 3c of said chin

Il progetto “PerContare” è un progetto inter-regionale italiano di tre anni (2011-2014) mirato a sviluppare strategie didattiche inclusive e materiale curricolare

In a 2010 analysis of Morocco’s approach to the issue of migration linked to security issues with the EU, for instance, El Qadim (2010: 93) argues that

Not only did the youth remain politically active, but many Syrian and Egyptian Christian figures played an important political role after 2011. In Egypt, Coptic figures

In questo lavoro ho anche considerato l'importanza che le traduzioni di Gerardo hanno avuto nella costituzione di un progetto ˮ educativo o meglio ancora di un programma

DENOMINAZIONE DEL CORSO / NAME OF THE COURSE DURATA / DURATION (in ore / in hours) SEDE / LOCATION (indicare Università o altra sede di svolgimento / indicate the