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Emendamenti presentati all’art. 1, comma 1:

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Emendamenti presentati all’art. 1, comma 1:

si esprime parere favorevole all’emendamento 1.2 Della Monica e contrarietà all’emendamento 1.1., tendente ad escludere carattere di specialità alla disciplina dell’ordinamento forense. per comprendere questa specialità basta far riferimento a quanto scritto dalla Cassazione nella sentenza n. 1151/02. “la libera professione, per la sua naturale attitudine a soddisfare bisogni collettivi rilevanti anche per l’interesse generale della comunità, e per la funzione di mediazione che spesso svolge tra lo Stato e il cittadino, ha una rilevanza sociale e pubblica”, e aggiungiamo nell’interesse della giustizia stessa evitando che della stessa si faccia un servizio assoggettato alle pure logiche e regole di mercato. Oltretutto la previsione del carattere della specialità eviterebbe che successive leggi generiche potessero essere interpretate come abrogative di norme dell’ordinamento forense.

Né appaiono sussistere i problemi segnalati dalla Sen. Della Monica nella seduta della Commissione Giustizia del Senato del 7.10.2009, tra l’altro attesa la previsione di cui all’art. 63 del ddl ed in considerazione della natura regolamentare della normativa di attuazione.

Emendamenti presentati all’art. 1, comma 2:

l’emendamento 1.3. Caruso è una risistemazione del testo che appare condivisibile, così come quello 1.5. dello stesso Senatore. Non possono essere invece accettate le proposte emendative sub 1.6. e 1.7, oltre a tutto configgenti con le previsioni dell’art. 2 Cost., anche se quella 1.7, per ragioni di opportunità, potrebbe essere accolta limitatamente all’eliminazione della parola “politica”.

Favorevolmente può essere accolta la proposta 1.4, mentre la proposta 1.8. non può essere accolta laddove si prevede l’efficacia della prestazione professionale, non trattandosi di una prestazione di risultato

Non paiono condivisibili i rilievi formulati dal Sottosegretario Alberti Casellati nella seduta del 30.9.2009 e dalla Sen. Della Monica nella seduta del 7.10.2009 relativi alla previsione della garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia degli avvocati, da sempre irrinunciabili presidi della funzione difensiva, anche costituzionalmente garantita.

Emendamenti presentati all’art. 1, commi 3, 4, 5 e 6:

gli emendamenti sub 1.9. Caruso 1.10. Della Monica 1.11. Centaro 1.12. Centaro hanno tutti riguardo la potestà regolamentare del C.N.F.. Su questi si esprime parere negativo.

La funzione regolamentare è nella disponibilità dello Stato, che può riservarla ad un proprio distinto apparato, oppure ad un ente pubblico, quale è il C.N.F.. Il rapporto legge-regolamento tratteggiato nell’art. 1 del D.d.L. non presenta pertanto alcun profilo di illegittimità costituzionale dal momento che non esiste un soggetto che risulti espropriato di una funzione ad esso costituzionalmente riservata. Si tratterebbe di funzioni regolamentari esercitate per soli fini ordinamentali. 1

Si pensi come la devoluzione di talune materia all’autonomia regolamentare della categoria sia metodo non solo consentito, ma anzi auspicato dalla Direttiva Bolkestein e che tale devoluzione appare coerente con il principio di sussidiarietà e con il principio di autonomia delle formazioni sociali (art. 2 Cost.). Peraltro il legislatore ha già per altre professioni fatto ricorso ad una ampia attribuzione di potestà regolamentare al relativo Consiglio nazionale: si pensi al nuovo ordinamento della professione di dottore commercialista (d. lgsl. n. 139/2005) senza che siano sollevate obiezioni da alcuno.

Ovviamente, la politica deve condividere questa scelta, che semmai potrebbe essere accompagnata per l’esercizio della potestà regolamentare in materie diverse da quelle aventi rilevanza interna all'avvocatura o deontologica, da un obbligo di comunicazione del regolamento al Ministero, con diritto-dovere di questi di formulare le proprie osservazioni entro un dato termine, decorso il quale il regolamento potrà essere adottato dal C.N.F. Una soluzione di tale genere appare anche idonea a

1 Va ricordato il principio che l’ambito deontologico deve considerarsi aerea riservata ai soggetti che danno vita all’ordinamento forense e sono funzionali alla tutela dei valori della professione e, pertanto, vanno esclusi da ogni controllo ministeriale.

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superare le perplessità palesate dal Sottosegretario Alberti Casellati nella seduta della Commissione Giustizia del Senato del 23.9.2009.

Quanto alle perplessità manifestate dal Sottosegretario nella seduta del 30.9.2009 circa i criteri per l’individuazione delle associazioni maggiormente rappresentative, si ricorda che le norme statutarie e regolamentari del Congresso di cui all’art. 36 del ddl si occupano della questione, tanto che vi sono già diverse associazioni già accreditate tra quelle maggiormente rappresentative.

Si potrebbe prevedere anche un generico obbligo di trasmissione di tutti i regolamenti al Ministro.

Una possibile soluzione potrebbe essere nello specifico: "Nei casi di cui agli art. 4 commi 3 e 10, art. 14 comma 2, art. 19 comma 1, art. 20, art. 27 comma 2, art. 40 comma 3 lo schema di regolamento è altresì comunicato al Ministro della Giustizia, che potrà formulare le proprie osservazioni entro il termine di sessanta giorni" Gli articoli sopra richiamati fanno riferimento alla potestà regolamentare in materie non aventi rilevanza interna all'avvocatura, unico campo per il quale ha un senso prevedere un dialogo col Ministero.

Emendamenti presentati all’art. 2, comma 1:

l’emendamento 2.1. Caruso appare ultroneo, mentre non può essere accettato l’emendamento 2.2.

Della Monica tendente a non fare dell’attività abituale e prevalente una delle condizioni per la professione di avvocato. L’effettività e la prevalenza dell’esercizio professionale sono essenziali per la conservazione e il miglioramento della preparazione professionale, né appare dato comprendere le ragioni di contrasto tra il comma 2 ed i commi 5, 6 e 7 cui ha fatto riferimento il Sottosegretario Alberti Casellati nella seduta del 30.9.2009, risultando trattarsi, al contrario, di norme di segno del tutto univoco. Così come non si comprendono le perplessità formulate dal Sottosegretario nella stessa seduta in ordine alla previsione di cui al quarto comma, secondo il quale ordine forense ed avvocato nell’esercizio delle loro funzioni ed attività sono soggetti solo alla legge..

Emendamenti presentati all’art. 2, comma 2:

si esprime favore all’emendamento 2.5. Della Monica (tutela della maternità e paternità), mentre non possono essere accettati gli emendamenti 2.3. e 2.4. Caruso in quanto diretti ad incidere su affermazioni di principio connotanti in modo essenziale la disciplina della professione forense.

Emendamenti presentati all’art. 2, comma 3:

si esprime contrarietà all’emendamento Della Monica 2.6., in quanto una delle finalità della riforma è proprio quella di consentire l’esercizio della professione solo a coloro che abbiano superato l’esame previa rigorosa verifica, attraverso la radicale revisione del tirocinio, del possesso della necessaria qualificazione professionale e deontologica.

Emendamenti presentati all’art. 2, comma 5:

gli emendamenti 2.7. Poli Bortone, 2.9. Centaro, 2.10. Centaro e 2.11. Allegrini si muovono tutti nell’ottica di incidere sulla presenza necessaria dell’avvocato e non possono pertanto essere condivisi, attesa la delicatezza e l’importanza delle funzioni previste dalla norma, tali da richiedere la garanzia della qualificazione professionale. Al limite, può essere condivisa la seconda parte dell’emendamento 2.8. Caruso “fatti salvi i casi previsti dalla legge”, che, salvaguardando il ruolo necessario ed insostituibile dell’avvocato nella tutela del diritto di difesa, lascia al Legislatore la possibilità di derogarvi (tale inciso dovrebbe pertanto affiancare e non sostituire quello che invece si propone di eliminare). Non sufficiente appare la proposta 2.9 testo 2 Centaro che riconosce l’assistenza e rappresentanza esclusive nelle procedure arbitrali (sulla base dell’indicazione del Sottosegretario Alberti Casellati di cui alla seduta del 30.9.2009, salvo non condividere la distinzione tra arbitrati rituali ed irrituali, dalla stessa formulata, atteso in entrambi i casi il carattere imprescindibile della qualificazione della funzione difensiva).

Più in generale, in relazione ai rilievi formulati dal Sottosegretario Alberti Casellati e dal Sen.

Centaro nella seduta del 23.9.2009, si richiamano le sopra ricordate delicatezza ed importanza delle

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funzioni di cui alla norma in questione e la conseguente necessità della garanzia della qualificazione professionale e si ricorda che le competenze dei commercialisti (e delle altre categorie abilitate) nella giustizia tributaria sono fatte espressamente salve dal comma 6.2

Emendamenti presentati all’art. 2, comma 6:

per le stesse ragioni gli emendamenti presentati 2.12. Centaro e 2.13. Poli Bortone non possono essere condivisi, ne tantomeno la più ampia soppressione prevista con l’emendamento 2.12 Centaro.

La norma, a differenza di quanto dichiarato dal Sottosegretario Alberti Casellati nella seduta del 30.9.2009, non appare pleonastica, integrando e completando quella di cui al comma precedente.

Emendamenti presentati all’art. 2, comma 7:

gli emendamenti 2.14. Poli Bortone, 2.15. Allegrini, 2.16. Centaro, 2.17., 2.18. e 2.19. Caruso attaccano la riserva per l’attività di consulenza e assistenza stragiudiziale, fatte salve le particolari competenze riconosciute ad altre attività professionali. Con riferimento all’emendamento 2.18. si fa presente che esso fa riferimento ai giuristi di impresa, che non è professione e non è disciplinata, forse sarebbe opportuno inserire un comma bis che, per quanto ultroneo, consenta ai lavoratori dipendenti laureati in giurisprudenza, o rapporti di lavoro equiparati, di poter svolgere attività di consulenza ed assistenza stragiudiziale esclusivamente in favore del proprio datore di lavoro.

La riserva di legge nel disegno di legge si concretizza: a) nell’assistenza, la rappresentanza e la difesa “…nelle procedure arbitrali, nei procedimenti di fronte alle autorità amministrative indipendenti, e ad ogni altra amministrazione pubblica e nei procedimenti di conciliazione e mediazione” (articolo 2, comma 5); b) nell’assistenza, la rappresentanza e la difesa, salve le specifiche competenze di altri professionisti, in procedimenti di natura amministrativa, tributaria e disciplinare (articolo 2, comma 6); c) nell’attività, svolta professionalmente “di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale in ogni campo del diritto”, fatte salve specifiche competenze di altri professionisti espressamente individuati (articolo 2, comma 7).

Con riferimento a quella sub a), per ciò che concerne le amministrazioni pubbliche, il progetto di legge fa “salvo quanto previsto dalle leggi speciali per l'assistenza e la rappresentanza per la pubblica amministrazione”.

Le competenze di cui alle lettere a) e b) trovano fondamento nella necessità della assistenza dell’avvocato in ogni procedura a carattere contenzioso, e quindi condividono la medesima ratio della soggezione a riserva dell’attività giudiziale (art. 24 Cost.). Non vi è dubbio infatti che taluni procedimenti presso le autorità indipendenti raggiungano soglie di complessità spesso di gran lunga superiori a quelle proprie di un ordinario giudizio civile: non si vede per quale ragione logica la necessità della assistenza e della difesa tecnica debba sussistere solo nel secondo caso, e non anche nel primo.

Quanto a quelle procedure che mirano a evitare le liti giudiziali (conciliazione e mediazione), qui la presenza dell’avvocato è necessaria per prospettare alla parte proprio gli eventuali vantaggi che presenterebbe il mancato ricorso al processo, o, viceversa, la opportunità di procedere comunque per le vie giudiziarie. Inoltre non si dimentichino gli effetti che nel processo possono conseguire alla mancata adesione alla proposta conciliativa in punto spese, cosicché queste fasi sono da ritenersi propedeutiche al processo per le conseguenze che hanno nello stesso. Solo un avvocato che conosca le dinamiche processuali può offrire al cliente una prospettazione completa della propria posizione giuridica e delle modalità più opportune per tutelare i propri diritti. Peraltro, anche in queste modalità alternative di risoluzione delle controversie sussiste pienamente la contrapposizione di interessi che è propria dei procedimenti giudiziali. Infine solo la riserva di legge consentirà di reprimere i contegni abusivi, nell’interesse dell’amministrazione della giustizia, per il controllo deontologico che viene esercitato sull’attività degli avvocati.

2 Deve segnalarsi che in recente deliberato della FBE (Federazione Europea degli Ordini degli Avvocati) si afferma – in linea con le disposizioni comunitarie- l’essenzialità dell’assistenza legale nelle procedure di conciliazione e mediazione.

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La riserva è, infine, in linea con le previsioni comunitarie di indirizzo in tema di servizi professionali e di liberalizzazione degli stessi (la Direttiva Bolkestein).Questa direttiva servizi al considerando n. 88, afferma che “ La disposizione sulla libera prestazione di servizi non dovrebbe applicarsi nei casi in cui, in conformità del diritto comunitario, un’attività sia riservata in uno Stato membro ad una professione specifica, ad esempio qualora sia previsto l’esercizio esclusivo della consulenza giuridica da parte degli avvocati”. Il che già accade in alcuni paesi europei. Infine la riserva è in linea con la concezione unitaria della professione forense radicata nel ns. ordinamento.3 Emendamenti presentati all’art. 2, comma 8:

l’emendamento 2.20. Caruso può essere condiviso, essendo limitato all’uso del titolo e non all’esercizio della professione.

3 Sulla riserva si riportano le considerazioni espresse dall’avv. Donella “A proposito della riserva della consulenza legale, vanno innanzitutto rimossi due equivoci: che essa non sia prevista nelle norme vigenti e che la giurisprudenza confermi questa mancanza. Si tratta di errori evidenti e gravi, che vanno rimossi.

E’ opportuno inoltre fare una premessa: per esclusiva s’intende la possibilità riservata soltanto ad una professione di svolgere una sua attività tipica (salvo specifiche eccezioni), mentre per riserva si intende che alcune prestazioni tipiche possano essere normalmente compiute da più categorie di professionisti, ai quali sia riconosciuta idonea competenza.

Le fonti

Vengono qui richiamate le fonti principali che attribuiscono la riserva della consulenza legale agli avvocati.

a) L’art. 33 della Costituzione, che impone il superamento di un esame disciplinato dallo Stato come requisito per l’esercizio di una attività professionale.

b) L’art. 2229 c.c., per il quale l’esercizio delle professioni è subordinato alla iscrizione in appositi albi ed elenchi, prescrivendo l’iscrizione all’albo professionale per l’esercizio di attività caratteristiche di ogni professione. La norma non si riferisce a prestazioni professionali singole. Questo articolo, pertanto, vieta l’esercizio professionale per tutte le prestazioni caratteristiche di ogni professione, se compiute con carattere di continuità.

c) L’art. 2231 c.c., il quale riconosce il diritto alla retribuzione a coloro che svolgono una attività professionale soltanto se iscritti ad un albo.

d) La legge 23 novembre 1939 n. 1815, che impone regole per l’esercizio dell’attività professionale associata; per gli avvocati sono riservate le “prestazioni in materia legale”, con chiaro riferimento anche all’attività stragiudiziale.

e) La legge 9 febbraio 1982 n. 31, che disciplina l’attività professionale di avvocati comunitari, che agli artt. 2 e 7 condiziona l’esercizio di prestazioni stragiudiziali all’adempimento di determinate condizioni.

f) Il decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 96, nel quale l’art. 10 afferma che l’avvocato comunitario può svolgere attività professionale stragiudiziale e di consulenza legale, solo se iscritto all’albo degli avvocati stabiliti. N.B. si deve tener presente che per regola comunitaria non possono essere imposti limiti all’esercizio di una attività a cittadini comunitari, se gli stessi limiti non sono imposti ai cittadini. Ciò significa che anche i cittadini italiani, per eseguire prestazioni stragiudiziali e di consulenza devono essere iscritti in un albo, come prescritto dalla L. 31/82 e dal D.L.

96/01 per l’avvocato comunitario.

La giurisprudenza

La Corte di Giustizia Europea si è interessata più volte degli avvocati. Con la sentenza C-309/99 (Wouters-Savelbergh) ha affermato che l’avvocato per svolgere la sua attività deve dare garanzia di integrità e di esperienza ai consumatori finali dei servizi legali (compresi quelli stragiudiziali) ed alla buona amministrazione della giustizia.

Analoghe regole si trovano enunciate nella sentenza C-35/99, Arduino.

La Corte di Cassazione italiana ha affrontato più volte la questione. Un’interpretazione delle sentenze della Corte richiede un chiarimento: per la maggior parte, le sentenze si riferiscono a prestazioni singole per le quali non vi è dubbio che la consulenza sia libera e non condizionata all’iscrizione di un albo; per l’attività di carattere continuativo, vi è qualche contraddizione, con netta prevalenza delle sentenze che escludono la possibilità di eseguire prestazioni di consulenze legali e stragiudiziali in modo continuativo e professionale per chi non sia iscritto all’albo forense.

Raramente le sentenze della Corte fanno riferimento alle norme e non sempre distinguono tra prestazioni singole e prestazioni continuative. Si segnalano, per la loro chiarezza: Cass.Civ. 2 agosto 1997 n. 7359; Cass.Pen. 16 dicembre 1999, Leonetti; Cass.Pen. 8 gennaio 2003, Notaristefano, le quali recepiscono i principi qui enunciati. In dottrina, soprattutto: Paolo Montalenti, Le Società, 2001, pag. 116 e segg..

I principi

E’ giustificato che la consulenza legale sia riservata a professionisti che abbiano in materia una specifica competenza, primi tra tutti gli avvocati. Questa competenza deve essere accompagnata dall’obbligo del rispetto di regole rigorose di condotta garantite dall’iscrizione in un albo.

Il non professionista, se svolge una attività di consulenza legale, non dà alcuna garanzia della competenza di esprimere pareri. Inoltre, egli compie una concorrenza sleale perché:

- può mirare esclusivamente all’interesse proprio, trascurando quello del cliente;

- non è tenuto al segreto professionale e neanche alla riservatezza;

- può fare pubblicità nel modo più spregiudicato;

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Emendamenti presentati all’art. 2, comma 10:

gli emendamenti 2.21. Centaro e 2.22. D’Alia possono essere condivisi, trattandosi il primo di mera correzione letterale ed il secondo di affermazione di responsabilità deontologica, che ovviamente potrà avvenire solo nei confronti di un iscritto all’Albo o Registro.

Emendamenti presentati all’art. 3, comma 1:

nel mentre può essere condiviso l’emendamento 3.2. Della Monica, che richiama il precedente testo del C.N.F., non può essere condiviso l’emendamento 3.1. Caruso, in quanto elimina l’importante e primario dovere dell’avvocato di rispettare la legge oltre le norme deontologiche; appare oltre tutto più chiara e più organica la previsione che si vuole sostituita..

Emendamenti presentati all’art. 3, comma 2:

possono essere condivisi gli emendamenti 3.3. Della Monica, che sostanzialmente aggiunge gli obblighi di discrezione e riservatezza, e 3.4. D’Alia, che sostanzialmente aggiunge l’obbligo di competenza.

Emendamenti presentati all’art. 3, commi 3 e 4:

può essere condiviso l’emendamento 3.7. D’Alia (meramente letterale), nel mentre non possono essere condivisi gli emendamenti 3.5. Caruso, 3.6. Della Monica e 3.8./ anche nel teso 3.8.

2.Casson. Appare infatti superfluo prevedere un termine periodico fisso, estremamente problematica la tipizzazione di tutte le condotte deontologicamente rilevanti (Caruso) ed ultronee la promulgazione ministeriale (Della Monica) – perché i codici deontologici sono e devono rimanere espressione esclusiva dei vari ordini professionali (non esistono ipotesi di norme deontologiche ministeriali per attività private) – e la pubblicazione del Codice sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, differendone peraltro l’efficacia (Caruso).

- non ha norme deontologiche o etiche che debba rispettare.

Si noti che, se non fosse prescritta l’iscrizione in un albo e chiunque potesse prestare consulenza, nessun freno vi sarebbe per le persone più incompetenti e meno affidabili, con grave pregiudizio dell’amministrazione della giustizia, che nella serietà della consulenza stragiudiziale trova un serio condizionamento alla litigiosità processuale.

Senza limiti, come è stato fato notare, anche un astrologo potrebbe rendere consulenza, con il vantaggio che egli potrebbe anche prevedere l’esito della controversia!

La concorrenza

Prescrivere l’iscrizione ad un albo come condizione per fornire consulenza legale non compromette l’ampiezza della concorrenza.

Prima di tutto, si tenga presente che gli avvocati sono ora oltre duecentomila (oltre ad alcune decine di migliaia di praticanti abilitati), un numero enorme per il mercato delle prestazioni legali, così grande che attualmente le generazioni più giovani trovano serie difficoltà per affermarsi.

Al numero degli avvocati va aggiunto il numero degli altri professionisti che, in settori particolari, possono prestare consulenza legale: notai, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, ecc…

Tra tutti costoro vi è libera concorrenza, circoscritta ai professionisti qualificati, tutti condizionati da dover privilegiare l’interesse del cliente e rispettare regole di condotta.

Si aggiunga che la concorrenza per la consulenza legale, come per tutte le materie complesse che richiedono il rispetto di norme giuridiche tecniche, non può essere fatta soltanto con una comparazione della misura dei compensi, perché non si può prescindere dalla qualità della prestazione, ben difficilmente valutabile. Per consentire una corretta valutazione del giusto compenso per i professionisti, ben giustificate sono le tariffe, in particolare il vincolo delle tariffe minime.”

La proposta del comitato ristretto non si presta, pertanto, a rilievi critici.

a) la riserva per la consulenza legale non è per i soli avvocati, ma per tutti gli esercenti di attività professionale con particolari competenze in specifici settori del diritto;

b) la riserva è riconosciuta solo per l’esercizio “professionale” della attività di consulenza (libera pertanto per le prestazioni singole);

c) è specificato che la riserva trova fondamento nella necessità di “assicurare ai cittadini una tutela dei diritti competente e qualificata” (è dunque chiaramente e correttamente indicato che la consulenza è condizionata al fatto che sia resa da professionista competente e qualificato).

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Emendamenti presentati all’art. 4, comma 1:

possono essere condivise, perché chiarificatrici e rafforzative, le previsioni degli emendamenti 4.2.

Caruso e 4.3. Caruso.

Emendamenti presentati all’art.4, comma 5:

possono essere condivise, perché chiarificatrici e rafforzative, le previsioni dell’ emendament0 4.4.

D’Alia, mentre con riferimento a quello 4.5. Della Monica. il proposto comma 5-bis appare superfluo, mentre per il comma 5-ter appare senza difetti la formula del Comitato ristretto.

Condivisibili gli emendamenti 4.7, 4.8, 4.9 proposti dal Relatore Valentino. Quanto alle considerazioni svolte dal Sottosegretario Alberti Casellati nella seduta del 7.10.2009 circa l’opportunità della previsione di società di capitali, anche se senza soci di mero capitale, l’Avvocatura deve ribadire la propria contrarietà anche per gli effetti che avrebbe sulla Cassa di Previdenza.

Emendamenti presentati all’art. 4, comma 7:

Non chiaro l’emendamento 4.6. Casson (peraltro ritirato nella seduta del 7.10.2009) che completa il testo; pare però importante conservare il richiamo anche del comma 1.

Non può essere condiviso invece l’emendamento 4.1. Caruso che tende a sostituire l’intero articolo 4, apparendo preferibile il testo che si vuole sostituito.

Emendamenti presentati all’art. 5 comma 1:

l’emendamento 5.1 Della Monica ampia il concetto del segreto professionale – includendovi il concetto di discrezione-, ma contiene un riferimento al cliente che non appare condivisibile (meglio riferirsi al concetto di parte assistita), mentre quello 5.2 Caruso può essere accettato in quanto esplicita un’utile precisazione.

Emendamenti presentati all’art. 5 comma 2:

l’emendamento 5.3 Della Monica è una mera riformulazione letterale del testo, così quello 5.4 Caruso; entrambi possono essere accolti.

Emendamenti presentati all’art. 5 comma 3:

Utile la previsione dell’emendamento 5.5 Caruso che estende gli obblighi al praticante.

Emendamenti presentati all’art. 5 comma 4:

ultroneo l’emendamento 5.6 D’Alia, in quanto fattispecie già ricompresa nel concetto di segreto e regolata nel codice deontologico. Il divieto è eccessivo, anzi inopportuno, perché molte volte, ad esempio, chiarimenti in merito a notizie inesatte o false o equivoche devono essere rettificate nell’interesse dei clienti (anche prescindendo dall’autorizzazione del cliente alla quale ha fatto riferimento il relatore Valentino nella seduta del 7.10.2009, posto che potrebbe ad esempio ricorrere l’impossibilità del rilascio di tale autorizzazione). E le rettifiche sono più efficaci se provenienti dal professionista piuttosto che dalla parte interessata. Va naturalmente vietato l’eccesso, soprattutto allo scopo pubblicitario. Ma a ciò pensa il codice deontologico; in tal senso l’emendamento 5.7 Della Monica rafforzerebbe un obbligo deontologico già esistente.

Emendamenti presentati all’art. 6 comma 1:

l’emendamento 6.1 Della Monica non è chiaro sulle conseguenze derivanti ed appare inutile per perseguire le finalità proposte, in ogni caso appare assorbito dall’emendamento 27.1 D’Alia.

Nell’ordinamento giudiziario l’incompatibilità c’è per il magistrato e non pare poter essere estesa all’avvocato: il magistrato può essere facilmente trasferito, l’avvocato può essere quasi sempre nella impossibilità di cambiare circondario.

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Il testo 2 dell’emendamento chiarisce gli aspetti problematici sopra segnalati e si raccorda con quello 27.1 per cui può essere condiviso.

Utile può essere recepire gli emendamenti 6.2 e 6.3 Della Monica, meglio dettagliati nel testo 2, (peraltro la previsione del comma 1-bis del 6.2 c’è già nell’art. 4), mentre l’emendamento 6.4 contiene una norma di natura processuale che non appare opportuno inserire in questa normativa.

Emendamenti presentati all’art. 7:

l’emendamento 7 pare irrilevante Emendamenti presentati all’art. 8:

l’emendamento 8.1 Caruso tende a sopprimere la previsione delle specializzazioni ed è inaccettabile perché la specializzazione è assolutamente necessaria per qualificare l’avvocato con l’indicazione del settore di attività nel quale è presumibilmente più preparato; non è assolutamente accettabile che l’avvocato debba essere competente in ogni settore del diritto e non possa migliorare la sua preparazione in alcuni settori e acquisire con titolo che dimostra questa particolare preparazione;

mentre quello 8.10 sopprime altrettanto inaccettabilmente la previsione delle associazioni specialistiche. Gli emendamenti 8.2 ed 8.3 Della Monica e quello 8.4 Caruso operano la riscrittura del testo dell’articolo; su tutti si può esprimere un parere contrario, apparendo più organica la disciplina che si vorrebbe sostituita è che è stata tra l’altro condivisa dalle associazioni specialistiche.

Possono invece ritenersi utili correttivi lessicali, gli emendamenti 8.5 D’Alia, 8.6 e 8.8 Benedetti Valentini. Pienamente condivisibile l’emendamento 8.9 Valentino che reintroduce l’obbligo della formazione anche per gli specializzati. Non chiaro l’emendamento 8.7 Casson .

Con l’emendamento 8.11 si propone una diversa e sintetica disciplina di dette associazioni e tra l’altro si aggiunge un esonero dalla frequenza dei corsi specialistici dopo 15 anni: si esprime al riguardo parere fermamente contrario, attesa la necessità di un rigoroso vaglio dei presupposti per il conseguimento e la spendita del titolo di specialista.

Le norme sulle cd. specializzazioni, sono state pensate proprio per valorizzare i saperi specifici dell’avvocato, e sottolineare la sua particolare qualificazione in determinati settori piuttosto che in altri, nella consapevolezza che il mercato professionale richiede prestazioni sempre più puntuali, con la progressiva tendenziale scomparsa dell’avvocato “generalista”.

Giustificato appare il richiamo alla potestà regolamentare del Cnf quale ente pubblico, come tale preposto alla cura di interessi pubblici, e primariamente dell’interesse pubblico al corretto esercizio della professione. La natura, inoltre, è quella di un ente rappresentativo, esponenziale della categoria, e legittimato proprio dalla funzione rappresentativa svolta; inoltre il Consiglio nazionale forense non è in grado di sapere meglio di altri in quali branche di specializzazione la pratica forense si va differenziando? Sia consentito sul punto, infine, rilevare come, alla luce del principio di autonomia evidenziato anche nella direttiva Bolkestein, non possa che essere la stessa categoria professionale, e per essa il proprio organo istituzionale di rappresentanza, a definire i confini delle specializzazioni.

Emendamenti presentati all’art. 9:

l’emendamento 9.1 Caruso tendente ad eliminare il riferimento al codice deontologico non può essere condiviso, utile la precisazione contenuta nell’emendamento 9.2 anche se l’avvocato che esercita all’estero è tenuto alla doppia deontologia l’emendamento 9.3 D’Alia. è assorbito nel 2- quater del precedente emendamento.

Emendamenti presentati all’art. 10 comma 1:

l’emendamento 10.1 Della Monica riformula l’articolo evidenziando come l’aggiornamento professionale soddisfi oltre che l’interesse del cliente anche quello dell’amministrazione della

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giustizia, cogliendo uno de punti salienti della riforma che giustifica la riserva di legge ed i minimi tariffari. Per tale ragione può essere ampiamente condiviso.

Emendamenti presentati all’art. 10 comma 2:

l’emendamento 10.2 Caruso pare condivisibile (trattasi di mera sistemazione letterale del testo) al pari di quelli formulati sub 10.4 e 10. 6 (quest’ultimo con riferimento alle sole materie deontologiche); può essere condiviso quello 10.5. L’emendamento 10.3 può ritenersi assorbito nell’emendamento 8.9 del Relatore Valentino. Non sono stati presentati emendamenti sull’auspicata previsione di sopprimere “le parole gli avvocati iscritti nell'albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori”.

Emendamenti presentati all’art. 10 comma 3:

l’emendamento 10.7 Caruso non può essere condiviso in quanto priva il disegno di legge del principio che il regolamento si uniformi al principio di garantire la libertà ed il pluralismo nell’offerta formativa. Per la stessa ragione pare non condivisibile l’emendamento 10.10 tendente a rendere eventuale l’attività di formazione dei “terzi”.

Gli emendamenti 10.8 e 10.9 Caruso tendono a sostituire il termine formazione con

“aggiornamento”; l’emendamento 10.11 Della Monica specifica che l’aggiornamento professionale deve avere carattere “europeo e internazionale” e prevede la possibilità d’intese con Università, CSM e Scuola Superiore della Magistratura. Può essere positivo prevedere forma di aggiornamento comune tra avvocatura e magistratura. In tal senso si possono condivedere gli emendamenti proposti.

Emendamenti presentati all’art. 10 comma 4:

l’emendamento 10.12 Caruso riscrive il comma 4 ma non può essere condiviso prevedendo se non indirettamente e tramite intese favorite del CNF che gli ordini e le associazioni forensi organizzino corsi di aggiornamento.

Emendamenti presentati all’art. 10 comma 5:

non può essere condiviso l’emendamento 10.13 Caruso tendente a sopprimere il 5° comma (il quale prevede la possibilità per le Regioni disciplinino l’attrbuzione di fondi per la formazione), ma non può essere condiviso, oltre tutto non comprendendosene la ragione.

Emendamenti presentati all’art. 11:

l’emendamento 11.4 Caruso , peraltro ritirato nella seduta del 30.9.2009, pare riferirsi ad un comma soppresso; dello stesso Senatore gli emendamenti 11.1, 11, 2 paiono il primo impraticabile ed il secondo potrebbe rendere meno chiaro il testo dell’articolo. L’emendamento 11.1.100 Valentino, volto alla sostituzione dell’intero articolo, nella sostanza, oltre a reintrodurre le previsioni del sesto e settimo comma che erano state soppresse dal Comitato ristretto, prevede, al quarto comma, la facoltà del CNF di provvedere a forme collettive di assicurazione con oneri a carico del proprio bilancio: trattasi di norma che appare quanto meno di non agevole applicazione, atteso l’elevatissimo numero di iscritti e la profonda diversità tra le tipologie di esercizio professionale da essi svolte. La norma prevede altresì al quinto comma che le condizioni della polizza siano stabilite dal Ministro della Giustizia, sentito il CNF. Non è chiaro se si tratti di disposizione riferita al comma precedente o ad ogni ipotesi di assicurazione; in ogni caso essa non risulta accettabile, non potendo che essere rimessa alla specifica considerazione delle caratteristiche delle singole attività professionali la determinazione delle condizioni di polizza, in ogni caso al di fuori di ingerenze del Ministero, che appaiono davvero incongrue.

Non può essere condiviso l’emendamento 11,3 in quanto tramite la previsione della possibilità di negoziare “condizioni generali” da parte di ordini ed associazioni forensi si tende a favorire il contenimento dei costi dell’assicurazione.

(9)

Emendamenti presentati all’art. 12:

trattasi degli emendamenti sui minimi tariffari e divieto di patto di quota lite.

Sono condivisibili gli emendamenti 12.11 Berselli volto a sopprimere il riferimento ai minimi al comma 6 lettera b) – in coerenza con la previsione del comma 5 –, proposta che assorbe quella dell’emendamento 12.12 Benedetti Valentini e che appare in sintonia con quella prevista dall’emendamento 12.4 Li Gotti. Preferibile l’emendamento Berselli.

L’emendamento 12.1 Caruso vuole sopprimere il principio che i compensi sono determinati in modo da garantire un compenso adeguato alla funzione sociale ed al decoro, si esprime contrarietà.

La previsione di minimi tariffari inderogabili si giustifica e riconnette all’esigenza di assicurare

“mediante un'equa retribuzione, la qualità della prestazione, anche ai fini della buona amministrazione della giustizia e nell’interesse collettivo”, così come sarebbe utile prevedere che le tariffe“devono rispondere a criteri di semplicità e chiarezza”. Il sistema tariffario, conformemente alla giurisprudenza deontologica del CNF e della Cassazione, potrà – infine- prevedere ipotesi di deroga ai minimi tariffari “solo per particolari ragioni sociali o di convenienza morale”.

In tal senso non possono essere condivisi l’emendamento 12.2 Mazzatorta laddove prevede come possibile ipotesi di deroga la continuità del rapporto, creando di fatto una cointeressenza e dipendenza economica che andrebbe a minare l’indipendenza dell’avvocato e non sarebbe funzionale ad assicurare la tutela del superiore interesse della buona amministrazione della giustizia, e l’emendamento 12.3 Casson tendente a prevedere la vincolatività dei minimi tariffari solo per specifici soggetti. Complicata e riduttiva è la previsione dell’emendamento 12.7 Casson, mentre troppo generico appare il riferimento alla sproporzione previsti negli emendamenti 12.5 e 12.6 Benedetti Valentini.

Gli emendamenti 12.8 Li Gotti, 12.9 Della Monica, 12.10 Benedetti Valentini 12. 14 Della Monica sono volti alla del tutto condivisibile reintroduzione del divieto di patto di quota lite 4 sono L’emendamento Li Gotti 12.8 riformula l’intero comma 6, ma presuppone l’approvazione dell’emendamento 12.4 dallo stesso proposto, di cui sopra Superfluo l’emendamento 12.13 Benedetti Valentini, appare condivisibile l’emendamento 12.16 dello stesso Benedetti Valentini che richiama una previsione dell’originario testo e prevede l’abrogazione esplicita (come ora richiesto nella formulazione delle leggi) dell’art. 2 dl 223/2006 come modificato dalla L 248/2006.

4 Si riportano alcune massime di Cassazione sulla ragione del divieto, ragioni tutt’ora valide e sostenibili a livello comunitario atteso che ciascuno Stato membro è libero di individuare e difendere i valori che esso considera fondamentali per la professione.: “Il divieto del cosiddetto " patto di quota lite " tra l'avvocato ed il cliente, sancito dalla norma di cui all'art. 2233 c.c., trova il suo fondamento nell'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l'interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia, comunque, ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli. Ne consegue che detto patto (legittimamente ravvisabile anche sotto forma di promessa unilaterale, costituendo questa una fattispecie negoziale ove l'astrazione della causa risulta limitata all'ambito processuale) va rinvenuto non soltanto nella ipotesi in cui il compenso del legale consista in parte dei beni o crediti litigiosi, secondo l'espressa previsione della norma (che costituisce, in relazione alla "ratio" della tutela, soltanto la tipizzazione dell'ipotesi di massimo coinvolgimento del legale e che, pertanto, non esaurisce il divieto ), ma anche qualora tale compenso sia stato, comunque, convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi, così, quella (non consentita) partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.” (Cass. 19 novembre 1997, n. 11485); “Il divieto del cosiddetto patto di quota lite , fra l'avvocato, procuratore o patrocinatore ed il suo cliente, si ricollega essenzialmente all'esigenza di assoggettare ad una disciplina uniforme, garantita da controlli pubblicistici, il contenuto patrimoniale del rapporto professionale, al fine di tutelare sia l'interesse del cliente, sia la dignità e la moralità del professionista, sia la funzione giurisdizionale, suscettibile di essere pregiudicata da apporti di difesa viziati. Ne consegue che la nullità di quel patto , sancita dall'art. 2233 comma 3 c.c., prescinde dalla circostanza del verificarsi di un indebito lucro per il professionista, e può essere fatta valere da ciascuno dei contraenti, senza che si richieda la deduzione e dimostrazione di uno specifico interesse a rimuovere gli effetti.”

(Cassazione civile sez. I, 04 dicembre 1985, n. 6073)

(10)

Non può essere condiviso l’emendamento 12.15 Caruso tendente a sopprimere la previsione del comma 7 che prevede la solidarietà nell’obbligo del pagamento degli onorari degli avvocati costituiti in ipotesi di transazione in controversia giudiziale e d arbitrale. 5

Si ricorda, infine, come il Sottosegretario Alberti Casellati, nella seduta del 23.9.2009, abbia fatto riferimento all’importanza dell’inderogabilità dei minimi tariffari, “funzionali alla garanzia della qualità delle prestazioni rese”, e dell’esigenza di ribadire il divieto del patto di quota lite.

Emendamenti presentati all’art. 13:

utile la precisazione dell’emendamento 13.1 D’Alia, non condivisibile quella prevista con l’emendamento 13.2 Caruso (avente a oggetto disposizione che integra quella dell’art. 4), mentre condivisibile appare la precisazione inserita con l’emendamento 13.4 Casson (anche se appare sostitutiva del quarto comma, che appare destinata ad assorbire, e non additiva rispetto ad esso).

5 I passaggi al riguardo segnati dalla giurisprudenza comunitaria dimostrano inequivocabilmente come un sistema di tariffe inderogabili nei minimi può essere compatibile con il diritto comunitario se assunto con l’obiettivo di assicurare una buona amministrazione della giustizia e/o la protezione dei consumatori.

Il primo capitolo di questa vicenda è la oramai risalente e assai nota sentenza Arduino del 2002 (causa C-35/99).

Il giudice remittente, in quel caso, aveva adito la Corte del Lussemburgo per far rilevare la asserita violazione dell'art.

85 trattato CE da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, deducendo che queste, adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese (il Consiglio nazionale forense) integrerebbero intese restrittive della libertà di concorrenza. In buona sostanza l'oggetto del contendere era proprio la compatibilità con il quadro normativo comunitario del sistema tariffario vigente in Italia per l'esercizio della professione forense. Ovvero la compatibilità con il quadro comunitario di un elemento normativo di notevole importanza per la definizione del modello ordinistico italiano: la sentenza era infatti particolarmente attesa in Italia, dove da alcuni anni, a partire dalla indagine conoscitiva avviata nel 1994 dall'AGCM, si dibatteva intorno al sistema degli ordini professionali.

La conclusione cui è arrivata la Corte è la piena compatibilità dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, nel momento in cui afferma che "gli artt. 5 e 85 del Trattato CE (divenuti artt. 10 Tr. CE e 81 Tr. CE) non ostano all'adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata".

Da ciò l'importante conseguenza che non spetta al giudice nazionale compiere una valutazione caso per caso e applicare o disapplicare le tariffe se non ha motivo di ritenere che siano state adottate nell'interesse nazionale. La valutazione l'ha già compiuta una tantum la Corte di giustizia.

La linea argomentativa sostenuta dalla Corte poggiava fondamentalmente sul riconoscimento del fatto che le tariffe professionali, seppur proposte dall'ordine, sono comunque approvate dal Ministro della Giustizia, dietro parere del Consiglio di Stato e del CIP, e che dunque l'atto è sostanzialmente oltre che formalmente imputabile ad un'autorità dello Stato. Ciò impedisce di riconoscerne l'origine in organismi espressione della categoria che rende le prestazioni professionali e che avrebbe perciò interesse a promuovere intese restrittive della concorrenza.

Un secondo episodio fondamentale è rappresentato da una decisione più recente, la sentenza Cipolla e Macrino (cause C-94/04 e C-202/04). La sentenza non contiene la condanna del sistema tariffario che alcuni auspicavano e che taluni cercano di intravedervi.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale, quanto alle questioni sollevate nel caso Cipolla, erano state nel senso di riaffermare il principio espresso dalla Corte nel caso Arduino e quindi di legittimare il regime tariffario solo se sottoposto ad un effettivo controllo dello Stato nonché la sua applicazione da parte del giudice conforme al diritto della concorrenza (artt. 10 e 81 TCE).

La Corte ha seguito questo suggerimento e, mantenendo ferma la propria giurisprudenza – cioè non modificando né smentendo la propria posizione assunta nel caso Arduino – ha confermato che il sistema tariffario proposto dal Consiglio Nazionale Forense e poi disposto con decreto da parte del Ministro Guardasigilli non è in contrasto con il diritto comunitario, sub specie di diritto della concorrenza, né per le tariffe minime previste per le attività riservate, cioè per l’attività giudiziale, né per le tariffe previste per le attività libere, quali l’attività stragiudiziale.

Un sistema tariffario comprensivo di minimi inderogabili è dunque ammissibile, secondo la Corte, purché siano rilevabili uno o più dei seguenti motivi di pubblico interesse: tutela dei consumatori; buona amministrazione della giustizia.

A conferma di tale linea, si segnala la giurisprudenza della Corte di cassazione, sez. unite, sent. 11 settembre 2007, n.

19014, che ha confermato la legittimità della disciplina delle tariffe come prevista dalla legge professionale, sottolineando che la disciplina consente al giudice una valutazione sufficientemente discrezionale per la determinazione in giudizio delle spese di lite, e quindi anche dei compensi professionali dei difensori, ed ha riaffermato i principi di adeguatezza e proporzionalità a cui la disciplina si ispira.

(11)

L’emendamento 13.3 Casson pare più norma processuale.

Eccessivamente complicata nella pratica appare la previsione dell’emendamento 13.5 D’Alia. E’

una facoltà, quella oggetto dell’emendamento, dell’avvocato che deve essere e restare libera e vincolata solo dalle forme processuali.

Emendamenti presentati all’art. 14

gli emendamenti 14.1 Valentino e 14.2 Valentino contemplano modifiche di carattere formale.

Gli emendamenti 14.0.1 Valentino e 14.0.1 (testo 2) Valentino, pur apprezzabili nella loro formulazione, presentano il problema di concretizzare “di fatto” un’esclusiva in favore degli

“specialisti” che pare contraria all’art. 8 comma 6 sulle specializzazioni (divieto di riserva di attività); inoltre creerebbero problemi pratici in quanto dovrebbero essere estesi al sostituto processuale per evitare “aggiramenti” della disposizione. Infine si avrebbero effetti negativi per i giovani avvocati che all’ingresso nella professione si vedrebbero privati della possibilità di iscriversi. Necessita rivedere il testo per trovare una soluzione che risolva questi aspetti.

Emendamenti presentati all’art. 15

gli emendamenti 15.1, 15.2 Casson sono condivisibili e tendono a reintrodurre al primo comma il divieto d’iscrizione dopo cinque anni dall’avere superato l’esame; divieto che si giustifica stante la previsione dell’obbligo dell’aggiornamento; qualora non si volesse prevederla sarà necessario quantomeno subordinare l’iscrizione alla preventiva frequenza di corsi di aggiornamento.

L’emendamento 15.3 Casson e quello 15.5 D’Alia prevedono l’impossibilità di iscrizione all’albo per coloro che hanno riportato condanne per gravi delitti, preferibile quello 15.3, mentre superfluo appare quello 15.4 riguardante il procedimento che è già disciplinato alla lettera f) del comma 1.

Non condivisibile l’emendamento 15.6 Della Monica poiché tende a consentire l’iscrizione all’albo anche a soggetti che non hanno superato l’esame, facendo perdere così uno degli elementi caratterizzanti della nuova normativa incentrata sull’accertamento della qualità professionale e deontologica. Per quanto riguarda le eccezioni che si vorrebbero introdurre si tenga poi presente che una cosa è giudicare e un’altra è difendere, ciascuna delle due attività richiede una specifica preparazione. Inoltre, la nostra Costituzione non richiede per fare l’avvocato soltanto una specifica preparazione, ma il superamento di un esame di Stato, che è assolutamente necessario per chiunque.

Gli emendamenti 15.7, 15.8, 15.10, 15.11, 15.15 e 15.16, tutti a firma dei Senatori Caruso e Centaro, tendono a far scomparire il controllo o poteri d’impugnazione in capo al Procuratore Generale in materia d’iscrizione e cancellazione; si esprime contrarietà in quanto la funzione di tutela di interessi e diritti aventi rilevanza pubblica, che la nuova normativa accentua, comporta il riconoscimento di determinate facoltà in capo al Procuratore Generale.

L’emendamento 15.12 Casson è una mera e condivisibile precisazione, mentre l’emendamento 15.13 Casson tende ad una più rigorosa indicazione dei casi di cancellazione e ad una più puntuale enunciazione circa gli effetti della cancellazione, che potrebbero essere raccordate con la previsione dell’emendamento 15.14 sulla maternità e sull’adozione come causa di giustificata interruzione del tirocinio. Riserve sul correttivo terminologico suggerito nell’emendamento 15.17 (sulla prospettata modifica dell’art. 59 si dirà appresso), considerandosi sin d’ora che la modifica al 59 proposta all’emendamento 15.17 non distingue tra cancellazione d’ufficio e su richiesta. Sull’emendamento 15.18 Caruso si osserva che parlare di assegnazione sia terminologia retaggio del vecchio ordinamento; meglio scrivere solo “albo ordinario”.

Troppo generica la formulazione prevista nell’emendamento 15.9 D’Alia.

Condivisibili i correttivi di cui agli emendamenti 15.19, 15.20 del relatore Valentino.

Emendamenti presentati all’art. 16:

ben 13 sono gli emendamenti presentati all’articolo 16.

L’emendamento 16.1. Benedetti Valentini non può essere condiviso in quanto difforme ai criteri a cui fino ad oggi si è ispirata la Cassa di Prev. Forense. Del pari non possono essere condivisi gli emendamenti 16.2. Mazzatorta16.3. Benedetti Valentini e 16.4. Caruso, per la medesima ragione

(12)

espressa per l’emendamento 16.1., sia perché contrari a quella che è consolidata giurisprudenza del C.N.F. in materia. Non si può in modo particolare acconsentire alla eliminazione della intera lettera C, come suggerita dall’emendamento 16.2. Va dunque mantenuta l’incompatibilità con l’esercizio di attività di impresa, con l’assunzione di illimitata responsabilità per le obbligazioni sociali e con l’esercizio, in qualità di amministratore, di poteri di rappresentanza e gestione, al fine, oltre che di assicurare che la professione forense venga svolta in modo serio e qualificato – e non quale attività residuale –, di evitare che l’esposizione personale alle responsabilità patrimoniali conseguenti all’esercizio dell’attività di impresa anche in forma societaria o allo svolgimento personale di funzioni gestorie, possa compromettere o limitare l’autonomia e indipendenza dell’avvocato.

L’emendamento 16.5. Casson può essere condiviso, in quanto richiama una previsione del testo proposto dal C.N.F. e si uniforma al principio che vuole lo svolgimento della professione come effettivo, abituale ed assorbente. Non può essere condiviso l’emendamento 16.6. Centaro Caruso, in quanto farebbe venir meno l’incompatibilità dell’iscrizione con l’attività di lavoro subordinato privato (peraltro del tutto ingiustificatamente rispetto a quello pubblico), mentre il suo mantenimento è garanzia che l’attività professionale sia svolta con l’abitualità e la prevalenza, oltre che con l’autonomia e l’indipendenza (che rischierebbero di essere seriamente compromesse da un rapporto di lavoro subordinato) necessarie a garantirne il necessario ed imprescindibile livello qualititativo. Parimenti non possono essere condivisi gli emendamenti 16.7. Della Monica (che rischierebbe di compromettere l’impegno degli avvocati in Parlamento), 16.8. D’Alia (con questo emendamento di vorrebbe creare incompatibilità anche con incarichi di magistratura onoraria (la proposta è allo stato inopportuna e comunque da valutare in sede di disciplina della magistratura onoraria), e 16.9. Germontani, quest’ultimo tendente a ripristinare la compatibilità della professione con rapporti di lavoro a tempo parziale da parte del pubblico dipendente (sulla legittimità dell’incompatibilità vedi Corte costituzionale 8 novembre - 21 novembre 2006, n. 360 sulla legge n. 339 del 2003; nelle prime esperienze, si erano manifestati gravi inconvenienti per i quali la incompatibilità teorica per il dipendente pubblico a tempo parziale diventava incompatibilità effettiva per il conflitto tra l’attività quale dipendente e l’attività di libero professionista, ineliminabile e incontrollabile).

Condivisibili invece i similari emendamenti 16.10. Casson, 16.11. Li Gotti e 16.12. Casson, che ripropongono quanto già previsto nel testo proposto dal C.N.F.

Non può essere assolutamente condiviso l’emendamento 16.13. Bianchi, che peraltro appare di dubbia costituzionalità.

Può essere condiviso l’emendamento 16.100 Valentino che ripropone quanto previsto nel disegno di legge predisposto dal CNF e che si giustifica attesa la parziale comunanza di aree di interesse e di incidenza tra le professioni di avvocato, commercialista ed esperto contabile.

Emendamenti presentati all’art. 17:

nel mentre appare utile e coerente la previsione di cui all’emendamento 17.1. Della Monica, non può essere condiviso l’emendamento 17.2. Caruso tendente a far scomparire l’iscrizione nell’elenco speciale per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici.

Emendamenti presentati all’art. 18:

all’art. 18 sono stati presentati nr. 6 emendamenti. Appare condivisibile la correzione operata nell’emendamento 18.2. Mazzatorta. Gli emendamenti 18.3. Della Monica 18.4. Casson potrebbero essere assorbiti nel principio enunciato nell’emendamento 18.5. Della Monica che può essere condiviso in linea di principio, ma appare formulato troppo genericamente.

Si esprime contrarietà all’emendamento 18.1. Della Monica, in quanto, al pari dell’emendamento 16.7. dello stesso Senatore, priverebbe dell’elettorato passivo gli avvocati.

Utile invece la precisazione prevista nell’emendamento 18.6. Della Monica. Bisognerebbe però specificare che questa sospensione non può durare più di 5 anni. Questo limite dovrebbe essere

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imposto per rispettare la più volte ricordata esigenza che vi sia una continuità dell’attività di avvocato che consenta la conservazione della competenza e l’aggiornamento

Emendamenti presentati all’art. 19:

sono stati presentati 10 emendamenti in ordine a questo articolo.

Rispetto all’emendamento 19.1. Caruso pare più chiaro il testo che si vorrebbe sostituire; con riferimento a quello 19.2. Della Monica, non può essere condivisa l’attribuzione di un potere regolamentare in capo al Ministro per le ragioni esposte sub art. 1, condivisibile – invece- l’esenzione prevista dall’emendamento 19.4. Della Monica.

Mentre sono utili i criteri di collegamento previsti negli emendamenti 19.5. e 19.6. Casson, che fanno coincidere il livello minimo reddituale con quello fissato dal CNF sentita la Cassa, o con quello in vigore per la Cassa Nazionale di Prev. Forense.6

6Si osserva ulteriolmente: “ Il requisito dell’esercizio effettivo e continuativo della professione di avvocato come condizione per la conservazione dell’iscrizione all’albo è principio di estrema importanza che, da solo, può qualificare il valore innovativo della riforma.

La riforma deve tendere, in ogni sua parte, a garantire e a migliorare la professionalità di tutti gli iscritti agli albi.

Questa garanzia presuppone la necessità di un controllo, che consenta la cancellazione all’avvocato che non possegga questo requisito.

Il fondamento di questo principio è evidente: solo l’esercizio effettivo e continuativo della professione garantisce che l’avvocato conservi la preparazione che aveva quando ha superato l’esame di stato ed anzi l’abbia migliorata sia con l’esperienza, sia adempiendo alle prescrizioni della formazione (o aggiornamento) permanente.

La formazione (o l’aggiornamento) permanente e l’affinamento della esperienza esigono sia l’esercizio effettivo e continuo sia la frequenza ai corsi previsti.

Questa esigenza si è accentuata in questi ultimi tempi quando si sono accelerati il ritmo di modifica delle norme e la varietà delle decisioni giurisprudenziali.

Chi, ad esempio, non ha studiato e non ha utilizzato le nuove norme processuali si espone a rischi grossissimi di responsabilità; ma, soprattutto, espone a questi rischi l’inconsapevole cliente.

Se è semplice la enunciazione del requisito della necessità dell’esercizio effettivo e continuativo, come condizione per conservare l’iscrizione all’albo, difficile è individuare il criterio della sua individuazione e un giusto ed efficace controllo del suo permanere.

Si deve partire dalla constatazione che l’esercizio effettivo è un indice insostituibile del possesso di una professionalità minima che giustifichi l’iscrizione all’albo.

E’ chiaro che una norma che non potesse avere effetti concreti o per la quale fossero difficilissimi i mezzi pratici per la sua osservanza è una norma assolutamente inutile: una enunciazione di principio priva di qualsiasi effetto.

Sulla necessità di enunciare il principio sembra che non vi siano contrarietà.

Le difficoltà ed i contrasti sorgono quando si cerca di individuare il mezzo semplice ed efficace per il controllo.

Alcuni vorrebbero che questo controllo fosse eseguito accertando il tipo di attività di ogni professionista giungendo addirittura alla affermazione che la cancellazione deve essere conseguente ad un procedimento simile a quello disciplinare.

Con queste regole, il rispetto del principio sarebbe assolutamente impossibile e perciò si dovrebbe mantenere l’iscrizione all’albo anche di chi non esercita affatto la professione, con gravissimi rischi per la clientela esposta ai rischi della ignoranza e con una seria compromissione del principio innovativo della riforma, secondo il quale gli ordini sono garanti della capacità professionale degli iscritti.

Ogni criterio di valutazione, che imponga l’esame dell’attività di ogni singolo avvocato, non può portare ad alcun risultato utile.

Si pensi che cosa significherebbe un accurato controllo negli albi principali con migliaia e migliaia di iscritti!

L’unico sistema valido è recepire i criteri adottati dalla Cassa di Previdenza forense e convalidati con legge.

La Cassa di Previdenza dunque ha constatato che il solo controllo possibile per tutti gli iscritti è stabilire livelli minimi di reddito e di volume d’affari, al di sotto dei quali non può sussistere effettività e continuità dell’esercizio professionale.

Quando, in un primo momento di applicazione della legge previdenziale del 1975, al requisito fiscale fu aggiunto quello della prova di una certa quantità di attività processuale, si è constatato che il controllo era assolutamente impossibile. La prima revisione per il decennio 1966-1975 non si è mai (ripetesi mai) portato a termine, con molto contenzioso.

Questa constatazione ha indotto nel 1982 la Cassa a scegliere per il controllo il solo requisito fiscale, convalidato dalla legge 11 febbraio 1992 n. 141, art. 11 comma 1, che ha modificato l’art. 22 della legge 20 settembre 1980 n. 576.

Per ragioni di opportunità e cioè per conservare la copertura previdenziale al maggior numero degli iscritti, la misura dei redditi e dei volumi d’affari è stata indicata a livelli infimi (per il 2009 alternativamente 9.000 euro per il reddito e 13.600 euro per il volume d’affari).

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Anche il Sottosegretario Alberti Casellati, nella seduta del 23.9.2009, ha dichiarato di ritenere

“necessario che l’effettività e la continuità dell’attività lavorativa siano provate attraverso l’accertamento di parametri reddituali minimi”.

L’emendamento 19.3. Della Monica, che assorbe l’emendamento 19.7. Caruso, è utile in quanto prevede un apposito procedimento a garanzia di colui verso il quale si procede per la cancellazione dall’Albo.

Possono essere condivisi gli emendamenti 19.9. Caruso e 19.10. Della Monica contenenti utili precisazioni, anche se non può essere condivisa la forma del decreto ministeriale.

Non può essere condiviso l’emendamento 19.8. Caruso, in quanto tendente a sopprimere il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno che viene posto a carico di Ordini inadempienti al dovere di revisione periodica previsto dall’articolo.

Possono essere condivisi gli emendamenti correttivi del testo 19.11, 19.12, 19.13 Valentino.

Emendamenti presentati all’art. 20:

l’emendamento 20.1. Casson riporta, come previsto nel D.d.L. proposto dal C.N.F., l’anzianità necessaria per potersi iscrivere all’Albo dei Cassazionisti da 8 a 12 anni ed è pertanto condivisibile.

Non condivisibile il testo dell’emendamento 20.2 Valentino che riporta ad otto anni ed elimina la previsione del triennio per esercitare il diritto di conservare l’iscrizione all’albo dei Casszionisti.

Emendamenti presentati all’art. 21:

Possono essere condivisi gli emendamenti 21.100 e 21.200 proposti dal relatore Valentino.

Emendamenti presentati all’art. 22:

Non può essere condivisa la proposta correzione di cui all’emendamento 22.1. Benedetti Valentini, in quanto apparirebbe riduttiva di una delle marcate caratteristiche che la riforma assegna agli Ordini.

Sono livelli di reddito e volume d’affari al di sotto dei quali non è pensabile, al di fuori dell’ipotesi di giustificate ragioni, che venga esercitata una professione e, in particolare, che essa venga esercitata con dignità e con competenza.

La Cassa di Previdenza ha maturato una esperienza pluriennale con risultati più che soddisfacenti e pochissime contestazioni. Il sistema pertanto si è dimostrato ottimo.

Adottare il criterio della Cassa di Previdenza ed utilizzare gli strumenti che essa può mettere a disposizione per eseguire i controlli fa sì che questi possano essere veloci e sicuri e che possano essere eseguiti senza ricorrere a mezzi costosi, anzi con rilevantissimi risparmi di spesa.

Si tenga presente che la Cassa, per eseguire questi controlli, dispone di una organizzazione di macchinari imponente e di un gran numero di dipendenti (con costi elevati, ma necessari).

Nel valutare l’entità del problema bisogna considerare alcuni dati numerici, pubblicati di recente nel n. 2/2009 della rivista La Previdenza Forense. Al 31 dicembre del 2008, gli iscritti agli albi erano 198.041, mentre gli iscritti alla Cassa erano 144.072. Ciò significa che vi erano 53.969 avvocati iscritti agli albi e non iscritti alla Cassa per i quali si può presumere che non raggiungano i livelli minimi di reddito e di volume d’affari fissati per la prova dell’esercizio effettivo e continuativo della professione.

Considerando le dichiarazioni inviate dagli avvocati alla Cassa con riferimento all’anno 2007 si hanno i seguenti dati:

- dichiarazioni non presentate (si può presumere da chi ha reddito nullo): 22.342 - redditi pari a zero: 24.053

- redditi inferiori a zero: 1.210

in totale pertanto 47.605 avvocati i quali negli albi non ci dovrebbero proprio stare!

A questi si aggiungono coloro che hanno dichiarato reddito tra 1 e 7.590 euro, cioè al di sotto del limite per la obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa, pari a 28.305.

In totale dunque 75.911 avvocati con redditi nulli o inferiori al minimo per l’iscrizione alla Cassa.

Da questi dati, emerge con evidenza l’enormità del problema e la necessità di sfoltire gli albi da coloro che, non esercitando la professione o, esercitandola in modo assolutamente marginale, non possono offrire alla clientela una adeguata garanzia di competenza. Va dunque apprezzata la proposta dell’emendamento Casson ed altri di utilizzare i dati della Cassa di Previdenza per i primi tre anni dall’approvazione della legge. Si può prevedere che l’equiparazione tra requisiti per la Cassa e requisiti per gli albi saranno confermati in futuro, quando tuttavia i livelli dovranno essere concordati tra Cassa di Previdenza e CNF. Quello indicato negli emendamenti n. 19.5 e n. 19.6 Casson pare il mezzo più idoneo ad eseguire la necessaria revisione degli albi.”.

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Emendamenti presentati all’art. 23:

L’emendamento 23.1. Li Gotti ripropone in forma più articolata la novità introdotta nel testo del Comitato ristretto, che prevede la sede dell’Ordine di Roma presso la Corte di Cassazione. Non può essere condiviso l’emendamento 23.2. Caruso, in quanto appare irrilevante il numero degli iscritti per le funzioni del Collegio dei Revisori dei Conti.

Può essere condiviso il correttivo proposto con l’emendamento Valentino 23.3 Emendamenti presentati all’art. 24:

Può essere condivisa la precisazione di cui all’emendamento 24.1. Benedetti Valentini.

Emendamenti presentati all’art. 26:

Possono essere accettati gli emendamenti 26.2. D’Alia e 26.3. Galperti, tendenti a ridurre, conformemente alla previsione del D.d.L. del C.N.F., la durata in carica dei Consigli da 4 a 3 anni (previsione che, se collegata al quella del comma 5, consente la permanenza al massimo di un C.d.O. per 9 anni, periodo da ritenersi più che sufficiente).

Non può essere invece condiviso l’emendamento 26.1. D’Alia perché non favorirebbe l’ingresso dei giovani avvocati nei C.d.O., e quello 26.4. Caruso per lo meno nella parte in cui impedisce ai Magistrati la nomina; non si vede la ragione che non possa essere scelto un consigliere dell’ordine quando egli è dotato di specifiche competenze per incarichi particolari; spetterà ai magistrati valutare l’eventuale inopportunità del conferimento degli incarichi ai consiglieri dell’ordine. Mentre invece potrebbe essere condivisa la previsione contenuta nella seconda parte del secondo periodo dell’emendamento, che impedisce la nomina come arbitro da parte dei Consigli, o dei Presidenti degli Ordini del distretto stesso, in favore di Consiglieri.

Può essere condiviso il correttivo proposto con l’emendamento Valentino 26.5 Emendamenti presentati all’art. 27:

Condivisibile l’emendamento 27.1. D’Alia peraltro in linea con le nuove competenze affidate ai C.d.O. in materia di ordinamento giudiziario, così come l’emendamento 27.0.1 Maritati che ripropone una delle tematiche che erano nel D.d.L. del C.N.F., e cioè l’istituzione dello sportello per il cittadino.

Emendamenti presentati all’art. 28:

Collegato alle modifiche previste negli emendamenti 26.2. e 26.3., l’emendamento 28.1. Galperti prevede la riduzione a 3 anni della durata in carica del Collegio dei Revisori.

Emendamenti presentati all’art. 31:

Questi emendamenti riguardano la composizione del C.N.F.. Il testo originariamente previsto dal C.N.F., del tutto preferibile, è riproposto nell’emendamento 31.3. Galperti. Non appaiono invece condivisibili gli emendamenti 31.2. Benedetti Valentini (utile invece la previsione, se si modificasse la composizione numerica del CNF, prevedere che i componenti debbano provenire da Ordini diversi) e 31.4. Benedetti Valentini (quest’ultimo persegue la finalità di ridurre il peso degli Ordini più numerosi nell’ambito del voto distrettuale), per la ragione più volte espressa, e cioè che essendo il C.N.F. giudice speciale, ogni modifica comporterebbe il rischio di mettere in discussione la permanenza della giurisdizione speciale stessa in virtù delle norme costituzionali 7. Con riferimento

7 Scrive il prof. Luciani in un parere dato al CNF sul punto: “Non pochi dubbi, invece, suscita la modificazione delle norme relative alla composizione numerica del CNF e al voto ponderato dei Consigli.

Si è ampiamente detto che la funzione delle revisioni delle normative concernenti i Consigli professionali, dotati di attribuzioni giurisdizionali, deve essere quella di confermare e anzi rafforzare la loro autonomia, la loro indipendenza, la loro imparzialità e la loro terzietà. Il secondo testo a me trasmesso non sembra andare in questa direzione, laddove prevede una “rappresentanza” variabile dei Consigli dell’Ordine, in ragione del numero degli iscritti. Dubbi, in

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