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Academic year: 2022

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A cura di Diego Unterhuber

Metodi e Tecniche nelle Attività Sportive Paralimpiche

il nuoto

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© Tutti i diritti riservati Foto e illustrazioni di:

Roberto Serratore (Ability Channel) Michelangelo Gratton

Si ringrazia SuperAbile Inail

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e tutte le storie hanno un inizio, un incipit scolpito nella memoria di ognuno di noi, allora il mio, di ini- zio sportivo, è legato all’acqua, a quell’ambiente na- turale che, più di altri, è in grado di appiattire le di- versità, a quell’elemento, in sostanza, in cui riusciamo ad esaltare al meglio le nostre capacità.

Sono particolarmente legato a questo manuale e al lavoro di Diego Unterhuber perché scorrere le pagine di questo libro, per me, è come scorrere una parte della mia vita, quella legata alla mia carriera di atleta, quando i ritmi della mia giornata erano scanditi dagli orari in piscina e quando la piscina voleva dire pas- saporto per raggiungere i traguardi sportivi che mi ero prefissato.

Questo lavoro è, soprattutto, uno straordinario strumento tec- nico ed educativo, un insieme di metodologie di allenamento rivolte ai futuri allenatori FINP, orientato alla formazione di una nuova generazione di istruttori di una disciplina, il nuoto paralimpico, che, più di altre, ha saputo cogliere i profondi cam- biamenti in seno al mondo degli sport paralimpici, capitaliz- zando le enormi risorse di un movimento che, in tutto questo tempo, è riuscito a compiere il grande salto verso una conce- zione di sport sempre più professionale.

In quest’ottica il nuoto paralimpico è stato in grado di diffon- dersi su tutto il territorio nazionale, trasformandosi in una fu- cina di campioni che, col tempo, si sono affiancati agli atleti più collaudati, riuscendo a creare quel formidabile binomio fatto di nuove leve e veterani, mix fondamentale per assicurare conti- nuità di risultati.

I Giochi Paralimpici di Londra 2012, in questo senso, sono stati la dimostrazione concreta di questo processo, l’occasione, per il nuoto, di raccogliere ciò che in questi anni ha seminato, sia in termini di successi sportivi sia a livello mediatico.

Il manuale di Unterhuber è accurato, approfondito, ambizioso ma, soprattutto, è il primo nel suo genere per la disciplina del nuoto, un lavoro che va ad arricchire il già ricco mosaico para- limpico di un elemento altamente formativo perché, per assi- curare un futuro roseo a questa disciplina, c’è bisogno di atleti allenati da formatori specializzati.

Luca Pancalli

Presidente Comitato Italiano Paralimpico

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Q

uesto sul nuoto è il secondo volume di una col- lana dedicata alle attività sportive paralimpiche (il primo è stato dedicato al tennis); è rivolto agli istruttori, ma è utile anche per gli allievi, e ha una valenza educativa generale.

La lettura evoca nell’impostazione e nei modi di argomentare la migliore tradizione italiana dei libri pratici, quei Manuali Hoepli che ebbero successo all’inizio del ‘900 come strumenti per imparare e per fare. Vi si trovano “schede di azione” per l’insegnamento: proposte di didattica natatoria, tecnica e adattamenti dei 4 stili (di nuoto) per tipologie di disabilità, esempi di progressione didattica per la preparazione all’ago- nismo, tecniche di comunicazione tra istruttore e allievi, mo- dalità di integrazione tra allievi disabili e normodotati. E an- che suggerimenti per l’organizzazione e schemi per la raccolta dei dati: modalità di costituzione di una società sportiva, co- me impostare i rapporti con Enti territoriali, criteri per or- ganizzare l’attività natatoria per allievi disabili, schede per il controllo dell’attività e della qualità di risposta degli allievi.

Il tutto corredato da immagini esemplificative, richiami alla normativa, definizioni e precisazioni terminologiche, riferi- menti bibliografici (con l’invito all’approfondimento).

L’Inail ha posto con orgoglio il suo marchio (e di SuperAbile) sulla copertina di questo libro, nella convinzione che lo sport sia un mezzo efficace nei processi di riabilitazione, di reinse- rimento e di superamento delle difficoltà psicologiche indotte dalla disabilità.

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Massimo De Felice Presidente INAIL

Ma soprattutto nella consapevolezza che sia essenziale – per avviare con successo alla pratica sportiva – formare gli istrut- tori, dare loro protocolli di azione ben fondati e sperimentati, creare una rete di comunicazione che possa favorire lo scam- bio e la sedimentazione delle esperienze, costituire banche dati per valutare le azioni e – eventualmente – calibrare i cor- rettivi.

L’Inail e il Comitato Italiano Paralimpico hanno progettato – nella “convenzione quadro” avviata nel luglio 2013, che por- terà alle paralimpiadi di Rio de Janeiro –, tra i numerosi obiettivi, la creazione “di banche dati in tema di disabilità e sport a fini di studio, ricerca e rilevazioni statistiche” e il po- tenziamento dell’attività di formazione di istruttori e allievi (in collaborazione col CONI, il MIUR, gli Istituti universitari di scienze motorie).

Questo manuale curato da Diego Unterhuber è strumento prezioso, che può dare sostegno alla convenzione. Resta l’au- spicio che presto siano disponibili i libri pratici anche per gli altri sport.

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P

arlare, oggi, di nuoto paralimpico vuol dire rac- contare una storia segnata da tanti traguardi, sportivi e mediatici, significa analizzare l’evolu- zione di un movimento che ha sempre trovato, in sé, l’embrione per crescere e rinnovarsi, garantendo quel ri- cambio generazionale necessario per prepararsi a vivere nuove stagioni di successi.

Come ex atleta prima e Dirigente Sportivo poi ho avuto modo di seguire l’enorme evoluzione di uno sport che, oggi, può van- tare un grande numero di praticanti e di società distribuite in maniera capillare su tutto il territorio nazionale. Numeri che non sono solo frutto del caso ma che, bensì, nascono da una programmazione precisa e da uno sviluppo in senso sempre più professionistico dei tecnici e delle metodologie di allena- mento.

La nascita della FINP nel 2010, che ha consentito una mi- gliore gestione del nuoto paralimpico, i Protocolli d’Intesa si- glati con la FIN e che si inseriscono in quel percorso di piena integrazione tra mondo olimpico e paralimpico sono solo al- cuni dei passaggi che hanno segnato lo sviluppo di una disci- plina che, in termini agonistico-sportivi, sta raggiungendo li- velli mai toccati prima. Gli straordinari successi ottenuti in occasione dei Giochi Paralimpici di Londra 2012 rappresen- tano non solo un importante risultato, ma allo stesso tempo lo spot migliore per tutti quei ragazzi e ragazze disabili che vogliano avvicinarsi alla pratica di questa meravigliosa disci- plina.

Questo volume nasce proprio dall’esigenza di fornire ai futuri istruttori Finp metodologie e tecniche al fine di avviare le per- sone disabili alla pratica del nuoto.

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Tra tutte le discipline, il nuoto rimane lo sport più praticato ed è proprio in virtù di ciò che si sta pensando già ad un se- condo Manuale; la seconda parte infatti sarà quasi interamente dedicata al settore ciclico agonistico.

Il Nuoto Paralimpico ha ormai ampiamente conquistato il suo territorio dal punto di vista mediatico, ma a tutt’oggi rimane ancora incerta la sua collocazione sul versante costitutivo in- ternazionale. Come prima ipotesi è stata presa in considera- zione la possibilità che il nuoto paralimpico mondiale venisse inglobato all’interno della FINA (Federazione Internazionale del Nuoto), ben diverso invece sembrerebbe l’orientamento dell’International Paralympic Committee. L’intento dell’ IPC quindi è quello di istituire una Federazione Internazionale Pa- ralimpica del Nuoto. Ad ogni modo, nell’attesa che ci separa da questi ipotetici sviluppi e cambiamenti, la Federazione Ita- liana Nuoto Paralimpico proseguirà lungo la sua strada e verso i suoi obiettivi con la forte convinzione ed una buona dose di speranza che i tempi che la divideranno dal versante dei nuo- tatori “normodotati” si facciano sempre più brevi.

In conclusione, sono davvero entusiasta della stesura di questo Manuale, colgo l’occasione per ringraziare di cuore l’autore Diego Unterhuber che ha curato minuziosamente tutte le pa- gine che andrete a leggere, l’INAIL e il Comitato Italiano Pa- ralimpico per averci prescelto e soprattutto per averci dato la possibilità di realizzare di questo libro.

Roberto Valori

Presidente Federazione Italiana Nuoto Paralimpico

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Prefazione del Curatore

L’evoluzione culturale del movimento sportivo in Italia, l’attenzione mediatica sui grandi eventi paralimpici ed in generale una maggiore consapevolezza del ruolo educativo e rieducativo dello sport, hanno portato ad una grande diffusione del nuoto praticato da persone di- sabili su scala nazionale.

In relazione alla richiesta di formazione tecnica qualificata che pro- viene dai tecnici che operano in questo settore, si è evidenziata ancor più la mancanza in Italia di un testo organico sui metodi e le tecniche del nuoto paralimpico.

Questo lavoro rappresenta una prima sintesi dello stato dell’arte, che ho avuto l’onore e la responsabilità di curare per il Comitato Italiano Paralimpico, consapevole di aver assunto un compito alquanto com- plesso anche a fronte di oltre venticinque anni di esperienza diretta sul campo.

Naturalmente sono stati numerosi i contributi alla stesura del testo, a vari livelli: la sezione dedicata alla disabilità visiva è stata ripresa quasi integralmente da un lavoro di Alessandro Cocchi di Reggio Emilia, allenatore di Cecilia Camellini (che ringrazio assieme al padre Giam- paolo per aver fornito foto e filmati), 2 ori e record mondiali alle re- centi paralimpiadi di Londra 2012, al quale mi sono rivolto grazie al- l’interessamento dell’allenatore nazionale Mauro Rozzi; importante è stato il confronto con la psicologa Cristina Celsi (curatrice del mo- dulo on-line per l’area psicologica della formazione FINP) per la con- cretezza e la chiarezza delle vedute; fondamentale la consultazione dei precedenti lavori tecnici sulla disabilità fisico-motoria degli alle- natori nazionali Riccardo Vernole ed Enzo Allocco, in particolare con Riccardo abbiamo collaborato alle riprese delle immagini all’Istituto Santa Lucia di Roma con i suoi fantastici atleti. La parte sulle classi- ficazioni funzionali è stata curata dall’allenatore e classificatore Mi- caela Biava.

Le progressioni tecniche di derivazione agonistica sui quattro stili le ho elaborate da una serie di sedute di aggiornamento fatte con il gran- de allenatore di origine ungherese Thomas Gyertyanffy, illuminanti per l’incisività delle metodiche e la comunicatività dell’esposizione,

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una griglia esemplare per la precoce impostazione e costruzione del nuotatore agonista.

Ringrazio un mio collega, l’allenatore FIN Walter Coccia di San Be- nedetto del Tronto, per l’approfondimento sulla tematica della corre- zione degli errori, assieme alla Cooperativa Sociale CO.GE.SE. (ti- tolare di una delle più qualificate scuole nuoto FIN d’Italia e di un esteso servizio di istruzione al nuoto per disabili) presso la quale sono cresciuto professionalmente.

Ringrazio affettuosamente le due persone artefici del nuoto per disa- bili a San Benedetto del Tronto, l’allenatore Massimo Sciarra e la psi- copedagogista Antonietta Pallotta, che negli anni ’80 concepirono una realtà vincente oltre gli schemi.

L’elenco rischia di allungarsi oltremodo, ma non posso non ricordare le persone che sono state determinanti per tutto il movimento, oltre che per il mio percorso personale, come il compianto Giovanni Sprea- fico della società Silvia Tremolada di Monza, che nel 1994 organizzò con gli allenatori Lucia Zulberti, Silvano Bisleri, Micaela Biava ed altri la ‘madre’ di tutti i corsi di formazione: il primo corso nazionale per formatori, dal quale sono nati tanti centri regionali, tra i quali il nostro nelle Marche.

I miei più sentiti ringraziamenti vanno quindi al Presidente Nazionale FINP Roberto Valori, che sta portando avanti con coraggio e deter- minazione il rinnovamento del nuoto paralimpico, per aver dato l’im- pulso decisivo alla stesura di questo volume, che sognavo da anni ma che non trovava realizzazione.

Colgo infine l’occasione per ringraziare il Presidente Generale del Comitato Italiano Paralimpico Luca Pancalli, fautore della riorganiz- zazione del movimento sportivo paralimpico italiano ed il Presidente Nazionale FISDIR Marco Borzacchini, che guida la federazione pa- ralimpica con il più alto numero di atleti impegnati in un ampio ven- taglio di discipline sportive.

Il video è stato realizzato dall’operatore Duilio Carboni, le foto da Fatima Vitali e l’abbinamento e la postproduzione delle foto in collaborazione con il fotografo Alberto Archini.

Diego Unterhuber

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La FINP è la Federazione Sportiva Paralimpica cui il CIP, Comitato Italiano Paralimpico, ha demandato la gestione, l’organizzazione e lo sviluppo dell’at- tività sportiva per la disciplina del nuoto. La sua costituzione è avvenuta in due fasi: la prima ha avuto luogo il 19 giugno 2010 con l’approvazione della Carta Statutaria mentre, in una seconda fase, in data 25 settembre 2010, si è proce- duto all’elezione del Presidente e dei Consiglieri Federali.

Il nuoto, già presente alle prime Paralimpiadi di Roma 1960, è una delle principali discipline praticate da atleti disabili.

Ci si può cimentare nei quattro stili previsti dal regolamento, ovvero lo stile libero, il dorso, la rana e la farfalla, nonché nelle gare miste. Le principali competizioni quali le Paralimpiadi, i Mondiali e gli Europei sono organizzate in vasche da 50 metri con batterie e finali (8 finalisti).

Da dicembre 2009 l’IPC Swimming ha previsto anche i Mondiali in vasca corta.

Storia della FINP

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Introduzione

Il movimento dello sport praticato da persone disabili si è evoluto in maniera sostanziale e sotto tutti gli aspetti in questi ultimi anni. Una crescita continua in termini numerici di atleti praticanti e tecnici sportivi che rispecchia una mutata concezione dell’attività sportiva in generale: più attenzione al suo valore educativo, ancor prima che ri-educativo ed il riconoscimento del movimento fisico come valore basilare per definire una buona qualità della vita.

Fra le discipline praticate dagli atleti disabili, il nuoto è una tra le più versatili, popolari e consistenti come numero di aderenti e ne analizzeremo i motivi più avanti nello specifico.

Questa proliferazione ha richiesto un adeguamento degli organi federali ed una riorganizzazione di piani e programmi di studio; la nascita della Federa- zione Italiana Nuoto Paralimpico ha significato non solo maggiore autonomia e capacità gestionale, ma ha dato il via ad una reimpostazione generale dell’area formazione.

L’unificazione dei programmi, l’aggiornamento continuo, la messa a punto di nuove aree di studio, l’attenzione ai principi della comunicazione, la riorganiz- zazione dei criteri di valutazione, sono i punti salienti sui quali fondare una più completa e qualificata offerta formativa.

Sin dai primi anni ’90, con la diffusione su scala nazionale dei corsi di forma- zione, si è sentita la necessità di supportare i contenuti delle lezioni teoriche con un sussidio didattico completo e funzionale ad uso di tecnici e operatori del settore. Questo lavoro rappresenta una prima sintesi metodologica e tecnica dell’avviamento al nuoto per disabili, un adeguamento ed omogeneizzazione dei contenuti didattici sinora espressi in forme più frammentarie, un aggior- namento sui progressi di una disciplina in continua evoluzione.

A questa pubblicazione, che riguarda la parte formativa dell’insegnamento del nuoto ed è rivolta in maniera specifica agli istruttori, farà seguito una seconda parte dove verrà sviluppato l’aspetto prettamente agonistico con la didattica e la metodologia dell’allenamento, nella prospettiva di arricchire in futuro questa serie con altri testi, contributi e approfondimenti. Un investimento necessario per fornire un valido supporto tecnico a tanti operatori sportivi e ai loro for- matori, ma altrettanto importante per costituire una base culturale comune e per dare consistenza e struttura ad un prezioso bagaglio di esperienze accu- mulatosi negli anni.

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Capitolo 1

L’ambiente acquatico dalla terapia allo sport

Un testo sullo sport del nuoto trova il suo naturale punto di partenza in alcune considerazioni sull’ambiente dove si svolge: l’acqua. Tralasciando le nozioni sulle sue proprietà fisiche, che sono note o che possono essere approfondite in altre sedi più idonee, occorre comunque conoscere alcuni aspetti importanti dal punto di vista didattico.

L’acqua offre un ambiente primigenio, ludico, multidimensionale, dinamico particolarmente adatto ad intensificare la coscienza di sé e del proprio corpo, nel quale sperimentare nuove forme di movimento. Sin dai tempi di Ippocrate (460 - 375 a.C.) l’acqua veniva utilizzata per il trattamento di alcune malattie, mentre fu largamente usata dai Romani per scopi ricreativi e curativi.

Al giorno d’oggi l’idroterapia rappresenta la cura per eccellenza in campo ria- bilitativo ortopedico in complementarietà con le sedute di fisioterapia a secco.

La grande valenza rieducativa dell’acqua e del nuoto rende quindi l’ambiente acquatico particolarmente adatto a svolgere una funzione di tramite fra la ria- bilitazione terapeutica e lo sport, con effetti notevoli anche in vari settori dello sviluppo globale della persona.

In primis l’aspetto fisiologico è particolarmente gratificante: gli aspetti positivi dell’immersione completa in acque calde (fra i 30° e i 35°) sono uno dei grandi vantaggi dell’idroterapia; la temperatura dell’acqua favorisce la circolazione e facilita la guarigione di

danni ortopedici tem- poranei.

Inoltre facilita il rilas- samento muscolare ed incoraggia ad esplorare ulteriormente il movi- mento in acqua; è così possibile migliorare il tono posturale ed inco- raggiare un movimen-

to più naturale. Terme di Saturnia

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In acqua la mobilità ed il potenziale movimento di persone disabili possono essere incrementati dall’acquisizione di una migliore capacità di rilassarsi, unita alla dra- stica riduzione degli effetti della gravità. Tale riduzione comporta anche una mi- nore resistenza ai movimenti globali del corpo: nuotatori con paralisi cerebrale ad esempio vedono aumentata la loro gamma e ampiezza di movimento.

Il fatto di immergersi in una vasca e praticare il nuoto dà la possibilità di ab- bandonare per qualche ora stampelle, tutori e carrozzine. La liberazione da questi ausili, associata all’aumento di mobilità, fa provare un senso di libertà ed euforia notevoli.

Dal punto di vista neuromuscolare la persona nuotando muove ed esercita muscoli che non sapeva nemmeno di avere, coinvolgendoli in maniera più spontanea rispetto a come farebbe per qualsiasi esercizio a secco.

A livello sociale il nuoto offre al massi- mo grado la possibilità di rapportarsi o competere ad armi più “pari”, l’acqua li- vella le differenze motorie, “normalizza”

annullando la forza di gravità.

Il principio di piacere, che di fatto re- gola i nostri impulsi e le nostre emo- zioni, unitamente alla sensazione fisi- ca del successo, contribuiscono enor- memente a fare dell’acqua un ambien- te privilegiato a tutti i livelli, da quello organico e neuromuscolare a quello

emozionale e sociale. Emanuela Romano - Londra 2012 Federico Morlacchi - Londra 2012

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Da un contesto inizialmente riabilitativo o di integrazione sociale è opportuno, nei tempi adatti e di concerto con le famiglie, proporre il passaggio all’attività sportiva vera e propria, nell’ottica del superamento della condizione di per sé invalidante di “malato medicalizzato” da riabilitare vita natural durante.

Questo passaggio avviene con modalità disparate: nel caso delle Unità Spinali e dei grandi Centri di riabilitazione si compie già all’interno di tali strutture, dove viene proposto al soggetto che sta terminando le sedute di riabilitazione l’avviamento ad una disciplina sportiva adattata, o ad un ventaglio di possibili discipline nel migliore dei casi.

Oltre all’evidente vantaggio di poter seguire un percorso lineare e senza inter- ruzioni, sussiste anche l’opportunità non da poco di beneficiare del supporto medico e psicologico presente all’interno del centro.

In tutti gli altri casi, dove lo sbocco alle attività sportive non è strutturato isti- tuzionalmente, il passaggio dipende da una serie di fattori: prima di tutto la consapevolezza e la volontà personale del soggetto e del suo ambiente familiare e sociale, poi la disponibilità sul territorio di piscine o di impianti sportivi adatti, ed infine la presenza di gruppi sportivi e/o società affiliate a Federazioni del C.I.P., con tecnici di formazione paralimpica.

In molti territori decentrati rispetto ai centri maggiori e in diverse regioni d’Italia gli ostacoli da superare sono purtroppo considerevoli, quindi risulta fondamentale la determinazione individuale a volersi riappropriare attivamente del proprio vissuto personale e corporeo attraverso la pratica sportiva. La di- vulgazione della cultura paralimpica tramite il C.I.P. e le sue federazioni può essere in questo senso di grande stimolo, affinché sia sempre più diffusa a livello collettivo la coscienza di avere a disposizione quel meraviglioso strumento (ri)educativo e di crescita che è lo sport.

Fabrizio Sottile - Londra 2012

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Schematizzando, questi sono in sintesi i

Vantaggi dell’attività natatoria

I benefici effetti si riscontrano sul piano fisico-motorio e sul piano psico-so- ciale.

Dal punto di vista fisico si ottiene:

a) Riduzione della spasticità, per effetto del rilassamento e della decontra- zione muscolare.

b) Riduzione del dolore, sia dovuto alla spasticità che alle posture scorrette.

c) Aumento del grado di ampiezza di movimento delle articolazioni, rottura degli schemi patologici, grazie agli schemi motori del nuoto caratterizzati dall’applicazione del massimo range of movement (escursione articolare).

d) Più tono muscolare, con la sollecitazione di tutti i distretti muscolari.

e) Maggior equilibrio e facilitazione delle reazioni posturali, con la riorga- nizzazione dei recettori nei continui passaggi di assetto, dal verticale al- l’orizzontale, nel controllo delle rotazioni e del rollio.

f ) Facilitazione organizzativa del cammino e delle altre attività funzionali e ricreative, data dalla possibilità di sperimentare e coordinare i movimenti in assenza di gravità.

g) Incremento potenziale delle condizioni fisiche generali, cardiovascolari, respiratorie, maggiore resistenza ai carichi di lavoro.

Ma i risultati più notevoli si riscontrano nell’aspetto psico-sociale del soggetto:

infatti migliorano nettamente sia l’aspetto motivazionale, con conseguente incremento delle capacità di apprendimento, comprensione e concentrazione, che soprattutto l’aspetto relazionalein cui l’allievo disabile rivaluta le proprie potenzialità incrementando la fiducia in sé stesso.

L’attività sportiva in generale, qualsiasi disciplina, rappresenta la possibilità concreta di mettersi o di rimettersi in gioco sperimentando nuove sensazioni, esplorando nuovi territori, ritrovando antiche, profonde percezioni del proprio corpo.

La dimensione acquatica è semplicemente il più versatile, poliedrico, disponi- bile ambiente a nostra disposizione per accogliere schiere di futuri sportivi a tutti i livelli, dall’allievo all’amatore sino al campione paralimpico.

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Capitolo 2

Gli allievi, le definizioni e le tipologie di disabilità

In questo capitolo prenderemo in considerazione le tipologie di disabilità dal punto di vista della suddivisione in senso generale che è stata operata in ambito sportivo, risultato dell’evoluzione del movimento dello sport per disabili dagli albori sino ad oggi.

Per quanto riguarda l’analisi medico-clinica delle varie tipologie e dei processi che sovrintendono al movimento, è disponibile sul sito F.I.N.P. l’ottimo modulo on-line sull’area medica a cura del Dr. Luca Michelini*, un’autorità indiscussa in questo campo, oltre naturalmente all’immenso bacino del web. Qui ci limi- teremo ad elencare in maniera sintetica le principali patologie invalidanti con alcuni cenni esplicativi, per iniziare ad orientarsi in questo complesso labirinto.

E’ molto interessante, per le implicazioni sociologiche che esprime, una sinte- tica disamina delle definizioni verbali che hanno caratterizzato l’handicap sin dalla nascita di questo termine.

* E’ inoltre uscita la nuova edizione del suo libro “Handicap e Sport”.

La definizione di “Handicap”

Le definizioni verbali, le espressioni che si usano a denominazione di un soggetto o di una categoria, sono anche rivelatrici delle tendenze generali e della mentalità co- mune: il pensiero genera le parole.

LEGGE 104/92

(Legge quadro sull’handicap)

Il 5 febbraio 1992 il Parlamento italiano ha emanato un importante provve- dimento legislativo: la “Legge-quadro 104/92 per l’assistenza e l’integrazione so- ciale e i diritti delle persone handicappate”.

Estratto dall’art. 2:

E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

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Con l’approvazione di questa legge si è sintetizzato in un unico testo le diverse normative preesistenti, attraverso nuove regole e nuove risposte ai problemi delle persone disabili: prevenzione e rimozione di situazioni invalidanti divengono obiettivi dai quali è impossibile prescindere e ribadendo con forza la necessità di una piena partecipazione sociale dei disabili, vengono disposti interventi ido- nei per il miglioramento dell’autonomia personale e l’esercizio dei diritti civili.

Naturalmente in quanto “Legge Quadro”  questa normativa stabilisce in linea di principio l’insieme dei diritti del disabile senza però addentrarsi nelle spe- cifiche operative. La programmazione di queste ultime è lasciata per lo più alle Regioni, spesso senza dare alcuna precisazione circa i tempi entro cui dovranno essere scritte le regole operative da seguire. La legge prevede numerosi settori di intervento e lascia un importante quanto problematico potere decisionale agli Enti Locali che concretamente hanno poi il compito di applicare i conte- nuti dei principi legislativi.

Le definizioni di uso comune

“Handicappato” “Disabile” “Diversamente abile, diversabile”

Cronistoria

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto riferimento sino agli anni

‘90 alla definizione “handicapped”, che deriva da un termine inglese apparso nel 1898 e che letteralmente aveva il significato di “(porre) la mano nel cappello”

(hand in cap), dal nome di un gioco d’azzardo nel corso del quale i concorrenti mettevano il denaro in sovrappiù in un cappello, passato poi a indicare un tipo di corsa ippica in cui i valori dei singoli concorrenti venivano pareggiati o con differenti distanze (nelle corse al trotto) o con aumenti di peso (nelle corse al galoppo). Il termine è stato poi riferito per

estensione ad altre gare sportive, sino ad es- sere assimilato allo “svantaggio” tout court, condizione di partenza sfavorevole, entrando nella terminologia legata a condizioni fisiche o mentali che presentano menomazioni e che rendono difficile l’inserimento sociale.

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Nell’antichità si escludeva a priori la categoria dell’handicap e si riconoscevano solo i valori della forza fisica e della bellezza. L’uomo era sprovvisto di quegli strumenti attraverso i quali poter spiegare l’handicap in termini razionali e ri- correndo al mero pregiudizio lo riteneva una colpa individuale o il retaggio di colpe riconducibili ai propri avi. Le uniche soluzioni erano la morte e l’abban- dono, una sorta di riconsegna alle sorti del destino. Oggi con l’evoluzione della scienza e della medicina l’handicap è considerato come accidente individuale e non più una colpa.

Più recentemente l’OMS ha rivisto anche la definizione “disability”, spostando l’asse del significato sulla globalità delle funzioni compromesse in relazione a tutti gli aspetti della vita sociale della persona.

Tornando al nostro paese, ad esempio, la Regione Marche ha deliberato agli inizi degli anni ‘90 la definizione “disabile”, che nasce in Italia intorno al 1869 in opposizione al termine “abile”,ma che si evolve secondo una visione non ghettizzante e pietistica offrendo una chiave di lettura molto più complessa e al contempo più rispettosa della dignità della persona “disabile”.

Considerazioni

Il termine “handicappato” ha assunto negli anni una connotazione decisamente dispregiativa, mentre d’altra parte la definizione “diversamente abile” (in rife- rimento all’OMS che parla di “diverse attività personali e sociali” - o la sua contrazione in “diversabile” - è a nostro parere un eufemismo al confine con la mistificazione, in linea con la tendenza ormai in voga da anni di aggirare si- gnificati scomodi con definizioni asettiche, con il risultato di snaturare il reale e di renderlo paradossale. In realtà non si tratta di definire la diversità rispetto alla normalità, che è comunque una categoria di comparazione competitiva e classificatoria tra persone, ma di valorizzare l’unicità della persona e le sue po- tenzialità a prescindere dai suoi svantaggi più o meno rilevanti. In ambito spor- tivo le categorie, i punteggi e i risultati sono uno strumento non di un processo di differenziazione, ma di un processo di uguaglianza secondo le età, le condi- zioni, i bisogni e le aspirazioni delle persone.

Ferma restando l’indiscutibile libertà di usare il termine che ognuno preferisce, ci appare in conclusione preferibile il termine “disabile”, che definisce uno svantaggio senza aggiungere ulteriori elementi di diversità, oltre ad essere quello comunemente più usato da interessati e addetti ai lavori anche a livello internazionale.

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Ciò non toglie che alla parola rimanga legata un’ineliminabile sensazione di disagio, un’aura di impronunciabilità, come ben sanno, ad esempio, i tecnici e i dirigenti sportivi che si trovano nella condizione di dover usare quotidiana- mente la definizione in presenza degli atleti e/o dei loro genitori.

Purtroppo eliminare o addolcire la definizione non solo non risolve le proble- matiche legate all’handicap, ma le può sospingere verso un’area di indetermi- natezza e di subdola tendenza alla rimozione.

Le tipologie di disabilità

1. FISICO- Deficit o menomazioni a carico dell’apparato locomotore che limitano in modo rilevante la capacità di movimento

2. INTELLETTIVO

a) ritardi mentali e/o disturbi di relazione che si determinano alla na- scita o in età evolutiva

b) disturbi psichiatrici acquisiti (tipologia di disabilità ad oggi non ricono- sciuta ai fini sportivi agonistici)

3. SENSORIALE a) Non vedenti b) Non udenti

La suddivisione nelle tre macrotipologie di disabilità: “fisico”, “intellettivo” e

“sensoriale” è funzionale alla strutturazione dell’attività sportiva agonistica adottata dal C.I.P. (Comitato Italiano Paralimpico), ex F.I.S.D. (Federazione Italiana Sport Disabili).

Il C.I.P. definisce attività agonistica quella svolta da atleti con disabilità mo- torie (fisico), da atleti DIR (Disabilità Intellettiva Relazionale) provvisti di certificazione apposita e idoneità annuale agonistica e infine da atleti non ve- denti o ipovedenti.

Gli atleti non udenti aderiscono ad una federazione nazionale che attualmente si configura come disciplina associata al C.I.P..

A fianco del settore agonistico c’è il settore promozionale, un vasto contenitore che comprende tutti gli atleti DIR che non possiedono la certificazione ago- nistica.

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Disabilità fisico-motorie

La Paralisi Cerebrale Infantile (PCI)

Tutte le nostre attività motorie si combinano tra loro per consentirci di ini- ziare e poi automaticamente di compiere tutta una serie di movimenti. Anche nel bambino con PCI (Paralisi Cerebrale Infantile) i muscoli lavorano in gruppi e secondo schemi ma il loro sviluppo procede in modo disorganizzato o anormale.

Cos’è una PCI? La PCI definisce una turba permanente ma non immutabile della postura e del movimento dovuta ad alterazioni della funzione cerebrale per cause pre - peri - post - natali prima che se ne completi la crescita e lo svi- luppo (Spastic Society, Berlino 1966).

La diagnosi neurologica interpreta la paralisi coma la somma dei difetti pre- senti nel repertorio motorio (segno di Babinsky, schema falciante, ipertonia ecc.), ma è importante saper valutare anche le risorse disponibili proprie del- l’individuo o appartenenti al contesto ambientale e sociale in cui vive si realizza la persona con i suoi deficit e le sue abilità.

Secondo le localizzazioni le PCI si distinguono in:

Monoparesi o monoplegia - interessamento di un solo arto Paraparesi o paraplegia - int. degli arti inferiori o superiori

Emiparesi o emiplegia - int. di un emisoma (lato dx o sx del corpo) Tetraparesi o tetraplegia - int. di tutti e quattro gli arti

Diplegia (doppia monoplegia) - int. di un arto superiore e dell’arto inferiore opposto

PARESI: paralisi parziale PLEGIA: paralisi completa

Le PCI si presentano inoltre a seconda della tipologia del sintomo neurologico prevalente in:

a) Forma atassica - disturbo della coordinazione (tremori, dismetria) e del- l’equilibrio (forma cerebellare)

b) Forma atetosica - ipotonia, presenza di movimenti lenti, aritmici, vermi- colari, afinalistici che interessano la faccia, la lingua e le estremità distali degli arti; difficoltà a mantenere la postura e a controllare i movimenti

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Secondo la qualità del tono muscolare si avrà:

a) Ipertonia: resistenza al movimento, tono aumentato b) Ipotonia: flaccidità, diminuzione del tono

c) Distonia: tono fluttuante, atetosi (forma extrapiramidale) Disturbi associati:

- idrocefalo

- disturbi della motilità oculare - disturbi della percezione uditiva - disturbi della dentizione

- disturbi del linguaggio

- disturbi della deglutizione (scialorrea) - deformità osseo-articolari

- disturbi delle prestazioni intellettive, cognitive e delle relazioni - epilessia

Il bambino con PCI quindi non sempre presenta come disturbo il ritardo men- tale e generalmente può:

- non controllare bene il capo

- non usare bene mani e arti inferiori

- mancare di equilibrio e di controllo della postura

Patologia midollare traumatica

- Lesione diretta del midollo

- Lesione da trazione e strappamento

- Lesioni del tipo di commozione e contusione

• Commozione midollare: sindromi con lesioni modeste, senza precisazione focale e con carattere transitorio (durata 24 - 48 ore)

• Contusione midollare: sindromi con lesioni di una certa gravità, con carat- teristiche focali, decorso lento e protratto, residui deficit permanenti

• Shock spinale: condizione clinica caratterizzata da abolizione di qualsiasi attività motoria, sensitiva e sfinterica, volontaria e riflessa nei distretti la cui funzionalità è legata ai metameri sottostanti la lesione midollare

Paraplegia in flessione: (automatismo spinale) è esclusa l’afferenza centrale Paraplegia in estensione: non è esclusa l’afferenza centrale

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Clinica: disturbi motori, sensitivi, sfinterici, vegetativi.

Epilessia

L’epilessia si associa ad una caratteristica anormalità cellulare in cui grandi quantità di neuroni mostrano una scarica sincrona parossistica, registrabile dalla superficie del capo tramite le tecniche elettroencefalografiche.

Crisi epilettica: associazione di manifestazioni cliniche di vario genere in con- comitanza di anormalità elettroencefalografiche

Epilessiacon aura e senz’aura Attacchi generalizzati

- tonico-clonici di grande male - assenza tipo piccolo male - attacchi mioclonici bilaterali - attacchi tonici e atonici Attacchi parziali o focali

- crisi motorie parziali - crisi sensitive

- o sensoriali - crisi psicomotorie

Crisi parziali con generalizzazione secondaria

“Coma post-critico” “Amnesia retrograda”

Cause - idiopatiche o primarie: sintomatiche

- secondarie: traumatiche, vascolari, infettive, tumorali, ecc.

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Cosa fare quando si assiste ad una crisi epilettica

A parte i casi di crisi recenti e ravvicinate, le crisi epilettiche non sono peri- colose. Tuttavia la perdita di coscienza, la caduta a terra e le convulsioni che accompagnano alcune crisi possono talora provocare degli inconvenienti. La prima volta che si assiste ad una crisi convulsiva si può rimanere impressionati, ma questa sensazione è dovuta solo alla scarsa conoscenza del significato delle crisi. Bisogna innanzi tutto ricordare che le crisi non sono mai dolorose per chi le subisce e non sono mai pericolose per chi vi assiste. Perciò, quando un familiare o un conoscente ha una crisi, è necessario non spaventarsi, ma assu- mere un atteggiamento pratico ed utile al soggetto. Se la perdita di coscienza è preceduta da sintomi premonitori vi è in genere il tempo di far coricare il soggetto in un luogo dove non si faccia male durante le convulsioni, per esem- pio un letto o un divano o un tappeto morbido, o anche semplicemente per terra. Se la perdita di coscienza avviene improvvisamente e non si riesce a pre- venire la caduta, bisogna cercare di evitare altri pericoli. E’ opportuno aprire le vesti strette, specialmente intorno al collo (aprire quindi colletti e cravatte), pulire la bocca dalla saliva per permettere al soggetto di respirare più libera- mente, non lasciarlo sdraiato sul dorso bensì metterlo su un fianco per facilitare il deflusso della saliva che potrebbe ostacolare la respirazione. Bisogna evitare di mettere in bocca oggetti di qualsiasi tipo e lasciare che le scosse della con- vulsione avvengano liberamente senza tentare di trattenere gli arti perché que- sto potrebbe provocare delle fratture e delle lesioni muscolari. Dopo la crisi convulsiva il soggetto può impiegare parecchi minuti a risvegliarsi e potrà es- sere all’inizio confuso e disorientato. Bisogna cercare di rincuorarlo con la massima calma, soprattutto se la crisi è avvenuta fuori casa. E’ inutile praticare iniezioni di sedativi o calmanti perché dopo pochi minuti dal risveglio il sog- getto sarà perfettamente in grado di badare a sé stesso. Le crisi senza convul- sioni e senza caduta a terra sono praticamente innocue e non richiedono nes- suna misura particolare. Dopo la crisi il soggetto dovrà continuare come sem- pre la sua cura abituale.

Se una crisi di grande male capita in piscina, bisogna semplicemente tenere la testa fuori dall’acqua, inclinata indietro per mantenere libere le vie respira- torie, e lasciare che si esaurisca. Si può far passare un asciugamano o un tap- petino galleggiante sotto il corpo per sorreggere meglio la persona.

Non si deve tentare di estrarre immediatamente il soggetto dall’acqua per evi- tare il rischio di traumi. Finita la crisi deve essere asciugato e messo a riposare in un locale caldo e asciutto.

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Malattie neurologiche accompagnate da deformazioni cranio-spinali

Ingrossamento della testa

1) Idrocefalo da malformazione di Chiari - stenosi ereditaria dell’acquedotto - infezioni prenatali

2) Idranencefalo idrocefalo e distruzione o mancato sviluppo di parti del cervello, spesso associato a ingrandimento

della scatola cranica

3) Macrocefalia testa ingrossata con ventricoli normali o solo poco dilatati

Idrocefalo

Viene così definito ogni abnorme aumento degli spazi liquorali endocranici intra- e/o extraventricolari.

I. ostruttivo o attivo da malformazioni

da cicatrici periacquedottali

da infiammazioni batteriche o chimiche da tumori

I. non ostruttivo da ipersecrezione liquorale

(ipotetico) da diminuito riassorbimento liquorale o passivo da edema cerebrale

(ex vacuo) da patologia primitivamente parenchimale

Diminuita atrofia parenchimale cerebrale e danno di barriera ematoencefalica A Forme progressive (a seconda della causa, del momento evolutivo di insorgenza

e della conformazione del soggetto) B Forme stazionarie

C Forme ipertensive (possibilità di intervento neurochirurgico nelle forme A) D Forme non ipertensive

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Clinica

Bambino:

• Macrocefalia con allargamento e tensione delle fontanelle e delle suture craniche

• Globi oculari in fuori e ruotati verso il basso (segno del sole nascente)

• Atrofia ottica bilaterale

• Manifestazioni comiziali

• Deficit dei nervi cranici

• Segni di sofferenza piramidale o extrapiramidale

• Ritardo mentale

Adulto: quadro psico-organico (deterioramento mentale, turbe della coscien- za, turbe dell’equilibrio e della marcia, incontinenza urinaria, segni pi- ramidali e extrapiramidali)

Rachischisi o disrafismo

Alterazioni della funzione di strutture della linea dorsale mediana del canale neurale primitivo

- Anencefalia

- Encefalocele e meningoencefalocele - Sindrome di Dandy-Walker

- Mieloschisi o spina bifida (disrafismo spinale)

Spina Bifida

- Spina bifida occulta - Meningocele - Mielomeningocele

Eziologia

- Presenza di un fratello già affetto - fattori ereditari

- Fattori esogeni: carenza di vitamina A e acido folico all’inizio della gravi- danza

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Diagnosi prenatale

- Presenza di alfa fetoproteine nel liquido amniotico - Deformità evidenziabili all’ecografia uterina

- Test immunoenzimatico dell’acetilcolinesterasi sul liquido amniotico

Clinica alla nascita

- Ampia sacca lombo-sacrale esteriorizzata - Arti inferiori immobili

- Perdita di urina

- Riflessi osteotendinei assenti - Strutture cranio cervicali normali - Lesioni neurologiche delle gambe - Complicanze: meningite e idrocefalo

Terapia:

chirurgica (dipende dalle alterazioni e dal loro livello)

Sindromi progressive ritardate

- Sindrome progressiva della cauda equina - Debolezza spastica progressiva

- Sindrome acuta della cauda equina - Siringomielia

Amputazioni

L’amputazione viene definita come la perdita di una o più parti del corpo.

La classificazione di tale tipologia di disabilità tiene pertanto conto della zona anatomica mancante, nonchè del punto di amputazione.

La rilevazione di ciò si presenta come un’operazione di estrema facilità.

Vengono associati alle classi di amputati, per evidente affinità, anche i soggetti affetti da dismelie di vario tipo.

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Disabilità psico-fisiche

La classificazione delle patologie mentali

Fasi dello sviluppo emotivo-affettivo del bambino

Fase autistica primaria (1 mese)

Il bambino è in un isolamento quasi assoluto Fase simbiotica (2-6 mesi)

Inizia a rendersi conto che esiste un’entità, fusa con lui che soddisfa i suoi bisogni Complesso di Edipo (7 mesi - 3 anni)

Il rapporto diventa triangolare. Attrazione per il genitore di sesso opposto Periodo di latenza (3 anni - 10 anni)

Superamento dell’Edipo attraverso il meccanismo di difesa “identificazione”.

Equilibrio affettivo, intellettivo, socio comportamentale. Periodo saldamente legato al concreto

Pre-adolescenza (10 anni - 12 anni)

Inizio delle trasformazioni psico-fisiche legate alla pubertà Adolescenza (12 anni - 20 anni)

Riesplosione della conflittualità pre-edipica ed edipica.

Trasformazioni somatiche. Elevazione del pensiero oltre la soglia dell’astrazione Età adulta (maturità) (21 anni - 65 anni)

Capacità di procreare e di occuparsi dei figli in modo consapevole Senilità (oltre i 65 anni)

Saggezza, capacità di trasmettere le proprie esperienze alle nuove generazioni

• Fasi dello sviluppo cognitivo

• Fase senso motoria (dalla nascita ai due anni circa);

• Fase preconcettuale (dai due anni ai quattro anni circa);

• Fase del pensiero intuitivo (dai quattro ai sette anni circa);

• Fase delle operazioni concrete (dai sette agli undici anni circa);

• Fase delle operazioni formali (dagli undici ai quindici anni circa).

Winnicot definisce un bambino normale quello che è in grado di usare alcuni o tutti i mezzi che la natura gli ha fornito per difendersi contro l’ansia e le si- tuazioni conflittuali che non riesce a tollerare.

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I mezzi usati (in condizione di salute) dipendono dal tipo di aiuto su cui il bam- bino può contare. Se chi ne ha la responsabilità agisce sempre in modo tranquillo e coerente, molto probabilmente il bambino finirà per diventare un membro soddisfacente della società, anche se presenta difficoltà e il suo comportamento appare disturbante.

Classificazione delle cause che concorrono allo sviluppo atipico del bambino

• Ritardo Mentale

• Difficoltà di apprendimento

• Problemi comportamentali

• Sordità

• Cecità

Problemi di comportamento

Lievi:

- Iperattività con deficit di attenzione;

- Disturbi del comportamento con atteggiamenti antisociali;

- Depressione ed ansia.

Gravi:

- Autismo;

- Psicosi simbiotica.

Ritardo mentale

(definizione)

Il ritardo mentale è una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psi- chico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si mani- festano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie, sociali.

(ICD-10, pag. 219.1992) Ritardo Mentale Lieve

Il ritardo mentale lieve comporta un ritardo più o meno accentuato della fun- zione linguistica che interessa soprattutto la comprensione e l’espressione del

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linguaggio, ma nella maggior parte dei casi questi soggetti raggiungono la ca- pacità di usare la parola per le esigenze della vita quotidiana.

La maggior parte di essi raggiunge anche una piena indipendenza nella cura di sé e nelle abilità pratiche e domestiche. Le principali difficoltà si osservano in ambito scolastico. La maggior parte dei soggetti affetti da questo ritardo può essere impiegata in lavori che richiedono abilità pratiche piuttosto che teoriche. Una eziologia organica è prevista solo in una minoranza dei casi.

Spesso sono osservate in una quota variabile di soggetti condizioni associate come l’autismo, l’epilessia, i disturbi della condotta.

Ritardo Mentale di Media Gravità

I soggetti compresi in questa categoria raggiungono un risultato modesto nello sviluppo della comprensione e dell’uso del linguaggio. L’acquisizione della cura di sé e della capacità motoria è pure ritardata. Da adulti i soggetti con ritardo mentale di media gravità sono di solito in grado di eseguire semplici lavori manuali, se i compiti sono strutturati in maniera accurata e viene assicurata una valida supervisione. Un livello di vita completamente indipendente nell’età adulta è raramente raggiunto. Nella maggior parte dei soggetti con ritardo mentale di media gravità si può identificare una eziologia organica. Sono fre- quentemente associati con l’autismo infantile, l’epilessia e le disabilità neuro- logiche e fisiche.

Ritardo Mentale Grave

La maggior parte delle persone comprese in questa categoria soffre di un grado marcato di deficit motori o/e di altri deficit associati, che indicano la presenza di un danno o di un alterato sviluppo del sistema nervoso centrale clinicamente significativo. Il linguaggio è praticamente assente.

Ritardo Mentale Profondo

I soggetti compresi in questa categoria sono in maggioranza immobili o gra- vemente limitati nella mobilità, incontinenti e capaci al massimo di forme mol- to rudimentali di comunicazione non verbale. Essi possiedono scarsa o nessuna possibilità di prendersi cura dei propri bisogni elementari e richiedono costante aiuto e supervisione. Nella maggior parte dei casi può essere identificata una eziologia organica, associata ad altri deficit neurologici e fisici.

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Psicosi simbiotica

La psicosi simbiotica è una patologia legata al processo di differenziazione tra l’Io e l’Es, tra il Sé e il mondo oggettuale. Si manifesta quando viene messo in discussione il legame con la madre, come nel caso di separazione reale. Per lot- tare contro le ansie di annientamento che ne derivano, il bambino tende a man- tenere la relazione simbiotica, rinforzando meccanismi difensivi come la pro- iezione e l’introiezione, e rifugiandosi all’interno del legame simbiotico nel quale prova sentimenti di onnipotenza. (Margaret Mahler)

Autismo

L’autismo è una complessa disabilità mentale che si instaura nel primo anno di vita del bambino per poi manifestarsi durante i prime tre anni. E’ stimato essere presente in 5 - 10 individui su 10.000, con un’incidenza quattro volte più fre- quente nei maschi rispetto alle femmine. L’autismo colpisce il normale sviluppo del cervello nelle aree dell’interazione sociale e nelle abilità comunicative, ren- dendo difficile la comunicazione con gli altri e con l’esterno a tutti i livelli. Può essere presente un ritardo mentale, di solito di grado medio o grave; in un terzo dei soggetti può essere presente anche un’epilessia. In diversi casi si verificano comportamenti aggressivi o autolesionistici; spesso ricorrono movimenti ripetuti del corpo, definiti stereotipie, come agitare le mani o dondolarsi.

L’autismo infantile è caratterizzato dalla difficoltà di differenziare il dentro dal fuori del Sé, l’interno dall’esterno degli oggetti, la tendenza a fondersi con una sola delle componenti per sopperire all’incapacità di filtrare i dati sensoriali e di trattenere i contenuti mentali di un oggetto esterno, l’assenza dello spazio interno del Sé e dell’oggetto, il fallimento della funzione primaria di conteni- mento. (Donald Meltzer)

Il bambino autistico vive in un mondo unidimensionale, in uno stato privo di mente. Descrivere lo sviluppo di patologie così complesse, come l’autismo e le psicosi infantili, risulta particolarmente oneroso sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista clinico. Elaborare teorie in quest’ambito è arduo per l’ina- deguatezza dei termini e dei procedimenti logici a confrontarsi con un processo che va al di là della nostra logica e delle nostre leggi, e che appartiene al pri- mordiale, al preverbale, alla sensorialità, aspetti ai quali sembra forse più facile collegarsi attraverso le metafore e l’immaginazione, piuttosto che con il pen- siero critico.

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Tali difficoltà ad entrare in relazione con questi bambini viene sottolineata da Meltzer quando afferma che “il terapeuta si trova ad affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il proprio mondo a tre dimensioni, di spogliarsi della propria esperienza per entrare nel mondo privo di significato e di processi mentali”.

Difficoltà di apprendimento

La definizione di una difficoltà di apprendimento è, sostanzialmente, una dia- gnosi per esclusione, è il bambino che non riesce ad imparare i compiti scola- stici, non è ritardato, non presenta particolari problemi di udito, di vista o di- sturbi emotivi. In pratica siamo in grado di dire ciò che la difficoltà di appren- dimento non è, ma non possiamo definire ciò che veramente è.

Anche per quanto riguarda le cause della difficoltà di apprendimento non ci sono certezze, si parla di un danno cerebrale minimo o di una disfunzione ce- rebrale.

Da un punto di vista pratico il problema più frequente di apprendimento è la difficoltà di imparare a leggere e scrivere.

Anomalie cromosomiche

Alterazioni dello sviluppo del cervello e di altri organi collegate ad una evidente anomalia di un cromosoma autosomico o sessuale (in tutte le cellule) o mosai- cismi (in parte delle cellule) - gravi le autosomiche

- Trisomia 13 (sindrome di Patau) - Trisomia 18

- Sindrome cri-du-chat - Cromosoma ad anello

- Sindrome di Klinefelter (xxy) - Sindrome di Turner (xo) - Colpocefalia

- Sindrome dell’ x fragile - Sindrome di Williams - Sindrome di Prader-Willi - Sindrome di Angelman - Sindrome di Rett

- SINDROME DI DOWN (trisomia 21 o traslocazione)

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Sindrome di down

E’ la più nota patologia causata da un’anomalia nei cromosomi. Il nome deriva da John Langdon Down, che ha descritto la patologia nel 1862, usando il ter- mine “mongoloidismo” per l’affinità dei tratti somatici del viso con quelli delle popolazioni asiatiche orientali come i mongoli.

Questa definizione è da decenni caduta in disuso per il forte carattere dispre- giativo che aveva assunto, di fatto un vero e proprio epiteto irriferibile.

La problematica più importante della sindrome di Down è il ritardo mentale, che peraltro non preclude lo sviluppo della persona ma lo rallenta, lasciando intatta la possibilità di una buona integrazione e convivenza, anche grazie alla spiccata socialità e curiosità che contraddistingue i ragazzi Down.

Un’altra caratteristica che li distingue è la rigidità dell’apprendimento e la con- seguente difficoltà a cambiare una procedura, un metodo appreso che applicano con sorprendente metodicità nella sequenza delle azioni. Ciò comporta un doppio risvolto: da una parte l’opportunità di apprendere lo svolgimento di una mansione, sia pur semplice e ripetitiva, quindi di un lavoro, sempre con l’adeguata supervisione; dall’altra l’importanza di impostare correttamente fin dal principio la sequenza degli apprendimenti. Nel nuoto, ad esempio, il con- solidamento di uno schema motorio errato rende la correzione dell’errore una mission impossible, o quasi.

Frequenza: 1/700 nati (10% dei casi di ritardo mentale).

Correlazione con l’età della madre nella trisomia 21 - età più giovane nella tra- slocazione

Anatomia patologica

- Peso cerebrale ridotto

- Riduzione delle circonvoluzioni cerebrali - Ritardo della mielinizzazione

- Neuroni corticali immaturi e indifferenziati - Predisposizione all’Alzheimer

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Clinica

Alla nascita

- anomalie cranio facciali - mongolismo - anomalia delle mani

- disturbi oculari, cardiaci, gastrointestinali - ipotonia degli arti

- lassità legamentosa durante la crescita

- bassa statura

- ritardo psicomotorio

- Q.I. < 70 - compromissione del linguaggio - personalità tipica

- instabilità atlanto-occipitale (rischio di compressione midollare) - aumentata incidenza di infezioni e epilessia

età adulta - ictus - leucemia - ascessi cerebrali - patologie cardiache - malattia di Alzheimer

Diagnosi prenatale

- alterazioni cromosomiche all’amniocentesi (test invasivo) - tri-test (predittivo)

Disabilità sensoriali

Particolari modalità di apprendimento e comunicazione Cecità

La cecità non è solo assenza di vista, essa impone un ripensamento, al pari della sordità, delle norme della comunicazione e dell’utilizzo del corpo in società.

Gli apprendimenti nei soggetti ciechi veicolano attraverso il canale uditivo e il canale tattile.

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Il sistema usato per le relazioni e le conoscenze è quello “ANALITICO”.

È assolutamente errato credere che il bambino cieco sia un bambino a cui man- ca l’organo della vista, ma che nel compenso funziona e si sviluppa come ogni altro bambino vedente; è invece opportuno considerare che le modalità che questo bambino ha a disposizione per raggiungere lo stesso stadio evolutivo del bambino vedente sono di gran lunga diverse e più complesse.

Pertanto il rapporto conoscitivo e la vita di relazione del bambino cieco si svi- luppano con caratteristiche completamente diverse da quelle del vedente.

Sordità

La sordità non è solo assenza di udito, essa impone un ripensamento delle nor- me della comunicazione e dell’utilizzo del corpo in società.

Gli apprendimenti nei soggetti sordi veicolano attraverso il canale visivo-ge- stuale e non mediante quello audio-vocale.

Il sistema usato per le relazioni e le conoscenze è quello “GLOBALE”.

Le classificazioni funzionali

Fin dagli albori dell’attività sportiva svolta da persone disabili si è posta la que- stione dell’equità del confronto agonistico. Come si poteva far gareggiare in- sieme persone dalle tipologie e dai livelli di gravità di disabilità così diversi fra loro?

Si è così evidenziata la necessità di suddividere i vari quadri nosologici in grup- pi di atleti con abilità similari, per realizzare una competizione sportiva “ad armi pari” dove a ciascuno fosse riconosciuto il legittimo diritto di aspirare alla vittoria.

Inizialmente i vari comitati medici internazionali preposti alla codificazione delle classificazioni si sono orientati su una valutazione essenzialmente riferita alla patologia, sino ad arrivare ai giorni nostri, dove si tende viceversa a privi- legiare sempre di più l’aspetto funzionale dell’individuo, disciplina per disci- plina, indipendentemente dalla causa della disabilità.

Questo tipo di approccio è sicuramente migliore, ove l’attenzione è posta non su ciò che l’atleta non è in grado di fare, ma su ciò che - nonostante la patologia - può effettivamente fare.

Per capire meglio le classificazioni attuali di tipo funzionale è opportuno fare un cenno su quelle denominate “tradizionali”.

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Cronistoria

L’attenzione verso l’attività sportiva riabilitativa è nata nel lontano 1944 nel- l’ospedale di Stoke Mandeville in Gran Bretagna, ad opera di Sir Ludwig Gutt- man, che studiò e realizzò dei programmi di allenamento per i

tanti paraplegici reduci della seconda guerra mondiale.

Nel 1948 furono istituiti i primi Giochi di Stoke Mandeville e successivamente nacque, con la partecipazione alle Olimpiadi di Roma nel 1960, l’ISMWSF (International Stoke Mandeville Wheelchair Sport Federation). Gli ottimi risultati del dottor Guttman fecero il giro del mondo e da più parti nacquero orga- nizzazioni preposte all’attività sportiva per persone disabili. Venne così fondata nel 1964 l’ISOD (International Sport Organisation for Disabled) che si occupava di atleti amputati, nel 1980 si for- marono l’IBSA (International Blind Sport Association) e il CP- ISRA (Cerebral Palsy Sport and Recreation Association) che si occupavano rispettivamente di ciechi e cerebrolesi. Successiva- mente venne fondata, nel 1986, INAS-FID che si occupa di atleti con disabilità intellettiva relazionale. Nel 1982 venne fondato un comitato internazionale che coordinava tutte le varie organizza- zioni e ha tuttora lo scopo di codificare e redigere le regole tec- niche ed organizzative dei Giochi Paralimpici; oggi questo co- mitato si chiama IPC (International Paralympic Committee).

Ognuna di queste organizzazioni aveva il proprio sistema di clas- sificazioni che, come già accennato, si basava sulla patologia.

L’ISMWSF aveva suddiviso gli atleti con lesioni midollari in 8 classi: T1a/b/c erano le classi per gli atleti tetraplegici dove T1a rappresentava gli atleti con maggior danno neurologico e T1c quelli con il minor danno. P2/3/4/5/6 erano le classi per gli atleti para- plegici dove P2 rappresentava gli atleti con una lesione midollare alta (dal me- tamero D1 a D5) e P6 gli atleti con una lesione più bassa (S1-S2).

L’ISOD, che inizialmente si occupava di amputati, successivamente si occupò anche di tutte quelle patologie che dovevano essere per- manenti e che non potevano rientrare nelle altre organizzazioni, de- nominando questi atleti come Les Autres e suddividendoli in 6 classi collo- cando sempre la disabilità più grave in classe 1.

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Per quanto riguarda gli amputati vennero suddivisi con un sistema molto semplice:

- A1 amputazione bilaterale sopra o attraverso l’articolazione del ginocchio - A2 amputazione monolaterale sopra o attraverso l’articolazione del ginocchio - A3 amputazione bilaterale sotto l’articolazione del ginocchio

- A4 amputazione monolaterale sotto l’articolazione del ginocchio - A5 amputazione bilaterale sopra o attraverso l’articolazione del gomito - A6 amputazione monolaterale sopra o attraverso l’articolazione del gomito - A7 amputazione bilaterale sotto l’articolazione del gomito

- A8 amputazione monolaterale sotto l’articolazione del gomito - A9 amputazioni combinate tra arti inferiori e superiori.

L’IWAS, Federazione Sportiva Internazionale per Disabili Amputati ed in Carrozzina, è un’organizzazione sportiva che governa gli sport per atleti con disabilità fisiche. L’IWAS è nata nel 2005 con la fu- sione della Federazione Internazionale Stoke Mandeville di Sport in Carroz- zina (ISMWSF) e la Federazione Internazionale Sport per Disabili (ISOD).

E’ per questo motivo che la sede si trova a Stoke Mandeville. Alcuni dei prin- cipali sport governati dall’IWAS sono la scherma, l’atletica, le bocce.

Il CP-ISRA si occupava di atleti con paralisi cerebrali e li aveva suddivisi in 8 classi che andavano da CP1 a CP8; anche qui il numero determinava la gravità della patologia, l’atleta CP1 era quello con la patologia più invalidante, in linea di massima gli atleti da CP1 a CP4 erano non deambulanti, mentre quelli da CP5 a CP8 potevano deambu- lare con aiuto o meno di ausili.

L’IBSA suddivideva i propri atleti in tre classi:

- B1 cieco completo

- B2 atleti che riconoscono la forma di una mano, con un visus non superiore a 2/60

- B4 atleti con un visus da 2/60 a 6/60

Gli atleti con una disabilità intellettiva relazionale non avevano suddivisioni in classi. Con l’unificazione sotto un’organizzazione comune di tutti gli atleti disabili si è evidenziata la necessità di rivedere i sistemi classificativi, cercando di crearne uno che raggruppasse in un numero minore di classi tutti gli atleti:

nascono così le attuali classificazioni denominate funzionali, che sono in con- tinua revisione e aggiornamento.

Le classificazioni funzionali si basano sulla valutazione del gesto tecnico spor- tivo specifico e necessariamente sono diverse da disciplina a disciplina.

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La classificazione funzionale nel nuoto

La classificazione viene eseguita da un medico e/o fisioterapista e un tecnico di disciplina ed è suddivisa in due momenti ben precisi. La valutazione clinica viene svolta in un ambulatorio medico su un lettino, è prevalentemente di com- petenza medica e si basa sulla valutazione di uno o più dei seguenti fattori:

• forza muscolare

• mobilità articolare

• coordinazione motoria

• arti amputati o dismelie

• statura

Nel caso di forza, coordinazione e mobilità vengono attribuiti dei punti da 1 a 5 per ogni azione degli arti superiori, tronco e arti inferiori, mentre nel caso di arti amputati o dismelie si procede a misurare i segmenti corporei e tramite un tabella codificata vengono assegnati dei punti.

Nella valutazione della forza vengono attribuiti:

- 0 punti nessuna contrazione - 1 punto contrazione minima

- 2 punti movimento solo in assenza di gravità - 3 punti movimento contro gravità

- 4 punti movimento contro resistenza - 5 punti forza normale

Nella valutazione della coordinazione motoria vengono attribuiti:

- 0 punti nessun movimento funzionale - 1 punto ridottissimo range di movimento*

- 2 punti ridotto range di movimento e gravi problemi coordinativi - 3 punti moderati problemi di coordinazione

- 4 punti range di movimento quasi normale - 5 punti range di movimento normale

Nella valutazione della mobilità articolare vengono attribuiti:

- 0 punti nessun movimento - 1 punto minimo movimento

- 2 punti 25% del normale range articolare - 3 punti 50% del normale range articolare - 4 punti 75% del normale range articolare - 5 punti normale particolarità

*Range of movement (ROM): escursione articolare

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La valutazione dei nuotatori non vedenti deve essere necessariamente eseguita da un classificatore oftalmologo che valuti il visus residuo.

La somma dei punti, che nel caso di un normodotato è di 300 per gli stili S (stile libero, dorso e farfalla) e di 290 per gli stili SB (rana), determina la prov- visoria collocazione in una classe che andrà poi verificata con la valutazione in acqua. Per poter prendere parte alle competizioni, un atleta deve avere almeno un deficit di 15 punti al test sul lettino (disabilità minima).

La valutazione clinica è di fondamentale importanza per procedere poi alla valutazione in acqua.

Nella valutazione in acqua si osservano i seguenti elementi:

- tuffo di partenza - galleggiamento supino - galleggiamento prono - nuotate negli stili praticati - virata

Al tuffo di partenza e alla virata viene attribuito un punteggio da 1 a 10, che verrà poi sommato ai punteggi degli arti superiori, inferiori e del tronco.

E’ fondamentale che l’atleta effettui il gesto tecnico al massimo delle proprie capacità, laddove sussistano dubbi sulla piena collaborazione dell’atleta è op- portuno rivedere lo stesso durante una competizione.

Durante la valutazione in acqua deve essere considerata la funzionalità effettiva degli arti superiori, degli arti inferiori e del tronco. A volte capita che un pun- teggio calcolato sul lettino non trovi pieno riscontro in acqua; questo può av- venire principalmente perché le due valutazioni vengono fatte in ambienti fon- damentalmente diversi per caratteristiche fisiche, la principale delle quali è l’assenza della forza di gravità in acqua.

Laddove le valutazioni differiscano, deve essere tenuta in maggior considera- zione la valutazione acquatica del gesto tecnico.

Durante la valutazione viene compilata una scheda di classificazione dove nella prima pagina vengono inseriti i dati anagrafici e l’anamnesi classificativi, nella seconda vengono inseriti i punteggi del test da effettuarsi sul lettino (bench test), nella terza pagina vanno segnate schematicamente le posizioni del gal- leggiamento prono e supino e si segnano le somme del bench test e della valu- tazione in acqua, nell’ultima pagina sono riportate le ampiezze angolari dei vari movimenti (ROM).

Al termine della valutazione si sommano i punteggi e si verifica dal manuale (IPC Swimming) il profilo funzionale più adatto all’atleta in questione.

Riferimenti

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